martedì 9 maggio 2017

In Europa sarebbe utile una opinione pubblica bilingue
Nell'agile volume che Enrico Letta ha scritto per sostenere le sue battaglie europeiste (e anche la sua presenza politica in Italia) ci sono molte riflessioni e molti spunti che meriterebbero di essere ripresi. "Contro venti e maree. Idee sull'Europa e sull'Italia. Conversazioni con Sebastien Maillard (Il Mulino, 2017) esamina molte ragioni per cui vale la pena di sostenere e se possibile rilanciare l'Unione Europea.
Tra tutte, mi piace sollevare un tema che Letta tratta di sfuggita, ma con parole accorate e che meritano un approfondimento. Serio.
Dice Letta quasi alla fine della sua intervista che la "società civile europea è molto debole a causa della barriera delle lingue. Per eliminare queste barriere occorre tempo. L'apprendimento delle lingue è molto più spinto di una volta, ma non bisogna lasciarlo alla sola iniziativa personale. Bisogna renderlo obbligatorio". E poi, più avanti nella stessa pagina, annota: "La società civile europea è debole anche per l'assenza dei media europei". Infine aggiunge che il digitale ci darà una mano.
In queste poche frasi credo sia riassunto il motivo per cui il sogno Europeo è destinato a rimanere fragile e legato o agli interessi economici cari soprattutto alla borghesia o a visioni politico culturali serie ma destinate ad una certa precarietà, almeno in questa fase storica.
Affievolita la spinta propulsiva dell'aspirazione alla pace (dopo 70 anni di pace ininterrotta in Europa la paura delle guerra non è più un timore forte a livello popolare, anche se questo non vuol dire che la guerra non resti una tragedia sempre possibile tra popoli "civilizzati"), preso atto che dal punto di vista economico l'Europa non può garantire un sistema disseminato di welfare di altissimo livello (mancando all'Europa sia un motore economico fortissimo che sostenga tale welfare sia un'altrettanto forte volontà politica di costruire una comunità più solidale); tenuto invece conto che l'Europa è scossa dai mille problemi che agitano anche il resto del pianeta, rispetto ai quali problemi non è facile per un soggetto plurale come l'Europa prendere decisioni efficaci per tutti, si evidenzia bene come manchi una opinione pubblica che ragioni "in termini europei" e suggerisca agli eletti decisioni "europee" ovvero non condizionate da egoismi nazionalistici (almeno nella misura in cui ciò è possibile).
E ha ragione Letta a sottolineare come sia particolarmente debole quell'insieme che lui chiama "società civile europea" e che invece io preferirei definire come "opinione pubblica europea".
Ma comunque la si intenda, resta il fatto che, come ha notato Letta, per poter avere una società civile davvero europea è necessario superare le attuali barriere della lingua. Gli europei non parlano, né scrivono, né usano, se non in misura assolutamente minoritaria (università, centri di ricerca, determinati contesti economici), una lingua comune. Ognuno di noi continua a pensare, scrivere, parlare nella sua lingua nazionale e ad avere come orizzonte per lo più i confini del proprio Paese.
Già, ma come si supera tutto questo? Come si superano i particolarismi nazionali?
Letta parla genericamente di "apprendimento delle lingue" che va reso obbligatorio. Ma cosa vuol dire in concreto? Su questo punto, Letta è meno chiaro.
Il problema di una lingua comune che desse voce ad un'opinione pubblica europea se lo posero con chiarezza i fondatori della Comunità negli anni '50 del '900, quando, almeno in alcuni paesi europei, fu coltivata l'idea di sostenere una lingua artificiale scritta e parlata da tutti in Euorpa. Quella lingua, l'Esperanto, fu perfino introdotta in via sperimentale e se non erro volontaria nell'insegnamento scolastico. Ricordo di aver preso lezioni di Esperanto a scuola a Pontedera, alle medie, alla metà degli anni '60. Poi la cosa finì.
Non credo che sia possibile rilanciare oggi l'Esperanto (lingua artificiale), ma ritengo invece che il superamento delle barriere linguistiche possa manifestarsi attraverso la costruzione di Europa bilingue. Un'Europa in cui ogni cittadino conosca bene la propria lingua nativa, ma ne padroneggi con facilità anche un'altra, veicolare, comune a tutti gli altri europei. Una lingua con cui gestire la propria cittadinanza europea. Una lingua già strutturata, diffusa sul piano scolastico, per apprendere la quale ci sono già insegnanti e libri di testo, e che reca con sé molti motivi ed evidenti vantaggi per essere adottata ed usata.
Non credo invece all'idea, per altro molto diffusa tra gli intellettuali europei, che la lingua europea risieda nella "traduzione delle varie lingue". So bene che questa idea è sostenuta da grandissime personalità della cultura che rispetto e ammiro moltissimo e che porta con sé anche certi vantaggi (e un bel po' di lavoro di traduzione).
Ma se vogliamo che si sviluppi un'opinione pubblica europea con un'anima europea serve una lingua veicolare comune a tutti, intesa e usata con scioltezza e facilità da tutti o almeno dalla stragrande maggioranza degli europei, a qualunque nazione o ceppo linguistico base appartengano. Una lingua che non abbia bisogno di intermediari. Mentre la "traduzione" è l'esempio più perfetto di intermediazione culturale.
Allora, come sosteneva anche il più famoso dei linguisti italiani, Tullio De Mauro (in Internet è rintracciabile un appassionato discorso in cui De Mauro difende questa tesi all'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=NFMJG-xpgDA), la lingua veicolare "europea" non può che essere l'inglese. E la soluzione linguistica più sostenibile per gli europei (ma pur sempre un traguardo politico da conquistare) è il biliguismo.
Solo il bilinguismo infatti potrebbe avere il vantaggio di realizzarsi in tempi rapidi (una volta accolto come scelta politica) e potrebbe creare quella koinè che, a sua volta, potrebbe favorire lo sviluppo di un'opinione pubblica europea e di un'editoria di portata europea. Gli stessi media  (TV in primis) e i social network potrebbero diventare a quel punto strumenti ancora più unificanti (con l'uso spinto della lingua veicolare) e l'Europa potrebbe spostare le ingentissime somme che oggi investe sulle traduzioni (in 24 lingue diverse) verso il sostegno ad un'unica lingua veicolare.
Ovviamente senza pretese puriste. Ma con finalita' pratiche. Creare l'unità linguistica dell'Europa. Un sogno certo. Ma a portata di mano.

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