giovedì 31 luglio 2025

L’EUROPA E LA SUA BORGHESIA INCERTA

 La difficoltà europea a perseguire una propria strategia globale e a non subire il gioco delle grandi potenze ha diverse cause assai complesse.

Alcune difficoltà affondano nel numero di stati che la compongono. 27 ora. 35 tra poco. Ha le dimensioni di un impero. Ma un impero democratico, in cui contano i singoli stati, i cittadini e i corpi sociali, è difficile da guidare su un sentiero preciso e magari un po’ impervio.

Altre difficoltà si annidano nella debolezza e nella varietà di partiti politici dotati di anime parecchio composite. Tra questi partiti spicca l’inconsistenza e quindi la subalternità, del socialismo europeo, con le sue mille facce, e con i suoi ceti di riferimento sempre più orientati ai diritti e poco ai doveri e quindi al realismo. Oltre tutto il socialismo europeo usa una retorica politica infarcita di spettri ideologici assolutamente inefficaci nel mondo contemporaneo. E per quanto il socialismo guidi oggi alcuni stati europei (UK, Spagna), in altri faccia parte delle coalizione al potere e globalmente sia il secondo gruppo per dimensione del parlamento europeo, è ben lontano essere una forza politica coerente ed egemone nel continente.

Ma la principale debolezza e la maggiore incertezza su cosa dovrà essere l'Europa dei prossimi decenni trae origine dall’evoluzione della classe che ha guidato il processo di costruzione europea dal 1950 in poi.

Questa classe è stata (ed è ancora) la borghesia (nelle varianti cattoliche e protestanti e laica), diffusa un po' in tutta l’Europa occidentale e in larga misura anche in quella orientale. Una borghesia sottoposta negli ultimi 50 anni ad un travolgente processo di secolarizzazione e di cambiamento.

Dagli anni ‘60 in poi anche una parte dei ceti che si riferiscono al socialismo europeo si è accodata alla borghesia che aveva saputo tagliare i ponti con la borghesia nazionalista, colonialista, fascistoide e razzista e che aveva saputo definire, soprattutto in ambito economico, le regole del mercato europeo, la cui messa in opera ha avuto come effetto collaterale anche le fine dei conflitti militari inter-europei. Il tutto sotto l'ombrello statunitense, che non a caso aveva sostenuto e favorito la nascita della comunità europea (basta leggere i diari di Spinelli per rendersene conto).

Ma questa borghesia ha manifestato tutti i suoi limiti quando, dopo il crollo dell’URSS, ha puntato solo sulla moneta unica come strumento per fabbricare un'Europa davvero continentale, senza riuscire a dotarsi di una costituzione europea, di una lingua europea e di un parlamento europeo dotato di tutti i poteri parlamentari. In particolare la borghesia europea non è riuscita a ridimensionare le pulsioni sovraniste dei singoli Stati che la compongono e a dare vita ad una vera Unione, autonoma dagli Usa, dalla Russia e da altre grandi potenze, e affrancata, almeno in larga parte, anche dagli Stati che la compongono.

Sul fronte nazionale è arrestato il progetto dell’Europa borghese.

Ma se non c'è riuscita la classe più dinamica ad andare oltre, chi  potrebbe farlo?

Forse l’ex mitica classe operaia ridotta quantitativamente e ideologicamente superata, il cui marxismo leninismo, il terzomondismo e il sindacalismo classista appaiono ormai roba per archeologi della politica?

O forse potrebbero farcela i ceti che guardano a società nazionaliste e che sono rappresentati da politici di razza come Meloni, Le Pen o tipetti alla Orban, sempre che acquisissero un ruolo decisivo in Europa?

L’amico di tante peripatetiche e accalorate discussioni politiche, Antonio, sostiene che serve un’altra classe dirigente per fronteggiare i problemi del presente in Europa.

Ma il punto è proprio qui.  In Europa una nuova classe dirigente oggi non c'è. E non c'è perché non si vede nessuna altra classe sociale omogenea e portatrice di valori universali che non sia la pluralissima, frastagliata e incerta, la quale tra l'altro  sembra predisporsi a scaricare i socialisti come partner subalterni e a imbarcare al loro posto i sovranisti moderati, coi quali condivide l’idea di conservare agli stati (e non al parlamento europeo) le decisioni politiche di fondo. 

Per questo temo che l’Europa sia destinata ad essere sballottata tra le politiche degli USA, i ritorni imperiali degli ex sovietici, l’impetuoso espansionismo della Cina e di altri Brics e i diversi desiderata dei suoi 27 Stati che presto diventeranno 35.

Che il Signore ci protegga.

martedì 29 luglio 2025

COI SOCIALISTI A GUIDARE L’EUROPA NON SAREMMO STATI DAZIATI DA TRUMP?

Per l'amor del cielo, che popolari e destra moderata europea siano “assecondanti” verso i desiderata Usa, è vero, sia pure con diversi maldipancia (più o meno dichiarati). Ma che la sinistra moderata europea, se esprimesse un ruolo direttivo in Europa, sarebbe meno “prona” rispetto a Trump, questo non lo può credere nessuno. O meglio una storiella del genere se la possono bere solo i loro militanti che decidono di ignorare alcune cose evidentissime.

Primo: URSULA guida una maggioranza politica di cui fanno parte, in maniera decisiva, i socialisti europei con cui lei ha concordato l’atteggiamento che i negoziatori europei hanno tenuto nella vicenda dei dazi. E che sarebbe finita così, era chiaro da tempo. Se i socialisti volevano davvero andare allo scontro con Trump (e quindi con gli Usa e quindi con URSULA), avrebbero dovuto dirlo chiaro e forte. Ma non l’hanno fatto. Dirlo oggi, a giochi fatti, è un po' comodo e soprattutto è comico. La voce grossa di alcuni socialisti anche nostrali è fasulla. Se ci fossero stati loro al posto di URSULA, non avrebbero fatto molto meglio.

Secondo: i socialisti europei, nelle loro variopinte casacche nazionali, non possono essere meno filoatlantici dei popolari e perfino di una parte consistente di sovranisti di destra. L’atlantismo militare, economico e politico gode di amplissimi consensi tra i circa 400 partiti politici, divisi in 8 o 9 grandi famiglie, dei 27 Stati dell’UE. Ergo la postura dei socialisti europei verso gli USA è analoga a quella di quasi tutte le altre famiglie politiche europee.

Terzo: laddove, come in Italia, i socialisti (leggi in specifico PD) sono all’opposizione, e non hanno responsabilità nel governo nazionale e nemmeno di coerenza con la loro famiglia politica europea, si permettono di “bociare” contro la doccia scozzese dei dazi subiti dall’Europa. Ma non avrebbero mostrato i muscoli a Trump né avrebbero attivato uno scontro con gli USA, in presenza di una guerra come quella in Ucraina dove l’apporto americano è fondamentale, se si fossero trovati al governo del nostro paese.

Quarto: purtroppo i socialisti dei 27 paesi dell’UE non hanno una visione chiara né univoca dell’autonomia europea rispetto agli USA. Né sanno che fare rispetto al ritorno della minaccia russa verso i paesi dell’Europa orientale. 

Coerenza vorrebbe che da questa situazione i variegati socialisti europei traessero le debite conseguenze. Ma pretendere un simile atteggiamento da loro risulterebbe ingiusto, poiché l’assenza di un disegno politico europeo (e quindi di una coerente politica estera e di difesa) non è appannaggio solo della famiglia dei socialisti moderati, ma caratterizza un po' tutte le famiglie politiche europee, popolari e sovranisti inclusi.

Ergo…

lunedì 28 luglio 2025

PERCHÉ SIAMO STATI DAZIATI

Gli Usa garantiscono la sicurezza e la libertà relativa dell'Europa (inclusa quella dei traffici commerciale) e contengono entro una certa misura i conflitti inter~europei (inclusi quelli commerciali). Tutto ciò ovviamente non ha un prezzo o meglio ce l'ha e i leader degli stati nazionali europei sono obbligati a pagarlo questo prezzo quando viene loro richiesto. E quindi sono "servili" perché gli conviene:  a loro e ai loro popoli. I leader delle nazioni europee sanno infatti di non poter fare da soli, né in Europa, né fuori d'Europa.

In particolare il ritorno dell'aggressività imperiale russa (riemersa dopo una lunga afasia tardo comunista e post comunista durata dagli anni 1980 a inizio 2000) e l’azzardoso tentativo di “contenerla” ha mostrato tutta la fragilità politica e organizzativa della articolata e prevalentemente mercantile costruzione europea. 

A questo si aggiunga che senza il “coordinamento” e il dominio degli USA (e senza il timore dei russi) gli europei alzerebbero di nuovo il tono della loro litigiosità su tutto (come fanno appena possono). 

Trump tutto questo non solo lo sa, ma essendo un politico spregiudicato ha deciso di sfruttarlo a vantaggio degli Usa e suo personale. 

Per sfuggire al trumpismo, gli stati europei dovrebbero cedere quote di sovranità a una entità politica europea che però (come sostiene da sempre Lucio Caracciolo) non esiste e di conseguenza a leader europei che non solo non possono esistere, ma che nessuno degli stati nazionale europei (e delle loro classi dirigenti, di destra o di sinistra che siano) vuol far esistere. E non è detto che questa scelta riduzionista sia un male. L’alternativa sarebbe infatti costruire un'Europa come grande potenza in grado di gestire in autonomia i potenziali conflitti con Usa, Russia, Cina e mondo arabo. Non proprio una bazzecola.

Peccato che chi nella globalizzazione vede solo l’egemonia della finanza internazionale e più in generale del capitalismo (ruolo che c'è , ma non è tutto), e sottovaluta invece il ruolo degli stati nazionali, delle singole élite dominanti e quindi della politica e delle logiche di potenza, tutto questo non voglia vederlo. Pazienza.

giovedì 10 luglio 2025

L’EUROPA, L’ITALIA E L’INDIPENDENZA DELL’UCRAINA

 

Le massime cariche dello stato italiano dicono che l’Europa (e l’Italia che ne fa parte) deve sostenere la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. L’hanno ribadito anche ieri a Zelenski venuto a Roma a cercare aiuti.

Il presidente Mattarella, in particolare, secondo il sito Rainews.it del 9 luglio, ha parlato con Zelenski di “[... pieno sostegno del nostro paese all'indipendenza, alla sovranità, alla integrità territoriale dell'Ucraina, con la vicinanza più intensa e concreta, la nostra posizione è e rimane assolutamente ferma in questa posizione (sic)".

Il nostro presidente (sempre secondo Rainews.it) ha detto anche che “la sicurezza ucraina si identifica con la sicurezza europea, contro chi vorrebbe tornare a una concezione di predominio dei rapporti tra gli Stati, facendoci fare un salto all'indietro di quasi un secolo”.

Ora, senza che gli italiani se ne accorgano, mentre gli Stati Uniti trumpeggiano, noi e molti degli stati europei stiamo scivolando sempre di più verso il ruolo di “garanti” dell’indipendenza e della sovranità dell’Ucraina. 

Ma indipendenza da chi? 

E sovranità minacciata da chi?

Ovviamente dalla Russia.

Chiedo: ma siamo sicuri di renderci conto noi italiani e noi europei degli obblighi concreti e potenzialmente drammatici che questa assunzione di responsabilità implica?

Possiamo davvero garantire l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina dalla Russia noi che non riusciamo neppure ad arrestare e processare un boss libico che abbiamo rimpatriato di corsa dopo averlo catturato forse per sbaglio?

Non credo proprio. Infatti per garantire la sicurezza dell’Ucraina ci riarmiamo (come Nato, come Europa e come Italia), prevedendo di spendere decine di miliardi per armi e infrastrutture e ragionando anche di riattivare la leva militare. Perché la guerra non è un videogioco giocato solo davanti ai computer coi droni che svolazzano e buttano bombe. Qualcuno deve scendere davvero sul terreno e rischiare di farsi ammazzare per garantire la sicurezza. Come si vede da quanto sta accadendo da oltre 3 anni in Ucraina.

Ora però il dibattito tra le forze politiche italiane (e anche sulla stampa cartacea e digitale nazionalpopolare) non evidenzia una chiara consapevolezza né dei costi né soprattutto dei fattori di rischio che ruotano attorno almeno a 3 elementi:

1. fare i garanti dell'indipendenza dell’Ucraina potrebbe voler dire entrare in guerra con la Russia (visto che l’Ucraina è un’ex repubblica dell’ex Urss che la Russia di Putin è decisa a riannettersi con le armi, come dimostrano oltre 3 anni di guerra);

2. la Russia non è una potenza militare di poco conto; ha un governo politico dittatoriale, senza opposizione (se non in galera); è una società abituata a gestire lunghi periodi di guerra; è molto resiliente; e chi la governa oggi persegue sicuramente progetti neoimperiali (forse destinati a finire male, ma che sta comunque attuando);

3. la Russia è una potenza nucleare e gestire un conflitto con una potenza nucleare, a fronte delle incertezze manifestate dagli USA, non sarebbe per un’Europa democratica e molto divisa al proprio interno, e quindi per l’Italia, una bagatella.

L’opinione pubblica italiana spesso finge di non vedere i problemi importanti che la riguardano. Ma le relazioni con la Russia potrebbero davvero farsi drammatiche come conseguenza delle garanzie che (almeno a parole) stiamo fornendo all’Ucraina.

Ora, che l’industria bellica italiana e le imprese che sperano di ricostruire fisicamente l’Ucraina ci spingano a firmare la “garanzia all’Ucraina” lo capisco.

Ma il grosso del Paese non credo si renda conto che stiamo giocando col fuoco (anche nucleare).

La sensazione semmai è quella di genti anziane, per lo più benestanti ma un po' stordite, guidate da apprendisti stregoni, compresi diversi underdog, che potrebbero farsi (e farci) parecchio del male senza nemmeno rendersene conto. Naturalmente attorno a questi attempati bamboccioni (e a pochi giovani molto distratti) sfarfalla una pletora di commentatori pasticcioni e un po' di furbetti pagati per confondere le acque.

Comunque, spero di sbagliarmi.

sabato 5 luglio 2025

DEPENDENCE DAY

Mentre ieri Putin riconosceva ufficialmente lo stato dell'Afghanistan, primo paese al mondo a farlo in forma ufficiale, il presidente della Repubblica Italiana sottolineava, in un breve comunicato dedicato alla festa nazionale americana del 4 luglio, la forza e il valore del vincolo transatlantico che ci lega agli Stati Uniti, confermando in qualche modo il ruolo subalterno (e il rapporto asimmetrico) del nostro paese rispetto alla grande potenza imperiale. Va però anche osservato come questa ininterrotta subalternità abbia favorito negli ultimi 80 anni una certa prosperità per il paese e una vera e sostanziale pace (ovviamente garantita dalla potenza militare degli USA) che non ha precedenti negli ultimi mille anni di storia di quell'espressione geografica nota col nome di Italia.

giovedì 3 luglio 2025

TEATRO ERA. “CAVALLERIA RUSTICANA” TORNA IN CITTÀ

I progetti teatrali sono una bella cosa, non c'è dubbio. Ma il Teatro è per sua natura un luogo plurale. Molto plurale e… carsico. 

Così mentre si sviluppa in città un dibattito sui destini del Teatro Era, dove ognuno, incluso il sottoscritto e oggi anche Roberto Bacci (su La Nazione) dice la sua, l’opera lirica torna a farsi udire e proprio nel teatro cittadino, anche se al di fuori dalla programmazione ordinaria. Quindi con un evento spot, certo. Organizzato da un soggetto terzo. Va bene. Ma con il sostegno dell’amministrazione comunale, presente con ben due assessori e il presidente del consiglio comunale. Ripeto, fuori dalla programmazione ufficiale. Con un allestimento essenziale, ma efficace. All’aperto. Nell’anfiteatro. Ma intanto torna con una “Cavalleria rusticana”, voluta e organizzata dalla Corale città di Pontedera, con molte altre collaborazioni, che sarebbe lungo segnalare, anche perché la mia non è una recensione musicale. Non ne avrei le competenze.

Sottolineo solo che la serata è stata allestita nello splendido spazio dell’anfiteatro collocato alle spalle del Teatro Era, con una presenza di almeno 300 spettatori. E mi pare che il pubblico, prevalentemente anziano, abbia gradito ed apprezzato parecchio lo spettacolo. 

Tutto questo ci dice che forse, almeno nella stagione estiva, l’anfiteatro ERA,  ora dotato di seggioline abbastanza comode, potrebbe essere utilizzato per diversi spettacoli. Perché in attesa di capire come evolverà la complessa situazione organizzativa, il Teatro Era dovrebbe comunque proporre direttamente o con soggetti terzi molti più eventi, inclusi quelli musicali, lirici e non solo. 

Perché se l’offerta culturale è valida, come si è visto l’altra sera, il pubblico c’è, viene volentieri ed è perfino disposto a pagare un biglietto ragionevole.