domenica 5 maggio 2019

Ancora su Luperini, Montale, il fascismo e la forza della cultura.
Torno sulle emozioni e sulle riflessioni suscitate dalla lezione di Luperini alla Biblioteca Gronchi del 3 maggio. Solo ora ho realizzato che "Nuove stanze" è un testo scritto esattamente 80 anni fa. Un anniversario. Ma in particolare mi concentro sulla domanda che sta al centro, secondo Luperini, della "stanza" montaliana: può la cultura salvarci dalla barbarie nazifascista? Si, avrebbe risposto Benedetto Croce, che Luperini ha citato in un paio di occasioni. Sì, spera Montale. Più ambiguo. Ma Luperini non è convinto della soluzione crociana e in fondo, credo, nemmeno di quella montaliana. Così, quando nel corso della discussione, ha risposto alla domanda della prof. Laura Marconcini, che  gli chiedeva se fare filologia basta, ha detto di no: non basta. E nemmeno fare poesia basta. Poi Luperini ha citato la battuta attribuita a Stalin su quante divisioni avesse il Papa, traslandola sulle divisioni che potrebbe mettere in campo la cultura. Nessuna. Ha fatto bene Luperini a citare Stalin, perché nel cinismo del tragico dittatore comunista, la cui barbarie, ancorché marxianamente ispirata, non fu molto inferiore a quella di un Mussolini, si annida, a mio modo di vedere, un suggerimento importante per trovare la giusta risposta alla domanda di Montale (che ovviamente continua a tormentare ciascuno di noi in ogni epoca in cui ci sembra di veder tornare "i barbari", come suggerirebbe Baricco).
A me, appassionato di storia, pare evidente che contro la barbarie la cultura non basta. Ne' come prevenzione, nè come cura. Per curare e sconfiggere la barbarie politico-militare serve il coraggio civile e militare. Un coraggio "colto" ma anche popolare e di massa, purché in grado di discernere i giusti valori morali e civili. Di riconoscere, ad esempio, i diritti fondamentali e inviolabili dell'uomo. Senza il coraggio della Resistenza e dei partigiani l'Italia non si sarebbe liberata dalla barbarie nazifascista. Perchè non c'è libertà, senza il coraggio, senza la fatica, senza il sacrificio di un popolo per conquistarla e per mantenerla. Questo lo sapevano nell'antichità gli ateniesi guidati da Pericle (almeno secondo quanto ci narra lo storico Tucidide). Questo lo sapevano i patrioti americani che si liberarono dal colonialismo inglese e costruirono gli Stati Uniti d'America. E chiunque sostenga il contrario, sappia invece di essere smentito da una discreta quantità di esempi storici distribuiti su tutto il pianeta, a tutte le latitudini, in tutte le epoche.
Aggiungo che le riflessioni luperiniano montaliane mi hanno stimolato un pensiero specifico però sulla nostra resistenza e sugli eserciti che liberarono il nostro paese dal nazifascismo.
Tra il '43 e il 1945, quasi solo nell'Italia del centro-nord, si combatté una guerra civile. Ora io credo che più propriamente si dovrebbe parlare di un conflitto politico tra forze e soggetti che in alcune aree geografiche assunse anche caratteristiche militari e di guerra civile. Con fronti mobili. Con il coinvolgimento occasionale di civili. Una cosa che sta tra una lotta politica violenta e una mezza guerra civile. Con molte sfumature, che in poche frasi però non si possono chiarire.
Comunque i vincitori di quella che solo per semplicità continuo a chiamare "guerra civile" hanno fondato sui valori della Resistenza la nuova Repubblica Italiana. E hanno fatto bene. Senza il coraggio, senza le armi, senza il sangue dei partigiani, libertà politiche e democrazia non sarebbero state riconquistate in Italia.
Questo è vero ed è un punto fermo.
Ma è altrettanto vero che chi combatté, consapevolmente o meno, dalla parte della barbarie (sul versante dei nazifascisti), e fu sconfitto, non può facilmente riconoscersi in quella vittoria (che per lui fu una sconfitta) e, per conseguenza, nei valori espressi dalla Resistenza. Il 25 aprile resta e rimarrà dunque una giornata di vittoria sulla barbarie, ma non di riconciliazione coi barbari. Se vogliamo superare quel trauma e creare una fondazione condivisa della Repubblica Italiana, forse dovremo inventarci una festa della riconciliazione, del perdono e del superamento degli stessi elementi di barbarie che inevitabilmente si annidano anche nel coraggio dei giusti. Ma questo è un altro percorso che la cultura e il tempo forse ci aiuteranno a compiere. Forse. Oppure la vittoria dei giusti rimarrà come una cicatrice non perfettamente rimarginata della nostra storia nazionale. Ce ne faremo una ragione.
Ma c'è invece un'altra verità che gli italiani faticano a riconoscere e comprendere compiutamente.
L'Italia non ha sconfitto la barbarie nazifascista solo col coraggio degli italiani che stavano dalla parte giusta. Questo coraggio è stato ed è moralmente rilevante, ma non sarebbe bastato. Anche di questo dovremmo assumere consapevolezza. Non per svilire i giusti che combatterono, ma per non creare una retorica sopravvalutata di quella lotta.
L'Italia è stata liberata essenzialmente grazie al coraggio e al sangue di giovani "stranieri" che hanno dato la loro vita per combattere il nazifascismo, riconquistando alla civiltà, palmo a palmo, il suolo italiano.
Se gli eserciti alleati costituiti da giovani americani, inglesi, polacchi, francesi e di molte altre nazionalità (soprattutto di paesi delle ex colonie britanniche) non fossero sbarcati in Sicilia e "garibaldinamente" non avessero combattuto contro l'esercito tedesco e fascista per tutta la penisola e fino al Brennero, l'Italia non sarebbe stata liberata. Certo la stessa cosa vale per la Francia (con lo sbarco in Normandia), ma è assolutamente vera.
Senza il coraggio, il sangue e la violenza degli eserciti alleati contro la barbarie nazifascista l'Italia e l'Europa non sarebbero un continente libero.
Ma che la Repubblica italiana si fondi in maniera essenziale, centrale ed incontrovertibile sul sangue e sul coraggio di questi soldati stranieri non è percepito dagli italiani, sempre pronti a dimenticare gli aiuti ricevuti dagli altri. E non sono solo gli italiani "sconfitti" (i fascisti) a ignorare le cosa, ma anche i vincitori.
Che l'Italia si stata liberata da "altri", da stranieri, è una verità scomoda che la nostra retorica patriottarda e nazionalista (incluso quella ispirata dalle forze del CLN) non ci consente di metabolizzare.
Eppure se fossimo un paese serio (e, a mio avviso, lo siamo solo in parte) il 25 aprile, più che andare a mettere una corona d'alloro all'altare della Patria, noi dovremmo andare a mettere corone d'alloro in tutti i cimiteri che ospitano i corpi dei soldati alleati che si trovano sul suolo italiano. Di più. Forse dovremmo collocare il corpo di un soldato degli eserciti alleati, di uno "straniero" dunque, nel nostro altare della Patria, perchè se l'Italia è diventata nel 1945 un paese libero è anche grazie al soldato straniero morto per noi; e il giorno della festa della Liberazione dovremmo fare un omaggio e un ringraziamento speciale a lui e a tutti i circa 100.000 soldati "alleati" morti per la nostra libertà. Perchè se i morti partigiani furono circa 35.000, i soldati degli eserciti alleati morti tra il 1943 e il 1945 nella guerra contro il nazifascismo in Italia, sul suolo italiano, furono circa 100.000. Almeno centomila.
Certo non è molto patriottico, nè riempie di orgoglio un "popolo caciarone e ad alta densità di retorica" come il nostro, pensare che la libertà ci è stata "donata" e imposta agli italiani da altri.
Ma così è andata. E un popolo diventa adulto solo se riesce a fare veramente i conti con la propria storia.
Del resto, ci suggerisce ancora Luperini nella lettura montaliana delle "nuove stanze", non era forse statunitense la musa con gli occhi di acciaio che aveva ispirato il testo e avrebbe dovuto sconfiggere la barbarie nazifascista a cui allegoricamente allude la poesia?



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