sabato 4 maggio 2019

Romano Luperini su "Montale e il fascismo" e l'interpretazione della poesia "Nuove stanze" (maggio 1939).
Venerdi 3 maggio alla biblioteca Gronchi chi ha assistito alla lezione/spiegazione della succitata poesia di Montale a cura del prof. Romano Luperini è rimasto estasiato. Una mezza esperienza mistica. Come quando Paolucci o la Acidini raccontano un quadro di Michelangelo o un'opera di Leonardo. Godimento puro. Sfornando un'analisi complessa e profonda di un'opera d'arte, intellettuali come Luperini o Paolucci ti prendono per mano e ti fanno capire a quali livelli di profondità si può scendere nella comprensione delle cose e a quali livelli invece ci troviamo, di solito, noi umili mortali, più o meno acculturati. Solo chi sa, riesce davvero a capire le strutture di un'opera e a collegare i dettagli. Poi, però, la discussione seguita alla conferenza, stimolata anche dalla domanda interna al testo di Montale, che si chiedeva se la cultura può bastare a salvarci dalla barbarie (nel caso di Montale dal nazifascismo) è migrata verso il ruolo della poesia oggi, della letteratura oggi, delle filologia oggi, della scuola oggi, degli insegnanti oggi. E nelle riflessioni sull'oggi, le timide speranze presenti nel testo montaliano si sono trasformate in un forte pessimismo. Ma confesso che ho trovato un Luperini meno pessimista del solito. Forse perchè l'auditorium era piano di giovani e di "classicista" un po' in là con gli anni non ce n'erano molti.
La mia riflessione (che non ho osato però esporre in quella sede) è che oggi sia soprattutto la critica letteraria a non contare più un tubo nel dibattito pubblico, perchè di letteratura e di poesia se ne fa e se ne stampa forse anche troppa. Ma da una parte i critici non ce la fanno a leggere nemmeno un decimo di quello che si pubblica; e dall'altra le loro riflessioni hanno perso quel mordente che avevano fino agli anni '80 del '900. Questo non significa affatto che la critica letteraria abbia perso valore o qualità. Ha solo perso visibilità e attrattiva rispetto al dibattito pubblico (così come li ha persi la storia. Chi diavolo se li fila oggi gli storici e i loro bei libri complicati pieni di dati e riflessioni? O i filosofi? Roba buona solo per le élite che affollano i festival tematici, niente di più). Ma i giornali e i settimanali italiani non pubblicano più le loro recensioni e i loro dibattiti. O lo fanno molto casualmente. Del resto i social media non sarebbero leggibili se proponessero testi di critica militante, saggi di storici e filosofi seri. Anche se, ha detto Luperini, ci sono dei blog oggi che stanno andando in controtendenza e propongono testi di critica letteraria con la forza di certe riviste degli anni '60 e '70. Ovviamente Luperini vede nella morte della critica, della letteratura, della poesia, nella crisi della scuola e nella mancanza di maestri, un segno della barbarie che avanza. E ha lasciato intendere (o almeno così m'è parso di intendere) che non sarà facile combattere tutta questa barbarie e la sola filologia non basterà a salvarci. Confesso (e spero di non sbagliarmi) che, pur non ignorando il caos che si agita in questi tempi, non mi pare che il presente abbia lo stesso carico di barbarie degli anni '20 e '30, che certi leader attuali non siano paragonabili ai protagonisti del nazifascismo o anche del comunismo cino-sovietico dei gulag e delle rivoluzioni culturali del secolo folle. Né credo che il terrorismo contemporaneo fatto di predatori singoli o associati abbia lo stesso peso della barbarie del primo Novecento. Ma è un'interpretazione soggettiva la mia e non insisto. Aggiungo invece un'ultima cosa che mi ha colpito tra le molte che ha detto Luperini. Durante il commento alle "Nuove stanze" ha buttato là alcune velocissime riflessioni sulla lotta tra fascismo e antifascismo; ha riconosciuto che anche il fascismo ha espresso una sua cultura (sia pure meno raffinata di quella antifascista); e ha sostenuto che il fascismo è dentro di noi, perché (me lo sono appuntato) "è qualcosa di umano". A quel punto m'è venuto a mente il recente libro di Francesco Piccolo sulla bestia che è dentro di noi e anche Desmond Morris con il suo scimmione nudo. No, non direi proprio che la letteratura sia morta e nemmeno che i critici letterari siano defunti, se riescono a tenerci sveglia la mente e a farci riflettere su un sacco di cose.



1 commento:

  1. Luca Cherici

    Ringrazio Roberto Cerri per la prestigiosa e accorata riflessione riguardo la conferenza di Romano Luperini. Per questo, appunto, ringrazio sentitamente.
    Purtroppo, non ho oggettivamente il tempo e le condizioni per scrivere non una critica a quanto asserito, ma nemmeno una riflessione che, per porsi a detto livello, richiederebbe altro.
    Per questo motivo, mi limiterò ad accennare due, tre cose: dunque, di per sé - per loro natura - esposte ad ogni sorta di 'critica'.
    Ecco, per primo voglio evitare di citare R. Ceserani ed altri (relativamente al postmoderno), proprio per non cadere a capo fitto nell'esatto contrario di ciò che intendo. Credo, non si possa fare della critica letteraria altra disciplina (rispetto all filologia, la linguistica, la filosofia, la storia, etc.), altrimenti corriamo il rischio di 'sotterrarla' la Letteratura, o altra arte. Direi, che in letteratura non c'è il 'vero', tantomeno una 'probabile verità': essa corre parallela alla vita, alla storia,v etc...
    Poi, certo, Pasolini capì la questione del "fascismo eterno" e chiaramente paventò ("Scritti corsari"; "Petrolio";...), un suo possibile ritorno non già sul piano storico (con le medesime fattezze, caratteristiche), ma in un senso diverso; rispetto al quale non saprei se già siamo riusciti a sviluppare adeguati 'anticorpi'. Gadda tutto ciò probabilmente lo capì in ritardo. A pasolini, ad esempio (anche se ciò potrà apparire fuori contesto), il tentativo di coniugare spiritualismo e marxismo costò molto caro: avere come altri le classi dirigenti - ssoprattutto quelle di una certa sinistra - del tutto contro.
    E' poi da lasciar correre il rapporto tra psicoanalisi e arte: quello della 'capacità previsionale' di queste ultime...
    Tutto il discorso prende molto il largo se apriamo il dibattitto agli autori non italiani... Ciò che in un certo senso ha tentato di fare Ceserani e altri...
    Romano Luperini (come Roberto Cerri) nel suo intervento a detto tutte cose 'straordinarie'... Personalmente, mi ha colpito molto ascoltare la frase: se uno studente sapesse interpretare un verso del Petrarca...
    Quindi non credo si ponga nemmeno la questione del postmoderno e dell'antimoderno... Celine come lo definiremmo, adesso...
    Piuttosto, direi che la Letteratura esisterà sempre; e purtroppo avrà sempre gli stessi, i soliti nemici...

    luca cherici

    RispondiElimina