Le otto montagne / Paolo Cognetti, Mondadori, 2016
Romanzo furbo. Accattivante. Contemporaneo. Con le montagne a fare da sfondo, palestra di azione e luogo di metafore e i rapporti tra un padre e un figlio (che deve diventare adulto) e due ragazzi (uno dei quali è il figlio del padre di cui in precedenza) che dovrebbero diventare grandi.
Naturalmente i padri e i figli non si capiscono mai bene, se non dopo che i padri sono morti e i figli scoprono storie che durante la loro relazione, tra padri e figli, dico, non sono venute fuori. E anche sulle 8 montagne le cose stanno in questa maniera.
L'incomprensione sta dunque al centro della storia padre figlio, così come ci sta il tentativo del padre di fare del figlio una propria proiezione (sai che novità! Ma non sono le novità a fare grandi le storie e a portarle al successo: semmai serve un sano eccesso di stereotipi, che, per altro, qui non mancano). Ovviamente il desiderio dei padri, come è noto, è destinato a fallire e a provocare nei genitori un senso di scacco e di sconfitta.
La storia familiare di Cognetti si dipana in una realtà socio-economica (e anche politica), marginale certo, ma sempre più disincantata, che rende il conflitto reale, ma un po' patetico. Anche se il fatto che ad un padre così impegnato (laureato in chimica e autentico stakhanovista) corrisponda un figlio che non conclude un vero percorso di studi e quindi non sa costruire un chiaro progetto di vita, se non andando a zonzo per montagne (e non solo quelle nostrali), torna con tanto immaginario contemporaneo. Un immaginario di tanti "sdraiati" alla Michele Serra, che nel libro di Cognetti assumono però una dimensione non comica, ma nemmeno drammatica. Neppure nel finale.
Poi c'è la relazione tra la voce narrante (il figlio del chimico) e il giovane montanaro.
Si tratta di una strana amicizia (a cui corrisponde una mezza fratellanza, vista la relazione della madre e anche del padre chimico con il ragazzo montanaro) che cresce col tempo e che si snoda in una realtà plausibile, ma piena di suggestioni e con molti elementi fiabeschi.
Conclusione. Il testo, pieno di stereotipi, funziona. A tratti commuove. Perchè certe strane relazioni (e gli stereotipi che li accompagnano) piacciono e fanno luccicare gli occhi ai lettori e alle lettrici. Le incomprensioni piacciono. Le colpe attribuite dalla società che però non sono vere colpe, anche queste piacciono. E soprattutto piacciono gli strani e i buoni selvaggi. E poi ci sono le montagne, le camminate, i paesaggi, la neve. E le vette orientali. E diverse altre cose che non vale la pena di rivelare.
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