martedì 16 maggio 2017

Ma che lingua dovrebbe parlare un futuro leader europeo?

In due lunghi interessanti articoli apparsi sul Corriere della Sera del 10 aprile e del 14 maggio di quest'anno Ernesto Galli della Loggia (editorialista del "Corriere della Sera") e Roberto Esposito (filosofo teoretico e della politica, docente alla SNS di Pisa) sostengono, in estrema sintesi, che l'Europa avrebbe bisogno per rilanciarsi di un leader, eletto democraticamente, con un voto popolare diretto da tutti i cittadini europei. Un uomo politicamente forte proprio perché scelto direttamente dai popoli europei. Quest'uomo (o donna che sia), eletto dai popoli, dovrebbe essere nominato Presidente della Commissione Europea e scegliersi con una certa libertà i suoi ministri. Beh, ovviamente, i due lunghi articoli del "Corrierone" sono più dettagliati e dicono anche altro, ma la sostanza è che per progredire verso un'Europa politica (con una sua politica estera e una sua difesa) secondo i due autori serve l'elezione diretta (possibilmente in un giorno uguale per tutti gli stati) di un leader coi fiocchi.
Peccato che ai due commentatori politici, schierati come me pro-Europa, non venga a mente di chiedersi: ma quale lingua dovrebbe parlare un leader simile (e i suoi competitori, naturalmente) per risultare facilmente comprensibile e quindi valutabile da parte dei suoi elettori sparsi dei 27 paesi dell'Unione?
Perchè anche se quello che fu un assillo dei padri fondatori dell'Europa, ovvero cercare di costruire una lingua europea parlata o almeno intesa dai vari popoli europei, oggi è un problema rimosso, non vuol dire che la questione della lingua sia risolta. Tutt'altro. E se si vuole costruire un più forte e solidale senso di comunità europea, se si vuole che questa comunità esprima un autorevole leader europeo, se si vuole che questa comunità riconosca i propri confini globali, i suoi abitanti, almeno la stragrande maggioranza dei 400 milioni di elettori europei, dovrebbero parlare o almeno intendere una comune lingua europea.
Il guaio è che oggi questo non è possibile. E, peggio ancora, la tesi dominante è che la vera lingua europea è la traduzione. Il che rappresenta una scelta paralizzante e blocca lo sviluppo della Comunità Europea.
Certo la "traduzione" è una soluzione condivisa da tantissimi. Intellettuali compresi. Persino dagli anti-europeisti convinti (e questo già dovrebbe insospettire). Ma è evidente che è la scelta meno agglutinante possibile.
Certo, questa opzione mette d'accordo un po' tutti, ma ha il difetto che non funziona come motore per costruire una comunità europea emotivamente coesa e blocca lo sviluppo di una vera cultura meticcia. Inoltre ha un notevole costo finanziario.
Tra gli effetti bloccanti evidenzio anche che la traduzione inchioda la comprensione della comunicazione, soprattutto quella di valore politico, alla "mediazione" e inibisce quindi la fruizione diretta di qualunque discorso politico da parte delle singole persone. Ma questo significa che circa 400 milioni di elettori sentiranno sempre distante qualunque leader europeo.
Aggiungo che ci sono molte altre ragioni per suggerire a chi chiede più Comunità Europea di affrontare prioritariamente la battaglia culturale per individuare una lingua europea.
E senza farla troppo lunga (e saltando argomenti che allungherebbero troppo questo testo) aggiungo che la lingua europea non può che essere una specie di Euronglish, sulla scia di quanto sta avvenendo nel mondo scientifico, in quello economico e, almeno in parte, in quello delle relazioni personali.


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