lunedì 8 luglio 2019

Patria / Fernando Aramburu, Guanda, 2017, pp.626

Perchè vale la pena di leggere 623 pagine e scoprire come va a finire la storia di due famiglie che vivono nei paesi baschi, in una Spagna postfranchista, e le cui vicende partono dagli anni '70 e arrivano fino ad oggi?
Per diverse ragioni alcuni delle quali antiche come la nostra civiltà.
Intanto per rispondere alla domanda se valgono più le relazioni di amicizia e di vicinanza o le idee politiche e le leggi nazionali o le regole locali.
E subito dopo se valgono più le persone o le loro idee.
Ma in un mondo dove le persone cambiano quasi quotidianamente pelle e le idee.... pure come ci si deve comportare?
Il romanzo lavora dentro questi grandi interrogativi (solo apparentemente contemporanei) e la sua abilità principale è di declinarli nel microcosmo credibile di un piccolo paese basco, un microcosmo  affacciato sul mondo e quindi al centro di una tensione e di una torsione inevitabile. Una torsione che finisce per chiudersi con l'idea (e con il fatto storico) che la lotta armata dei baschi e il loro terrorismo debba cessare e si ponga quindi un problema di riconciliazione e di perdono.
E poi due donne e due famiglie che prima sono amiche e poi per varie ragioni (politiche ma anche di normale evoluzione di vita) si allontanano e alla fine in qualche modo si ritrovano e si perdonano. Attorno a queste due donne matriarcali , due uomini e poi diversi figli dell'una e dell'altra e giù altre storie a cascata.
Il libro è denso di molte riflessioni ed è scritto con linguaggio piano, leggibilissimo, asciutto, ma anche ironico e romantico.
C'è la vicenda apparentemente più solida e più rigida della generazione dei nati negli anni '30 e '40 e quella più confusa e caotica dei nati negli anni '60 e '70; fino ad arrivare a nipoti, ancora più incastrati in un contesto via via più intricato e incomprensibile. Forse.
Al centro un uomo ammazzato dall'ETA perché si rifiuta di pagare il pizzo ai terroristi e una moglie spigolosa che pretende che qualcuno le chieda perdono per quella morte che la storia dimostrerà inutile. Una donna orgogliosa che sostiene di pretendere il perdono solo per poter andare all'altro mondo, ritrovare il marito ammazzato e dirgli: "Quell'idiota si è scusato, adesso possiamo riposare in pace".
Insomma il libro va letto, pagina per pagina e succhiellato, come si fa coi cibi buoni, perchè contiene diverse suggestioni intelligenti che ci farebbe bene non solo ingoiare ma assimilare.
Tra le cose carine (almeno per un bibliotecario), l'idea ribadita un paio di volte che le biblioteche pubbliche possano essere dei luoghi di Liberazione Personale. What else?

mercoledì 3 luglio 2019

Il circolo della stazione di Pontedera

Incontro del Circolo della Stazione con la presenza del sindaco di Pontedera, Matteo Franconi.
Parlato di programmazione nel cuore del quartiere dove si parla il maggior numero di lingue, dove ci sono uomini e donne di un centinaio di nazionalità, dove l'apertura e il confronto con gli altri dovrebbe essere la regola e non l'eccezione. Si progetta di far intervenire a Pontedera l'ex sindaco di Firenze già collaboratore di La Pira, il prof. di matematica Mario Primicerio, per conversare su un suo libro di memorie; di presentare l'unico film degli anni '60 che riprende dal vero le attività della scuola di Barbiana di Don Milani; di realizzare una sfilata di moda interculturale (e dove se non a Pontedera si può costruire una moda delle diversità e delle fedeltà?); di organizzare servizi di alfabetizzazione e lettura per tutti. Il tutto nella piazza della Stazione o nelle vicinanze. Commentiamo anche il successo della presentazione del libro dedicato al pugile italo-senegalese Alì (una ventina di copie vendute e si spera almeno 60 lettori). Insomma il piccolo circolo di amici cresce.



lunedì 1 luglio 2019

Max Fox o le relazioni pericolose / Sergio Luzzatto, Einaudi, 2019, 310 pp. , ill.

Max Fox o le relazioni pericolose / Sergio Luzzatto, Einaudi, 2019, 310 pp. , ill.

Luzzatto ha scritto un libro strano, non facilmente classificabile, tra giornalismo, attualità, storia, romanzo, dossier di denuncia, ecc. Un libro che parte dalla vicenda della depredazione della biblioteca storica dei Girolamini di Napoli per concentrarsi soprattutto sull'autore dei furti che si rivela nelle pagine dello storico svizzero/piemontese un falsario, un mentitore seriale, un bugiardo di brava famiglia, un uomo capace di tessere relazioni e di volgerle (almeno fino ad un certo punto) a proprio favore.
Un personaggio con una evidente compulsiva ossessione per il maneggio dei libri antichi.
E' insomma quella di Marino Massimo De Caro una storia profondamente italiana che inquieta per i comportamenti e la psicologia del personaggio, ma che non meraviglia e non sorprende (almeno non nel Paese di Pinocchio).
Un testo, quello di Luzzatto, che però non sembra del tutto concluso, temo anche a causa del protagonista del volume che è una personalità indubbiamente contraddittoria e irrisolta.
Il testo fa però trasparire continuamente i dubbi e le perplessità dell'autore rispetto alla ricerca e alle proprie conclusioni, inducendo il lettore (o almeno il sottoscritto) ad una sorta di atteggiamento guardingo e non proprio benevolo rispetto all'autore. Perchè un autore che mette continuamente le mani avanti rispetto al proprio lavoro (e alle proprie conclusioni) è a sua volta un autore che un po' depista il lettore. Certo, in buona fede. Forse perfino per un eccesso di correttezza. Ma depista e confonde. E non tanto per l'inevitabile simpatia che si instaura tra lo studioso e il delinquente. Qualunque dialogo rende  meno odiosa la persona con cui si parla. Ed è probabile che qualunque storico avesse intervistato il più criminale e assassino dei mafiosi forse avrebbe finito per umanizzarlo. Il carcere duro e il 41bis non sono solo una pena che lo Stato infligge ai criminali incalliti. Sono un tentativo dello Stato per difendersi dall'obbligo di umanizzarli.
Ma tornando a De Caro, devo aggiungere che non si esce dalla lettura di Max Fox senza un senso di forzatura e senza la sensazione che l'autore abbia voluto concludere e pubblicare un'opera senza esserne del tutto convinto. Il che, anche solo vista la mole di quanto viene pubblicato nel nostro Paese, non è proprio il massimo.
Devo poi dire che ciò che più apprezzo del libro è lo squarcio che apre nel dilettantismo e nel pressapochismo politico che consente di nominare su funzioni importanti, anche a livello ministeriale, personaggi che dire improvvisati è poco. Così come sono gustose, ma assolutamente ordinarie certe critiche al comportamento dilettantesco di Santa Madre Chiesa rispetto ai propri beni, una Chiesa che pure gestisce un immenso patrimonio culturale. Ma lo fa, tranne poche eccezioni alla buona, e senza riuscire ad evitare le "familistiche relazioni amorali" che ci portiamo dietro da... sempre?
Così come è gustoso il modo come certa stampa tratta determinati eventi che hanno a che fare col mondo dei libri.
Ma del resto questo è un paese che rispetto ai libri ha una visione antiquatamente "antiquaria", tanto che c'è persino da meravigliarsi, con tutte le tare che abbiamo, che si riesca a mantenere vivo, sia pure in questa forma acciaccata e non priva di rischi, il nostro immenso patrimonio culturale.


Mi chiamo Mouhamed Alì / di Rita Coruzzi e Mouhamed Alì Ndiaye, Piemme, 2019, pp. 220

Mi chiamo Mouhamed Alì / di Rita Coruzzi e Mouhamed Alì Ndiaye, Piemme, 2019, pp. 220
Da poco più di un mese è uscito e ha cominciato a circolare un libro che racconta l'avventurosa biografia di un pugile di origine senegalese, arrivato ventenne in Italia e per la precisione a Pontedera, dove sposa con una ragazza italiana, ottiene la cittadinanza, e comincia una lunga carriera che lo porterà a vincere prima il campionato italiano dilettanti dei pesi fino a 75kg, poi quello dei professionisti italiani, e successivamente altri titoli mediterranei.
Il libro scritto da Rita Coruzzi, un'autrice portatrice di disabilità che tutti i giorni scrive come se fosse anche lei su un suo ring, ha forza, ritmo e colpisce il lettore, come dovrebbe fare ogni buon libro per farsi leggere e convincere il lettore ad arrivare alla fine del testo.
Si comincia con Moussa, il padre di Alì, pugile senegalese di una certa fama, il quale, appesi i guantoni al chiodo, alternando il lavoro di guidatore di autobus, apre una scuola di pugilato e cerca di fare di suo figlio (a cui ha dato il nome di Mouhamed Alì, il nome adottato dall'immenso pugile Cassius Clay) un campione della boxe. E' esattamente questo il sogno che Moussa vuol far sognare al piccolo Alì e per aiutarlo a sognarlo meglio tutti giorni lo allena, lo sfida e lo aiuta a crescere. Fino a quando anche Alì comincia a sognare in proprio il sogno del padre e per sognarlo meglio non si accontenta di quello che gli offre il Senegal, ma prima migra in Francia e poi viene in Italia e approda a Pontedera.
Ma i sogni, che sono il sale della vita, spesso sono difficili da realizzare. Hanno una faccia cruda, dura, dolorosa. Figuriamoci poi i sogni che hanno a che fare con la boxe. Sono sogni dove non solo bisogna metterci la faccia, ma bisogna sapere prendere cazzotti e darli. E prenderne e darne tanti. Dolorosi, sanguinosi. Perchè così va il mondo.
E a Pontedera Alì arriva si come pugile (ma noto solo in Senagal), ma soprattutto come "clandestino"; e anche se trova una palestra per allenarsi (e ne trova due: una a Pisa e una a Pontedera), anche se trova amici italiani e parenti senegalesi a cui appoggiarsi; anche se trova un sindaco allora dei DS, parlo di Paolo Marconcini, aperto al mondo e che tratta Alì come se fosse un proprio figlio; anche se Pontedera era ed in parte resta una città accogliente per i senegalesi e gli stranieri, Alì resta un "clandestino" e per campare deve fare il Vu cumprà e non può combattere pubblicamente perchè non ha i documenti in regola.
Poi, come nelle fiabe, ma questa non è una fiaba ed è una storia assolutamente vera, Alì, l'eroe buono, sfortunato, schiacciato dal mondo, incontra un fata e questa fata risolve diversi dei suoi problemi.
Sì Alì incontra una ragazza italiana, se ne innamora e lei si innamora di lui. Così lei lo sposa e quello che non riescono a fare le leggi italiane (cioè a dargli una cittadinanza e a consentirgli di combattere come pugile regolare), lo farà una piccola grande donna. E' Federica che, amando e sposando lo straniero Alì trasforma come per magia il pugile clandestino in un pugile che nel giro di tre anni può smettere di fare il Vu cumprà, esibirsi regolarmente sul ring, prendere a pugni la sorte, vincere il titolo italiano dilettanti fino a 75kg e poi quello dei professionisti e quindi... il titolo europeo e diverse decine di incontri.
E mentre c'è, visto che le donne per fortuna degli uomini sono multitasking, Federica gli dà anche una famiglia, dei figli, un luogo dove vivere, una storia ancora più ricca.
Un miracolo? No, una storia vera. Contemporanea. Che intreccia uomini e donne di culture e religioni diverse. Che abbraccia continenti. Che muove sentimenti. Che è dolorosa e allo stesso tempo piena di speranza. Che è retorica, ma anche cruda. Che è dannatamente attuale, perchè fotografa questo mondo così come lo conosciamo bene.
Ma che è anche una storia benedettamente antica. Perchè ci parla di un eroe che assomiglia a Ulisse o a un ebreo errante, che vaga da una sponda all'altra del Mediterraneo in cerca di fortuna e di una sorte che sia positiva e possibilmente felice. Parla di un uomo che lascia la sua casa e da straniero cerca di costruire la sua vita in mezzo ad altri uomini. dai quali vorrebbe essere accolto e riconosciuto esattamente per il suo valore. Per quello che sa e può fare. Per sè e per loro.
Insomma una storia antica ed attuale che vale la pena di leggere, col cervello sveglio, con la razionalità di chi sa capire i propri e gli altrui sentimenti e gestire le proprie paure e le angosce degli altri. Una storia su cui non c'è da vergognarsi neppure di versare le proprie lacrime. Del resto che uomini e che donne saremmo senza la ragione, l'emozione e l'amore?