Riflessioni postelettorali sui paesi del pisano
Ora che la passione politica, la propaganda elettorale ed il timore di essere fraintesi non obbliga più ad un linguaggio "cauteloso", ora forse si può riflettere su queste elezioni politiche e amministrative e sull'impatto che hanno avuto nel pisano.
E la prima cosa che a me dicono (anche sulla scia dei risultati delle politiche del 2018) è che il Centro Sinistra (d'ora in poi CS) non è maggioranza "politica" assoluta in quasi più nessuno dei nostri paesi. Ovviamente se il CS non è più maggioranza assoluta, tanto meno lo è il PD che del CS è solo una componente (anche se maggioritaria).
Ragionare del perchè e del come questo sia accaduto e se questo ridimensionamento sia reversibile o meno aprirebbe un interessante dibattito, che per il momento però accantonerei.
La cosa su cui mi concentrerei è che ad una non maggioranza politica del CS, corrisponde una maggioranza formata da Centro Destra (attualmente a trazione leghista) e dal M5S. Ma, per fortuna del CS, questa maggioranza elettorale non può saldarsi nè sul piano politico, nè su quello amministrativo. O almeno non può farlo ufficialmente e spesso non lo fa nemmeno ufficiosamente.
Da qui, nel pisano, nasce la vittoria del CS sul piano amministrativo. Una vittoria, però, che incorona una minoranza, a cui viene affidato il compito di amministrare i comuni e i loro enti gestionali.
Aggiungo che la vittoria amministrativa del CS nasce anche da altri due debolezze del Centro Destra: la fragilità di una classe dirigente locale e l'inevitabile assenza di un leadership autorevole.
Infine la vittoria amministrativa del CS scaturisce dal fatto che il CS ha ancora radici valoriali e familiari nei territori; ha un corpo di amministratori riconosciuti e validi (ma non sempre e non ovunque); ed è ancora in grado di tenere insieme interessi, associazioni e parti di società civile (ma sempre meno).
Da tutto questo ricavo la convinzione che il futuro del CS dipenderà sempre di più dalla bravura dei suoi amministratori, dalla qualità della sua azione amministrativa e dalle capacità relazionali delle sue disomogenee componenti.
Non che questi fattori non abbiano contato in passato, ma in futuro conteranno sempre di più.
Così come conterà sempre di più la capacità di ragionare sulle critiche e sui suggerimenti che verranno da chi, nei fatti, è al contempo maggioranza politica e minoranza sul piano amministrativo e sull'abilità nell'assorbirle.
Credo infine che i sindaci che in questi giorni si affannano a dire che saranno "i sindaci di tutti" dovranno dimostrare la veridicità di questa loro affermazione con atti concreti. E questi dovranno sostanziarsi non solo nella capacità di ascoltare le critiche delle opposizioni e poi però fare come gli pare. Dovranno articolarsi nella costruzione di un negoziato continuo con la maggioranza politica dei concittadini che la pensa diversamente dal sindaco eletto. E questo non perchè i sindaci eletti non siano legittimati a governare col voto contrario dell'opposizione. Possono farlo. La democrazia amministrativa glielo consente sia nella forma che nella sostanza. Ma chi si ritiene "sindaco di tutti" e sa di essere stato eletto solo da una minoranza di cittadini dovrebbe porsi il problema etico di come rappresentare anche gli altri. Anche i suoi non elettori. Sennò cosa vuol dire essere il "sindaco di tutti" se realizza solo il programma politico della sua parte politica, per giunta minoritaria?
E il negoziato con le opposizioni che sono la maggioranza politica non può essere un trucco. Voler rappresentare tutti vuol dire incarnare uno stile amministrativo che umilmente prenda atto dei limiti del proprio mandato amministrativo e assecondare i desiderata di tutti i cittadini e non solo di quelli che si riconoscono nella propria parte politica.
Credo che da questo nuovo stile amministrativo potrebbe uscire una migliore capacità di gestire la cosa pubblica. In forme più condivise e sicuramente più partecipate. Naturalmente anche più complicate. Ma accadrà?
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