Faticoso e un po' troppo contorto per un santo semplice come Francesco. Anche se dipanare storie medievali non può essere un gioco semplice. Che poi tutti i grandi finiscano "traditi" è un'ovvietà. Il tempo reinterpreta e supera tutte le vulgate e ne inventa continuamente di nuove reimpastando una parte del vecchio. Non granchè.
lunedì 25 novembre 2019
Francesco e il sultano / Ernesto Ferrero (Einaudi, 2019)
sabato 23 novembre 2019
I giovani senegalesi organizzano un circolo di autosostegno.
I giovani senegalesi organizzano un circolo di autosostegno.
Si chiama Wakanda ed è stata inaugurata stasera in via delle Colline 52, a Pontedera, una sede di riferimento per il gruppo dei senegalesi di seconda generazione. Animati ed incoraggiati da Dia Papa Demba e dalla mediatrice culturale Maguette, sostenuti da Arci, Amministrazione comunale e Regione Toscana, un bel gruppo di ragazzi tra i 18 e i venti anni ha deciso di aprire un circolo dove... provare a fare diverse cose. Intanto avere un luogo per ritrovarsi in autonomia, organizzare un tutoring e ripetizioni scolastiche per i più piccoli, inventarsi progetti culturali, confrontarsi col resto delle comunità, inclusa quella autoctona, presenti nella città di Pontedera. Si tratta di una bella sfida, non c'è che dire, che coinvolge in primo luogo le persone della seconda generazione di migranti, ma che, in qualche modo, tocca anche la prima. Come responsabile della Biblioteca comunale non ho portato solo il mio saluto, non ho raccontato solo cosa la Biblioteca Gronchi può fare per le nuove generazioni, ho detto anche cosa la lettura e lo studio possono fare per gli adulti. Cosa la Biblioteca può fare per le donne immigrate e quali risorse informative può fornire a tutti loro. Non è mai troppo tardi, per nessuno, per cercare di alzare l'asticella della proprie legittime ambizioni: di lavoro, di cultura, di relazioni. Per far crescere il proprio livello di libertà. Certo per aumentare il proprio benessere e la felicità è necessario darsi da fare ed essere motivati a tenere il ritmo. Allenarsi a correre. A cooperare. A partecipare. Per questo agli amici di origine senegalese che stasera affollavano Wakanda dico che li aspetta un discreto lavoro. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, hanno tutti i numeri per farcela
venerdì 22 novembre 2019
Quando Mario Primicerio volò in Viet Nam con La Pira (1965)
L'incontro di presentazione del libro di Mario Primicerio sul viaggio "Con La Pira in Viet Nam" (ed. Polistampa) è stata un evento raro ed emozionante. Certo, avevo letto il libro, e dal testo era emerso che Primicerio è una persona di grande valore. Del resto un uomo che accompagna La Pira ad Hanoi e siede allo stesso tavolo con Ho Chi Minh e parla con entrambi in francese, beh per uno della mia generazione è già un mito. Ma dalla lettura del libro avevo capito un'altra cosa; ovvero che il professore di fisica che si è occupato per tutta la vita di matematica applicata (ai problemi anche dell'industria) è uno scrittore. Di qualità. E, ve lo giuro, il libro sul suo viaggio ad Hanoi con La Pira è costruito con una tecnica degna di Camilleri o se volessi esagerare (ma solo un po') di Primo Levi. Prima infatti delinea il contesto, poi introduce i personaggi dosando racconto e mistero (la lettera che i comunisti vietnamiti recapitano ai comunisti italiani che alla fine la portano a La Pira è strepitosa). Poi comincia il viaggio che tocca la Polonia, la Russia. D'un tratto tira fuori il suo diario di allora. Quindi prende tempo e ci infila l'attesa per l'incontro tra La Pira e Ho Chi Minh. Ed eccoci alle frasi che si scambiano il profeta cristiano e il rivoluzionario comunista. Fino a quella battuta pirandelliana di Ho Chi Minh che prima di rispondere ad una domanda cruciale di La Pira chiede a La Pira di mettersi nei suoi panni e di formulare lui la risposta, come se La Pira fosse Ho Chi Minh. E ancora il viaggio avventuroso da Pechino a Hanoi su un bimotore che non sembrava nemmeno un aliante, ma un "aquilone". E poi la conclusione del viaggio. Il messaggio segreto, con l'esito del colloquio che potrebbe portare all'apertura di negoziati di pace, da far arrivare al presidente dell'Assemblea dell'ONU (che guarda caso era il Ministro degli Esteri, Amintore Fanfani) che a sua volta dovrebbe farlo arrivare (sempre in segreto) al Presidente Usa, Johnson. E ecco il venticinquenne Primicerio che vola all'ONU per raccontare a voce a Fanfani il messaggio che doveva rimanere segreto.... e infine un finale immaginabile. Anzi due: uno in America e uno all'italiana in Italia. Finali che non svelerò. No. Solo gli storici e quella quarantina di ascoltatori di stasera sanno come sono andate veramente le cose. E so che erano 40 i presenti perchè ho aiutato a mettere le sedie, le ho contate ed erano tutte piene. Solo i 40 che hanno partecipato ad una serata davvero irripetibile, ascoltando non un "testimone" ma un protagonista della storia, hanno diritto di godersi il segreto che Primicerio, intervallato dalle poesie di Senghor, lette da 4 ragazzi senegalesi, alla fine regalato con la sua calma ma ferma agli ascoltatori. Tutti gli altri, i curiosi che non c'erano, dovranno leggere il libro (riscrivo: "Con La Pira in Viet Nam", Polistampa). E, credetemi, ne vale la pena. Mi auguro solo che qualche regista americano si innamori della storia, perchè il testo ha già tutto per trasformarsi in film e un sceneggiatore in gamba non dovrebbe fare molta fatica per scrivere il copione.
L'incontro di presentazione del libro di Mario Primicerio sul viaggio "Con La Pira in Viet Nam" (ed. Polistampa) è stata un evento raro ed emozionante. Certo, avevo letto il libro, e dal testo era emerso che Primicerio è una persona di grande valore. Del resto un uomo che accompagna La Pira ad Hanoi e siede allo stesso tavolo con Ho Chi Minh e parla con entrambi in francese, beh per uno della mia generazione è già un mito. Ma dalla lettura del libro avevo capito un'altra cosa; ovvero che il professore di fisica che si è occupato per tutta la vita di matematica applicata (ai problemi anche dell'industria) è uno scrittore. Di qualità. E, ve lo giuro, il libro sul suo viaggio ad Hanoi con La Pira è costruito con una tecnica degna di Camilleri o se volessi esagerare (ma solo un po') di Primo Levi. Prima infatti delinea il contesto, poi introduce i personaggi dosando racconto e mistero (la lettera che i comunisti vietnamiti recapitano ai comunisti italiani che alla fine la portano a La Pira è strepitosa). Poi comincia il viaggio che tocca la Polonia, la Russia. D'un tratto tira fuori il suo diario di allora. Quindi prende tempo e ci infila l'attesa per l'incontro tra La Pira e Ho Chi Minh. Ed eccoci alle frasi che si scambiano il profeta cristiano e il rivoluzionario comunista. Fino a quella battuta pirandelliana di Ho Chi Minh che prima di rispondere ad una domanda cruciale di La Pira chiede a La Pira di mettersi nei suoi panni e di formulare lui la risposta, come se La Pira fosse Ho Chi Minh. E ancora il viaggio avventuroso da Pechino a Hanoi su un bimotore che non sembrava nemmeno un aliante, ma un "aquilone". E poi la conclusione del viaggio. Il messaggio segreto, con l'esito del colloquio che potrebbe portare all'apertura di negoziati di pace, da far arrivare al presidente dell'Assemblea dell'ONU (che guarda caso era il Ministro degli Esteri, Amintore Fanfani) che a sua volta dovrebbe farlo arrivare (sempre in segreto) al Presidente Usa, Johnson. E ecco il venticinquenne Primicerio che vola all'ONU per raccontare a voce a Fanfani il messaggio che doveva rimanere segreto.... e infine un finale immaginabile. Anzi due: uno in America e uno all'italiana in Italia. Finali che non svelerò. No. Solo gli storici e quella quarantina di ascoltatori di stasera sanno come sono andate veramente le cose. E so che erano 40 i presenti perchè ho aiutato a mettere le sedie, le ho contate ed erano tutte piene. Solo i 40 che hanno partecipato ad una serata davvero irripetibile, ascoltando non un "testimone" ma un protagonista della storia, hanno diritto di godersi il segreto che Primicerio, intervallato dalle poesie di Senghor, lette da 4 ragazzi senegalesi, alla fine regalato con la sua calma ma ferma agli ascoltatori. Tutti gli altri, i curiosi che non c'erano, dovranno leggere il libro (riscrivo: "Con La Pira in Viet Nam", Polistampa). E, credetemi, ne vale la pena. Mi auguro solo che qualche regista americano si innamori della storia, perchè il testo ha già tutto per trasformarsi in film e un sceneggiatore in gamba non dovrebbe fare molta fatica per scrivere il copione.
giovedì 14 novembre 2019
Il film della RAI dedicato a Enrico Piaggio e il mito della Vespa
Il film della RAI dedicato a Enrico Piaggio e il mito della Vespa
Confesso che mi è piaciuto. E sono sicuro che il film della RAI sarebbe piaciuto molto anche a Enrico Piaggio. Certo è una biografia romanzata che tende ad accreditare perfino un Piaggio antifascista per difendere i suoi operai, un Piaggio che ha un rapporto molto forte e personale coi suoi collaboratori; un film che si inventa anche un intreccio strappalacrime per corteggiare il gusto contemporaneo (da eterni romantici) dei telespettatori. E' un film di sapore mitologico, girato prevalentemente su un set cinematografico, una fabbrica ricostruita, con qualche esterno nella villa di Varramista (Montopoli) e nelle campagne toscane, e scorci di Piazza dei Miracoli e della Normale (Pisa), un po' di citazioni di "Vacanze Romane" e.... tanta, tanta Vespa.Non è una storia del tutto vera, ma certo è verosimile. Fatta per piacere. Ideata per raccontare un periodo affascinante, forse irripetibile, della vicenda nazionale: quello della ricostruzione, con lo slancio economico e immaginifico del dopoguerra che avrebbe portato al boom economico della fine degli anni '50. Un periodo di cui Enrico Piaggio fu un protagonista, perchè di sicuro figura tra gli imprenditori italiani che costruirono quel boom. Certo, insieme agli operai, che, in parte, nella realtà quotidiana, a Enrico Piaggio furono ostili e non si sentirono mai "i suoi operai" (o almeno questo sta scritto nei documenti di allora conservati negli archivi sindacali e politici).
Perchè la vicenda vera della Piaggio è stata inevitabilmente molto più complicata. Ma per scrivere una biografia seria di Enrico Piaggio per ora mancano i materiali. Mancano gli archivi di famiglia, i carteggi, la documentazione, una bibliografia ricca e ben fatta e poi una indagine lunga e approfondita, oltre che una riflessione accurata eseguita da storici di valore. Sono questi gli ingredienti che darebbero spessore e "disincanto" alla biografia di un imprenditore che a 29 anni dirigeva già uno degli stabilimenti più innovativi in ambito non solo nazionale ma internazionale: parlo della Piaggio del 1932/33 dove si producevano motori per aerei da guerra. Quelli usati nella guerra di aggressione fascista all'Etiopia e poi nella seconda guerra mondiale. Elementi appena sfiorati e per certi aspetti distorti nel film.
Ma una cosa è la storia praticata come disciplina scientifica. E un'altra è il cinema per la TV che racconta storie. Tra i due prodotti culturali ci può essere una osmosi, ma i prodotti finali, i libri e i film, sono destinati sostanzialmente a pubblici diversi e quindi sono oggetti con caratteristiche e finalità proprie e non comparabili.
Ciò non toglie che un buon film non possa raccontare molte cose ad un pubblico di massa e vada quindi accolto, come in questo caso, in maniera largamente positiva.
Certo, un soggetto cinematografico (come quello elaborato da Roberto Jannone e Francesco Massaro), poi trasformato in una sceneggiatura (con la collaborazione anche di Franco Bernini) non è un libro di storia. Però ci suggerisce una lettura della storia e, come avrebbe detto il grande Benedetto Croce, ci aiuta perfino a capire il presente.
Così anche se Pontedera è appena citata nel film (e per noi pontederesi di oggi questo è un gran peccato!), in fondo questa assenza è quello che avrebbero desiderato tanti pontederesi degli anni '50 e'60 che si batterono con fierezza perchè Pontedera non si trasformasse in Piaggiopoli. Il film di Umberto Marino, di sicuro involontariamente, in qualche modo accontenta anche loro.
L'unico rammarico che ho è che per il momento la storia di Piaggio non si sia trasformata in uno sceneggiato. Perchè se avesse affrontato anche la giovinezza dell'imprenditore, il periodo bellico e poi anche la prima curva discendente del fenomeno Vespa all'inizio degli anni '60, avrebbe raccontato davvero un bello spaccato di storia nazionale. Perchè episodi duri, eventi forti, drammi, scontri, ma anche matrimoni "regali" (come quello tra la figlia Antonella e Umberto Agnelli) e fasi calde (con lunghi scioperi) non mancarono tra i primi anni '30 e la morte di Piaggio che risale alla fine del 1965.
E tuttavia, anche in questa versione light, il film contiene molto e almeno il mondo scolastico potrebbe utilizzarlo, magari con proiezioni introdotte e commentate da qualche bravo insegnate di storia.
La speranza poi non è solo quella che il film aiuti a veicolare ancora il mito della Vespa nel mondo. L'auspicio è che la storia di Enrico Piaggio possa dare ancora molto alla città dove la Vespa è nata. In termini di attrattiva turistica; e come luogo di produzione di idee e di fabbricazione di oggetti innovativi. Forse perfino come strumento di riflessione sulle relazioni sindacali e politiche. Forse!
Tutte cose che accadranno solo se i pontederesi di oggi sapranno dialogare meglio non solo con il mito della Vespa ma con le nuove opportunità tecnologiche che per ora abitano il viale Rinaldo Piaggio.
Ma sapranno far tesoro di una biografia come quella di Enrico Piaggio?
Di sicuro il film fa di Enrico Piaggio un personaggio "popolare", cosa che non si è ancora riusciti a realizzare con un'altra figura importante di questa città. Mi riferisco al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Anche lui meriterebbe un bel film per la TV.
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