SALONI DEI LIBRI - IN ITALIA A VOLTE LA DISUNIONE FA LA FORZA
L'Italia è uno strano Paese. Anzi no. Ormai è chiaro è il paese del piccolo è ganzo. E a volte il il piccolo funziona meglio del grande. Non c'è da vantarsene, perchè i piccoli anche se sono ganzi sempre piccoli rimangono, ma.. nella confusione di un mondo sempre più complicato a volte branchi di pesci piccoli possono trasmettere il loro colore al mare. Oppure fare cose rilevanti. Magari sul piano della qualità.
E' il caso dei saloni dei libri in Italia.
Un salone di spessore europeo non possiamo o non riusciamo a costruirlo. Mettere d'accordo tutti i protagonisti della filiera del libro in Italia sarebbe come pretendere di quadrare il cerchio. O almeno così pare. Nel frattempo tanti anni fa ci provò Torino, in piena crisi Fiat, a sostituire il business delle auto con quello dei libri. Gli andò bene. Certo Torino è un luogo decentrato rispetto al resto del Paese (non a caso non ci si potè fare la capitale d'Italia anche se furono i monarchi torinesi a guidare il processo risorgimentale e conquistare l'Unità Nazionale e forse la capitale se la sarebbero persino meritata). Il meglio dell'editoria torinese entrava allora in una fase di declino. Le sue Università... Lasciamo perdere. Tanto il fatto importante è che Torino, per varie ragioni, lanciò 30 anni fa il Salone ed è riuscito piano piano a costruire una sua tradizione. Una tradizione che, con qualche sostegno pubblico, è riuscita a portare a Torino 100.000 visitatori ad ogni edizione negli ultimi anni.
Peccato che nel frattempo l'editoria torinese abbia perso autonomia e sempre di più il baricentro editoriale si sia invece rafforzato in quel di Milano. Così la capitale dell'editoria italiana, parlo di Milano, nel 2012 ha lanciato Bookcity (una specie di salone del libro distribuito in città in autunno) e poi ha tentato nel 2017 di cannibalizzare il Salone di Torino, inventandosi un salone milanese a primavera e portandoci 70.000 visitatori, nell'area della Fiera di Rho.
Nel frattempo anche Roma, la subcapitale della editoria italiana, ha giustamente organizzato due fiere di libri (una primaverile ed una a ridosso del Natale). Entrambe con buoni numeri. Di vendite e presenza di pubblico. La demografia del resto non manca alla capitale politica italiana. E i lettori nemmeno.
E il bello è che tutte queste fiere stanno andando proprio molto bene.
Il salone di Torino poi quest'anno, stimolato dalla concorrenza lombarda e ormonizzato da un surplus di sostegno pubblico, è stato un successone, superando quota 160.000 visitatori (e chiunque sappia come si arriva a Torino via treno o in auto si rende conto di cosa intendo dire quando parlo di "successone").
Ne deduco che la concorrenza, mescolata ad una buona dose di capitalismo e a dosi altrettanto massicce di sostegno pubblico, servono.
Servono, servono. Perfino per far vendere più cultura in un paese dove in certi casi sono davvero la disunione e il municipalismo a fare se non la forza almeno il successo.
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