sabato 18 novembre 2023

L'ARTE DELLA COMMEDIA A PONTEDERA

Intrigante la messa in scena de ”l’arte della commedia” di Eduardo De Filippo, un testo dal sapore molto, forse troppo, pirandelliano, scritto 60 anni fa, andato in scena ieri sera al Teatro Era di Pontedera, e che a tratti sembrava attualissimo. Anche in relazione alle criticità che sta attraversando il nostro teatro cittadino. E alle domande esplicite che rivolge al pubblico: serve un teatro al Paese? E gli attori e i registi hanno uno status professionale adeguato al ruolo? Ancora: il teatro è in crisi? E se si, per colpa dei nuovi autori o dei nuovi testi o dei costi? O per colpa della politica che non ci investe o non lo sostiene abbastanza? O per altre ragioni ancora? Si, decisamente una messa in scena stimolante anche se sobria, quella allestita al Teatro Era, con l’adattamento e la regia di Fausto Russo Alesi. Una messa in scena che la compagnia ha eseguito muovendosi su più registri, la maggior parte dei quali pescati, se non erro, nei repertori classici di De Filippo e di Pirandello, ma senza disdegnare altre citazioni (Ionesco? Le avanguardie anni ‘60..).

Una recita appassionata, a tratti forse troppo carica e un tantinello urlata, che si sforzava però di dare anima alla finzione teatrale.
Una sfida comunque coraggiosa che meritava di essere vista, ma a cui il pubblico della Valdera e dintorni ha risposto, purtroppo, con una certa timidezza nelle due serate di repliche. Forse per mancanza di interpreti noti al grande pubblico o forse per un lancio promozionale tardivo e poco capillare. Soprattutto i giovani mi
sono sembrati assenti. Almeno nella serata di venerdì. Ma si sono andati a cercare? Si sono coinvolti gli insegnanti delle scuole superiori per provare ad arrivare fino ai ragazzi? O si mettono in atto altre strategie per avvicinarli (a parte le buone intenzioni, che però lasciano il tempo che trovano)?
Peccato perché, anche se non si tratta di una delle commedie più efficaci e note di Eduardo, certo è pur sempre un copione ricco di intensità, di sfumature e di domande (sulla scienza, la superstizione, l’amore, l’educazione) che vale la pena di continuare a farsi. Peccato
perché è un testo comprensibile, che si dipana con chiarezza, e che si lascia seguire agevolmente per la durata di oltre due ore e mezzo. Per questo confesso che mi ha fatto sorridere cogliere in una conversazione tra spettatori che uscivano dalla sala il commento di un tizio, anziano ma non troppo, che sosteneva di averci capito poco e di aver trovato lo spettacolo decisamente faticoso. Avrei voluto ribattergli che è proprio quel briciolo di fatica
che si deve fare per seguire un testo che rende gli spettatori del Teatro esseri attivi e non fruitori passivi. Poi ho pensato a quali rompicapo fossero stati certi eventi teatrali che mi ero sorbito negli anni ‘70 e ‘80 e di quanto a lungo ne discutessimo e ci confrontassimo con gli amici per verificare di averci capito qualcosa una volta calato il sipario (quando c’era). Di quanto tempo rimanessimo fuori dal teatro a parlare della cosa e di quanto anche il nostro commentare e interrogarci esterno facesse parte dello spettacolo. Perché il teatro è uno strumento che non solo ci rivolge domande, ma ci stimola a farne. Perché un buon Teatro non ci vuole solo spettatori, ma coltiva l’ambizione di coinvolgerci e di renderci consapevoli di essere anche noi un po' attori. Ovviamente non ho detto nulla al tizio di cui avevo colto il
disappunto, ma dentro di me ho sorriso. Che altro potevo f

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