Riflettendo sul valore della memoria e dei testimoni rispetto ai campi di sterminio della seconda guerra mondiale.
Ho ascoltato alcune sere fa, presso la biblioteca di Pontedera, una trentina di ragazzi di diverse scuole superiori raccontare la loro esperienza del viaggio ai campi di sterminio. A quello di Auschwitz in particolare.
I ragazzi hanno detto tutti cose sagge. Molto sagge. Probabilmente perchè sono studenti in gamba e motivati. E avrebbero parlato in maniera intelligente e chiara della Shoah anche se non fossero stati in visita ai campi di sterminio. Ma per loro, per fortuna, il grand tour formativo ha incluso anche questi luoghi desolati. Perchè in fondo anche Auschwitz e Dacau e altri luoghi con nomi altrettanto terribili, per quanto appaiano tristi, malmessi e desolati, sono "musei" che producono in chi li visiti un'esperienza fondamentale ed in una certa misura indelebile. Chi esce da Auschwitz non è la stessa persona che vi è entrata. Perchè chi varca la soglia di un campo di sterminio è come una specie di Ulisse che scende nell'abisso dell'anima umana. Dacau, Auschwitz sono luoghi in cui l'inferno è sgorgato con la forza devastante di un vulcano sulla terra e si è manifestato provocando una piaga purulenta. Si può fare "museo" di una simile piaga morale? Si può fare museo dell'orrore e dell'inferno? Sì. La risposta non può che essere sì. Di più. Si deve fare in modo che a mano a mano che il tempo si allontana dall'ultima tragica eruzione dei vulcani del male in Europa non si perda la memoria del fatto che l'inferno c'è e può sempre spalancare le sue porte ed inghiottire tutti, credenti e non credenti. Intelligenti e stupidi. Ricchi e poveri. Come hanno dimostrato tragicamente anche le più recenti guerre balcaniche, quelle di fine Novecento.
E per queste ragioni che non solo devono esistere musei come Auschwitz, ma essi vanno tutelati con cura, perchè sono, di diritto, un patrimonio dell'umanità, come le rovine di Palmira o quelle molto molto più fortunate del Colosseo di Roma. E ancora. Le famiglie, le associazioni e le istituzioni pubbliche hanno due obblighi verso questi luoghi: visitarli e conservarli. E bene fa in particolare la Regione Toscana ad inviare periodicamente 5/600 ragazzi delle scuole superiori, in treno, nei luoghi dove l'Olocausto è stato più brutale e feroce, senza dimenticare le stazioni italiane della via crucis dei deportati.
Ma tra le tante cose sagge che i ragazzi hanno detto alcune sere fa, mi permetto di commentarne una.
Le visite ad Auschwitz si accompagnano anche ad incontri con deportati che, essendo all'epoca bambini, hanno miracolosamente attraversato quell'orrore e hanno ancora voglia e fiato per testimoniarlo e raccontarlo. I ragazzi sono colpiti dalle storie atroci degli ultimi superstiti. E provano un sentimento di tristezza e allo stesso tempo di orgoglio quando pensano di essere l'ultima generazione che avrà visto in vita i "salvati" dalla Shoah e avrà potuto udirli parlare e raccontare la loro esperienza.
E' vero. Ma mi sono permesso di aggiungere che molti dei testimoni dell'Olocausto che in effetti non sono più fisicamente con noi, non sono morti del tutto. Molti di loro ci hanno infatti lasciato testimonianze orali e scritte e mai come oggi è facile reperire queste testimonianze e leggere i loro racconti. E meditarli. E commuoversi.
In effetti ogni volta che leggo "Se questo è un uomo" di Primo Levi soffro. Così come piango sulle pagine de "La Notte" di Elie Wiesel. E lo stesso mi è accaduto con il diario "Ho fatto solo il mio dovere" scritto da Italo Geloni, un deportato politico di La Spezia e poi, a lungo residente a Pontedera, che è sopravvissuto a diversi campi di sterminio. Geloni ha fondato l'ANED ed è stato animatore fino alla sua morte di innumerevoli viaggi a Dacau e ad Auschwitz, accompagnando in questi "musei" centinaia di ragazzi e spronando la Regione Toscana a "scolarizzare" questa tipologie di "gite".
E confesso anche che ogni volta che leggo le parole di Levi o di Wiesel o di Geloni, io dialogo con loro e loro mi parlano. E non credo di essere matto; perché è esattamente la stessa cosa che faccio quando leggo un testo di Platone, di Seneca o di Thomas Mann. Perchè è anche grazie al dialogo coi morti che si diviene un po' più consapevoli di se stessi e del mondo.
Perciò finchè si stamperanno i libri con le testimonianze di chi è sopravvissuto alla Shoah e si leggeranno le loro parole sulla carta o nei file elettronici scaricabili perfino nel cellulare che teniamo in tasca, fino a quando avremo voglia di leggerli, i testimoni ci parleranno e ci aiuteranno a superare l'angoscia e la paura che le loro terribili storie ci debbono inevitabilmente trasmettere.
Non solo un antropologo. Tuttavia mi piace pensare che la stessa primordiale decisione degli uomini di seppellire i morti in una terra speciale, una terra identificata come luogo di culto dove periodicamente poter andare a parlare con loro e a ricordarli, sia l'atto fondante della storia dell'umanità. Un atto che crea una catena culturale e non solo biologica. E immagino che questo atto corrisponda al big bang dell'uomo. Perchè la sepoltura in un luogo degno di rispetto non è, come potrebbe apparire a prima vista, una follia del genere homo dettata dal dolore o solo un palliativo per colmare l'ansia della perdita. Sembra piuttosto una trovata geniale che consente ai vivi di dialogare con anime che grazie al ricordo e alla memoria non muoiono del tutto. Non fino a quando verranno ricordate. Grazie a questo è possibile costruire una genealogia, quindi immaginarsi la continuità temporale, infine la storia, l'umanizzazione del tempo. In questo senso le sepolture antiche sono anche i primi musei dell'umanità, tanto che mi pare buffo pensare che proprio di materiali recuperati da questi cimiteri siano pieni oggi i musei moderni.
E i campi di sterminio sono immensi cimiteri. Terre sacre per l'umanità tutta. Luoghi da attraversare in silenzio per ascoltare meglio le voci che da lì ci indicano le vie sbagliate. Le strade da evitare. I mali da combattere. Il razzismo. L'odio. La guerra. La violenza. Il desiderio di sopraffare gli altri.
Certo, sarebbe stato meglio per l'umanità non aver bisogno di questi cimiteri e di questi musei. Su questo non ci sono dubbi. Ma sarebbe sbagliato non custodire questi luoghi con cura. Disperderne volutamente la memoria. Assolvere la colpa. Perché se essi sono la testimonianza della presenza della malvagità e della follia umana nella storia, sono anche la prova che l'uomo può riscattarsi dall'orrore e costituiscono comunque un monito terribile di ciò che può accadere quando l'odio e la violenza hanno la meglio sulla ragione e sul rispetto reciproco. Una macchia indelebile. Un monito da ricordare. Per sempre.
27 marzo 2017
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