lunedì 28 aprile 2025

UN MONTE DI PAROLE. PER COSA E PER CHI?

È difficile costruire un dibattito pubblico sulle scelte culturali dell’Amministrazione pontederese. Vista la fantasmaticità della politica locale, i suoi vertici amministrativi si confrontano solo con le opposizioni in Consiglio comunale, ma a vedere gli streaming consiliari si tratta più di scazzi (mi si perdoni il francesismo) che di approfondimenti o di dibattiti. Se poi ci si mette il fatto che destra e sinistra (qualunque cosa questi concetti ormai vogliano dire) battibeccano spesso solo come si trovassero in un gioco di ruolo, gli argomenti si riducono davvero a poca cosa. Ed è una pena.

Non meraviglia quindi che oggi gli Amministratori Pontederesi (AP) tendano a fare comunicati o conferenze stampa sulle iniziative che organizzano, ma si rifiutino di presentare bilanci veri (con tanto di numeri e di analisi) dei loro eventi. Questo non consente di valutare i contenuti, il raggiungimento degli obiettivi, la qualità della cultura prodotta, il livello di coinvolgimento ottenuto, sia sul piano cittadino, sia rispetto alla realtà territoriale esterna. But they don’t care.

La cosa importante per gli AP è annunciare eventi. Ma su cosa venga poi realizzato davvero e sul suo impatto sulla città, meglio evitare qualunque verifica. A nessuno piace essere misurato. Anche se per gli AP la valutazione ESTERNA dovrebbe essere la norma. O no? In realtà tutto viene rimandato alla fatidica prova elettorale, come se si trattasse a quel punto di una specie di giudizio di Dio.

Ad esempio sul festival un PONTE DI PAROLE che dicono gli AP? Che si sono prodotti 60 eventi culturali, circa; con 4000 partecipanti, circa, spalmati su 5 giorni. Sembrano tanti, i partecipanti, ma se si tolgono l’evento con la Maraini e quello con Genovesi, si scende a 3000 presenze che divise che 60 eventi fa una 50tina di persone in media a evento. Tante o poche?

Se poi ci si chiede da dove sia venuto il pubblico dei 60 eventi, forse “Everbrite” potrebbe dirci quello degli spettacoli con la registrazione obbligatoria, ma su tutto il resto è buio pesto. Per cui non è possibile dire se il MONTE DI PAROLE sia stato attrattivo o meno rispetto ad una certa area geografica. Ma importa a qualcuno saperlo? Sembrerebbe proprio di no. L’autoreferenzialità culturale pare tutto.

A parlare poi di qualità del “presentato”, buon Dio, non si può. Lo sanno tutti che dei “gustibus non est disputandum".

Quanto ai costi, ancora più buio. Da calcoli sicuramente parziali (sui documenti pubblici disponibili) sembra che la spesa si sia aggirata sui 50.000 €. Ma visto lo spacchettamento in oltre una decina di determine delle spese dirette del Comune e immaginati i contributi esterni (tra cui quello di Ecofor per la Maraini), sapere quale sia il vero budget di spesa del PONTE non è possibile (almeno dall'esterno) e quindi fare una verifica costi/benefici sul piano economico è praticamente impossibile.

Si potrebbe poi osservare che tutto questo spacchettamento di atti amministrativi consente agli AP di procedere a colpi di affidamenti diretti, senza far ricorso a quella che sarebbe la modalità consigliata dal diritto pubblico ovvero la selezione dei fornitori mediante gare e appalti. Ma anche di queste logiche “liberiste”, in tempi di super protezionismo, Dio ce ne scampi e liberi. Eppure, secondo molti esperti, gli affidamenti diretti sono la migliore modalità per consolidare reti di amicizie poco trasparenti, per far salire i costi e per evitare gli opportuni (e moralmente obbligatori) ricambi di fornitori. La richiesta di più preventivi e gli appalti non sono una buona pratica? Già, così dicono tutti. Ma ormai gli affidamenti diretti sono una prassi consolidata. Almeno qui da noi. E le reti connettive pure.

Un festival letterario a volte cerca di darsi un asse culturale. Un’identità. Un qualcosa che lo caratterizzi tra i mille prodotti similari. Magari tale identità è costruita ed espressa da un direttore artistico. Il quale, volendo, ogni tanto può essere perfino cambiato. Il MONTE DI PAROLE non sembra interessato a tutto questo. Vive di luce sua propria. Esalta la sommatoria. Infatti ogni associazione stracittadina porta qualcosa di suo (come fa anche nel resto dell’anno). Sai che forza attrattiva.

E una sede operativa unica che identifichi festival e location? Non sia mai. Siamo per modello festival di Mantova. Mille sedi. Come a Mantova. Il pubblico cerchi le sue sedi preferite. Tanto viene prevalentemente gente di qui. E del resto, se si volesse concentrare tutto in una sede unica, spaziosa, dove si potrebbe mai trovare una location del genere a Pontedera? Il Teatro Era? Manco a parlarne.

E il coinvolgimento della scuola? Soprattutto la partecipazione delle classi superiori. Dei lettori young? Ma con un loro protagonismo. Coi loro autori. Non solo come fruitori passivi. Seeee. Visti i tempi di programmazione e la capacità di dialogo con le scuole superiori, niente da fare. O poco.

Ma davvero con una simile proliferazione di incontri si pensa di costruire qualcosa che assomigli ad un festival che abbia un senso in una società in cui il sonno della ragione sembra davvero spingere alla proliferazione di eventi di poco spessore o ripetitivi?

Per rispondere dignitosamente a questo breve elenco di domande, basta confrontare il pontederese e poco originale PONTE con il festival PENSAVO PECCIOLI e avere così chiaro cosa si sta producendo nella città che ha dato i natali alla Vespa. Oppure basta pensare al festival ‘LEGGENDA” di Empoli.

Tutti esercizi inutili? Noi siamo noi e del confronto con gli altri non ci interessa nulla?

Già sembra proprio così.

Ma procedendo su questa strada ne esce un festival per la “maggioranza”, per i suoi amici, con una partecipazione molto narcisistica di varie associazioni cittadine. 

Con un’ossessiva presenza degli amministratori a tutte le manifestazioni culturali, a tutte le presentazioni di libri, a tutti gli incontri con autori. Una presenza sgarbata, eccessiva, come se ogni evento culturale del PONTE, per altro pagato coi soldi di tutti i cittadini, fosse in realtà una lagnosa appendice di una campagna elettorale della maggioranza destinata a durare ormai cinque anni.

E dico della maggioranza perché di consiglieri o personalità riconducibili alle opposizioni non si vede quasi mai nessuno a questi eventi ponteschi.

Colpa loro, certo, ma colpa anche di chi dovrebbe amministrare la città per conto di tutti i cittadini e non si pone il problema di escluderne una parte.  Una gran parte. Anzi è proprio contenta che gli "altri" non partecipino.

Ma se si spendono soldi che provengono anche dai tassati di centro destra o della sinistra radicale non sarà il caso di fare qualcosa di culturale anche per loro e con loro? O in cui loro si sentono a casa? Pontedera è anche casa loro? Boh..

Una visione un po' più plurale, forse perfino condominiale, della città e della sua cultura proprio no?

Ok, ok. Ma se poi cresce la sensazione di polarizzazione sociale nei toni della comunità, anche a livello locale e a Pontedera in particolare, non sarà anche perché c'è una enorme difficoltà a riconoscere le reciproche diversità e chi amministra vuole solo occupare tutti gli spazi possibili coi propri amici e i propri cantori infischiandosene degli altri?

MA I "PONTI" NON DOVREBBERO SERVIRE ANCHE PER COLLEGARE SPONDE DIVERSE?

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