sabato 26 ottobre 2019

Ci rido sopra. Crescere con le pelle nera nell'Italia di Salvini / Tommy Kuti,

Ci rido sopra. Crescere con le pelle nera nell'Italia di Salvini / Tommy Kuti, Rizzoli, 2019, p. 236
Testo leggero, furbo e intelligente scritto da un rapper emergente, di famiglia nigeriana, ma nato e cresciuto nel bresciano e sostanzialmente padanizzato e italianizzato, a parte il disamore per Bossi e Salvini.
Il ragazzo (ha 30 anni) si definisce "afroitaliano" e scrive testi e canzoni (di cui non ho ascoltato nulla) come uno dei diversi rapper norditaliani. Nel libro ha deciso di autobiografarsi con un linguaggio leggero e scorrevole; e c'è riuscito. Bene. Ne esce una lettura piacevole che cerca di smontare diversi luoghi comuni sugli immigrati africani in Italia.
Naturalmente Kuti non nasconde ai suoi lettori la dura vita dell'immigrato. I quartieri dove ha abitato. I problemi di convivenza con gli altri immigrati e con gli autoctoni. Ma il racconto è fatto in positivo, ovvero cercando per ogni problema una soluzione, evitando di covare rancore o avvilimento. Carine anche le pagine sul decalogo dell'immigrato.
Insomma il sovrabbondante Tommy Kuti affronta in maniera costruttiva la realtà contro cui si trova a sbattere. Si misura con gli altri, cerca di inserirsi nel contesto scolastico, sogna di "limonare" con le ragazze italopadane e di altre provenienze, frequenta un istituto superiore, fa un anno di scuola negli Usa dove finalmente "limona"..... e alla fine trova un corso di comunicazione all'Università di Cambridge in UK e lì si laurea in comunicazione. Certo quando pretende di sfruttare la laurea in Italia sbatte il muso. Ma lui è portato alla musica. Ha imparato a comunicare la sue emozioni. Ha sempre avuto la passione per scrivere e cantare. Così si mette a scrivere testi. Si esibisce in più gruppi. E nel frattempo coltiva relazioni. E alla fine viene lanciato da Della Gherardesca nel programma TV "Pechino Express".
Certo, come scrive lui, la gafi resta il suo primo pensiero. Pensiero che condivide con la stragrande maggioranza di afroitaliani, padano italiani e solamente italiani. E la gafi costituisce una ossessione ricorrente (citata, sfumata, intuita, sotto traccia) in gran parte del libro.
Ma nelle sua pagine c'è molto di più e molto spazio ha il complesso rapporto con la famiglia (padre, madre e fratelli), dove Kuti delinea una relazione e una storia che non ha niente di diverso dai rapporti familiari nostrali. Leggere per credere.
E poi c'è il rapporto coi soldi, la smania di farli e di spenderli. Tipico dei nigeriani, dice lui. E tipico anche degli italiani, aggiungo io. Non solo padani.
Quindi il razzismo che si respira nell'aria e si vive nelle nostre comunità
E poi la scuola italiana di cui, guarda un po', Kuti parla sostanzialmente bene, sia per i livelli di integrazione che per la capacità di alcuni insegnanti sensibili di dargli una mano. Ovviamente non sono tutte rose e fiori. Ma il capitolo sulla scuola lo chiude dicendo che anche peggiori studenti italiani (lui si è diplomato con 60) all'estero fanno la loro brava figura (sarà per questo che esportiamo cervelli? E non c'è qualcosa di molto positivo nel farlo?).
Più scontate ma mai banali anche le sue riflessioni sulla religione e sulla politica.
Commoventi alcune righe di ringraziamento per il circolo Arci Dallò dove è cresciuto culturalmente e sentimentalmente.
Riassumerei che è un testo perfetto di motivazione all'integrazione e al farsi strada nella vita (perfetto la caccia alla gafi). Del resto già nel primo capitolo Kuti dichiara di sentirsi un cittadino del mondo. Già, siamo tutti planetari, ci avrebbe ricordato Padre Balducci.
Lettura obbligata per i giovani di tutte le provenienze e di tutti i colori. Ma non sconsigliato neppure ai vecchi che vogliano sentirsi più giovani.
Disponibile nella Rete Bibliolandia
Ma che cos'è l'Europa?

Certo non uno Stato. Ma neppure una confederazione. E', per autodichiarazione, un'Unione. Ma cos'è esattamente un'Unione dal punto di vista istituzionale? Bella domanda. La risposta, temo, sarebbe lunghissima. Ma la sostanza è chiara. E' un soggetto privo di una esplicita sovranità popolare. La sovranità europea esiste solo su concessione (parziale) dei singoli stati aderenti ed è revocabile e negoziabile. Nell'Unione si può entrare ed uscire. Con un po' di fatica, ma si può fare. Brexit docet.
L'Europa dunque non è uno stato sovrano. Di uno stato non possiede nè esercito, nè polizia. E, a voler essere pignoli, neppure un vero sistema giudiziario. Non ha neppure un proprio sistema di tasse. Nè un proprio sistema scolastico, sanitario, sociale, ecc. ecc. La sua moneta, l'Euro, è accettata solo in 19 dei sui 27 stati.
Non possiede una Costituzione.
Ha però diversi organi decisionali, ha un bilancio (derivato), promulga leggi e direttive, produce atti con valore giuridico nei confronti dei partner e del resto del mondo. La cosa più bella che ha consentito e consente è la libera circolazione di uomini, denaro e merci in uno spazio comune sostanzialmente democratico ed ha elaborato pezzi di economica politica negoziata tra gli stati aderenti all'Unione.
Fa anche altre cose (inclusa un po' di cultura), ma in maniera molto negoziata.
In breve è un'istituzione a forte valenza economica, in continuità con la sua nascita che è collegata alla stipula di importanti trattati commerciali ed economici.
Alcuni sostengono che l'Europa sta trasformandosi in un soggetto politico. Ma ammesso che le forme della transizione lo consentano, passerà ancora molto tempo prima che questo soggetto nasca. Ripeto: ammesso che riesca a farcela. E comunque adesso quel soggetto politico non c'è.
Per queste ragioni chi invoca l'Europa come soggetto politico sovrano, in grado di stare alla pari con Stati come la Cina (che tecnicamente è una dittatura politico-militare), la Russia (che non è uno stato democratico) e gli Stati Uniti esprime un desiderio che non essendo l'Europa un soggetto politico sovrano non può esaudire. Anzi non può nemmeno prendere in considerazione.
Eppure gli articoli di giornali e la comunicazione interpersonale spesso dicono: "l'Europa dovrebbe.." o si chiedono: "L'Europa dov'è?".
Non so dire quale sia il grado di miopia, di ignoranza e di sostanziale autoinganno di questi milioni di persone che invocano più Europa o un'Europa più attiva.
Certo che ci sarebbe bisogno di una qualche entità che risolvesse tutti i mali del mondo o che sapesse cosa fare rispetto al loro svolgersi.
Ma questa entità per ora non c'è. E non è e per ora non può essere l'Europa.
Precisato questo, so però che con tutti i suoi limiti e con la sua organizzazione derivata e negoziata, l' Unione Europea è stata ed è una benedizione del cielo e una fortuna che non dobbiamo indebolire e, Dio ce ne scampi, perdere.

I 13 racconti di Dino Fiumalbi presentati alla Biblioteca Gronchi di Pontedera

Cerchiamo quadrature?
Affollatissima presentazione dell'ultima fatica letteraria di Dino Fiumalbi alla Biblio Gronchi di Pontedera. Si tratta di un agile volumetto di 13 racconti (scritti nell'arco degli ultimi venti anni) che affrontano temi di vita quotidiana, momenti e personaggi di storia locale (Elba, Vicopisano, Pontedera) e curiosi sviluppi di storie prodotte da altri grandi autori (Manzoni, Leopardi). In poco più di 100 pagine quella specie di scrittore gaudente che è Fiumalbi ha allineato le sue storie, per intrigare i lettori, costruendo finali a sorpresa, intrecciando parole e commuovendoci. Ottimamente introdotto e descritto da Monica Marrucci, letto con grazia dall'attore Alessandro Tognarelli, Dino Fiumalbi ha spiegato con la sua proverbiale meticolosità la sua poetica. Le scelte, i toni, i personaggi e i colori, un insieme composito che lui ha riassunto nel titolo del volume: "Noi umani cerchiamo quadrature" (Bandecchi & Vivaldi editore). Una caterva di amici ed estimatori in biblioteca a godersi il loro amico e il loro autore. il tutto annaffiato alla fine anche da un bicchiere di Vermentino. Una quadratura davvero perfetta.

lunedì 21 ottobre 2019

Venti anni del Museo della Scrittura di San Miniato

Ho partecipato sabato 19 ottobre ad un compleanno speciale: quello del Museo della Scrittura. Oggetto molto particolare, alloggiato in un grande capannone industriale di San Miniato Basso. Conosciuto ed usato dal mondo della scuola, ma ignorato dal grosso dei sanminiatesi. Come in parte è scontato che accada. Nato nel 1999, all'inizio dell'era digitale, dall'idea di consentire ai ragazzi di capire come si era creata la civiltà della scrittura (e della lettura) e come era evoluta, il museo/laboratorio didattico puntava sul coinvolgimento degli stessi bambini e dei ragazzi che venivano (e vengono) invitati a misurarsi, proprio fisicamente, con l'azione di scrivere sulla pietra, sull'argilla cotta e cruda, sulle tavolette cerate, sui pezzi di papiro e sulla pergamena.
L'idea, nata per una mostra itinerante, attecchì e funzionò e l'Amministrazione Lippi e poi quella guidata da Frosini la stabilizzarono e le dettero fiato fino a far passare dalla struttura di San Miniato Basso circa 400 scolaresche all'anno, provenienti non solo da San Miniato ma da tutta la Toscana e anche da Regioni vicine.
Il progetto, come ha documentato la relazione di Barbara Pasqualetti, nei primi anni del nuovo millennio si allargò alla storia dei numeri nell'antichità (sempre con oggetti con i quali e ragazzi dovevano (e debbono) interagire), alle misurazioni del tempo e all'evoluzione verso il digitale. Poi... poi il progetto museale un po' di fermò e i visitatori (in primis le scolaresche provenienti da tutta la Toscana, ma proprio tutta) diminuirono. Ma, ed è questa la cosa più bella, l'idea continuò a funzionare. Molti insegnanti portano i ragazzi al Museo e la cooperativa La Pietra d'Angolo che ha in gestione il Museo, mantiene un impegno straordinario. Lo spazio funziona e una media sulle 200 classi per ciascun anno scolastico sbarca in via De Amicis e invade lo spazio, animando di suoni e riflessioni le stazioni della scrittura e l'area dei numeri antichi. 
Perciò è stato bello sentire il nuovo sindaco Giglioli e il nuovo assessore alla cultura, Arzilli, sostenere che l'Amministrazione comunale si impegnerà a rilanciarlo.
Davvero un bel ventennale per chi l'ha pensato, costruito, animato e per chi ancora oggi come Barbara Pasqualetti, Cinzia Cioni e altri operatori continua a crederci, a renderlo vivo e accogliente per frotte di ragazzini che almeno per un po' sono disponibili e spegnere i loro smartphone e i tablet e giocare a scrivere esattamente come facevano i loro coetanei babilonesi, egiziani, etruschi e romani.
Anche in questo il museo della civiltà della scrittura di San Miniato insegna e trasmette strumenti di civiltà e contenuti molto positivi.
Sì vale davvero la pena che continui a funzionare.

Il sindaco Giglioli e le operatrici e gli operatori della Pietra d'Angolo al Museo della Scrittura

I



giovedì 17 ottobre 2019

Marcovaldo Punk. Un comunista a Palazzo Chigi / Pilade Cantini, Clichy, 2019, p. 186

Letto. L'autore scrive bene. Molto bene. Insisto: davvero molto bene. E' che, strizza strizza, dice poco. E' spiritoso, certo. La battuta non gli manca. Fa del bozzettismo E lo fa bene. Alla toscana. Ma deh, ma deh, ma deh....
Non è lavoro, è precariato / Marta Fana, Laterza, 2017, p. 173

Testo a clichè. Ambito Rovelli/Gallino. Poco di originale. Poco statistico. Alcuni casi assunti a punti di riferimento. Certo il precariato esiste. Ma per capirlo e forse affrontato andrebbe ingegnerizzato dal punto di vista sindacale. Ma il sindacato non può farlo. Non ha strumenti. Nè M. Fana glieli fornisce. Un'analisi inutile anche per la lotta di classe. Non produce sapere sociale. Consolida il divario che esiste tra gestione dell'impresa e gestione dei diritti del lavoro. Peccato. Aspetteremo il prossimo libro della stessa autrice.

martedì 8 ottobre 2019

Chi è il mio prossimo? / Martin Luther King ed altri. Con una postfazione di Giuseppe Cecconi, Giovane Africa Edizioni, 2015, pp. 60

Il testo di Martin Luther King dedicato alla riflessione su "Chi è il nostro prossimo?" è un potente sermone scritto e pronunciato dal reverendo americano leader dl movimento contro la segregazione e la discriminazione razziale negli USA e nel mondo.
Il ragionamento si sviluppa in gran parte attorno alla parabola del buon samaritano ed elabora i concetti di altruismo universale, altruismo rischioso e altruismo eccessivo, congiungendo l'episodio del buon samaritano con la morte altruistica di Gesù.
Il testo di ML King è ancora (e più che mai) attuale, in un mondo in cui gli uomini di etnie, culture, paesi diversi, di diversa religione e di diverso colore della pelle, sono sempre più mescolati. Nelle grandi megalopoli come nei piccoli centri.
La convivenza tra diversi e il superamento di segregazioni e discriminazioni con cui lui lottava ML King negli anni '60 richiedono ancora sia una legislazione più evoluta che una crescita morale che faccia sviluppare in ciascuno di noi più altruismo, più compassione e più amore.
Le neuroscienze che in questi ultimi anni hanno compiuto importanti passi avanti nella conoscenza della mente e del comportamento umano ci obbligano a secolarizzare la riflessioni di King, ma nella sostanza non ne smentiscono l'approccio e le conclusioni che restano validissime.
Certo noi sappiamo che l'altruismo è una conquista evolutiva lenta dell'uomo.
Sappiamo che nella nostra genetica e nell'esperienza antropologica egoismo ed altri sentimenti "negativi" (pregiudizi, timori, sentimenti di ripulsa, paura dell'altro, ecc.) sono profondamente radicati.
Oggi sappiamo che non è solo il capitalismo a sviarci dall'altruismo e che l'egoismo individuale e quello di gruppo, come i ritorni razziali e nazionalismi, non sono prodotti solo dal "provincialismo" e dall'ignoranza. E comunque non sono sentimenti e atteggiamenti che si superano con facilità.
Paradossalmente anche la grande libertà e facilità di movimento che caratterizza oggi (e io dico fortunatamente) l'umanità producono o rafforzano, come effetto secondario, certo indesiderato, chiusure, timori, muri.
Insomma la sfida per la costruzione di una coscienza umana planetaria, come direbbe Balducci e come ci suggerirebbe di fare la "crisi climatica", a cui in questi giorni ci richiamano sia il sinodo episcopale sull'Amazzonia sia la presenza all'ONU di Greta Thumberg, è tutt'altro che facile e non è risolvibile con schemi ideologici vecchi.
Occorre molta più capacità di dialogo e di ascolto di tutti verso tutti.
Ed è anche di questo che, credo, si parlerà domani, nel nostro piccolo, a Pontedera nella conferenza di presentazione del testo di Martin Luther King, alle ore 17, presso la Chiesa del SS. Crocifisso.


giovedì 3 ottobre 2019

Presentazione del libro di Silvano Granchi "Il tempo del silenzio. Una scomparsa, tante ipotesi, una sola verità" (edito dalla Conchiglia di Santiago, 2019)

Sabato prossimo (5 ottobre 2019) Floriano Romboli presenterà alla Biblioteca di Pontedera l'ultima fatica letteraria di Silvano Granchi. Si tratta di un romanzo che contiene un'indagine sulla scomparsa del prof. Federico Caffè. L'indagine è dunque ispirata ad un episodio vero risalente al 1987.
Lo scomparso (volontariamente? Involontariamente?) è un economista italiano, docente universitario, abbastanza noto all'epoca, anche se oggi (sono passati 30 anni) quasi dimenticato e ignorato dai giovani (come è ovvio che sia).
Granchi fa indagare su questa scomparsa un poliziotto e un carabiniere, costringendoli a girare intorno ad una serie di ipotesi che portano a quella che diverse persone giudicarono già allora la soluzione più probabile.
A questa scomparsa anche lo scrittore Ermanno Rea aveva dedicato un libro intitolato "L'ultima lezione" (Einaudi 2001).
Confesso che come in molti romanzi d'indagine anche in questo caso la vicenda sembra servire soprattutto allo scrittore (in questo caso l'ex sindaco di Ponsacco Silvano Granchi) per raccontare le proprie idee sulle vicende del mondo e del nostro paese in particolare, oltre che su quelle del caso "Caffè".




mercoledì 2 ottobre 2019

Martin Eden / film di Pietro Marcello con Luca Marinelli (2019)

L'ambientazione italiana del libro Martin Eden di Jack London ha generato un film complesso e assai più cervellotico ed intricato del testo scritto dall'autore americano. Del resto il regista Marcello ha scritto di essersi molto liberamente ispirato al romanzo americano.
In realtà la struttura portante della trama del film ricalca quella essenziale del romanzo autobiografico di London. Un marinaio uscito da una famiglia popolare si innamora e vuole conquistare una ragazza borghese altolocata e decide di trasformarsi in uno scrittore di successo. Dei due progetti di vita il secondo (diventare scrittore e guadagnare molti soldi) gli riesce, a prezzo però di uno sforzo durissimo che fiacca il giovane scrittore soprattutto nell'animo. Mentre le convenzioni borghesi della famiglia della ragazza e certe confuse idee "rivoluzionarie" dello stesso Martin gli sbarrano la conquista della ragazza e l'accesso ad una relazione ordinaria (ma era davvero questo ciò che desiderava?).
Il successo conquistato a duro prezzo svuota Martin/Jack London e colloca l'autore/protagonista in una situazione di depressione da cui il personaggio (e l'autore) uscirà ricco ma stritolato.
Nel film di Marcello tutto questo si svolge in uno strano secondo dopoguerra italiano che oscilla tra gli anni '50 e gli anni '60. Con un finale che forse allude anche al "Tallone di ferro" (altro romanzo di London).
La pellicola è lunga, intricata, con spezzoni di film d'epoca e una discussione politico filosofica non facile da trasportare nella contemporaneità.
Qualcuno ha scritto che è un film inconcluso. Condivido questa diagnosi.
Aggiungo però che la prova di attore di Luca Marinelli è davvero notevole. Hanno fatto bene a premiarlo a Venezia come miglior attore.
Concludo che il film come il romanzo sono tutto un peana al libro come strumento di riscatto e di emancipazione individuale. Ma nel romanzo anche le biblioteche e i bibliotecari hanno un piccolo spazio, moderno e ben delineato. Però siamo negli USA di fine '800. Portando la vicenda in Italia e nella Napoli del secondo dopoguerra il regista trasforma le biblioteche nel negozio di un rigattiere. Che altro poteva fare?
Insomma è un film piuttosto impegnativo, ma che vale la pena di essere visto.