Nel luglio del '92, trenta anni fa, mentre la prima Repubblica politica collassava e la mafia uccideva Borsellino, dopo aver ammazzato Falcone, Pontedera viveva un suo personale dramma: quello del programmato trasferimento di una serie di lavorazioni della Piaggio a Nusco nell'avellinese. Il "trasferimento" aveva preso avvio oltre un anno prima e i sindacati avevano trattato dalla primavera del 1991 con l'azienda la collocazione di un certo numero di lavoratori di Pontedera a Nusco per avviare nuove lavorazioni della Piaggio in Campania. La Piaggio (allora di proprietà degli Agnelli) cercava di ottenere contributi statali ed europei per sostenere la crisi dei propri prodotti e rilanciarsi. Migrare al sud per gli Agnelli (incluso Giovanni Alberto, all'epoca vicepresidente di Piaggio Veicoli Europei) era un problema di delocalizzazione che andava solo gestito. La politica ci mise un bel po' a capire questa "riprogrammazione aziendale" e a impaurirsi dei riflessi che avrebbe avuto sul territorio pontederese e più in generale su quello toscano: anche se dimezzata nei suoi organici, la Piaggio restava (e resta) pur sempre una delle più importanti imprese insediate nella Regione. Nel PCI nel '92 diventato PDS e in un PSI agli sgoccioli del proprio ruolo politico, si confrontarono più linee politiche. In particolare nel PDS ai "meridionalisti" alla Chiaromonte (come illumina bene l'articolo di Mario Mannucci sulla Nazione del 5 luglio) si contrapposero, incalzati dai leghisti di Bossi, i "localisti" (Pontedera and Tuscany first). Questi ultimi intendevano difendere con le unghie e coi denti ogni posto di lavoro attivo alla Piaggio di Pontedera, col sostegno dell'allora segretario nazionale Occhetto. Anche l'on. socialista Giacomo Maccheroni, che pure aveva sostenuto fino a quel momento le decisioni governative e il progetto di trasferimento a Nusco, rispetto alle crescenti paure del suo collegio elettorale innestò una prudente retro marcia, chiedendo di rinegoziare l'intero progetto.
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