L'immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio d Amal / Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso (Becco Giallo, 2016, pp.[40])
Libro valido per bambini sull'argomento migrazioni, clandestini e barconi. L'uso degli animali come voci narranti fa entrare nelle storie dei migranti con la delicatezza necessaria. Finale edulcorato. Troppo. Ma il taglio fiaba rende il finale "rosa" necessario. O no?
giovedì 31 agosto 2017
martedì 29 agosto 2017
Matteo Renzi è un biopolitico molto bravo, ma non perfetto
Ok, Napoleone decise di dettare le sue memorie solo dopo che fu rinchiuso nell'isola di Sant'Elena. Matteo Renzi invece, dopo i primi tre libri fatti uscire nella fase ascendente della sua corsa verso il potere ("Fuori", nel 2011, "Stil novo", 2012, e "Oltre la rottamazione", 2013) pubblica adesso (e siamo già alla sesta edizione in agosto) "Avanti. Perchè l'Italia non si ferma" (Feltrinelli, 2017, p. 235). Racconta un pezzo delle sue recenti memorie, butta fuori un bel po' delle sue ansie e ci regala qualcuna delle sue speranze. Affidandosi ad un editore molto di sinistra (Feltrinelli) e riempiendo le pagine di aneddotica.
Il testo, che, per la saggistica, è già un piccolo successo editoriale, si legge bene. Matteo scrive come parla. Anzi meglio. Perchè si concede qualche secondo di riflessione in più. Per questo le pagine corrono via come quelle di un romanzo. Ma che Matteo sia un grande comunicatore è fuori di dubbio. E che si avvalga di una buona squadra di collaboratori è altrettanto certo.
A me il volume è stato utile per varie ragioni che provo a riassumere per sommi capi.
Intanto ho finalmente capito (o almeno così spero) che cos'è un biopolitico. La lettura (lontana) di Foucault e l'impossibilità di raccapezzarmi nei testi di Agamben e dei suoi seguaci finora non mi avevano aiutato ad arrivarci. Matteo invece me lo spiega facilmente. E lo fa mettendo in campo tutta la famiglia (figli, moglie, padre, madre...) e gli amici (Lotti, Boschi, Carrai, ecc.) e le relazioni amicali coi grandi (Obama, Merkel.. basta). Ne esce fuori una aneddotica che stordisce, che si fatica a dipanare, ma la sostanza è che tutto quanto è politica e che tutto quanto può essere utilizzato per fare politica. La politica in sostanza è un'attività immersiva. E' un gioco totale. Un Truman Show o un Dinasty. Ma in fondo non è una novità. Chi fa politica di solito prova una grande passione per quello che fa e si diverte a farlo. Anche quando si arrabbia. Sa che il suo fare politica contagia e mette a rischio tutti quelli che gli stanno intorno. Ma uno fa politica se è molto convinto delle proprie idee. Se ha una forte autostima. Un discreto ego. E quando va bene, solo un pizzico di narcisismo. Quando va bene. Matteo è perfettamente a suo agio in questa telenovela, di cui lui cerca (tra un colpo di scena e l'altro) di essere il protagonista e a cui cerca di far appassionare (stavo per scrivere "abbonare") gli italiani.
E come in ogni sceneggiato che si rispetti, anche i flashback sono fondamentali. Così la parte delle memorie dei mille giorni a Palazzo Chigi occupa gran parte del volume. Obiettivo principale: dimostrare che in quei giorni dal sapore un po' garibaldino e un po' guascone Matteo è riuscito a smuovere il Paese (e l'Europa) e a realizzare riforme fondamentali per ripartire. Ce l'ha fatta davvero? Ovviamente lui ne è convinto. Probabilmente ne sono convinti anche quelli che alle primarie gli hanno riconsegnato la guida del PD. Quanto a me, lascio volentieri ai posteri l'ardua sentenza. Ma gli concedo tutte le attenuanti generiche. Modificare l'Italia è un'impresa complicatina. Richiede tanta abilità e... tanta fortuna.
Obiettivo numero due di "Avanti", è provare a gestire l'ansia che la sconfitta referendaria gli ha procurato. Anche qui i flashback sono continui. La sconfitta e le dimissioni gli bruciano. Ammette che aver accettato di combattere contro tutti è stato un errore. Ma, si giustifica, sostenendo che non poteva fare diversamente. Ha ragione? Può darsi.
Certo che la rottura del Patto del Nazareno potesse far crollare tutta la sua impalcatura "riformatrice" era probabile. Quindi è stata un errore grave (che Matteo enuncia, ma non elabora più di tanto). Un errore a cui lui dice di essere stato indotto dalla necessità di non votare alla Presidenza della Repubblica il candidato scelto (e propostogli) da Berlusconi e D'Alema. Un candidato di cui non fa il nome. Resta il fatto che queste errore "inevitabile", segna non solo la sua sconfitta referendaria, ma lo priva dell'unica strategia possibile: quella di una collaborazione stabile col centro-destra. In un gioco a tre sono possibili tre soluzioni: ognuno gioca per conto proprio e tutti perdono. Due si coalizzano contro il terzo. I primi due vincono ma ottenendo solo il 50 per cento del premio, il terzo perde. Tutti e tre si mettono insieme e vincono un po' tutti (ma la vincita di ognuno è ancora minore).
Ora è sempre stato ovvio che i grillini non avrebbero fatto sponda su nulla a Matteo (si considerano una forza antisistema: perchè dovrebbero collaborare col Sistema Matteo?). Quindi, visti i numeri parlamentari, senza una alleanza stabile con il centro-destra niente maggioranze forti in Parlamento e nel Paese e senza maggioranze forti, niente riforme e cambiamenti forti. Questo Matteo l'ha capito e ha organizzato il patto del Nazareno. Poi l'ha mandato a gambe all'aria (o non ha accettato che anche la presidenza della repubblica entrasse nel Patto: a conti fatti il risultato non cambia) e ha provato a spaccare il centro-destra. In piccola parte con Alfano e Verdini la cosa gli è riuscita, ma ha raccolto solo una maggioranza debole. Che gli ha consentito di gestire il Parlamento, ma mediando su tutto e poi portandolo a sbattere sul referendum.
Nella terza parte del libro, quella del "Che fare?", le cose si complicano. Parecchio. Primo: perchè il PD ha subito una scissione. Per ora solo legata ai parlamentari di osservanza Bersaniano/D'Alemiana. Ma sono diversi deputati (e quindi il suo partito è oggettivamente più debole). Secondo: perchè questa scissione pesa in termini ideologici e non gli consente di presentarsi in maniera credibile come un candidato di sinistra (una sinistra che continua a dividersi e a produrre leader a ciclo continuo, incluso Pisapia). Questo non gli impedisce di scrivere un intero capitolo sul "futuro della sinistra". Ma chi lo andrà a leggere capirà che di futuro per la sinistra sembra essercene poco. Terzo: perchè i suoi avversari sono usciti rafforzati dallo scontro referendario. Stanno conquistando città importanti (Torino e Roma), mentre il PD ha perso terreno anche alle amministrative e nelle regioni ormai ex rosse.
Il guaio è che sul "Che fare?" pesano due fattori: a) l'assetto di un partito che non può che essere soprattutto di governo (ma in una fase storica in cui tanti italiani ce l'hanno col governo e sono disposti a votare il primo scemo che passa per la strada anziché un candidato governativo), europeista (anche se critico, ma è l'aggettivo europeista che ti affonda), filoatlantico (anche se c'è Trump), ecc. ecc. ecc.; b) uno smarrimento di orizzonti della sinistra che in Europa non ha precedenti.
Il libro (che contiene tante altre informazioni e moltissimo gossip come è necessario in una telenovela) qui si sfrangia un po'. Del resto su tutti i punti cruciali Matteo, come un grande generale, non potrà applicare schemi prefabbricati, ma dovrà improvvisare. Sa più o meno su quali truppe può contare (la scacchiera), conosce l'affidabilità e la "lealtà" dei suoi alleati (le regole del gioco). Conosce abbastanza bene i suoi avversari e sa valutarne le mosse e la forza.
Ma il problema è che tutti i santi giorni dovrà scendere in campo e dare battaglia. Dovrà muovere pedoni, torri e alfieri. Sulla legge elettorale, sulla finanziaria, sul tentativo di rilanciare l'occupazione, per gestire i terremoti, per sostenere l'evoluzione della formazione scolastica, per gestire la superpatata bollente dei migranti in un paese dove il razzismo sembra tornare ad avere la meglio sulla tradizionale accoglienza cattolica. In un contesto di forti antipatie reciproche (il tripolarismo è così). Dove l'incapacità a collaborare tra diversi è una certezza. Dove le parole, avrebbe detto Pirandello, hanno significati e pesi diversi a seconda di chi le pronuncia. In un Paese di forze spezzettate, divise e discordi. Su tutte le battaglie annunciate, il volume resta evocativo ma "aperto". Privo di indicazioni forti. Pieno di suggestioni e di esempi. Senza ricette. Qui Matteo procede con "Il principe" di Machiavalli in una mano e "I ricordi" di Guicciardini nell'altra. Il massimo, anche per Antonio Gramsci (che, se no sbaglio, Matteo non cita mai), della teoria politica italiana. Ma si può dargli torto?
Ok, Napoleone decise di dettare le sue memorie solo dopo che fu rinchiuso nell'isola di Sant'Elena. Matteo Renzi invece, dopo i primi tre libri fatti uscire nella fase ascendente della sua corsa verso il potere ("Fuori", nel 2011, "Stil novo", 2012, e "Oltre la rottamazione", 2013) pubblica adesso (e siamo già alla sesta edizione in agosto) "Avanti. Perchè l'Italia non si ferma" (Feltrinelli, 2017, p. 235). Racconta un pezzo delle sue recenti memorie, butta fuori un bel po' delle sue ansie e ci regala qualcuna delle sue speranze. Affidandosi ad un editore molto di sinistra (Feltrinelli) e riempiendo le pagine di aneddotica.
Il testo, che, per la saggistica, è già un piccolo successo editoriale, si legge bene. Matteo scrive come parla. Anzi meglio. Perchè si concede qualche secondo di riflessione in più. Per questo le pagine corrono via come quelle di un romanzo. Ma che Matteo sia un grande comunicatore è fuori di dubbio. E che si avvalga di una buona squadra di collaboratori è altrettanto certo.
A me il volume è stato utile per varie ragioni che provo a riassumere per sommi capi.
Intanto ho finalmente capito (o almeno così spero) che cos'è un biopolitico. La lettura (lontana) di Foucault e l'impossibilità di raccapezzarmi nei testi di Agamben e dei suoi seguaci finora non mi avevano aiutato ad arrivarci. Matteo invece me lo spiega facilmente. E lo fa mettendo in campo tutta la famiglia (figli, moglie, padre, madre...) e gli amici (Lotti, Boschi, Carrai, ecc.) e le relazioni amicali coi grandi (Obama, Merkel.. basta). Ne esce fuori una aneddotica che stordisce, che si fatica a dipanare, ma la sostanza è che tutto quanto è politica e che tutto quanto può essere utilizzato per fare politica. La politica in sostanza è un'attività immersiva. E' un gioco totale. Un Truman Show o un Dinasty. Ma in fondo non è una novità. Chi fa politica di solito prova una grande passione per quello che fa e si diverte a farlo. Anche quando si arrabbia. Sa che il suo fare politica contagia e mette a rischio tutti quelli che gli stanno intorno. Ma uno fa politica se è molto convinto delle proprie idee. Se ha una forte autostima. Un discreto ego. E quando va bene, solo un pizzico di narcisismo. Quando va bene. Matteo è perfettamente a suo agio in questa telenovela, di cui lui cerca (tra un colpo di scena e l'altro) di essere il protagonista e a cui cerca di far appassionare (stavo per scrivere "abbonare") gli italiani.
E come in ogni sceneggiato che si rispetti, anche i flashback sono fondamentali. Così la parte delle memorie dei mille giorni a Palazzo Chigi occupa gran parte del volume. Obiettivo principale: dimostrare che in quei giorni dal sapore un po' garibaldino e un po' guascone Matteo è riuscito a smuovere il Paese (e l'Europa) e a realizzare riforme fondamentali per ripartire. Ce l'ha fatta davvero? Ovviamente lui ne è convinto. Probabilmente ne sono convinti anche quelli che alle primarie gli hanno riconsegnato la guida del PD. Quanto a me, lascio volentieri ai posteri l'ardua sentenza. Ma gli concedo tutte le attenuanti generiche. Modificare l'Italia è un'impresa complicatina. Richiede tanta abilità e... tanta fortuna.
Obiettivo numero due di "Avanti", è provare a gestire l'ansia che la sconfitta referendaria gli ha procurato. Anche qui i flashback sono continui. La sconfitta e le dimissioni gli bruciano. Ammette che aver accettato di combattere contro tutti è stato un errore. Ma, si giustifica, sostenendo che non poteva fare diversamente. Ha ragione? Può darsi.
Certo che la rottura del Patto del Nazareno potesse far crollare tutta la sua impalcatura "riformatrice" era probabile. Quindi è stata un errore grave (che Matteo enuncia, ma non elabora più di tanto). Un errore a cui lui dice di essere stato indotto dalla necessità di non votare alla Presidenza della Repubblica il candidato scelto (e propostogli) da Berlusconi e D'Alema. Un candidato di cui non fa il nome. Resta il fatto che queste errore "inevitabile", segna non solo la sua sconfitta referendaria, ma lo priva dell'unica strategia possibile: quella di una collaborazione stabile col centro-destra. In un gioco a tre sono possibili tre soluzioni: ognuno gioca per conto proprio e tutti perdono. Due si coalizzano contro il terzo. I primi due vincono ma ottenendo solo il 50 per cento del premio, il terzo perde. Tutti e tre si mettono insieme e vincono un po' tutti (ma la vincita di ognuno è ancora minore).
Ora è sempre stato ovvio che i grillini non avrebbero fatto sponda su nulla a Matteo (si considerano una forza antisistema: perchè dovrebbero collaborare col Sistema Matteo?). Quindi, visti i numeri parlamentari, senza una alleanza stabile con il centro-destra niente maggioranze forti in Parlamento e nel Paese e senza maggioranze forti, niente riforme e cambiamenti forti. Questo Matteo l'ha capito e ha organizzato il patto del Nazareno. Poi l'ha mandato a gambe all'aria (o non ha accettato che anche la presidenza della repubblica entrasse nel Patto: a conti fatti il risultato non cambia) e ha provato a spaccare il centro-destra. In piccola parte con Alfano e Verdini la cosa gli è riuscita, ma ha raccolto solo una maggioranza debole. Che gli ha consentito di gestire il Parlamento, ma mediando su tutto e poi portandolo a sbattere sul referendum.
Nella terza parte del libro, quella del "Che fare?", le cose si complicano. Parecchio. Primo: perchè il PD ha subito una scissione. Per ora solo legata ai parlamentari di osservanza Bersaniano/D'Alemiana. Ma sono diversi deputati (e quindi il suo partito è oggettivamente più debole). Secondo: perchè questa scissione pesa in termini ideologici e non gli consente di presentarsi in maniera credibile come un candidato di sinistra (una sinistra che continua a dividersi e a produrre leader a ciclo continuo, incluso Pisapia). Questo non gli impedisce di scrivere un intero capitolo sul "futuro della sinistra". Ma chi lo andrà a leggere capirà che di futuro per la sinistra sembra essercene poco. Terzo: perchè i suoi avversari sono usciti rafforzati dallo scontro referendario. Stanno conquistando città importanti (Torino e Roma), mentre il PD ha perso terreno anche alle amministrative e nelle regioni ormai ex rosse.
Il guaio è che sul "Che fare?" pesano due fattori: a) l'assetto di un partito che non può che essere soprattutto di governo (ma in una fase storica in cui tanti italiani ce l'hanno col governo e sono disposti a votare il primo scemo che passa per la strada anziché un candidato governativo), europeista (anche se critico, ma è l'aggettivo europeista che ti affonda), filoatlantico (anche se c'è Trump), ecc. ecc. ecc.; b) uno smarrimento di orizzonti della sinistra che in Europa non ha precedenti.
Il libro (che contiene tante altre informazioni e moltissimo gossip come è necessario in una telenovela) qui si sfrangia un po'. Del resto su tutti i punti cruciali Matteo, come un grande generale, non potrà applicare schemi prefabbricati, ma dovrà improvvisare. Sa più o meno su quali truppe può contare (la scacchiera), conosce l'affidabilità e la "lealtà" dei suoi alleati (le regole del gioco). Conosce abbastanza bene i suoi avversari e sa valutarne le mosse e la forza.
Ma il problema è che tutti i santi giorni dovrà scendere in campo e dare battaglia. Dovrà muovere pedoni, torri e alfieri. Sulla legge elettorale, sulla finanziaria, sul tentativo di rilanciare l'occupazione, per gestire i terremoti, per sostenere l'evoluzione della formazione scolastica, per gestire la superpatata bollente dei migranti in un paese dove il razzismo sembra tornare ad avere la meglio sulla tradizionale accoglienza cattolica. In un contesto di forti antipatie reciproche (il tripolarismo è così). Dove l'incapacità a collaborare tra diversi è una certezza. Dove le parole, avrebbe detto Pirandello, hanno significati e pesi diversi a seconda di chi le pronuncia. In un Paese di forze spezzettate, divise e discordi. Su tutte le battaglie annunciate, il volume resta evocativo ma "aperto". Privo di indicazioni forti. Pieno di suggestioni e di esempi. Senza ricette. Qui Matteo procede con "Il principe" di Machiavalli in una mano e "I ricordi" di Guicciardini nell'altra. Il massimo, anche per Antonio Gramsci (che, se no sbaglio, Matteo non cita mai), della teoria politica italiana. Ma si può dargli torto?
lunedì 28 agosto 2017
Enrico Mattei e Giovanni Gronchi: due biografie che si collegano.
Ho recentemente letto il volume di Carlo Maria Lomartire, "Mattei. Storia di un italiano che sfidò i signori del petrolio" (Mondadori, Oscar storia, 2004, pp. 350 + indici dei nomi). Volevo approfondire l'incrocio di biografie tra Enrico Mattei (l'uomo che volle e che caparbiamente costruì l'ENI) e Giovanni Gronchi che indubbiamente assecondò e in una certa misura (e con il suo ruolo) favorì la nascita e lo sviluppo dell'ENI. Non a caso il nome di Giovanni Gronchi ricorre oltre una cinquantina di volte nel volume di Lomartire, soprattutto a partire dal 1944 ed arriva ovviamente fino alla morte di Mattei avvenuta nell'ottobre del 1962, anno che corrisponde anche alla fine del mandato di Gronchi da Presidente della Repubblica.
Il volume, che è scorrevole e ben scritto da un giornalista economico di lungo corso, che ha avviato la sua carriera a IL GIORNO (ovvero presso il quotidiano voluto da Mattei), è ricco di spunti e di stimoli di tutti i generi e non è riassumibile, se non dicendo, in breve, che racconta la biografia di un italiano straordinario, che però incarna al meglio le qualità più valide che di solito si attribuiscono agli italiani. Tenacia, genialità, abilità di manovrare su tutti i terreni, inclusi quelli più accidentati, desiderio di riscatto e di rivincita.
Un italiano che nato nel 1906, con appena la 6a elementare ed un diploma da ragioniere, costruisce un soggetto economico grandioso che opera e conta ben al di là dell'Italia, ma si proietta nel mondo, trascinandosi dietro, almeno in parte, anche il suo Paese e le sue istituzioni politiche.
Al di là della sua morte avvenuta a 56 anni (su cui molto si è scritto e immagino che molto di continuerà a scrivere), la biografia di Mattei è straordinaria da tanti punti di vista e meriterebbe di essere studiata sotto diversi profili. A cominciare dal ruolo della famiglia e dei contesti locali nella formazione della persona Mattei, per continuare con il ruolo strategico e salvifico che "il lavoro" può assumere nella biografia di un uomo. Per giungere al carattere fortunoso che giocano gli incontri e le amicizie giuste al momento giusto (penso a quella con Maurizio Boldrini) e via proseguendo su questa strada, fino alla necessità di evadere dal paese natio per cercare fortuna altrove, ma senza mai smarrire le proprie radici.
Perchè di Mattei non ho trovato interessante solo il periodo della fondazione e dello sviluppo dell'ENI (che ovviamente rimane il suo capolavoro assoluto), ma anche la sua capacità di imprenditore privato messa in mostra prima della seconda guerra mondiale e poi la determinazione di uomo maturo di giocarsi tutto, ma proprio tutto, durante l'occupazione militare e la Repubblica Sociale Italiana, diventando il responsabile a Milano delle formazioni partigiane cattoliche e collaborando con Ferruccio Parri e con Luigi Longo alla Resistenza in Alta Italia.
Mattei avrebbe incontrato e conosciuto Gronchi (almeno secondo Lomartire e altri biografi: ma non conosco certo l'intera bibliografia su Mattei), tra il '43 e il '44, al momento in cui nacque la Democrazia Cristiana clandestina. Immagino però che tra i due che vivevano e lavoravano a Milano dalla fine degli anni '20 e che si occupavano di sostanze chimiche, e che avevano anche alcuni amici o conoscenze in comune (ad es. Giuseppe Spataro e forse Maurizio Boldrini), ho l'impressione che potesse esserci stata una qualche conoscenza forse a partire dalla fine degli anni '30. Ovviamente si tratta solo di una suggestione, ma sono quasi convinto che prima o poi spunterà fuori qualche lettera (o qualche altro documento, i fondi della Prefettura di Milano sono stati poco indagati su questo versante) che la confermerà.
Quello che è certo è che entrambi Mattei e Gronchi (pur diversi da tanti punti di vista) hanno un visione dinamica ed imprenditoriale della vita e quanto alla politica si rifanno ad un certo nazionalismo democratico (e cattolico) che li porterà a collaborare assai proficuamente per la rinascita e lo sviluppo del Paese lungo un arco di tempo che durerà un ventennio (1944-1962). Ovvero l'esatto periodo che va dalla ricostruzione del Paese al boom economico e che costituisce la fase storica di maggiore trasformazione socio-economica e di progresso vissuti dall'Italia nel corso della sua storia millenaria, a cui non a caso venne attributo il nome di "miracolo".
Ma, nella realtà, il "miracolo" (almeno per i non credenti) lo fecero uomini come Mattei e come Gronchi, insieme, ovviamente, a milioni di altri italiani, che la classe politica del secondo dopoguerra seppe guidare con lungimiranza, fuori dal disastro del fascismo, mantenendo ben saldo il quadro democratico e garantendo le libertà sancite dalla nuova Carta Costituzionale.
Ho recentemente letto il volume di Carlo Maria Lomartire, "Mattei. Storia di un italiano che sfidò i signori del petrolio" (Mondadori, Oscar storia, 2004, pp. 350 + indici dei nomi). Volevo approfondire l'incrocio di biografie tra Enrico Mattei (l'uomo che volle e che caparbiamente costruì l'ENI) e Giovanni Gronchi che indubbiamente assecondò e in una certa misura (e con il suo ruolo) favorì la nascita e lo sviluppo dell'ENI. Non a caso il nome di Giovanni Gronchi ricorre oltre una cinquantina di volte nel volume di Lomartire, soprattutto a partire dal 1944 ed arriva ovviamente fino alla morte di Mattei avvenuta nell'ottobre del 1962, anno che corrisponde anche alla fine del mandato di Gronchi da Presidente della Repubblica.
Il volume, che è scorrevole e ben scritto da un giornalista economico di lungo corso, che ha avviato la sua carriera a IL GIORNO (ovvero presso il quotidiano voluto da Mattei), è ricco di spunti e di stimoli di tutti i generi e non è riassumibile, se non dicendo, in breve, che racconta la biografia di un italiano straordinario, che però incarna al meglio le qualità più valide che di solito si attribuiscono agli italiani. Tenacia, genialità, abilità di manovrare su tutti i terreni, inclusi quelli più accidentati, desiderio di riscatto e di rivincita.
Un italiano che nato nel 1906, con appena la 6a elementare ed un diploma da ragioniere, costruisce un soggetto economico grandioso che opera e conta ben al di là dell'Italia, ma si proietta nel mondo, trascinandosi dietro, almeno in parte, anche il suo Paese e le sue istituzioni politiche.
Al di là della sua morte avvenuta a 56 anni (su cui molto si è scritto e immagino che molto di continuerà a scrivere), la biografia di Mattei è straordinaria da tanti punti di vista e meriterebbe di essere studiata sotto diversi profili. A cominciare dal ruolo della famiglia e dei contesti locali nella formazione della persona Mattei, per continuare con il ruolo strategico e salvifico che "il lavoro" può assumere nella biografia di un uomo. Per giungere al carattere fortunoso che giocano gli incontri e le amicizie giuste al momento giusto (penso a quella con Maurizio Boldrini) e via proseguendo su questa strada, fino alla necessità di evadere dal paese natio per cercare fortuna altrove, ma senza mai smarrire le proprie radici.
Perchè di Mattei non ho trovato interessante solo il periodo della fondazione e dello sviluppo dell'ENI (che ovviamente rimane il suo capolavoro assoluto), ma anche la sua capacità di imprenditore privato messa in mostra prima della seconda guerra mondiale e poi la determinazione di uomo maturo di giocarsi tutto, ma proprio tutto, durante l'occupazione militare e la Repubblica Sociale Italiana, diventando il responsabile a Milano delle formazioni partigiane cattoliche e collaborando con Ferruccio Parri e con Luigi Longo alla Resistenza in Alta Italia.
Mattei avrebbe incontrato e conosciuto Gronchi (almeno secondo Lomartire e altri biografi: ma non conosco certo l'intera bibliografia su Mattei), tra il '43 e il '44, al momento in cui nacque la Democrazia Cristiana clandestina. Immagino però che tra i due che vivevano e lavoravano a Milano dalla fine degli anni '20 e che si occupavano di sostanze chimiche, e che avevano anche alcuni amici o conoscenze in comune (ad es. Giuseppe Spataro e forse Maurizio Boldrini), ho l'impressione che potesse esserci stata una qualche conoscenza forse a partire dalla fine degli anni '30. Ovviamente si tratta solo di una suggestione, ma sono quasi convinto che prima o poi spunterà fuori qualche lettera (o qualche altro documento, i fondi della Prefettura di Milano sono stati poco indagati su questo versante) che la confermerà.
Quello che è certo è che entrambi Mattei e Gronchi (pur diversi da tanti punti di vista) hanno un visione dinamica ed imprenditoriale della vita e quanto alla politica si rifanno ad un certo nazionalismo democratico (e cattolico) che li porterà a collaborare assai proficuamente per la rinascita e lo sviluppo del Paese lungo un arco di tempo che durerà un ventennio (1944-1962). Ovvero l'esatto periodo che va dalla ricostruzione del Paese al boom economico e che costituisce la fase storica di maggiore trasformazione socio-economica e di progresso vissuti dall'Italia nel corso della sua storia millenaria, a cui non a caso venne attributo il nome di "miracolo".
Ma, nella realtà, il "miracolo" (almeno per i non credenti) lo fecero uomini come Mattei e come Gronchi, insieme, ovviamente, a milioni di altri italiani, che la classe politica del secondo dopoguerra seppe guidare con lungimiranza, fuori dal disastro del fascismo, mantenendo ben saldo il quadro democratico e garantendo le libertà sancite dalla nuova Carta Costituzionale.
venerdì 25 agosto 2017
Introduzione alla politica mondiale / Fabio Fossati (FrancoAngeli, Nuova ediz. aggiornata, 2015)
Il mondo è avvolto da una incredibilità quantità di spiegazioni e credenze in merito al proprio funzionamento. Del resto il pianeta terra è abitato da 7 miliardi di persone (circa), distribuite in circa 206 Stati (196 riconosciuti ufficialmente da tutti), e che professano le più svariate idee. Per farsi un'idea delle idee che circolano sul sistema-mondo e quindi la politica mondiale degli ultimi 200 anni e del presente, il libro di Fossati, necessariamente sintetico, è estremamente utile. Il mondo (e facebook) sarebbe molto più silenzioso se chi volesse esprimere delle idee sulla politica internazionale fosse prima costretto a leggere e possibilmente meditare su queste 300 pagine dello studioso attualmente in forze presso l'Università di Trieste. La sola bibliografia occupa una quarantina di pagine. La sintesi è che la realtà contemporanea sembra davvero un guazzabuglio molto complicato e che richiede spiegazioni multiple e aperte. Lettura di tipo universitario (testo di studio) e per curiosoni dalla mente parecchio aperta.
Il mondo è avvolto da una incredibilità quantità di spiegazioni e credenze in merito al proprio funzionamento. Del resto il pianeta terra è abitato da 7 miliardi di persone (circa), distribuite in circa 206 Stati (196 riconosciuti ufficialmente da tutti), e che professano le più svariate idee. Per farsi un'idea delle idee che circolano sul sistema-mondo e quindi la politica mondiale degli ultimi 200 anni e del presente, il libro di Fossati, necessariamente sintetico, è estremamente utile. Il mondo (e facebook) sarebbe molto più silenzioso se chi volesse esprimere delle idee sulla politica internazionale fosse prima costretto a leggere e possibilmente meditare su queste 300 pagine dello studioso attualmente in forze presso l'Università di Trieste. La sola bibliografia occupa una quarantina di pagine. La sintesi è che la realtà contemporanea sembra davvero un guazzabuglio molto complicato e che richiede spiegazioni multiple e aperte. Lettura di tipo universitario (testo di studio) e per curiosoni dalla mente parecchio aperta.
giovedì 24 agosto 2017
La ludoteca di Babele. Dal dado ai social network: a che gioco stiamo giocando? / Stefano Bartezzaghi (Utet, 2017, pp. 2010)
Testo carino per approfondire la realtà del gioco (e della dimensione ludica) della contemporaneità. Scritto in forma piana e discorsiva, ha l'obiettivo di aiutare a riflettere su fenomeni ludici che ci coinvolgono.
Testo carino per approfondire la realtà del gioco (e della dimensione ludica) della contemporaneità. Scritto in forma piana e discorsiva, ha l'obiettivo di aiutare a riflettere su fenomeni ludici che ci coinvolgono.
martedì 22 agosto 2017
IL TASSO DI FURBASTRISMO DEGLI ITALIANI. Il canone tv della RAI e il senso civico degli italiani distribuito regione per regione
Ora sarà una estrapolazione da sociologo della domenica ma a me pare che questa percentuale di evasori del Canone RAI (che è una somma dovuta per legge allo Stato) ci racconti molte cose interessanti su noi stessi.
La prima consiste nell'abnorme dimensione del fenomeno a fronte di una piccola cifra. Il 34,2 per cento degli italiani è composto da disonesti, che non avrebbero pagato il canone fino a quando non li avessero proprio costretti a farlo. Ciò evidenzia quella che non si può non chiamare una evasione di massa. Ok si tratta di 100 €. Ma sempre evasione è. Sempre di disonestà di tratta.
Di più, calcolando che sicuramente esiste un tasso di furbastrismo che si applica anche alle UTENZE ELETTRICHE, il tasso finale nazionale di FURBASTRISMO (e quindi di disonestà) si aggira probabilmente attorno al 40%. Un dato inquietante, ma certamente non imprevisto che probabilmente si può applicare ad altre aree di pagamenti verso lo Stato, almeno dove la capacità di verifica dello Stato si affida solo all'autodichiarazione o a blande misure di controllo.
Insomma quando un tedesco o un francese incontra un italiano, la possibilità che incontri un furbastro disonesto è quasi uno su due. E non c'è da meravigliarci, se loro lo sanno e ce lo fanno pesare.
Ma la tabella elaborata da Mobili su dati dell'Agenzia delle Entrate ci dice molte altre cose
Ecco la sintesi dei numeri.
Differenza (in percentuale e sempre col segno +) tra chi ha pagato nel 2016 rispetto al 2015 per regione:
Alto Adige = 1,2
Toscana = 19,5
Marche= 21,4
Puglia = 23,3
Valle d'Aosta = 23,3
Liguria = 24,0
Emilia-Romagna= 26,0
Umbria = 26,1
Abruzzo= 28,4
Friuli Venezia Giulia= 28,7
Molise = 29,8
Basilicata = 30,6
Sardegna= 30,6
Lombardia= 30,9
Trentini= 32,9
Piemonte = 33,8
Lazio= 34,1
Veneto= 38,1
Calabria=57,3
Sicilia= 58,1
Campania=68,4
Ovviamente nessuna regione è fatta solo da autoctoni. Tuttavia le differenze e le distanze da quel 34,2 (che corrisponde al furbastrismo medio degli italiani) ci sono.
A Bolzano il 98,8% ha sempre pagato il canone. E un inglese o un tedesco che si ferma a Bolzano lo sa.
Ma appena entra in Trentino e poi scende nella Padania (se i dati riportati da Il sole 24 sono corretti) le cose cambiano e la pianura padana oscilla da un 32,2% di Trento e il 38,1% del Veneto di furbetti.
Sarà pure un furbastrismo giustificato dal "leghismo" o dal localismo, ma sempre di evasione, disonestà e antistatalismo si tratta.
Le regioni centrali se la cavano mediamente meglio. E nella patria di Pinocchio, la Toscana, il tasso di evasione anticanone, raggiunge il 19,5% (il secondo livello più basso del Paese, dietro, ma a distanza, all'Alto Adige); mentre nelle altre regioni centrali si arriva fino al 34% del Lazio
Poi ci sono le tre regioni al top. Calabria (57,3), Sicilia (58,1) e Campania (68,4). Qui l'evasione dal canone e l'antistatalismo raggiungevano il top. Come la criminalità, del resto. Certo anche la povertà è maggiore, probabilmente. Ma c'è anche una povertà onesta. Ma non è questa la povertà che caratterizza queste 3 regioni. Piaccia o non piaccia. Dopo 150 anni di stato unitario.
Invece Sardegna e Basilicata si allineano ai dati della Padania e ai picchi più alti del Centro Italia, dimostrando così che anche tra le Isole e nel Sud c'è un'ampia diversificazione di comportamenti (e forse anche di povertà e di stili di vita).
Ne esce, come sempre, l'immagine di un paese composito e diversificato. Anche nell'evasione e nell'antistatalismo.
Marco Mobili su "Il Sole 24 ore" di domenica 13/8, a pag. 13, ha elaborato e presentato dati prodotti dall'Agenzia delle Entrate, che ci raccontano in quale proporzione regionale è stata scoperta e sanata un'evasione di massa del canone RAI.
Confrontando infatti i pagamenti del canone RAI del 2016 con quelli del 2015, è emerso (grazie al pagamento del canone sulla bolletta elettrica) il 34,2 % in più di contribuenti "evasori". Una percentuale che vale 5,6 milioni di italiani. Sottolineo 5.600.000 italiani. Non una manciata di furbetti. Tanti di noi.Ora sarà una estrapolazione da sociologo della domenica ma a me pare che questa percentuale di evasori del Canone RAI (che è una somma dovuta per legge allo Stato) ci racconti molte cose interessanti su noi stessi.
La prima consiste nell'abnorme dimensione del fenomeno a fronte di una piccola cifra. Il 34,2 per cento degli italiani è composto da disonesti, che non avrebbero pagato il canone fino a quando non li avessero proprio costretti a farlo. Ciò evidenzia quella che non si può non chiamare una evasione di massa. Ok si tratta di 100 €. Ma sempre evasione è. Sempre di disonestà di tratta.
Di più, calcolando che sicuramente esiste un tasso di furbastrismo che si applica anche alle UTENZE ELETTRICHE, il tasso finale nazionale di FURBASTRISMO (e quindi di disonestà) si aggira probabilmente attorno al 40%. Un dato inquietante, ma certamente non imprevisto che probabilmente si può applicare ad altre aree di pagamenti verso lo Stato, almeno dove la capacità di verifica dello Stato si affida solo all'autodichiarazione o a blande misure di controllo.
Insomma quando un tedesco o un francese incontra un italiano, la possibilità che incontri un furbastro disonesto è quasi uno su due. E non c'è da meravigliarci, se loro lo sanno e ce lo fanno pesare.
Ma la tabella elaborata da Mobili su dati dell'Agenzia delle Entrate ci dice molte altre cose
Ecco la sintesi dei numeri.
Differenza (in percentuale e sempre col segno +) tra chi ha pagato nel 2016 rispetto al 2015 per regione:
Alto Adige = 1,2
Toscana = 19,5
Marche= 21,4
Puglia = 23,3
Valle d'Aosta = 23,3
Liguria = 24,0
Emilia-Romagna= 26,0
Umbria = 26,1
Abruzzo= 28,4
Friuli Venezia Giulia= 28,7
Molise = 29,8
Basilicata = 30,6
Sardegna= 30,6
Lombardia= 30,9
Trentini= 32,9
Piemonte = 33,8
Lazio= 34,1
Veneto= 38,1
Calabria=57,3
Sicilia= 58,1
Campania=68,4
Ovviamente nessuna regione è fatta solo da autoctoni. Tuttavia le differenze e le distanze da quel 34,2 (che corrisponde al furbastrismo medio degli italiani) ci sono.
A Bolzano il 98,8% ha sempre pagato il canone. E un inglese o un tedesco che si ferma a Bolzano lo sa.
Ma appena entra in Trentino e poi scende nella Padania (se i dati riportati da Il sole 24 sono corretti) le cose cambiano e la pianura padana oscilla da un 32,2% di Trento e il 38,1% del Veneto di furbetti.
Sarà pure un furbastrismo giustificato dal "leghismo" o dal localismo, ma sempre di evasione, disonestà e antistatalismo si tratta.
Le regioni centrali se la cavano mediamente meglio. E nella patria di Pinocchio, la Toscana, il tasso di evasione anticanone, raggiunge il 19,5% (il secondo livello più basso del Paese, dietro, ma a distanza, all'Alto Adige); mentre nelle altre regioni centrali si arriva fino al 34% del Lazio
Poi ci sono le tre regioni al top. Calabria (57,3), Sicilia (58,1) e Campania (68,4). Qui l'evasione dal canone e l'antistatalismo raggiungevano il top. Come la criminalità, del resto. Certo anche la povertà è maggiore, probabilmente. Ma c'è anche una povertà onesta. Ma non è questa la povertà che caratterizza queste 3 regioni. Piaccia o non piaccia. Dopo 150 anni di stato unitario.
Invece Sardegna e Basilicata si allineano ai dati della Padania e ai picchi più alti del Centro Italia, dimostrando così che anche tra le Isole e nel Sud c'è un'ampia diversificazione di comportamenti (e forse anche di povertà e di stili di vita).
Ne esce, come sempre, l'immagine di un paese composito e diversificato. Anche nell'evasione e nell'antistatalismo.
lunedì 21 agosto 2017
Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi venti anni / Alec Ross. Feltrinelli, 2016, 340pp
Vale la lettura. Ovviamente per chi è interessato a comprendere il presente e a leggere il fluire del mondo con occhi abbastanza disinteressati e senza particolari ideologie. L'autore (ex collaboratore di Hilary Clinton e del governo americano) esamina i principali trend che vanno sotto il nome di globalizzazione: l'avvento della robotica (che non lo spaventa), l'evoluzione biomedica e l'allungamento della vita media (con tutti gli aspetti positivi e negativi), la codicizzazione del denaro (pagamenti sempre più elettronici), le nuove forme dei conflitti tra stati, i big data che tanto ci insegnano e ci raccontano, il ruolo dei paesi emergenti.... Sconsigliato a sovranisti, razzisti e narcisisti.
Vale la lettura. Ovviamente per chi è interessato a comprendere il presente e a leggere il fluire del mondo con occhi abbastanza disinteressati e senza particolari ideologie. L'autore (ex collaboratore di Hilary Clinton e del governo americano) esamina i principali trend che vanno sotto il nome di globalizzazione: l'avvento della robotica (che non lo spaventa), l'evoluzione biomedica e l'allungamento della vita media (con tutti gli aspetti positivi e negativi), la codicizzazione del denaro (pagamenti sempre più elettronici), le nuove forme dei conflitti tra stati, i big data che tanto ci insegnano e ci raccontano, il ruolo dei paesi emergenti.... Sconsigliato a sovranisti, razzisti e narcisisti.
Plant Revolution. Le piante che hanno già inventato il nostro futuro / Stefano Mancuso, Giunti, 2017,261, pp. ill
Dal titolo e da altre cose che sapevo sull'autore mi aspettavo qualcosa di +. Mancuso presenta diverse informazioni sulle piante che in qualche modo potrebbero avere a che fare col ns futuro, ma le piante e le coltivazioni arboree rappresentano già delle rivoluzioni nel presente che invece mi paiono sostanzialmente assenti da questo testo per altro ben curato. Il problema è che il lettore si crea sempre delle aspettative rispetto a qualunque tipo di libro e se poi nelle pagine non trova quello che sperava di trovarci, magari non gusta bene quello che c'è. Confermo tuttavia che il titolo (Plant revolution) mi pare eccessivo rispetto al contenuto.
Taglio molto discorsivo e divulgativo.
Dal titolo e da altre cose che sapevo sull'autore mi aspettavo qualcosa di +. Mancuso presenta diverse informazioni sulle piante che in qualche modo potrebbero avere a che fare col ns futuro, ma le piante e le coltivazioni arboree rappresentano già delle rivoluzioni nel presente che invece mi paiono sostanzialmente assenti da questo testo per altro ben curato. Il problema è che il lettore si crea sempre delle aspettative rispetto a qualunque tipo di libro e se poi nelle pagine non trova quello che sperava di trovarci, magari non gusta bene quello che c'è. Confermo tuttavia che il titolo (Plant revolution) mi pare eccessivo rispetto al contenuto.
Taglio molto discorsivo e divulgativo.
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