Nella
tradizione italiana le biblioteche non sono percepite come un bene
comune, come una risorsa importante per la collettività. O almeno un
sentimento del genere è assai poco diffuso tra la popolazione e
spesso anche tra gli amministratori. Ovviamente c'è una ragione.
Nazione di gente pocoleggente, non riusciamo a concepire che una
biblioteca abbia un alto valore, paragonabile a quello di una scuola
e forse anche di più, perchè la scuola è riservata solo ai ragazzi
e ai giovani, mentre la biblioteca è un luogo di formazione
permanente, accessibile a tutti, potenzialmente aperto 365 giorni
all'anno, adatto a qualunque età, dove si può entrare per qualsiasi
ragione, cittadini italiani o immigrati senza cittadinanza, un luogo
dove non si pratica alcuna discriminazione, dove si è certi di
essere accolti e di trovare un'offerta culturale ampia, variegata,
libera, gratuita.
Per
queste e altre ragioni una biblioteca ben costruita e gestita da bibliotecari di buona volontà è anche un primo presidio universale che può
mettere al riparo dalle false informazioni e può dare le dritte
giuste per affrontare i propri problemi e persino intrattenere con
intelligenza e gusto.
La
crisi sanitaria del Covid ha prima chiuso e ora solo faticosamente e
parzialmente riaperto le biblioteche, ma, temo, ci vorrà ancora un
po' di tempo per tornare alla normalità e soprattutto ci saranno da
superare alcuni impatti negativi che il distanziamento sociale,
imposto dal Covid, ha generato. Anche nella mente e nei comportamenti
delle persone.
Nella
inquieta comunità dei bibliotecari (sempre pronta a interrogarsi sul
futuro della propria professione) è partita in queste settimane una
riflessione sui cambiamenti che la pandemia potrebbe imporre alle
biblioteche. Personalmente trovo che questa discussione, tutta
schiacciata sull'emergenza e sugli ipotetici impatti del virus, poco
interessante. Tuttavia in ogni discussione pubblica c’è sempre
qualcosa di buono. A cominciare da un approfondimento sul perché
delle riduzioni drammatiche dei servizi bibliotecari, che in alcune
zone del Paese sono stati trascinati indietro di anni e si sono
avvitati in un trend negativo che non sarà facile arginare
e riportare al segno positivo.
Consapevole
di questa complessità e dei molti elementi oggettivamente negativi
che caratterizzano questi mesi, vorrei concentrarmi sul problema del
distanziamento, rispetto al quale credo che dovremo agire con
particolare attenzione, perché le biblioteche sono sostanzialmente
due cose: (1) più o meno grandi depositi di documenti e (2)
relazioni sociali.
Rispetto
al punto (1), intense campagne di digitalizzazione dei vecchi volumi
cartacei e massicci acquisti di nuovi testi in digitale, accompagnati
da software di ricerca sempre più sofisticati e potenti, potrebbero
rendere, in un lasso di tempo ragionevole, del tutto obsolete le
biblioteche magazzino come le conosciamo oggi. Se il governo italiano
utilizzerà un po' di risorse per l'ammodernamento delle
infrastrutture che l'Europa pare ci darà per destinarle anche alle
biblioteche, beh, credo che anche le Italian Libraries potranno
procedere a passi svelti sulla via del Digitale. Ma, se conosco
abbastanza i galletti che abitano nei palazzi romani che contano (di
Sinistra, di Centro e di Destra) dubito che investiranno risorse
importanti nella digitalizzazione delle Italian Libraries. Se
poi accadrà, ne sarò felice. Comunque vada, con o senza
finanziamenti straordinari europei, nei prossimi 50 anni sicuramente
la funzione (1) è destinata ad essere superata dalla
digitalizzazione del sapere che, con grande probabilità, costituirà
il futuro di questo settore.
Tuttavia
una biblioteca (piccola o grande che sia) non è solo un deposito di
libri, è anche (2) un luogo di accoglienza e risposte, abbinato ad
un complesso intreccio di relazioni sociali e culturali. E' un
insieme di documentazione locale, di relazioni tra operatori
culturali di un territorio, un intreccio tra editori (anche locali),
autori (anche locali), librerie (in franchising, locali e autonome),
scuole, insegnanti, biblioteche private, cartolibrerie,
collezionisti, donatori, fondi speciali, personalità e istituzioni
culturali, memorie locali, archivi privati e di enti pubblici e chi
più ne ha, più ne metta. Tutto questo variegato reticolo di
soggetti che si ricollegano a quella che oggi, con definizione da
economia industriale, viene chiamata filiera del libro sta poi in
relazione con i fruitori finali dei libri e della documentazione,
ovvero i ricercatori, i lettori, le associazioni culturali, gli
operatori culturali e le persone comuni, a partire dai bambini e dai
loro parenti. Come se non bastasse, tutto questo insieme entra
in un cerchio ancora più allargato e si pone in relazione con musei,
scuole, attività produttive di un territorio, secondo logiche
complesse, che qui non è possibile approfondire
Di
questo insieme di cultura pulsante la biblioteca è parte attiva. Anzi, più i
bibliotecari sono sensibili e innervati in questo sistema di
relazioni allargate, più la biblioteca è un luogo vivo, dinamico,
appassionante, produttivo, accogliente. E' insomma un bene comune.
Uno dei luoghi dove avvengono gli scambi culturali, dove le persone
si confrontano rispetto alle loro idee, dove si contagiano e si
passano informazioni, competenze, sogni, credenze e mille altri
elementi culturali.
Ora
se la prima funzione (quella del deposito librario) è destinata pian
piano a scomparire, le alchimie relazionali e di accoglienza che la
biblioteca è in grado di attivare rappresentano esattamente
l'evoluzione biologica che a mio avviso dovrebbe consentire alle
biblioteche di sopravvivere in un tempo medio, l'unico sul quale
possiamo ragionevolmente fare previsioni.
Ma
una biblioteca relazionale richiede personale di buona qualità e
fortemente motivato, in grado di dialogare bene coi propri vertici
amministrativi, coi propri partner relazionali e con il pubblico.
Formula facile a dirsi, ma che presuppone equilibri e sensibilità
estremamente difficili da realizzare e soprattutto mantenere nel
tempo. Questo perché la corretta manutenzione di relazioni
trasversali non dipende solo dai bibliotecari, ma da tutti i
protagonisti della filiera (amministrazione e pubblico compresi) e
dalle criticità che i tempi propongono.
Non
a caso, di fronte all'avanzata del Covid19, le risposte che i
bibliotecari hanno dato sono state la digitalizzazione e la
comunicazione via social. Mentre sul fronte relazionale le attività
degli operatori sono apparse di poco peso e il supporto che i
bibliotecari hanno saputo offrire alla filiera del libro e a quel
segmento ampio e importante che è la scuola, è parso, almeno per
quello che sono riuscito a capire, modesto. Certo la situazione si è
presentata difficile ed imprevedibile. Molti bibliotecari sono stati
messi in ferie o in una condizione di smartworking poco orientata al
dialogo coi lettori e con la filiera del libro. Il distanziamento
fisico è stato raggiunto e su questo si è innescato anche il
distanziamento relazionale. Con le dovute accezioni per fortuna.
Ora
però è il momento di fare punto e ripartire. E' il momento,
pur mantenendo una forte attenzione alla gestione della sicurezza, di
affrontare il nodo vero di questa nuova fase che per i bibliotecari
(come per il resto dei cittadini e della attività) è la gestione
della riduzione del distanziamento sociale e la ripresa delle
relazioni.
Perchè
se le biblioteche, i musei, i teatri, i cinema devono tornare a fare
il loro mestiere non possono che tornare ad essere luoghi di
"relazione" e di attività in sede.
Le
energie dovranno essere investite in questa direzione se vogliamo
costruire il miglior futuro possibile per le nostre istituzioni e per
i nostri lettori.
Tutto
ciò avrà un costo: umano e finanziario. Più il conto ci
spaventerà, più, come sta accadendo in diverse parti anche della
Toscana, la ripartenza relazionale delle biblioteche sarà lenta e
incerta.
Il
futuro, come sempre, dipende anche da noi e dalle nostre scelte.
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