mercoledì 12 agosto 2020

Santa Sofia (Istanbul): riflessioni su una variazione d'uso

Alcuni giornali italiani (ad es. "La Stampa") hanno descritto nei giorni scorsi la trasformazione dell'ex museo di Santa Sofia ad Istanbul in moschea, per volontà del governo turco, come un atto di ostilità contro l'Unione Europea, contro l'Occidente, contro il cristianesimo e velatamente contro la ragione storica (concetto evanescente, come è noto). Sono stati citati argomenti e fatti per sostenere un'analisi così minacciosa dell'evento; e la cosa non stupisce. Nell'aria circola molta irrazionalità e si leggono ed odono tanti argomenti "muscolari" che in effetti un po' intimoriscono. Ma la paura e il timore sono il sale della comunicazione. Ciò che infatti desta la curiosità dei "lettori" sono soprattutto gli elementi "negativi" e preoccupanti, dei quali tutti credono di poter parlare con cognizione di causa. Mentre pochi potrebbero affrontare gli aspetti positivi ma complicati delle vicende.  
Precisato questo, ciò che mi è dispiaciuto di più è stato il rammarico espresso per questa ritrasformazione di Santa Sofia in moschea da parte di papa Francesco, che, pur godendo della mia stima, in questo caso ha preso un granchio, per alcune ragioni che proverò a spiegare.
In primo luogo perchè la trasformazione dell'edificio in un luogo di culto e di preghiera non può mai essere vista negativamente. Non può addolorare.
In secondo luogo va aggiunto che Santa Sofia non è nuova alle trasformazioni funzionali (è nata basilica bizantina, ma poi è diventata, a seguito delle decisioni politiche dei vari governi di Istanbul, chiesa cristiana ortodossa, poi chiesa cristiana cattolica, poi di nuovo chiesa ortodossa, poi moschea e nel '900 museo).
L'attuale passaggio che la ritrasforma in moschea non può essere letto come negativo. E' l'ennesima variazione d'uso. Il governo turco ha il diritto di farne quello che ritiene più opportuno per il proprio popolo e non è detto che un futuro governo turco (non più guidato da Erdogan) non decida di comportarsi altrimenti, perchè il fattore tempo è imprevedibile e quello che gli uomini fanno è, per fortuna, sottoposto a continua revisione e cambiamento. E' questa l'unica certezza.
Si può discutere se il governo turco non abbia una qualche responsabilità morale rispetto al resto dell'umanità in relazione alla destinazione dei suoi beni culturali. A mio avviso ce l'ha, ma ove agisca con rispetto del bene stesso (cioè non lo distrugga o lo deturpi o non ne neghi l'accesso a qualcuno per ragioni ideologiche) le sue decisioni non possono essere ritenute ostili e non possono addolorare.
Inoltre una moschea è un luogo di culto e di misericordia e l'apertura di un luogo di fede, dove si coltivano i sentimenti religiosi, dove si va a pregare e a migliorare la propria anima, dovrebbe essere salutato come un fatto comunque positivo.
In un mondo dove si cerca il dialogo, incluso quello interreligioso, non si possono usare toni e affermazioni negative rispetto alle scelte degli altri. Sempre che siano scelte pacifiche.
Si potrà osservare che un atto come quello di Erdogan può sembrare in contraddizione con i processi di occidentalizzazione della Turchia; ma se anche la ritrasformazione di Santa Sofia in moschea fosse leggibile come un atto di orientalizzazione o di rafforzamento dell'identità musulmana della Turchia dove sarebbe il problema? Non è una libera scelta della Turchia se occidentalizzarsi o orientalizzarsi?
Il dialogo non prevede l'assimilazione. Semmai prevede il riconoscimento del valore delle reciproche differenze. Essere diversi ci arricchisce. O no?
Certo io penso che se tutti rafforzano le proprie identità forti e soprattutto se prevalgono i sentimenti di "superiorità" e di "muscolarità", il dialogo interreligioso, potrebbe faticare di più a procedere. Ma anche qui, che si tratti di un dialogo difficile, faticoso, complicato e con inevitabili alti e bassi, passi avanti e passi indietro, mi pare inevitabile. Gli uomini, anche i migliori, oscillano. Il negativo non sta  nel marcare le differenze, ma ne voler imporre agli altri il proprio punto di vista e farlo con la forza.
La cosa comunque importante è che il dialogo non si spezzi, perchè fino a che si dialoga c'è speranza di comprendere e forse persino accettare le rispettive e, per diversi aspetti, irriducibili diversità.
Per questo gli uomini di buona volontà controllano i toni e le parole.
Ma chi deve strillare per poter vendere il proprio punto di vista, la pacatezza non può permettersela. Non possiamo chiedergliela. Dobbiamo comprenderlo.

Biblioteca Nazionale e smart working

Uno dei più noti storici italiani si chiedeva sul "Corriere della Sera" di questi giorni come fosse possibile che uno studioso (e un cittadino qualsiasi) potesse entrare in una libreria qualsiasi (ad es. la Feltrinelli di Firenze o di Pisa) e, dopo essersi sanificato le mani, potesse toccare i libri e rimetterli sugli scaffali, mentre lo stesso studioso (e cittadino) non poteva fare la stessa semplice operazione di consultazione nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Già. Come è possibile? E come è possibile che quello che si fa nelle librerie private (ovvero maneggiare libri) si possa fare anche in alcune biblioteche pubbliche, ad es. nelle biblioteche comunali, ma non in prestigiose biblioteche statali?
Risposta: comportamenti così contrastanti sono dovuti al fatto che nel nostro paese (qualunque forza politica sia al governo) operano contemporaneamente (con una distribuzione a macchia di leopardo sul territorio) almeno tre ordinamenti giuridici.
Il primo è l'ordinamento "statalista" che fa sì che lo Stato e una parte della burocrazia pubblica (in collaborazione con una parte di sindacati e dei dipendenti pubblici) creino il maggior numero possibile di problemi ai cittadini prima di concedere loro i diritti che gli spettano (in relazione a ciò i libri della Biblioteca Nazionale di Firenze si consultano col massimo della cautela e col massimo della sicurezza possibile, ovvero ben oltre i ragionevoli livelli di cautela e di sicurezza). In questo contesto l'uso dello smart working per peggiorare un servizio pubblico è una modernizzazione alla rovescia tipica del nostro ordinamento "statalista". Ma lo smart working usato all'italiana gode di coperture politiche e sindacali che lo rendono difficile da "modificare".
Il secondo è l'ordinamento liberale o di mercato. Nelle librerie private (che, guarda caso, sono state riaperte molto prima delle biblioteche pubbliche) i libri si infettano molto meno che nelle biblioteche. Perché questo accada è un mistero, ma di sicuro deve essere così. Di più. L'ordinamento liberale e di mercato per fortuna è in vigore anche in diversi enti pubblici, soprattutto in quelli locali dove amministratori e bibliotecari sono consapevoli di lavorare per il loro concittadini e fanno di tutto per semplificargli la vita. Da giugno infatti diverse biblioteche comunali (ma non tutte) sono molto più accessibili di quelle nazionali e universitarie e i cittadini hanno accesso ai libri come nelle librerie.
Il terzo è l'ordinamento criminale per lo più diffuso nelle aree del paese dove ci sono poche librerie private (che però aprono anche per riuscire a pagare il pizzo) e ancor meno biblioteche pubbliche. Queste ultime, in queste aree, per lo più adottano l'ordinamento "statalista" e lo smart working per tenere a distanza gli utenti.

lunedì 10 agosto 2020

Sorry we missed you di K. Loach - un film ottimista sul capitalismo e sulla famiglia

Uscendo dal cinema sotto le stelle con mia moglie ho sostenuto che temevo di soffrire di più dalla visione dell'ultimo film di K. Loach (83 anni), in italiano "Scusa, ci sei mancato!". Invece il grande regista inglese ci ha regalato ancora un piccolo gioiello, con una serie di messaggi che, almeno io, leggo in maniera ottimista e che ci hanno fatto soffrire il giusto. Una versione anziana e parzialmente pacificata con quel caos che è e resta il mondo (mia moglie però è meno convinta di questa mia interpretazione).

Perchè ho trovato Loach ottimista? Beh perchè la storia poteva finire anche molto peggio e perchè nella vicenda rintraccio diversi messaggi davvero positivi. Mi soffermerò solo su alcuni.

Il primo è che le persone intelligenti non possono che adattarsi ai cambiamenti e provare in qualche modo a gestirli, sentendosi responsabili fino in fondo delle proprie scelte. Alla fine, se gli uomini voglio essere anche liberi (qualunque cosa questo voglia dire) non possono che prendere il destino nelle proprie mani e giocarsi la vita. E rialzarsi continuamente. I tizi che alla fine picchiano e derubano Ricky non sono il capitalismo. E Ricky oltre a fare i conti col magazziniere stronzo deve fare i conti anche con i balordi e con la cattiveria del mondo. E non può che reagire alzandosi dal letto e andando al lavoro. Può anche avercela con la società, ma deve fare comunque qualcosa per cavarsela.

La seconda è che la propria libertà sta in linea con la moralità dei propri comportamenti. E al centro dei propri comportamenti sta il dialogo e lo sforzo di capire se stessi, gli altri e il mondo. La famiglia e le persone sono in crisi perché dialogano poco e male. Investire nel dialogo e nelle relazioni resta, per gli uomini, la migliore assicurazione possibile sul proprio futuro. Finché c'è dialogo, suggerisce Loach, c'è speranza.

La terza è che la famiglia, per quanto in crisi e scossa dal disordine del mondo e dal desiderio di libertà dei singoli, se mantiene unità, capacità di dialogo, rispetto reciproco e ascolto, è ancora un potente strumento per la crescita e (se fossimo credenti) per la salvezza per tutti. E che Loach affidi l'elogio esplicito della famiglia a un poliziotto (ovviamente bravo e comprensivo) è un tocco di quello splendido umorismo inglese che noi mediterranei possiamo solo invidiare.

La quarta è la tensione positiva verso l'educazione. Studiare e andare a scuola serve per costruirsi un futuro. Nulla salus extra scholam. Anche su questo nonno Loach è schieratissimo e chiarissimo. E sulla English public school avrebbe potuto dire ben altro. Ma il messaggio che vuol lanciare ai suoi giovani nipoti ribelli è ancora quello di istruirsi: non c'è rivoluzione che possa battere l'ignoranza se non quella scolastica.

Il quinto. Il passato (individuale e collettivo) è stato bello, ma non tornerà. Il presente certo è un gran casino. Ma è l'unico tempo che abbiamo. E questa la nostra unifica finestra di vita. Tornare al punto primo per sapere cosa fare.

Perfino il capitalismo del titolare del magazzino delle spedizioni non è poi così brutto come lo stesso magazziniere tende a dipingere; e in fondo gli uomini trovano sempre (pur confliggendo per interessi, soldi, tempi di lavoro, ritmi, cottimo e concorrenza individuale) un modo di esprimersi solidarietà e collaborare. Faticosamente.

La scena di Abbie al telefono nel finale del film (in un ospedale affollato, multiculturale, ma civile) è un pezzo chapliniano, col malconcio Ricky che cerca di giustificare la sfuriata (per altro blanda) di sua moglie e loro che escono di scena come due piccoli eroi  proletari.

Se non va letto esattamente alla rovescia, sembra proprio un film consolatorio. Pare quasi una commedia all'italiana. O mi sbaglio?


Storia di un figlio : andata e ritorno / Akbari - Geda

E' il continuo del libro "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda, basato sulla storia vera di Enaiatollah Akbari, un afghano di etnia Hazara, passato per diverse traversie fino all'arrivo nella penisola italiana e al suo inserimento sociale perfettamente riusciuto.

Non è bello, straziante ed emozionante come i "coccodrilli", ma è una interessante storia sull'integrazione in Italia e sul modo "all'Italiana" di investire nell'accoglienza. Veramente piacevole ed utile.

A tratti anche commovente. Fabio Geda e Enaiat Akbari hanno fatto di nuovo un gran bella cosa.

Lettura importante dalla 4/5 elementare in su.

Storia di un figlio. Andata e ritorno / Fabio Geda e Emaiatollah Akbari, Baldini + Castoldi, 2020, 186p., € 16