La bibliotecaria Manola Franceschini di Pontedera va in pensione
sabato 14 luglio 2018
riscopriamoci misericordiosi. leggendo insieme storia di vita / Misericordia Ponsacco Onlus, 2018, p. 103
Libro meritorio. Racconti tutti dotati di un significato morale. Di una spinta etica verso il bene. Verso la speranza. Positivi. Alcuni più leggeri. Altri più profondi. Bene ha fatto la Misericordia di Ponsacco, con l'aiuto delle animatrici di Boscoborgo, a mettere insieme il concorso e a selezionare i racconti.
Libro meritorio. Racconti tutti dotati di un significato morale. Di una spinta etica verso il bene. Verso la speranza. Positivi. Alcuni più leggeri. Altri più profondi. Bene ha fatto la Misericordia di Ponsacco, con l'aiuto delle animatrici di Boscoborgo, a mettere insieme il concorso e a selezionare i racconti.
La vulnerabilità / Laura Capantini - Maurizio Gronchi, Edizioni San Paolo, 2018, pp. 139
Queste riflessioni sulla vulnerabilità sono molto utili per riflettere sulla nostra condizione di fragilità. Una condizione che non è solo contemporanea, ma che nella contemporaneità assume uno stato tutto particolare, perché si abbina ad un sentimento di onnipotenza (aggressiva) e ad un forte egoismo che pervade e conquista masse, popolo, gente. Il testo nasce e si abbevera della traduzione biblica e cristiana. Mi auguro che venga letto e meditato dal maggior numero di persone possibili. E' una medicina quella che ci somministra. Vivere con serenità e comprensione la propria e l'altrui vulnerabilità (inclusa quella di Dio) è un grande sforzo. Etico. E necessario.
Queste riflessioni sulla vulnerabilità sono molto utili per riflettere sulla nostra condizione di fragilità. Una condizione che non è solo contemporanea, ma che nella contemporaneità assume uno stato tutto particolare, perché si abbina ad un sentimento di onnipotenza (aggressiva) e ad un forte egoismo che pervade e conquista masse, popolo, gente. Il testo nasce e si abbevera della traduzione biblica e cristiana. Mi auguro che venga letto e meditato dal maggior numero di persone possibili. E' una medicina quella che ci somministra. Vivere con serenità e comprensione la propria e l'altrui vulnerabilità (inclusa quella di Dio) è un grande sforzo. Etico. E necessario.
Georgia: il paese che Dio voleva per sè / Francesco Trecci, Apice Libri, 2017, pp.86
Seconda fatica di Trecci, che va annoverato tra gli innamorati della Georgia, l'ex repubblica dell'URSS ed ora stato indipendente, collocato tra il Mar Nero e l'area del Caucaso. Si tratta di una simpatica guida turistica, scritta da uno che in Georgia ha viaggiato e si è trovato molto bene. Lettura piacevole, ma va detto che non si tratta di un guida turistica professionale. E' più una guida turistica passionale. Servono anche queste.
Seconda fatica di Trecci, che va annoverato tra gli innamorati della Georgia, l'ex repubblica dell'URSS ed ora stato indipendente, collocato tra il Mar Nero e l'area del Caucaso. Si tratta di una simpatica guida turistica, scritta da uno che in Georgia ha viaggiato e si è trovato molto bene. Lettura piacevole, ma va detto che non si tratta di un guida turistica professionale. E' più una guida turistica passionale. Servono anche queste.
giovedì 12 luglio 2018
Porti aperti: l'orizzonte del PD
Renzi e i "renziani" contano ancora molto nel PD. Forse, come ha gridato Lui all'assemblea dell'Ergife, sono ancora maggioranza. Si vedrà. Certo lo sono tra i gruppi parlamentari. Ma se il fu segretario ha forse ancora i numeri per controllare in parte le dinamiche del partito, quando si passa alle idee, beh, quelle del finalmentedimessosi paiono piuttosto confuse e astiose. Storditi e inaciditi dai risultati dalle elezioni politiche e da quelle amministrative, è normale che i Renzianos non sappiano che pesci prendere. Per questo di solito ci si dimette e ci si prende il tempo che serve per riflettere. Ma i Renzianos non sono così. Sognano napoleoniche rivincite.
Ma al di là dello stile, quello che alla fine conta sono le mosse concrete. E per elaborare le scelte giuste, occorrerebbe fermarsi a riflettere e ascoltare la voce di chi ancora appartiene come militante al partito (se si vuole essere sostenuti dai militanti), di chi sostiene di averlo votato il Pd (se si vuole essere ancora votati) e di chi potrebbe partecipare ad un'alleanza con il PD e potrebbe dare una mano ad arginare l'ondata nazionalqualunquista che dilaga e sta consolidando una forte egemonia nel Paese.
Che nel frattempo al PD tocchi recitare, in Parlamento e in tanti comuni, il ruolo dell'opposizione, è scontato. Allora prendiamo la cosa come un'opportunità. Per riorganizzarci. Senza l'affanno di dover far bene subito. Magari formiamo un governo ombra (chiamando anche alcuni amici della futura coalizione di Centro Sinistra, perchè da soli non si andrà da nessuna parte). Diamoci un programma minimo. Andiamo a cercare nuovi alleati per costruire un futuro diverso dal presente nazionalqualunquista in cui siamo.. immersi.
Che nel frattempo al PD tocchi recitare, in Parlamento e in tanti comuni, il ruolo dell'opposizione, è scontato. Allora prendiamo la cosa come un'opportunità. Per riorganizzarci. Senza l'affanno di dover far bene subito. Magari formiamo un governo ombra (chiamando anche alcuni amici della futura coalizione di Centro Sinistra, perchè da soli non si andrà da nessuna parte). Diamoci un programma minimo. Andiamo a cercare nuovi alleati per costruire un futuro diverso dal presente nazionalqualunquista in cui siamo.. immersi.
Stiliamo 10 valori forti da condividere con gli Italiani e lavoriamoci sopra.
Cominciamo dal lavoro? Bene. Facciamolo.
Democrazia e regole del gioco? Ok.
Poi vogliamo parlare di Europa come ideale per le nuove e le vecchie generazioni. Meglio
Accoglienza e capacità di integrarci con i migranti. Serve una politica dei porti aperti. Fissiamo la cosa. E poi teniamo il punto.
Impresa come elemento strategico per lo sviluppo del paese? Perchè no.
Straordinari investimenti in infrastrutture culturali: musei, biblioteche, teatri, archivi, cinema, musica. Insomma un piano serio e credibile.
L'anno prossimo ci aspetta un'altra doppia tornata elettorale impegnativa. Guardiamo a questa con il respiro lungo e non col fiato corto.
Sosteniamo politiche in cui crediamo e non inseguiamo né il nazionalista, razzista, egoista ed autoritario Salvini, nè il qualunquismo ciarlatano e pressapochista di Grillo e Di Maio, di cui dobbiamo smettere di dire che sono populisti (non foss'altro perchè essere a favore del popolo non può essere un elemento negativo). Per loro l'accusa di populismo è vento in poppa. Per noi un boomerang. Il Pd deve rimanere favorevole all'integrazione europea, all'accoglienza dei migranti (su cui dovremmo investire di più a partire dalla scuola e dai processi di alfabetizzazione) e contrari invece a dare le armi ai cittadini per farsi giustizia da soli. Più soldi nella scuola e più soldi nella cultura. Questa è la linea della civiltà e della divisione tra il noi di Centro-sinistra e la destra nazionalqualunquista.
Dobbiamo convincere una parte del popolo italiano, che non era fino ad un decennio fa a maggioranza nè razzista, nè qualunquista e nemmeno nazionalista, a tornare a pensare positivo; ad essere accogliente e a resistere alle scorciatoie autoritarie, pistolere ed egoiste. Non sarà facile, ma è il nostro dovere morale, prima che politico.
In sostanza c'è tutto un lavoro culturale da fare per ricostruire un orizzonte comportamentale del centro sinistra e per far sì che le quattro grandi anime del PD (quella socialista, quella comunista, quella liberale e quella cattolica) trovino un nuovo e più collaborativo livello di integrazione e generino nuove speranze raggiungibili, che sappiano tenere insieme diritti e doveri dei cittadini e produrre proposte politiche e amministrative efficaci.
Questa ricostruzione culturale (che non rottama e non manda via nessuno, semmai cerca di far tornare a casa qualcuno) è il cuore del lavoro da fare. Perchè sta saltando il legame tra il PD e una parte dei ceti impoveriti di questo paese, sta tramontando il legame ideologico tra il PD e aree importanti di questo paese (Emilia, Toscana, Umbria), e si assiste anche all'indebolimento del rapporto tra PD e i ceti produttivi, operosi, imprenditoriali.
Vogliamo mettere in atto strategie per rovesciare questa deriva? Se non lo faremo, il nazionalqualunquismo dilagherà e sarà egemone a lungo, producendo guasti e rischi.
Ma per cambiare registro occorre che i Renzianos dismettano le loro arroganti incertezze e gli Antirenzianos abbandonino i sogni di rivincita. Se invece gli uni e gli altri continueranno a guardarsi in cagnesco non partirà alcun dialogo attivo con le masse che resteranno ancorate alla paura, all'egoismo, al razzismo e al nazionalismo: tutti sentimenti che montano e che trovano terreno fertile in una popolazione sempre più anziana, attratta dalle sirene sbagliate. Senza un nostro cambio di passo il lavoro di sfilacciamento continuerà. E quando saranno saltati tutti i collanti culturali nel centrosinistra (in un contesto in cui il cattolicesimo di sinistra fatica persino a giovarsi dell'esempio e delle parole di Papa Bergoglio), quando la disarticolazione del Pd diventerà definitiva, allora il Paese (inteso come stato, regioni e comuni) galleggerà in un liquido bipolarismo tra Centro Destra (a trazione Salvini) e M5S, con tutto attorno un proliferare di liste apparentemente "civiche", ma nella sostanza legate agli atavici e autistici "particularismi".
Cominciamo dal lavoro? Bene. Facciamolo.
Democrazia e regole del gioco? Ok.
Poi vogliamo parlare di Europa come ideale per le nuove e le vecchie generazioni. Meglio
Accoglienza e capacità di integrarci con i migranti. Serve una politica dei porti aperti. Fissiamo la cosa. E poi teniamo il punto.
Impresa come elemento strategico per lo sviluppo del paese? Perchè no.
Straordinari investimenti in infrastrutture culturali: musei, biblioteche, teatri, archivi, cinema, musica. Insomma un piano serio e credibile.
L'anno prossimo ci aspetta un'altra doppia tornata elettorale impegnativa. Guardiamo a questa con il respiro lungo e non col fiato corto.
Sosteniamo politiche in cui crediamo e non inseguiamo né il nazionalista, razzista, egoista ed autoritario Salvini, nè il qualunquismo ciarlatano e pressapochista di Grillo e Di Maio, di cui dobbiamo smettere di dire che sono populisti (non foss'altro perchè essere a favore del popolo non può essere un elemento negativo). Per loro l'accusa di populismo è vento in poppa. Per noi un boomerang. Il Pd deve rimanere favorevole all'integrazione europea, all'accoglienza dei migranti (su cui dovremmo investire di più a partire dalla scuola e dai processi di alfabetizzazione) e contrari invece a dare le armi ai cittadini per farsi giustizia da soli. Più soldi nella scuola e più soldi nella cultura. Questa è la linea della civiltà e della divisione tra il noi di Centro-sinistra e la destra nazionalqualunquista.
Dobbiamo convincere una parte del popolo italiano, che non era fino ad un decennio fa a maggioranza nè razzista, nè qualunquista e nemmeno nazionalista, a tornare a pensare positivo; ad essere accogliente e a resistere alle scorciatoie autoritarie, pistolere ed egoiste. Non sarà facile, ma è il nostro dovere morale, prima che politico.
In sostanza c'è tutto un lavoro culturale da fare per ricostruire un orizzonte comportamentale del centro sinistra e per far sì che le quattro grandi anime del PD (quella socialista, quella comunista, quella liberale e quella cattolica) trovino un nuovo e più collaborativo livello di integrazione e generino nuove speranze raggiungibili, che sappiano tenere insieme diritti e doveri dei cittadini e produrre proposte politiche e amministrative efficaci.
Questa ricostruzione culturale (che non rottama e non manda via nessuno, semmai cerca di far tornare a casa qualcuno) è il cuore del lavoro da fare. Perchè sta saltando il legame tra il PD e una parte dei ceti impoveriti di questo paese, sta tramontando il legame ideologico tra il PD e aree importanti di questo paese (Emilia, Toscana, Umbria), e si assiste anche all'indebolimento del rapporto tra PD e i ceti produttivi, operosi, imprenditoriali.
Vogliamo mettere in atto strategie per rovesciare questa deriva? Se non lo faremo, il nazionalqualunquismo dilagherà e sarà egemone a lungo, producendo guasti e rischi.
Ma per cambiare registro occorre che i Renzianos dismettano le loro arroganti incertezze e gli Antirenzianos abbandonino i sogni di rivincita. Se invece gli uni e gli altri continueranno a guardarsi in cagnesco non partirà alcun dialogo attivo con le masse che resteranno ancorate alla paura, all'egoismo, al razzismo e al nazionalismo: tutti sentimenti che montano e che trovano terreno fertile in una popolazione sempre più anziana, attratta dalle sirene sbagliate. Senza un nostro cambio di passo il lavoro di sfilacciamento continuerà. E quando saranno saltati tutti i collanti culturali nel centrosinistra (in un contesto in cui il cattolicesimo di sinistra fatica persino a giovarsi dell'esempio e delle parole di Papa Bergoglio), quando la disarticolazione del Pd diventerà definitiva, allora il Paese (inteso come stato, regioni e comuni) galleggerà in un liquido bipolarismo tra Centro Destra (a trazione Salvini) e M5S, con tutto attorno un proliferare di liste apparentemente "civiche", ma nella sostanza legate agli atavici e autistici "particularismi".
Solo un maggior spirito di squadra dell'area vasta del Centro sinistra può salvarci. E questa squadra deve imporsi come obbligo morale quello di non rottamare proprio nessuno. Perchè c'è bisogno di tutte le risorse e di tutte le intelligenze per arginare il nazionalqualunquismo. Prima ce ne renderemo conto, meglio sarà.
venerdì 6 luglio 2018
Archivio: concetti e parole / Federico Valacchi, 2018, Editrice bibliografica, p. 125, 13 €
Il breve dizionario archivistico di Valacchi mi ha stimolato alcune riflessioni che, anche se non so bene per chi, sento il bisogno di affidare a quello spropositato e molto anarchico archivio digitale che è internet. Message in a bottle.
Se gran parte degli archivi pubblici sono o privatizzati o, a parte alcune eccezioni, malamente accessibili e disfunzionali, almeno in Cacania, ci sono alcune ragioni storiche (non casuali o bizzarre) che la scarna legione degli archivisti sessantenni, con gli appropriati ruoli istituzionali, dovrebbe avere almeno il coraggio di esaminare ovviamente lasciando la soluzione dei problemi ad altri, perché che gli archivisti pubblici siano una specie in via di estinzione è certo.
En passant segnalo che fra i circa 130 termini di cui il dizionario tratteggia un contenuto mancano ANAI, archivista e professione. E su queste involontarie ma eloquenti assenze (soprattutto per un testo giocato sulla cifra ironica, meditabonda, tra il gigione e il piacione), insieme a qualche archivista lumbard della fu Associazione Archilab, se ci sarà modo di vedersi, faremo battute a non finire. A cominciare dalla frase il cui l'autore sostiene che la "nostra società ha un disperato (sic!) bisogno di archivi e della coscienza civile di cui essi sono impastati" (p.11). Proprio "disperato". Si vede bene.
E scrivo questo perché una professione come quella che ereditammo negli anni '80 e che oggi ha quasi completamente perso la sfida della modernizzazione non poteva che finire come è finita, ovvero evaporata. E di questo un dizionario di filosofia archivistica forse doveva dare conto. Ironicamente, si capisce. Incitare (come fa alla voce DOMANDE) alla rabbia e alla rivolta "archivistica" senza indicare quale "quartier generale bombardare o assalire", via, non è credibile. E' teatro.
Ma qui mi fermo perché il problema dello stato semicomatoso degli archivi storici non è colpa esclusiva della professione. Sostengo solo che se i tempi sono contrari agli archivi, la professione, mentalmente molto ministerializzata e arcaica, almeno in Cacania, ha peggiorato le cose.
Certo ciò che fa sprofondare gli archivi nell'indifferenza generale pesca la sua materia oscura nella Storia o meglio nel bisogno che le società contemporanee e la Cacania in particolare hanno della Storia e nel correlato livello di sensibilità che le élite politiche hanno per la storia (e per l'uso della storia). Molto di quello che succede dopo, discende da qui. Ora il termine storia nel dizionario c'è ma è poco più di un poetico tweet. Mentre le riflessioni sull'altro e più complesso intreccio di relazioni non si prestano a voci tweettate. Cosi un po' di analisi generale è affidata all'introduzione e un po' è diluita nelle voci (inclusa la già citata DOMANDE). Ma il carattere quasi giocoso del testo non permette il giusto approccio alle problematiche archivistiche.
Alle élite che guidano gli 8000 comuni e la Nazione della storia non importa quasi più niente. Questo per due sostanziose ragioni. La prima è che viviamo, anche qui in Cacania, in una realtà talmente arzigogolata, cangiante e variegata e di cui capiamo così poco che cercarne nel tempo la genesi e le cause particolareggiate sarebbe costoso, incerto e alla fine poco utilizzabile per le élite. Inoltre la storia non è più tra le materie formative delle élite. L'Università, da parte sua, produce sempre meno storici e soprattutto meno storici che hanno bisogno di archivi storici. La saggistica storica sopravvive, poco letta e poco venduta. Va meglio alla narrativa storica. Quest'ultima in effetti, a livello popolare, un po' tira (con le sue appendici cinematografiche e seriali), ma ha poco bisogno degli archivi. Lavora sul suggestivo. Lavora sul negazionismo (peccato che non ci sia questa voce nel dizionario). Ricuce. Inventa colpi di scena, seguendo i gusti e le attese del grande pubblico, che, è noto, chiede lacrime, sangue e sesso (voce quest'ultima inclusa anche nel dizionario di Valacchi).
In un contesto simile, le élite che fiutano e corteggiano la sensibilità (e i voti) delle masse (masse a cui degli archivi non importa nulla e non sanno nulla). Ma soprattutto le élite, che decidono come spendere i soldi pubblici, affievoliscono costantemente la loro già scarsa sensibilità storica. Del resto le élite tendono a rompere col passato e a legittimarsi politicamente come "rottamatori" e rinnovatori della tradizione e non come continuatori. E questo vale sia sul piano nazionale che su quello locale. Le speranzose masse chiedono cambianti col passato. Le élite glieli promettono. L'indifferenza (quando non il disprezzo) per il passato e i suoi strumenti trova qui una fusione tra masse ed élite non facilmente reversibile.
Il risultato di questa situazione in Cacania assume le vesti di servizi archivistici pubblici scadenti e spesso pietosi. Archivi con poche ore di apertura, pochi utenti, poche professionalità di ruolo, poca didattica della storia rivolta alle scuole. Almeno per le aree che conosco meglio. Una vera pena. In 35 anni di professione che mi ha portato ad occuparmi sia di biblioteche che di archivi posso dire di aver toccato con mano l'ammodernamento delle biblioteche pubbliche di ente locale. Mentre sugli archivi storici (e anche di Stato che conosco) i passi sono stati da lumaca. A volte perfino da gambero.
Perché scrivo questo? Ripeto che non lo so. Negli anni '90 con alcuni amici archivisti fondammo una rivistina, "Archivi e computer", scommettendo sull'informatica, sugli archivisti libero professionisti (ALP), sui MUF (i Mitici Utenti Finali), su nuovi standard descrittivi e sulle privatizzazioni per rinnovare il settore. Nei primi anni 2000 fu però chiaro che, almeno in Cacania, nuove tecnologie, libera professione, privatizzazione, MUF e standard non ce l'avrebbero fatta a contrastare la complessa involuzione in cui anche gli archivi nostrani si stavano infilando. La nostra generazione archivistica non è stata all'altezza della sfida ed in particolare non ha saputo cogliere l'enorme opportunità offerta dall'avvento dell'informatica. Leggere le voci di un dizionario che la postfatrice definisce atipico non aiuta a capire cosa diavolo sia successo, perché sia successo e cosa, forse, si potrebbe fare per migliorare. E' la maledizione dei 5 milioni di Arcadi di cui parlava già Pasquale Villari subito dopo l'Unità d'Italia. Abbiamo un problemino: ci si filoseggia sopra.
Ecco, forse ho scritto per aiutarmi ad elaborare il lutto di una sconfitta di cui mi sento in parte responsabile e perché trovo insopportabile che la generazione archivistica uscente, quella dei sessantenni, non riesca a raccontare la realtà in maniera lucida e soprattutto, ora che non ha più niente da perdere, nè da guadagnare, non sappia proporre qualche diverso rimedio.
Rimedi che non stanno nell'inventarsi una specie di poetica, stralunata, filosofia archivistica quale chiave di accesso per sensibilizzare il grande pubblico al disperato bisogno di archivi per richiamare le parole dell'autore. Semmai si tratta di capire quali micro azioni, con costanza e continuità, a quali livelli istituzionali, mettere in atto per cambiare le idee delle nostre élite. E quali azioni (stimoli, ecc.) promuovere per favorire la frequentazione degli archivi ad un numero significativo di persone. Certo se, come scrive Valacchi alla voce TROTTOLA, "la storia, in fondo, è un fenomeno casuale, una trottola bizzarra dentro alla quale le cause rincorrono gli effetti" quale bisogno di conoscenza storica ci può essere per le élite e per le persone ordinarie? Se davvero la Storia è una trottola bizzarra e casuale, allora hanno ragione le élite a giocare con la memoria come meglio gli piace e a fregarsene anche degli archivi.
Se infine negli archivi, come scrive sempre l'A. alla voce VERO, "non si va a cercare una verità assoluta ma interpretazioni del tempo trascorso e lampi di futuro. Il vero è un miraggio documentario", ma allora le élite e le masse fanno 2+2=4 e sostengono non c'è bisogno neppure degli archivi, né di spendere soldi per conservarli. Ma se gli archivi scompariranno non daranno più lavoro (voce assente, come libera professione, in un dizionario che pure contempla alcune righe dedicate a NUDO) agli archivisti. E allora verrebbe da chiedere: perché mai formare archivisti?
Concludo sostenendo che negli archivi una qualche verità assoluta, contrariamente a quanto sostenuto dall'A., spesso si può trovare. Lo sanno bene diverse centinaia di persone che da alcuni mesi si sono messe a cercare anche negli archivi comunali, attraverso i tribunali di competenza, i propri genitori biologici. Infatti se tra le serie archivistiche dell'ex OMNI e degli Ospedali usciranno fuori annotazioni e date significative, non sarà impossibile scoprire chi è stata la propria madre naturale e forse da lei risalire perfino al proprio padre naturale. E se i genitori sono vivi (e potrebbero esserlo) fargli una telefonata, andarli ad incontrare, creare con loro una famiglia allargata. E se questa non è una verità assoluta che cos'è?
Insomma davvero un testo "atipico" che per contrasto stimola tante riflessioni. Che sia questo il vero fine del testo o sia solo un prodotto dell'eterogenesi dei fini?
Il breve dizionario archivistico di Valacchi mi ha stimolato alcune riflessioni che, anche se non so bene per chi, sento il bisogno di affidare a quello spropositato e molto anarchico archivio digitale che è internet. Message in a bottle.
Se gran parte degli archivi pubblici sono o privatizzati o, a parte alcune eccezioni, malamente accessibili e disfunzionali, almeno in Cacania, ci sono alcune ragioni storiche (non casuali o bizzarre) che la scarna legione degli archivisti sessantenni, con gli appropriati ruoli istituzionali, dovrebbe avere almeno il coraggio di esaminare ovviamente lasciando la soluzione dei problemi ad altri, perché che gli archivisti pubblici siano una specie in via di estinzione è certo.
En passant segnalo che fra i circa 130 termini di cui il dizionario tratteggia un contenuto mancano ANAI, archivista e professione. E su queste involontarie ma eloquenti assenze (soprattutto per un testo giocato sulla cifra ironica, meditabonda, tra il gigione e il piacione), insieme a qualche archivista lumbard della fu Associazione Archilab, se ci sarà modo di vedersi, faremo battute a non finire. A cominciare dalla frase il cui l'autore sostiene che la "nostra società ha un disperato (sic!) bisogno di archivi e della coscienza civile di cui essi sono impastati" (p.11). Proprio "disperato". Si vede bene.
E scrivo questo perché una professione come quella che ereditammo negli anni '80 e che oggi ha quasi completamente perso la sfida della modernizzazione non poteva che finire come è finita, ovvero evaporata. E di questo un dizionario di filosofia archivistica forse doveva dare conto. Ironicamente, si capisce. Incitare (come fa alla voce DOMANDE) alla rabbia e alla rivolta "archivistica" senza indicare quale "quartier generale bombardare o assalire", via, non è credibile. E' teatro.
Ma qui mi fermo perché il problema dello stato semicomatoso degli archivi storici non è colpa esclusiva della professione. Sostengo solo che se i tempi sono contrari agli archivi, la professione, mentalmente molto ministerializzata e arcaica, almeno in Cacania, ha peggiorato le cose.
Certo ciò che fa sprofondare gli archivi nell'indifferenza generale pesca la sua materia oscura nella Storia o meglio nel bisogno che le società contemporanee e la Cacania in particolare hanno della Storia e nel correlato livello di sensibilità che le élite politiche hanno per la storia (e per l'uso della storia). Molto di quello che succede dopo, discende da qui. Ora il termine storia nel dizionario c'è ma è poco più di un poetico tweet. Mentre le riflessioni sull'altro e più complesso intreccio di relazioni non si prestano a voci tweettate. Cosi un po' di analisi generale è affidata all'introduzione e un po' è diluita nelle voci (inclusa la già citata DOMANDE). Ma il carattere quasi giocoso del testo non permette il giusto approccio alle problematiche archivistiche.
Alle élite che guidano gli 8000 comuni e la Nazione della storia non importa quasi più niente. Questo per due sostanziose ragioni. La prima è che viviamo, anche qui in Cacania, in una realtà talmente arzigogolata, cangiante e variegata e di cui capiamo così poco che cercarne nel tempo la genesi e le cause particolareggiate sarebbe costoso, incerto e alla fine poco utilizzabile per le élite. Inoltre la storia non è più tra le materie formative delle élite. L'Università, da parte sua, produce sempre meno storici e soprattutto meno storici che hanno bisogno di archivi storici. La saggistica storica sopravvive, poco letta e poco venduta. Va meglio alla narrativa storica. Quest'ultima in effetti, a livello popolare, un po' tira (con le sue appendici cinematografiche e seriali), ma ha poco bisogno degli archivi. Lavora sul suggestivo. Lavora sul negazionismo (peccato che non ci sia questa voce nel dizionario). Ricuce. Inventa colpi di scena, seguendo i gusti e le attese del grande pubblico, che, è noto, chiede lacrime, sangue e sesso (voce quest'ultima inclusa anche nel dizionario di Valacchi).
In un contesto simile, le élite che fiutano e corteggiano la sensibilità (e i voti) delle masse (masse a cui degli archivi non importa nulla e non sanno nulla). Ma soprattutto le élite, che decidono come spendere i soldi pubblici, affievoliscono costantemente la loro già scarsa sensibilità storica. Del resto le élite tendono a rompere col passato e a legittimarsi politicamente come "rottamatori" e rinnovatori della tradizione e non come continuatori. E questo vale sia sul piano nazionale che su quello locale. Le speranzose masse chiedono cambianti col passato. Le élite glieli promettono. L'indifferenza (quando non il disprezzo) per il passato e i suoi strumenti trova qui una fusione tra masse ed élite non facilmente reversibile.
Il risultato di questa situazione in Cacania assume le vesti di servizi archivistici pubblici scadenti e spesso pietosi. Archivi con poche ore di apertura, pochi utenti, poche professionalità di ruolo, poca didattica della storia rivolta alle scuole. Almeno per le aree che conosco meglio. Una vera pena. In 35 anni di professione che mi ha portato ad occuparmi sia di biblioteche che di archivi posso dire di aver toccato con mano l'ammodernamento delle biblioteche pubbliche di ente locale. Mentre sugli archivi storici (e anche di Stato che conosco) i passi sono stati da lumaca. A volte perfino da gambero.
Perché scrivo questo? Ripeto che non lo so. Negli anni '90 con alcuni amici archivisti fondammo una rivistina, "Archivi e computer", scommettendo sull'informatica, sugli archivisti libero professionisti (ALP), sui MUF (i Mitici Utenti Finali), su nuovi standard descrittivi e sulle privatizzazioni per rinnovare il settore. Nei primi anni 2000 fu però chiaro che, almeno in Cacania, nuove tecnologie, libera professione, privatizzazione, MUF e standard non ce l'avrebbero fatta a contrastare la complessa involuzione in cui anche gli archivi nostrani si stavano infilando. La nostra generazione archivistica non è stata all'altezza della sfida ed in particolare non ha saputo cogliere l'enorme opportunità offerta dall'avvento dell'informatica. Leggere le voci di un dizionario che la postfatrice definisce atipico non aiuta a capire cosa diavolo sia successo, perché sia successo e cosa, forse, si potrebbe fare per migliorare. E' la maledizione dei 5 milioni di Arcadi di cui parlava già Pasquale Villari subito dopo l'Unità d'Italia. Abbiamo un problemino: ci si filoseggia sopra.
Ecco, forse ho scritto per aiutarmi ad elaborare il lutto di una sconfitta di cui mi sento in parte responsabile e perché trovo insopportabile che la generazione archivistica uscente, quella dei sessantenni, non riesca a raccontare la realtà in maniera lucida e soprattutto, ora che non ha più niente da perdere, nè da guadagnare, non sappia proporre qualche diverso rimedio.
Rimedi che non stanno nell'inventarsi una specie di poetica, stralunata, filosofia archivistica quale chiave di accesso per sensibilizzare il grande pubblico al disperato bisogno di archivi per richiamare le parole dell'autore. Semmai si tratta di capire quali micro azioni, con costanza e continuità, a quali livelli istituzionali, mettere in atto per cambiare le idee delle nostre élite. E quali azioni (stimoli, ecc.) promuovere per favorire la frequentazione degli archivi ad un numero significativo di persone. Certo se, come scrive Valacchi alla voce TROTTOLA, "la storia, in fondo, è un fenomeno casuale, una trottola bizzarra dentro alla quale le cause rincorrono gli effetti" quale bisogno di conoscenza storica ci può essere per le élite e per le persone ordinarie? Se davvero la Storia è una trottola bizzarra e casuale, allora hanno ragione le élite a giocare con la memoria come meglio gli piace e a fregarsene anche degli archivi.
Se infine negli archivi, come scrive sempre l'A. alla voce VERO, "non si va a cercare una verità assoluta ma interpretazioni del tempo trascorso e lampi di futuro. Il vero è un miraggio documentario", ma allora le élite e le masse fanno 2+2=4 e sostengono non c'è bisogno neppure degli archivi, né di spendere soldi per conservarli. Ma se gli archivi scompariranno non daranno più lavoro (voce assente, come libera professione, in un dizionario che pure contempla alcune righe dedicate a NUDO) agli archivisti. E allora verrebbe da chiedere: perché mai formare archivisti?
Concludo sostenendo che negli archivi una qualche verità assoluta, contrariamente a quanto sostenuto dall'A., spesso si può trovare. Lo sanno bene diverse centinaia di persone che da alcuni mesi si sono messe a cercare anche negli archivi comunali, attraverso i tribunali di competenza, i propri genitori biologici. Infatti se tra le serie archivistiche dell'ex OMNI e degli Ospedali usciranno fuori annotazioni e date significative, non sarà impossibile scoprire chi è stata la propria madre naturale e forse da lei risalire perfino al proprio padre naturale. E se i genitori sono vivi (e potrebbero esserlo) fargli una telefonata, andarli ad incontrare, creare con loro una famiglia allargata. E se questa non è una verità assoluta che cos'è?
Insomma davvero un testo "atipico" che per contrasto stimola tante riflessioni. Che sia questo il vero fine del testo o sia solo un prodotto dell'eterogenesi dei fini?
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