domenica 24 settembre 2017

Le otto montagne / Paolo Cognetti, Mondadori, 2016

Romanzo furbo. Accattivante. Contemporaneo. Con le montagne a fare da sfondo, palestra di azione e luogo di metafore e i rapporti tra un padre e un figlio (che deve diventare adulto) e due ragazzi (uno dei quali è il figlio del padre di cui in precedenza) che dovrebbero diventare grandi.
Naturalmente i padri e i figli non si capiscono mai bene, se non dopo che i padri sono morti e i figli scoprono storie che durante la loro relazione, tra padri e figli, dico, non sono venute fuori. E anche sulle 8 montagne le cose stanno in questa maniera.
L'incomprensione sta dunque al centro della storia padre figlio, così come ci sta il tentativo del padre di fare del figlio una propria proiezione (sai che novità! Ma non sono le novità a fare grandi le storie e a portarle al successo: semmai serve un sano eccesso di stereotipi, che, per altro, qui non mancano). Ovviamente il desiderio dei padri, come è noto, è destinato a fallire e a provocare nei genitori un senso di scacco e di sconfitta.
La storia familiare di Cognetti si dipana in una realtà socio-economica (e anche politica), marginale certo, ma sempre più disincantata, che rende il conflitto reale, ma un po' patetico. Anche se il fatto che ad un padre così impegnato (laureato in chimica e autentico stakhanovista) corrisponda un figlio che non conclude un vero percorso di studi e quindi non sa costruire un chiaro progetto di vita, se non andando a zonzo per montagne (e non solo quelle nostrali), torna con tanto immaginario contemporaneo. Un immaginario di tanti "sdraiati" alla Michele Serra, che nel libro di Cognetti assumono però una dimensione non comica, ma nemmeno drammatica. Neppure nel finale.
Poi c'è la relazione tra la voce narrante (il figlio del chimico) e il giovane montanaro.
Si tratta di una strana amicizia (a cui corrisponde una mezza fratellanza, vista la relazione della madre e anche del padre chimico con il ragazzo montanaro) che cresce col tempo e che si snoda in una realtà plausibile, ma piena di suggestioni e con molti elementi fiabeschi.
Conclusione. Il testo, pieno di stereotipi, funziona. A tratti commuove. Perchè certe strane relazioni (e gli stereotipi che li accompagnano) piacciono e fanno luccicare gli occhi ai lettori e alle lettrici. Le incomprensioni piacciono. Le colpe attribuite dalla società che però non sono vere colpe, anche queste piacciono. E soprattutto piacciono gli strani e i buoni selvaggi. E poi ci sono le montagne, le camminate, i paesaggi, la neve. E le vette orientali. E diverse altre cose che non vale la pena di rivelare.

martedì 12 settembre 2017

Riflettendo sinteticamente sulla storia del socialismo italiano

C'è un primo periodo, secolare, che va dal 1870 al 1970 in cui il SOCIALISMO si diffonde, anche in Italia, come credenza politica popolare (egualitaria, universalistica, radicale nella redistribuzione della ricchezza, ecc.) con una TENSIONE CENTRALE IRRISOLTA che genera dibattito sia interno che esterno alle forze che daranno vita al PSI (Genova 1892) e poi, nel 1921, al PCI.
Questa tensione è quella tra RIFORMISMO (la società può diventare più giusta, più uguale, più libera e quindi socialista attraverso un cammino di riforme e di cambiamenti graduali) e RIVOLUZIONE (per ottenere un cambiamento sociale radicale, a vantaggio delle moltitudini, occorre una rivoluzione anticapitalista, antiborghese, antimonarchica, ecc. Una rivoluzione violenta, radicale, che rovesci l'ordine statuale).
Questa tensione caratterizzerà la storia e la divisione interna dei gruppi dirigenti e dei militanti del PSI fino al 1921 e poi le relazioni tra PSI e PCI fino agli anni '70 del '900.
Ma tra gli anni '70 e gli '80 del XX secolo, la tensione si smorza fino a marginalizzarsi (l'ultimo colpo di coda sarà il terrorismo politico, in Italia particolarmente aspro e velenoso).  A far declinare il dualismo RIVOLUZIONE/RIFORME è essenzialmente l'abbandono da parte del PCI del filosovietismo e dell'antiatlantismo ed in una sua più o meno convinta adesione all'EUROPEISMO, insieme all'abbandono dell'antistalismo (e della contrapposizione tra le masse e il potere: il PCI dagli anni '70 in poi smette di considerarsi una forza antisistema e comincia a concepirsi come forza di governo, un governo che vede sempre più alla sua portata).
Ma se negli anni '80 del '900 la dialettica riforme-rivoluzione muore, anche gli ideali socialisti non se la passano bene e cominciano a declinare, incalzati da un forte ritorno del liberalismo e dell'individualismo. Il PCI è ormai riassorbito quasi completamente nell'alveo del riformismo, e tuttavia si scatena proprio in quegli anni tra i gruppi dirigenti (e i militanti) del PSI e PCI (anche laddove governano insieme città, province e regioni) un aspro conflitto per il controllo dell'area riformista e per la conquista del potere (centrale e locale). Ciò rende molto tese le relazioni tra i due gruppi dirigenti (e tra i loro militanti). Il risultato finale di questo confronto duro (che avviene anche in presenza di collaborazioni locali importanti) è che nessuna delle due forze politiche sopravviverà ai primi anni '90, almeno non nelle forme che i due partiti avevano assunto a partire dal 1921 in poi (clandestinità inclusa) e poi dal 1943. PSI e PCI entreranno in un vortice di cambiamenti e stravolgimeti che non può essere spiegato attraverso l'asse secolare riforme/rivoluzione. L'aspro conflitto che oppone, negli anni '80, uomini e dirigenti del PSI e del PCI è uno scontro tra gruppi di potere che si contendono il controllo dello Stato e delle istituzioni locali, pur rifacendosi ad un'idea simile di RIFORMISMO e di SOCIALISMO, un'idea sempre più malleabile e sfaccettata, per altro giocata di fatto, al di là delle dichirazioni formali, all'interno di una sola formula politica (quella del Centro Sinistra, di cui il Compromesso Storico non è  che una variante). E nella scelta del Centro-sinistra l'unica tensione resta quella di spostare il baricentro un po' più verso il centro o un po' più verso sinistra. Mentre la politica estera rimane ancorata alla fedeltà atlantica e all'europeismo, con un ridimensionamento delle ambizioni nazionaliste verso Balcani e Mediterraneo (del resto l'Italia non ha i mezzi per permettersi una politica estera autonoma, nemmeno su aree limitate: e questo non è detto che sia un male).
Saranno comunque l'EUROPEISMO e l'avvicinamento al governo a spingere il PCI verso un approdo squisitamente RIFORMISTA così come sarà la crisi del PSI e del PCI e l'emergere del berlusconismo a blindare PSI e PCI verso soluzioni di centro/sinistra (dall'Ulivo al PD). Anche se va osservato che in Italia una parte dei post-socialisti (ovvero quelle forze politiche che rifacendosi alla tradizione socialista sorgono sulle ceneri del PSI) non avrà come approdo solo il centro-sinistra. Diversi socialisti (sia parlamentari che militanti) si aggregheranno infatti al centro-destra berlusconiano, intravedendo nella modernizzazione (e nel liberismo) di quest'ultimo una qualche contiguità con la modernizzazione craxiana.
In sostanza dagli anni '90 in poi la storia dei post-socialisti e dei post-comunisti è quella di gruppi dirigenti e di militanti locali che, pur collaborando, non riusciranno mai ad amalgamarsi tra di loro e che quindi (anche quando faranno la scelta di rimanere nel contesto del Centro/sinistra e poi di fondare il PD) continueranno in larga parte anche a confliggere e polemizzare.
A favorire questa dinamica conflittuale non è però una legittima tensione ideologica o culturale (non ci sono più faglie di distinzione tra post-socialisti e post-comunisti), quanto piuttosto una partigianeria con fondamenti blandi, un certo localismo che si accompagna al tradizionale "familismo italiano" (un familismo corporativo e clientelare che contagia anche la politica), insieme ad un forte individualismo e a modalità amicali e fiduciarie di costruzione delle relazioni politiche che impediscono di costruire sistemi aperti e di far crescere soggetti politici su basi fortemente democratiche.
Il tutto inoltre si accompagna ad un sostanziale appannamento del SOCIALISMO come religione laica, come strumento di riscatto e come sistema di valori per orientare il governo e le amministrazioni locali. Un appannamento che è evidente anche in Europa e nel resto del mondo da oltre un trentennio.

lunedì 11 settembre 2017

Valdo Spini e la buona politica

E' stato un piacere, presso la Biblioteca Gronchi, stasera ascoltare per un paio di ore le osservazioni politiche di Valdo Spini sulla politica italiana passata e conoscere le sue idee sugli orizzonti politici attuali.
Due ore che sono volate via in fretta, perché tra l'altre cose l'on. socialista Valdo Spini ci ha dato una dimostrazione di cosa vuol dire stare in pubblico e parlare alla gente in maniera colloquiale (oggi si direbbe social), ma allo stesso tempo spiegando cose complesse, come era e come ancora è lo scenario politico di questo intricato Paese che si chiama Italia.
Certo ad avvantaggiarlo c'era il fatto che la platea era costituita da persone di una certa età e perfettamente in grado di comprendere le vicende che raccontava. Così come lo ha aiutato molto che si trovasse di fronte a molti amici e compagni, in larga misura di origine e di militanza socialista.
A parte i gustosi aneddoti su Craxi e Pertini che ci ha gentilmente regalato, tra l'altro cercando anche di imitare il tono di voce dei due protagonisti, Valdo Spini non si è nascosto le molte complessità del presente, ma ha mostrato anche una buona e dichiarata dose di ottimismo.
In particolare quando ha detto che vede in declino il fenomeno dei populismi (almeno in Europa), che crede che il sogno europeo riprenderà vigore e che il "socialismo" (alla Corbyn o alla Sanders) potrà avere un futuro.
Confesso che non sono così ottimista come Spini, ma mi piacerebbe che le cose che ha detto si avverassero.


Valdo Spini parla. A finco Luca Cherici e Matteo Franconi



Il potere della negatività. Gruppi, lavoro, relazioni: il metodo per trasformare conflitti e malessere e potenziare il benessere organizzativo / Pino De Sario, FRancoAngeli, 2012, 220 pp

Testo che suggerisce di affrontare di petto la negatività delle relazioni e delle persone e trasformarla in energia positiva. Alcune indicazioni sembrano interessanti, altre un po' più ordinarie. Ovviamente il "problema" negatività esiste. E va gestito.

mercoledì 6 settembre 2017

Un'etica del lettore / di Ezio Raimondi (Mulino, 2007, pp. 76)

Libretto agile. Poche pagine ma dense. Da trattenere dentro il cuore oltre che nella mente. La lettura come scoperta e capacità di comprendere e accogliere l'altro. La lettura come comprensione della molteplicità e fragilità del mondo e di noi stessi molteplici e fragili dentro questo mondo. La lettura e le biblioteche che luoghi di fantasmi riportati in vita da lettori vivi, che non solo sanno leggere, ma sanno decifrare e reinventare i segni tracciati sulle pagine.
Pagine leggere e allo stesso tempo dense sul senso del leggere e sul perché la lettura ci aiuta a vivere molte vite e ad accettare le diversità che sono dentro e fuori di noi.


domenica 3 settembre 2017

LA STANZA DEI LIBRI / di Giampiero Mughini (Bompiani, 2016)

Libro sui libri "rari" di Gianpiero Mughini, un intellettuale anomalo e volutamente eccentrico rispetto al panorama culturale italiano. Il volume è centrato soprattutto su una collezione di libri/opuscoli, acquistata dall'autore sul mercato antiquario, e che ha a che fare con la stagione del terrorismo, sulla quale Mughini scrive cose largamente condivisibili. Il volume poi tratta di una parte della collezione di Mughini (che ha avuto una lunga stagione di opinionista televisivo, soprattutto sulle Reti Mediaset) che riguarda il futurismo e certi libri di arte connessi a questo movimento. Molti sono gli elementi autobiografici del libro, che, rispetti ai miei interessi di lettore, non trovo particolarmente interessante.