venerdì 18 maggio 2018

Perché essere felice quando puoi essere normale / Jeanette Winterson, Mondadori, 2012, pp.206

Di solito sono i bibliotecari a consigliare libri ai ragazzi e ai loro prof. Ma questo libro e la sua straordinaria autrice mi sono stati suggeriti invece da una studentessa del Liceo Montale che l'aveva scoperto per caso (?), in un progetto di promozione della lettura che l'ha portata con la sua classe in libreria a scegliere un libro da leggere, e poi l'ha letto, lo ha fatto suo e lo ha esposto in un incontro pubblico con tanto entusiasmo e trasporto, che mi sono sentito obbligato a prendere un appunto, a cercare il libro e a leggerlo a mia volta.
E devo dire che l'impressione di forza e coinvolgimento che mi aveva lasciato il passa parola delle studentessa, si è trasformato nello stupore della lettura e nella scoperta di una matura scrittrice inglese (nel 2012 la Winterson aveva 53 anni) che ci racconta una biografia dolorosa, folle, intensa e vibrante. Abbandonata a poche settimanale dalla nascita, l'Autrice viene adottata da una coppia che professa una religione molto rigorosa e dietro cui si nascondono un uomo ed una donna con una molteplicità di problemi relazionali  piuttosto elevati, oltre un discreto livello di follia e di delirio, stando almeno alla testimonianza dell'A.. La povertà materiale si mescola così ad una incredibile ma realistica stramberia mentale dei genitori adottivi che produce qualcosa che va oltre l'anaffettività e che sembra sconfinare in una forma di stupidità comportamentale grave.
La bambina, a cui la madre adottiva dice di essere una scelta sbagliata ("il diavolo ci ha guidato verso la culla sbagliata"), cresce, accudita da una nevrotica, paranoica, con la fissa dei diavoli, delle voci, delle preghiere, delle citazioni della bibbia, il tutto condito da un insano rapporto (o meglio "non rapporto") di coppia.
Ma la piccola Jaenette si aggrappa ad una disperata voglia di vivere e alla storie e i proverbi, spesso pescati dalla Bibbia, che, masticati e vissuti tra assurdità e comportamenti borderline, riempiono il suo immaginario. La bambina scopre presto il piacere della lettura e, essendo alla periferia di Manchester, si imbatte in una biblioteca pubblica (e lì decide di leggere tutti gli autori della narrativa inglese dalla A alla Z). E per quanto il suo carattere, forgiato dal sentirsi, e ben a ragione, una figlia indesiderata e per niente amata, sia difficile, aspro e duro, riesce a salvarsi o almeno a sopravvive all'inverno antropologico in cui è stata scaraventata attraverso la lettura e la scrittura.
Tra che c'è, Jeanette scopre anche la sua omosessualità (forse come la madre adottiva?) e a praticarla e questo ovviamente contribuisce a complicare il suo doloroso vissuto familiare, ma allo stesso tempo ad ancorarlo ad alcune certezze, così da ricavarne forza e capacità di resistenza. La diversità è un altro fattore che la salva. O almeno l'aiuta e le fornisce un senso e una strategia per sopravvivere.
Inteso il rapporto con la biblioteca civica del sobborgo di Manchester che la ragazzina scopre e frequenta fino da piccola. Efficaci le pennellate che dedica alla scuola pubblica che frequenta negli anni '60 e '70 fino alla conquista della borsa di studio per Oxford. Colorato e vivido è tutto il periodo di costruzione di sè fino a quando riesce a scrivere il suo primo romanzo autobiografico, a pubblicarlo, ecc. ecc.
Ma questo duro e inquietante romanzo autobiografico va oltre il piacere della lettura e della scrittura che salva la (e dà un senso alla) vita. Il racconto si spinge a descrivere la via che porta l'A. a rintracciare la madre naturale, a scoprire di avere sorelle e fratelli, a ricostruire la storia della madre naturale e a tentare di costruire una relazione con lei.
Lo definirei un libro dolcemente e ferocemente amaro, quello che l'A. ci consegna senza nascondersi. Senza nasconderci i suoi difetti, oltre a quelli delle persone e del mondo in cui la sua storia si è forgiata e scorre. Con una forza e una intensità emotiva davvero straordinaria. Pensandosi come individuo, certo, ma dentro un ambiente agito da forze collettive, dentro una classe sociale, in uno stato "civile" ed evoluto come è l'Inghilterra del secondo dopoguerra. Se non suonasse troppo retorico, mi augurerei che il libro avesse davvero molti lettori, perché le cose che dice e il modo come le dice stimolano ad una riflessione inconsueta e aiutano a riflettere sulla costruzione di sé e sul senso del mondo.

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