sabato 20 giugno 2020

Biblioteche: bene comune. Una consapevolezza che deve crescere



Nella tradizione italiana le biblioteche non sono percepite come un bene comune, come una risorsa importante per la collettività. O almeno un sentimento del genere è assai poco diffuso tra la popolazione e spesso anche tra gli amministratori. Ovviamente c'è una ragione. Nazione di gente pocoleggente, non riusciamo a concepire che una biblioteca abbia un alto valore, paragonabile a quello di una scuola e forse anche di più, perchè la scuola è riservata solo ai ragazzi e ai giovani, mentre la biblioteca è un luogo di formazione permanente, accessibile a tutti, potenzialmente aperto 365 giorni all'anno, adatto a qualunque età, dove si può entrare per qualsiasi ragione, cittadini italiani o immigrati senza cittadinanza, un luogo dove non si pratica alcuna discriminazione, dove si è certi di essere accolti e di trovare un'offerta culturale ampia, variegata, libera, gratuita.
Per queste e altre ragioni una biblioteca ben costruita e gestita da bibliotecari di buona volontà è anche un primo presidio universale che può mettere al riparo dalle false informazioni e può dare le dritte giuste per affrontare i propri problemi e persino intrattenere con intelligenza e gusto.
La crisi sanitaria del Covid ha prima chiuso e ora solo faticosamente e parzialmente riaperto le biblioteche, ma, temo, ci vorrà ancora un po' di tempo per tornare alla normalità e soprattutto ci saranno da superare alcuni impatti negativi che il distanziamento sociale, imposto dal Covid, ha generato. Anche nella mente e nei comportamenti delle persone.
Nella inquieta comunità dei bibliotecari (sempre pronta a interrogarsi sul futuro della propria professione) è partita in queste settimane una riflessione sui cambiamenti che la pandemia potrebbe imporre alle biblioteche. Personalmente trovo che questa discussione, tutta schiacciata sull'emergenza e sugli ipotetici impatti del virus, poco interessante. Tuttavia in ogni discussione pubblica c’è sempre qualcosa di buono. A cominciare da un approfondimento sul perché delle riduzioni drammatiche dei servizi bibliotecari, che in alcune zone del Paese sono stati trascinati indietro di anni e si sono avvitati in un trend negativo che non sarà facile arginare e riportare al segno positivo.
Consapevole di questa complessità e dei molti elementi oggettivamente negativi che caratterizzano questi mesi, vorrei concentrarmi sul problema del distanziamento, rispetto al quale credo che dovremo agire con particolare attenzione, perché le biblioteche sono sostanzialmente due cose: (1) più o meno grandi depositi di documenti e (2) relazioni sociali.
Rispetto al punto (1), intense campagne di digitalizzazione dei vecchi volumi cartacei e massicci acquisti di nuovi testi in digitale, accompagnati da software di ricerca sempre più sofisticati e potenti, potrebbero rendere, in un lasso di tempo ragionevole, del tutto obsolete le biblioteche magazzino come le conosciamo oggi. Se il governo italiano utilizzerà un po' di risorse per l'ammodernamento delle infrastrutture che l'Europa pare ci darà per destinarle anche alle biblioteche, beh, credo che anche le Italian Libraries potranno procedere a passi svelti sulla via del Digitale. Ma, se conosco abbastanza i galletti che abitano nei palazzi romani che contano (di Sinistra, di Centro e di Destra) dubito che investiranno risorse importanti nella digitalizzazione delle Italian Libraries. Se poi accadrà, ne sarò felice. Comunque vada, con o senza finanziamenti straordinari europei, nei prossimi 50 anni sicuramente la funzione (1) è destinata ad essere superata dalla digitalizzazione del sapere che, con grande probabilità, costituirà il futuro di questo settore.
Tuttavia una biblioteca (piccola o grande che sia) non è solo un deposito di libri, è anche (2) un luogo di accoglienza e risposte, abbinato ad un complesso intreccio di relazioni sociali e culturali. E' un insieme di documentazione locale, di relazioni tra operatori culturali di un territorio, un intreccio tra editori (anche locali), autori (anche locali), librerie (in franchising, locali e autonome), scuole, insegnanti, biblioteche private, cartolibrerie, collezionisti, donatori, fondi speciali, personalità e istituzioni culturali, memorie locali, archivi privati e di enti pubblici e chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo variegato reticolo di soggetti che si ricollegano a quella che oggi, con definizione da economia industriale, viene chiamata filiera del libro sta poi in relazione con i fruitori finali dei libri e della documentazione, ovvero i ricercatori, i lettori, le associazioni culturali, gli operatori culturali e le persone comuni, a partire dai bambini e dai loro parenti. Come se non bastasse,  tutto questo insieme entra in un cerchio ancora più allargato e si pone in relazione con musei, scuole, attività produttive di un territorio, secondo logiche complesse, che qui non è possibile approfondire
Di questo insieme di cultura pulsante la biblioteca è parte attiva. Anzi, più i bibliotecari sono sensibili e innervati in questo sistema di relazioni allargate, più la biblioteca è un luogo vivo, dinamico, appassionante, produttivo, accogliente. E' insomma un bene comune. Uno dei luoghi dove avvengono gli scambi culturali, dove le persone si confrontano rispetto alle loro idee, dove si contagiano e si passano informazioni, competenze, sogni, credenze e mille altri elementi culturali.
Ora se la prima funzione (quella del deposito librario) è destinata pian piano a scomparire, le alchimie relazionali e di accoglienza che la biblioteca è in grado di attivare rappresentano esattamente l'evoluzione biologica che a mio avviso dovrebbe consentire alle biblioteche di sopravvivere in un tempo medio, l'unico sul quale possiamo ragionevolmente fare previsioni.
Ma una biblioteca relazionale richiede personale di buona qualità e fortemente motivato, in grado di dialogare bene coi propri vertici amministrativi, coi propri partner relazionali e con il pubblico. Formula facile a dirsi, ma che presuppone equilibri e sensibilità estremamente difficili da realizzare e soprattutto mantenere nel tempo. Questo perché la corretta manutenzione di relazioni trasversali non dipende solo dai bibliotecari, ma da tutti i protagonisti della filiera (amministrazione e pubblico compresi) e dalle criticità che i tempi propongono.
Non a caso, di fronte all'avanzata del Covid19, le risposte che i bibliotecari hanno dato sono state la digitalizzazione e la comunicazione via social. Mentre sul fronte relazionale le attività degli operatori sono apparse di poco peso e il supporto che i bibliotecari hanno saputo offrire alla filiera del libro e a quel segmento ampio e importante che è la scuola, è parso, almeno per quello che sono riuscito a capire, modesto. Certo la situazione si è presentata difficile ed imprevedibile. Molti bibliotecari sono stati messi in ferie o in una condizione di smartworking poco orientata al dialogo coi lettori e con la filiera del libro. Il distanziamento fisico è stato raggiunto e su questo si è innescato anche il distanziamento relazionale. Con le dovute accezioni per fortuna.
Ora però è il momento di fare punto e ripartire. E' il momento, pur mantenendo una forte attenzione alla gestione della sicurezza, di affrontare il nodo vero di questa nuova fase che per i bibliotecari (come per il resto dei cittadini e della attività) è la gestione della riduzione del distanziamento sociale e la ripresa delle relazioni.
Perchè se le biblioteche, i musei, i teatri, i cinema devono tornare a fare il loro mestiere non possono che tornare ad essere luoghi di "relazione" e  di attività in sede.
Le energie dovranno essere investite in questa direzione se vogliamo costruire il miglior futuro possibile per le nostre istituzioni e per i nostri lettori.
Tutto ciò avrà un costo: umano e finanziario. Più il conto ci spaventerà, più, come sta accadendo in diverse parti anche della Toscana, la ripartenza relazionale delle biblioteche sarà lenta e incerta.
Il futuro, come sempre, dipende anche da noi e dalle nostre scelte.

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