Cosa potrebbero insegnare le elezioni siciliane al centro sinistra?
Beh, un sacco di cose, riassumibili in poche frasi.
1. Che divisi si perde e si spiana la strada al ritorno del centro destra o alla vittoria dei 5 Stelle. Litigare in famiglia e tra amici ci fa male. Anzi parecchio male. Da qualunque parte stia la ragione. Diviso, per il centro sinistra non c'è partita. Per noi c'è solo il terzo posto. Sicilia docet.
2. Che tutto questo gran popolo desideroso di sbilanciarsi a sinistra, che invoca partecipazione e rivoluzione sociale, con un impianto nostalgicamente socialista, corbyniano e sendersiano, qui, nella Little Italy non parrebbe esserci. Semmai c'è un popolo desideroso di riallinearsi a destra dietro un intramontabile ottuagenario o che spera nel miracoloso populismo grillino. Oppure che non va a votare. Ma di sicuro non c'è un popolo (fatto di vecchi militanti delusi, di bravi compagni di una volta, e via retoricheggiando) che sostiene le proposte più radicali e i cartelli ultrasinistri. Prima ne prendiamo atto, meglio è.
3. Che forse per rimanere nel gioco bisogna costruire un'ampia coalizione di centro sinistra. Dove ampia vuol dire ampia, democratica, variegata, tollerante, negoziata, con un sacco di compromessi. Una coalizione che raccolga tutti gli antipopulisti e i non destrorsi. Con a capo un leader moderato che sia molto inclusivo, molto democratico e molto tollerante, oltre che esplicitamente europeista e un negoziatore non rigido.
Naturalmente per la legge di Nanni Moretti che aggiorna la legge di Saragat, possiamo anche continuare a farci del male e a dare la colpa della nostra sconfitta e del nostri ridimensionamento al destino cinico e baro.
Ma chi è causa del suo male non può che piangere se stesso.
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