domenica 14 luglio 2024

TUTTO O KEU?

Se non ricordo male, era stato promesso in campagna elettorale che l’area del KEU sarebbe stata liberata dai materiali. Lentamente, ma continuativamente. Il privato che gestisce l’area aveva infatti annunciato un piano di conferimento del KEU in discarica e fatto le prime mosse.

Il sindaco di Pontedera e la Regione ci avevano creduto? Così parrebbe. Visto che il sindaco in un post del 9 maggio sul suo profilo facebook, con parole ispirate, aveva commentato ottimisticamente un servizio del Tgr3 che mostrava un decespugliatore nell’area del KEU che annunciava l’avvio delle rimozioni. Si vedeva anche un escavatore. Sembrava davvero che cominciasse la rimozione. O si voleva solo fare credere che sembrasse?

Il 13 maggio la ditta che gestisce i terreni ha rilasciato un’intervista a “Quinewsvaldera” in cui ha detto che il piano di rimozione dei materiali era avviato.

Poi il 14 maggio c'è stato un ulteriore sopralluogo dei vari soggetti interessati, incluso gli organi di controllo, tra cui Arpat, e “Quinewsvaldera” il 24 maggio ha scritto che la ditta garantiva l’avvio del piano di trasferimento dei materiali KEU che procedeva secondo un  cronoprogramma semestrale che a giugno si sarebbe palesato ancora meglio.

Anche “il Tirreno” del 25 maggio ha scritto a proposito dei sopralluoghi sul KEU che era stato verificato che non si erano evidenziate particolari criticità rispetto al rilascio di sostanze tossiche nel terreno e nelle falde. Tutto ok quindi.

Il 1 giugno però c’è stata davanti all’area KEU di Pontedera una manifestazione di ambientalisti e di forze politiche di opposizione, oltre che di residenti della zona, per sollecitare la rimozione dei materiali. Loro erano meno fiduciosi. I soliti malfidati?

Ma un mese e mezzo dopo quella protesta e le promesse della rimozione come stanno le cose?

Come dimostra la foto che allego, da metà maggio ad oggi l’unica cosa accaduta è che è stato rimosso l'escavatore che allora si trovava nell’area dei cumuli del KEU e oggi non c'è più. 

Ciò indica che il piano di rimozione è sospeso o rallentato? O rinviato in autunno, tempo permettendo? O è un modo per tirarla per le lunghe?

Osservo poi che l’erba decespugliata intanto è ricresciuta.

E infine annoto che nelle comunicazioni al consiglio del nuovo sindaco di Pontedera, che ho ascoltato in streaming, non mi pare di aver colto accenni alla vicenda. I fatti evidentemente non gli stanno parlando come aveva annunciato a maggio.

martedì 9 luglio 2024

TREMATE, TREMATE, LE STREGHE SON TORNATE

 Ieri sera a San Miniato è andato in scena un incontro culturale e sociale straordinario e inaspettato. Con un finale commovente. Almeno per me.

Partita coi saluti e le parole della sindaca di Montopoli e poi di quello di San Miniato e a seguire della consigliera regionale Nardini, la manifestazione culturale intitolata FILO D’IDENTITÀ, a cui erano presenti circa 200 persone, ha preso quota nel dialogo tra Ilaria M. Dondi (che presentava il suo saggio: “Libere di scegliere se e come avere figli”, Einaudi, 2024) e Simonetta Sciandivasci (autrice, a sua volta, di un testo su “I figli che non voglio”, Mondadori).  Tema centrale: il diritto delle donne a scegliere liberamente la maternità e a non farsi influenzare da niente e nessuno e tanto meno dagli incentivi alla natalità promessi dal governo.

I toni del dibattito sono stati fermi, tutti dalla parte delle donne, ma pacati. Poi break e cambio di relatori. A quel punto è scesa in campo Carlotta Vagnoli (autrice di ANIMALI NOTTURNI, Einaudi), che ha animato una vivacissima discussione con Flavia Carlini (autrice di NOI VOGLIAMO TUTTO, Feltrinelli) e Valeria Fonte (autrice di VITTIME MAI, DeAgostini). Filo conduttore di questo secondo e assai più vivace dibattito, il rapporto tra il transfemminismo, la letteratura, la politica, le tematiche di genere, il diritto delle donne di scrivere dei loro diritti e moltissimo altro. E qui le tre autrici hanno indossato, almeno a tratti, la maschera delle streghe, hanno assunto un linguaggio decisamente molto hard, hanno fatto a pezzi il patriarcato e il machismo di tutti i tipi e di tutti i colori politici, hanno esaltato tutte le forme di lotta femminista e invitato alla radicalità di genere, a battersi per i propri diritti, a restituire agli uomini pan per focaccia. E una platea molto giovane, molto numerosa e molto calda, concorde anche su un forte sentimento di solidarietà espresso più volte a sostegno del popolo palestinese, è entrata in perfetta sintonia con le altrettanto giovani autrici ed ha applaudito numerosi passaggi dei loro provocatori e durissimi interventi. Così, inaspettatamente, la paciosa San Miniato ha vissuto una goethiana notte di Valpurga. Una notte in cui le donne si sono prese davvero la scena, con forza, con durezza e con un turpiloquio e un’aggressività (almeno verbale) tipici del genere maschile ammassato in una curva di stadio; e con un tono “cattivo”, tra il sarcastico e l’orgoglioso, le autrici hanno rivendicato il diritto di esprimersi nelle forme che ritenevano più giuste per raccontare la loro rabbia, il loro dolore per le sopraffazioni, le umiliazioni e le violenze subite e la voglia di battersi per superare questa fase storica che ancora le schiaccia. Invocando atteggiamenti sempre più radicali.

Ciliegina sulla torta, le domande finali del pubblico. O meglio gli interventi del pubblico. E tra questi è sbucata fuori Chiara, una delle bibliotecarie maltrattate dall’amministrazione locale di San Miniato, che ha denunciato il modo in cui era stata trattata dopo venti anni di lavoro per cooperative che hanno operato sempre nelle biblioteche e negli archivi del comune di San Miniato e che si sono viste non rinnovare l'appalto dopo che alcune di loro avevano chiamato i vigili del fuoco per verificare lo stato di sicurezza della biblioteca e dell’archivio di San Miniato Basso. E fissando negli occhi il sindaco di San Miniato del PD  e la consigliera regionale Nardini, sempre del PD, entrambi seduti in prima fila, Chiara ha detto che anche lei si sentiva arrabbiata e umiliata, come donna, come lavoratrice e come madre di due figli, per la maniera in cui era stata gestita la sua vicenda. E per l’indifferenza e la superficialità con cui erano state trattate anche le altre donne, sue colleghe, con diversi anni di anzianità di servizio, le quali per mantenere il lavoro e lo stipendio avrebbero dovuto accettare spezzoni di orari in nuove biblioteche più lontane da casa e con orari disagiati e senza che ci fosse stato neppure il modo di avere un’offerta di orari su cui poter effettuare delle scelte e delle valutazioni collettive, col sostegno di una trattativa sindacale. Niente di tutto ciò. E il motivo? La condanna? Andava ricondotta al fatto che lei e le sue colleghe avevano avuto il coraggio di denunciare lo stato di insicurezza, per altro certificato dai vigili del fuoco, in cui avevano lavorato presso la sede di San Miniato basso. Avrebbero dovuto continuare ad abbassare la testa. Portare pazienza. E invece non l’avevano fatto. Ecco la colpa.

Per fortuna il pubblico giovanile si è riconosciuto anche nella storia di Chiara, l’ha applaudita e l’ha incoraggiata a resistere.

Si. Quella che è andata in scena ieri sera, nel cortile dei loggiati di San Domenico, è una narrazione e un’azione tutta al femminile di rabbia, di umiliazione, ma anche di radicalità e di lotta contro l’ingiustizia e il sopruso. Una lezione importante per l’incredibilmente numeroso pubblico giovanile. E anche per i vecchi che abbiano ancora voglia di ascoltare e soprattutto di imparare qualcosa.

lunedì 8 luglio 2024

LE BIBLIOTECARIE MALTRATTATE DI SAN MINIATO CHIEDONO GIUSTIZIA E REINTEGRO

Anche se la stentata vittoria del sindaco Giglioli rende la situazione più complicata, le 7 bibliotecarie maltrattate non si danno per vinte e chiedono giustizia e reintegro, perché le soluzioni proposte non sono per loro accettabili.

E una delle cose che più colpisce, a parte l’atteggiamento ormai scontato del sindaco, è come il loro sindacato, la CGIL, non sia riuscito a dare vita ad una vertenza con l’amministrazione comunale di San Miniato e a difendere i diritti elementari delle lavoratrici. Non era e non è facile, certo. Ma davvero non si può fare di più?

In particolare colpisce come, nella civilissima Toscana, il sindacato non sia riuscito ad evitare che le lavoratrici venissero penalizzate per aver semplicemente chiesto il rispetto delle norme di sicurezza sul luogo di lavoro. Perché questo è uno degli snodi fondamentali della situazione.

Eppure l’Italia è un paese che, specialmente a livello pubblico, parla continuamente di sicurezza del lavoro e di quanto sia etico che i lavoratori e le lavoratrici si battano per la sicurezza; e poi quando succede che un gruppo di lavoratrici denuncia lo stato di insicurezza in cui lavora, e questo luogo non è una fabbrica o un campo, ma un ufficio comunale, la politica e anche il sindacato si voltano dall’altra parte e fingono di non sentire e di non vedere.

A San Miniato è successo che di fronte ad un intervento dei vigili del fuoco, sollecitato dalle lavoratrici maltrattate, e alla relazione presentata dai VVFF che dava ragione sostanzialmente alle lavoratrici, il Comune ha chiuso il servizio bibliotecario e archivistico e ha deciso di non rinnovare l’appalto alle lavoratrici, scaricando su una cooperativa di servizi culturali (che se ne è fatta carico) l’onere di ricollocare le 7 dipendenti ovunque fosse possibile. Anche a decine di chilometri dalle loro abitazioni. Anche in orari difficili da gestire per chi è lavoratrice e madre. E questo dopo che alcune di loro avevano lavorato da oltre venti anni in quei servizi.

Ora è vero che Maria Rosa, Chiara, Aurora e le altre non si aspettavano che il presidente Mattarella le nominasse cavalieri del lavoro, dopo 20 anni di servizio in biblioteca e in archivio, e magari con una menzione speciale per essersi loro impegnare direttamente per la sicurezza sui luoghi di lavoro, che sono anche spazi aperti al pubblico.

No, un riconoscimento speciale per il loro comportamento sul lavoro e per il loro senso civico, non se lo aspettavano.

Ma si aspettavano almeno che il loro sindacato le aiutasse a difendere i loro diritti.

E invece poiché si tratta di una vertenza da condurre contro un Comune di centro sinistra, la CGIL locale si è impegnata nella vertenza al minimo sindacale o anche meno. Perché sui territori non contano solo i diritti, contano anche le relazioni tra le persone coinvolte. E un dirigente CGIL, con in tasca magari la tessera del PD, non può fare una dura vertenza ad un sindaco del PD, che lui e i suoi parenti e amici magari hanno votato, un sindaco che gode se non della fiducia almeno del sostegno della comunità di centro sinistra a cui appartengono anche diversi iscritti della CGIL. Compresi quelli che lavorano in Comune.

Aggiungiamo che gli organi provinciali, regionali o nazionali del sindacato fanno fatica a entrare nella vertenza. Lo fanno malvolentieri. Non possono smentire i propri rappresentanti sul territorio e non possono attaccare il sindaco di un partito storicamente amico.

Ecco allora che i partiti, certi sindacati e i loro uomini si impantanano. E ragionando in astratto certo sono disposti a difendere il principio della sicurezza del lavoro. Ma poi da vicino, calati sui territori, scesi nel caso concreto, bisogna vedere come si mettono le relazioni. E secondo come si mettono, ci sta che la sicurezza del lavoro si difenda accettando che i servizi pubblici vengano chiusi e le lavoratrici rimpiscatole in qualche modo penalizzate e allontanate. 

Perché di solito, più ci si avvicina al basso, più le relazioni danneggiano chi osa contestare i poteri, rivendicare diritti, affermare principi che vanno bene sulla Carta, ma non sui luoghi di lavoro concreti, li dove invece i diritti vanno ostinatamente difesi, coi denti, e spesso riconquistati. Giorno per giorno. Rischiando. Impegnandosi. Battendosi.

venerdì 5 luglio 2024

PONTEDERA: DA PIAGGIOPOLI A CITTÀ DEI FUTURI

 Le città si modificano. Costantemente. Sono i luoghi dove forse il mutamento è più evidente. A fine ‘800 Pontedera era piena di opifici e fabbriche tessili. Poi nel 1924 arrivò la Piaggio. Prima producendo motori per aerei e, dopo la 2a guerra mondiale, Vespe e Api. E mentre il tessile scompariva, la meccanica Piaggiocentrica ridisegnò la città e dette lavoro a oltre 11.000 addetti, più l’indotto. Ma negli anni ‘80 la Piaggio collassò e si stabilizzò sui circa 3.000 addetti di oggi, liberandosi sia di enormi spazi industriali sia di strutture sociali (come il Villaggio Piaggio e i suoi impianti sportivi).

Lo shock produttivo e sociale costrinse Pontedera a ripensarsi e a cercare un’evoluzione industriale anche al di là della meccanica. Tant’è che oggi si propone anche come centro di un distretto dei rifiuti (stoccaggio, riciclaggio, recupero di energia), di valenza regionale.

Una partita difficile si giocò in particolare sugli immobili industriali dismessi.

E qui fu il Comune a impegnarsi a dare nuove opportunità e vocazioni agli edifici orfani della produzione delle Vespe. Opportunità che si sono incamminate in più direzioni, seguendo uno spettro di collaborazioni:

1 l’Università Sant’anna di Pisa ha portato sul viale Rinaldo Piaggio, in edifici ristrutturati, l’istituto di biorobotica e le sue geniali sperimentazioni;

2 l’Università di Pisa ha collocato a Pontedera corsi di infermieristica e una segreteria per l’accoglienza degli studenti;

3 il Comune ha realizzato, col sostegno della Regione Toscana una nuova grande (4000 mq) biblioteca comunale, dedicata al Presidente G. Gronchi;

4 sempre il Comune ha costruito sul viale Piaggio un edificio all’inizio pensato per l’accoglienza di studenti Erasmus poi trasformato in aule per il corso universitario di infermieristica.

Tra i capannoni già riutilizzati con altre finalità ecco:

a) la nascita del Museo Archivio storico della Piaggio (gestito da una Fondazione mista)

b) l’insediamento di una moderna scuola di moda privata con master universitario, Modartech, di rilievo nazionale

c) l’insediamento di un associazione culturale internazionale “Sete 

Sois Sete Luas" che produce eventi importanti

d) altri spazi ex Piaggio sono stati usati da start up, incubate da società come Pontech e Pontlab, compartecipate da Unipisa, Comune di Pontedera e altre aziende private

e) altre aree sono state trasformate a parcheggio (di interscambio con la stazione ferroviaria o per dipendenti Piaggio)

f) altri spazi dedicati a foresterie per vari istituti e imprese presenti nell’ex area industriale.

La risistemazione degli ultimi capannoni ex Piaggio, ancora in fase di completamento, riguarda oggi:

-Aree in cui gestire l’ulteriore sviluppo della biorobotica (con Università di Sant’Anna e altri partner)

-Ulteriori aree di parcheggio e foresterie.

Nell’insieme la transizione relativa alle aree di più antico insediamento Piaggio ha preso dunque varie strade.

Una di mantenimento di una vocazione industriale che sta lentamente assumendo il volto della robotica in collaborazione con l’università Sant’Anna di Pisa.

L’altra collegata alla presenza di una miriade di piccole società che accompagnano oggi le produzioni innovative, tra cui quelle legate alla transizione energetica (e al distretto dei rifiuti, ma non solo).

Poi c’è il ruolo della formazione superiore e universitaria e della ricerca avanzata.

Infine l’espansione dell’offerta culturale in senso proprio, di cui il Museo Piaggio rappresenta la realizzazione più importante e più visibile, con una capacità di attrazione turistica internazionale. Accanto al Museo, ma con una valenza tutta locale, ecco la biblioteca Gronchi, con i suoi numerosi servizi e un forte orientamento ai bambini, ai ragazzi e ai giovani.

Ciascuna di queste soluzioni ha le sue dinamiche complesse e coltiva una storia aperta. È una sfida appena avviata. Ma, pur nelle incertezze e nelle contraddizioni dell'agire quotidiano, si tratta di risposte positive, figlie della capacità di reazione attivata dal Comune, sostenuto dalla Regione Toscana, e da tutta un’altra serie di attori presenti sul territorio, Piaggio inclusa.

Difficile infine dire quale equilibrio si stia realizzando tra memoria dei luoghi e attuale assetto produttivo e culturale.

Alcuni legami sono evidenti: il Museo Archivio Piaggio è il più lineare. Dentro i suoi edifici, un tempo adibiti a officine, si conserva e si espone il meglio della produzione storica della Piaggio e la documentazione archivistica che ne supporta la conoscenza.

Meno comprensibile e più discontinuo è invece il rapporto tra la robotica e l’evoluzione del prodotto Piaggio.

Ma quello che per concludere vorrei sottolineare è come sia stata la presenza di un facilitatore di transizione a favorire i passaggi positivi da una produzione o una vocazione all'altra.

Nel 1924 fu una cordata di benestanti famiglie pontederesi a rilevare i capannoni e i macchinari di imprese fallite per poi venderli alla Piaggio e favorirne così l'insediamento in città.

Dagli anni ‘90 in poi il ruolo di facilitatore è stato invece giocato dal Comune di Pontedera(e dalle forze politiche che lo hanno diretto), che, attraverso tutta una serie di scelte (raccontate nel bel volume di Michela Lazzeroni intitolato “La resilienza delle piccole città”, Pisa University Press, 2016), ha favorito la transizione delle aree dismesse dalla Piaggio verso una pluralità di futuri.

Futuri che solo in parte sono legati alla memoria dei luoghi e forse invece sono più connessi alle nuove opportunità che ogni epoca reca con sé e che la creatività  e la prontezza delle classi dirigenti locali, pubbliche e private, riesce a cogliere e realizzare.

mercoledì 3 luglio 2024

FRANCONI RIELETTO SINDACO. VINCE LA CONTINUITÀ.

Matteo Franconi è stato riconfermato sindaco dei pontederesi con il 53,90% dei voti validi. Ma i dati e le strategie elettorali meritano qualche riflessione.

Il risultato del ballottaggio, che metteva a confronto un primo cittadino che aveva governato per 5 anni e un consigliere di destra che ha fatto opposizione e si è limitato a sollevare obiezioni e a fare proposte alternative, ma non ha gestito un solo atto amministrativo, né ha presenziato a migliaia di incontri pubblici con la fascia tricolore, non ha visto stravincere il primo cittadino uscente come di solito succede ai sindaci che hanno concluso bene il mandato e si presentano per il secondo.
E anche se va detto che il secondo ballottaggio, almeno in percentuale, è andato meglio a Franconi rispetto al primo, l’indicazione che i numeri suggeriscono è quella di un sindaco che ha vinto ma non particolarmente convinto.
Anzi. Il dato elettorale dice che in cifra assoluta solo 3 pontederesi su 10 sono andati a votarlo e lo scarto tra i due Mattei non arriva al 5%.
Scrivo questo perché nei prossimi giorni sentiremo sicuramente Franconi ripetere che lui è il sindaco di tutti, rappresenta l’intera comunità, ascolterà tutti e via retoricheggiando.
Nessuno certo può negare che lui sia il sindaco eletto di Pontedera e che ci rappresenti tutti. Ma la matematica, che non è sensibile alla retorica, conferma che il suo consenso reale tra i cittadini è bassino.
E' un consenso che gli basta per legittimare il suo ruolo? Certo.
Ma la verità vera è che quando lui e la sua giunta prenderanno una decisione sapranno che solo 3 pontederesi su 10 sono sicuramente d’accordo con quella decisione. Gli altri 7 non si sa. Anzi di quei 7 quasi 3 certamente no. Degli altri, nessuno può dirlo.
Il centrosinistra ristretto sapeva prima del voto di non avere il sostegno della maggioranza dei pontederesi, ma non ha puntato a costruire un “campo largo” perché un'apertura alla sinistra rosso verde e ai cinque stelle avrebbe messo in discussione gli assetti di potere dentro la maggioranza ristretta e l’avrebbe costretta a modificare una parte del suo programma di governo della città che era già scritto e blindato, nelle sue parti strategiche, ben prima dei dialoghi urbani. Così il centrosinistra ristretto ha tirato dritto senza allargarsi e ha vinto al ballottaggio contando sul fatto che una parte dell’elettorato che non l’avrebbe votato al primo turno non sarebbe andata a votare al secondo per Bagnoli. Il sentimento di questi elettori non glielo consentiva. Su questo i pochi che contano nel centrosinistra ristretto hanno scommesso con astuzia; e su questo, di misura, hanno vinto.
Va inoltre preso atto che una maggioranza di centrodestra pura non c'è in Pontedera. Il centro destra ottiene consensi importanti in città, ma perde nelle frazioni (il voto familiare e di tradizione) e la sconfitta sia pure di misura è inequivocabile. Su questo il centro destra dovrà riflettere. Ha 5 anni per farlo.
Quanto ai rossoverdi della Ciampi ed ai civici di Andreoli vedremo cosa si attrezzeranno a fare. I problemi da loro sollevati restano tutti ben visibili. Vedremo con che forza li lavoreranno.
E vedremo se Franconi e i suoi cercheranno di rapportarsi con questi oppositori (in particolare coi rosso verdi) e se accoglieranno alcune delle loro istanze come ha vagamente lasciato intendere nelle settimane del ballottaggio il sindaco. Non credo. Ma si vedrà.
I vecchi, si sa, inclinano al pessimismo. Ma godono di una certa libertà di pensiero (e di parola). Così ammetto che la seconda vittoria di misura di Franconi non mi rattrista più di tanto. In realtà temevo un successo più vistoso da parte sua che per fortuna (almeno mia) non c'è stato. Naturalmente resta una vittoria elettorale che non cambierà l’assetto della città e non la aprirà verso nuove possibilità. Le strategie e i protagonisti in campo sono confermati. E per cinque anni balleremo (e non è una metafora) con questa musica. O allora! Almeno il vecchietto da tastiera se ne farà una ragione.