Max Fox o le relazioni pericolose / Sergio Luzzatto, Einaudi, 2019, 310 pp. , ill.
Luzzatto ha scritto un libro strano, non facilmente classificabile, tra giornalismo, attualità, storia, romanzo, dossier di denuncia, ecc. Un libro che parte dalla vicenda della depredazione della biblioteca storica dei Girolamini di Napoli per concentrarsi soprattutto sull'autore dei furti che si rivela nelle pagine dello storico svizzero/piemontese un falsario, un mentitore seriale, un bugiardo di brava famiglia, un uomo capace di tessere relazioni e di volgerle (almeno fino ad un certo punto) a proprio favore.
Un personaggio con una evidente compulsiva ossessione per il maneggio dei libri antichi.
E' insomma quella di Marino Massimo De Caro una storia profondamente italiana che inquieta per i comportamenti e la psicologia del personaggio, ma che non meraviglia e non sorprende (almeno non nel Paese di Pinocchio).
Un testo, quello di Luzzatto, che però non sembra del tutto concluso, temo anche a causa del protagonista del volume che è una personalità indubbiamente contraddittoria e irrisolta.
Il testo fa però trasparire continuamente i dubbi e le perplessità dell'autore rispetto alla ricerca e alle proprie conclusioni, inducendo il lettore (o almeno il sottoscritto) ad una sorta di atteggiamento guardingo e non proprio benevolo rispetto all'autore. Perchè un autore che mette continuamente le mani avanti rispetto al proprio lavoro (e alle proprie conclusioni) è a sua volta un autore che un po' depista il lettore. Certo, in buona fede. Forse perfino per un eccesso di correttezza. Ma depista e confonde. E non tanto per l'inevitabile simpatia che si instaura tra lo studioso e il delinquente. Qualunque dialogo rende meno odiosa la persona con cui si parla. Ed è probabile che qualunque storico avesse intervistato il più criminale e assassino dei mafiosi forse avrebbe finito per umanizzarlo. Il carcere duro e il 41bis non sono solo una pena che lo Stato infligge ai criminali incalliti. Sono un tentativo dello Stato per difendersi dall'obbligo di umanizzarli.
Ma tornando a De Caro, devo aggiungere che non si esce dalla lettura di Max Fox senza un senso di forzatura e senza la sensazione che l'autore abbia voluto concludere e pubblicare un'opera senza esserne del tutto convinto. Il che, anche solo vista la mole di quanto viene pubblicato nel nostro Paese, non è proprio il massimo.
Devo poi dire che ciò che più apprezzo del libro è lo squarcio che apre nel dilettantismo e nel pressapochismo politico che consente di nominare su funzioni importanti, anche a livello ministeriale, personaggi che dire improvvisati è poco. Così come sono gustose, ma assolutamente ordinarie certe critiche al comportamento dilettantesco di Santa Madre Chiesa rispetto ai propri beni, una Chiesa che pure gestisce un immenso patrimonio culturale. Ma lo fa, tranne poche eccezioni alla buona, e senza riuscire ad evitare le "familistiche relazioni amorali" che ci portiamo dietro da... sempre?
Così come è gustoso il modo come certa stampa tratta determinati eventi che hanno a che fare col mondo dei libri.
Ma del resto questo è un paese che rispetto ai libri ha una visione antiquatamente "antiquaria", tanto che c'è persino da meravigliarsi, con tutte le tare che abbiamo, che si riesca a mantenere vivo, sia pure in questa forma acciaccata e non priva di rischi, il nostro immenso patrimonio culturale.
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