lunedì 27 dicembre 2021

Siamo buoni o cattivi? Il libro dello storico olandese Rutger Bregman suggerisce qualche risposta

Non è facile rispondere alla domanda se gli uomini (e le donne) siano buoni e cattivi e perchè siano quel che sono. Curioso poi è che a tentare di rispondere a questa domanda sia uno storico olandese, un certo Rutger Bregman, in un libro pubblicato di recente che si intitola "Una nuova storia (non cinica) dell'umanità", Feltrinelli, 2020, 331 p. + le note e la bibliografia, anche queste ultime degne di essere lette). In effetti l'argomento di solito è trattato dai filosofi. Hobbes sostiene che l'uomo è cattivo per natura, ricordate l'homo homini lupus?; mentre Rousseau scrive che è un "buon selvaggio" pervertito dalla società. E fino dalla più remota antichità la querelle è stata materia di religione. Adamo per la Bibbia nasce buono, ma poi disubbidisce a Dio, commette il peccato originale e si spiana (con l'aiuto di Eva) la strada per l'inferno, su cui rotolerà Caino, ecc. ecc. 

Oggi l'argomento viene trattato scientificamente dalle neuroscienze (credo che una bibliografia di questo tipo cominci ad esserci), mentre per tutto il novecento se n'è occupata la psicologia (a partire da Freud) ed in particolare la psicologia sociale. Ma Bregman è uno storico e mette insieme un libro denso e al  tempo stesso delizioso e che vale la pena di centellinare. Dico subito che tra Rousseau e Hobbes, Bregman si schiera col primo. Per affinità culturali (radici illuministe) e politiche (si respira, almeno in molte pagine, un'aria da terzomondismo comunista e di appassionata partecipazione alla logica delle piccole comunità). Direi che è un libro che dovrebbe piacere anche a Papa Francesco soprattutto per l'esaltazione delle esperienze comunitarie dell'America Latina (da quella del sindaco venezuelano Torres all'esperienza di Porto Alegre). L'uomo insomma per Bregman è prevalentemente buono e cooperativo, ma spesso è stato raccontato cattivo e per l'effetto "Nocebo" (il contrario di "placebo") ha finito non solo per credere lui stesso a questa storia, ma anche per esserlo davvero. Ovviamente Bregman non ignora (analogamente a Papa Francesco) il male prodotto dall'umanità nella storia (nel passato e nel presente), ma prova a smontarne cause, significato, logiche, ecc. Non sempre i suoi smontaggi risultano del tutto convincenti, ma chi potrebbe pretenderlo di fronte a questioni di tale natura?.

Che poi la storia, come suggerisce anche Aleida Assman, ci racconti un po' di tutto e ci fornisca abbondanza di materiali per sostenere sia le tesi e gli argomenti di chi la pensa come Hobbes che dei seguaci di Rousseau è ormai acclarato. Ma, detto questo, le sfide più interessanti dello storico olandese sono: (1) quella di mettere le due tesi a confronto e provare a demolire gli argomenti dei seguaci di Hobbes e in particolare della psicologia sociale e dei più famosi esperimenti sulla cattiveria umana (Zimbardo, Milgram e molti altri); (2) quella di spaziare su una varietà di piani culturali (mirabolante il tentativo di demolire un classico dell'horror giovanile come "il signore delle mosche" di Golding con una controstoria vera finita positivamente); (3) il recupero dei più originali esempi di cooperazione umana e di fratellanza umana (tra cui gli episodi di fratellanza tra soldati in trincea nella guerra del 1914-18); e molto, molto altro ancora che sarebbe impossibile riassumere (accenno solo ad una specie di controstoria dell'Isola di Pasqua che Bregman mette in piedi anche un polemica con il famoso antropologo e naturalista Jared Diamond).

Insomma è davvero una gran bella lettura che, pur protendendo da una parte, quella dei buonisti, rielabora molti materiali, che vanno dalla psicologia all'antropologia, e consente al lettore di provare a farsi una propria idea sull'argomento e a trarre dopo 330 pagine di lettura una propria idea in proposito. Certo, si tratta di una operazione mentale tutt'altro che facile e che deve basarsi sulla fiducia riposta nello spoglio delle fonti effettuato dall'autore e nella sua corretta presentazione. Infatti ogni problema complicato (e questo lo è) presenta una mole tale di documentazione sia a favore che contro che solo menti in grado di digerire una mole documentaria enorme possono esprimere un proprio giudizio con cognizione di causa.

L'unico peccato è che del libro si trovino pochissime copie nella Rete Bibliolandia. Ma nelle librerie può essere di sicuro ordinato.

giovedì 23 dicembre 2021

Il Polo Carlesi e le scuole pontederesi

Non trovo coraggiosa ma approssimativa e poco razionale la scelta del nuovo plesso scolastico nell’area tra nuova coop, pubblica assistenza, rotatorie stradali varie e cimiteri e mi paiono troppo vaghe le affermazioni su cosa si farà dell'edificio di piazza Garibaldi (il terzo o quarto edificio scolastico destinato a una vita fantasmatica).

Sono ovviamente contento che l'intitolazione della nuova scuola sia caduta su Dino Carlesi. È stato indubbiamente uno dei pedagogisti più importanti della nostra città. Ma osservo che la città ha avuto anche altre figure interessanti di docenti e pedagoghi. Penso a Aldo Vespi o a Enzo Catarsi, che andrebbero valorizzati, non solo intitolandogli qualche edificio. Come? Con studi, convegni, lavoro di analisi, incentivi a giovani ricercatori a scriverne la biografia; in sostanza con azioni serie e impegnative di cui invece a Pontedera non si vede traccia. Perchè la memoria va bene, ma è soprattutto la conoscenza del lavoro e delle idee dei concittadini qualificati che arricchisce la città. La memoria infatti è spesso usata dalle istituzioni per scopi celebrativi e cerimoniosi. A volte perfino per ragioni propagandistiche o per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica. E a Carlesi essere usato come specchietto per le allodole è sicuro che non sarebbe piaciuto affatto.

Detto questo aggiungo che il progetto di portare via dall'edificio di piazza Garibaldi le scuole medie e elementari mi convince poco. Cosi come mi paiono poco chiare e vaghe le dichiarazioni dell'amministrazione di voler riportare tra tre o quattro anni (ovvero se l'attuale amministrazione supererà la prossima tornata elettorale) in piazza Garibaldi alcune classi non meglio precisate. In sostanza l'intitolazione della nuova sede a Dino Carlesi, che, ripeto, apprezzo molto, stride troppo con la scarsa chiarezza che si nota attorno al nuovo polo scolastico e al destino dell’edificio di piazza Garibaldi. E parlo di scarsa chiarezza perchè non mi risulta che tutte le scelte annunziate e quelle già realizzate siano accompagnate da uno studio analitico sull’offerta formativa e sulla distribuzione degli scolari e dei plessi a Pontedera. Sbaglierò, ma più che con coraggio, mi pare un modo di procedere alla carlona, con un intervento qui (come la distribuzione di un po’ di classi alla Borra, magari per giustificare interventi che con la scuola non c’entrano nulla) e uno là, senza chiarire come si riposizioneranno bene tutte le risorse in campo: da quelle umane a quelle edilizie.

E poiché ciò che si sa del progetto non mi convince, metto giù alcune annotazioni sperando di suscitare un po’ di dibattito pubblico su quella che è di sicuro una scelta importante per la città. Una scelta che dovrebbe essere ponderata attentamente. Perchè è soprattutto la razionalità che dovrebbe guidare l’azione amministrativa.
La prima è che quasi nessun bambino o ragazzo andrà o sarà accompagnato nella nuova scuola a piedi; e anche recarcisi in bicicletta non sarà facile a meno di non infrastrutturare in forma diversa la viabilità della sfrangiata aria a sud del capoluogo. Nell'era in cui tutti siamo chiamati al risparmio energetico, tutti o quasi tutti dovranno prendere un mezzo di trasporto inquinante e che spreca energia non rinnovabile per raggiungere la nuova scuola. Anche l'elettricità delle auto elettriche infatti andrà in larga misura prodotta con combustibili fossili. Non dimentichiamocelo. Un primo spostamento fuori città è già avvenuto per l'asilo confinato allo Sporting club, corredato dall’abbandono a se stesso del vecchio edificio di via Corridoni, usato oggi, sembra, come un magazzino e di cui non si conosce il futuro. Così come non si sa che fine farà la gigantesca scuola ex Iti in piazza Belfiore, l'ex Ipsia in via Manzoni: a documentare una vera moria di edifici scolastici, destinati a restare ruderi per lunghi decenni, a Pontedera, e ai quali potrebbe ora affiancarsi anche la scuola Curtatone.
La seconda è legata all'età dei bambini e dei ragazzi che frequentano la nuova scuola. Una scelta straniante come quella extra urbana, se va bene per ragazzi delle superiori funziona peggio per i più piccoli, disancorandoli e disamorandoli dal rapporto abitazione-scuola-quartiere-citta'. Un rapporto importante per generare cittadinanza.
La terza è che il grande edificio ottocentesco di piazza Garibaldi è strettamente legato all'identità urbana e scolastica di Pontedera e si dovrebbe rinnovarlo, se necessario rifondarlo, magari farlo riprogettare in forma più moderna e funzionale, ... ma restituirlo alla sua vocazione primaria: interamente e chiaramente scolastica. Certo la riprogettazione dovrebbe avere indirizzi chiari e non vaghi come quelli rintracciabili nei comunicati del Comune. Ma un documento di programmazione univoca e chiara approvato con una delibera dalla Giunta c'è?
La quarta e' che un centro storico vive di funzioni e nella nostra città le funzioni scolastiche hanno strutturato e caratterizzato anche tutti i servizi intorno a quell'area urbana. Lo sradicamento di questa funzione è una ferita che il centro storico rischia di pagare a caro prezzo, avviandosi sempre più in una dimensione effimera e continuamente cangiante, ovviamente foriera di una perdita di identità e forse anche di risorse. La fuoriuscita della scuola da piazza Garibaldi, insieme a tutte le chiacchiere che corrono in città anche su altri plessi, crea un vuoto culturale e un certo smarrimento non solo nei genitori e nella loro già complicata gestione dei figli, ma in chiunque viva la città e l'apprezzi come un corpo coerente e non come una giungla in cui sopravvivere disperatamente, mentre l'amministrazione si arrabatta in scelte apparentemente ganze e coraggiose, ma assolutamente scollegate dal resto del contesto urbano e della popolazione che ci vive.
La quinta è che un progetto scolastico così importante come quello vagheggiato andrebbe supportato da uno studio pedagogico, di didattica scolastica e di riorganizzazione assai approfondito. Con un’analisi degli andamenti demografici, di quanti bambini e ragazzi ci aspettiamo nei prossimi 20 anni in città, di quali servizi si intendono realizzare per loro, di come sarà ristrutturata la viabilità e la parcheggiabilità nell’intera area tra Coop e Cimiteri, con tanto di impatto ambientale, ecc.: Insomma un investimento di diversi milioni di euro richiederebbe uno studio approfondito (e non solo chiacchiere coraggiose) su ciò che si vuole davvero fare (con obiettivi, popolazione coinvolta, cronoprogramma, ecc.); uno studio che non mi pare di aver visto circolare, né mi risulta sia stato elaborato da qualche esperto (nemmeno in forma di un primo report, se non proprio di bozza definita). Quello che manca dunque pare proprio un progetto razionale e serio. Un progetto che sono convinto Dino Carlesi avrebbe voluto leggere e studiare con attenzione prima di dire la sua. Un progetto che ai vecchi tempi sarebbe stato presentato nelle sezioni dei partiti di maggioranza, poi discusso in un un'assemblea pubblica e infine portato in consiglio comunale (dove invece la discussione su questo punto previsto nel DUP 2022 è scivolata via nell’indifferenza o con parole eccessivamente emozionali e retoriche). Insomma tutto il rovescio di come si è fatto adesso, dove un chiacchiericcio quotidiano e diversi comunicati sulla stampa, su facebook, sul web stanno confondendo il cervello più che chiarire le idee ai genitori e ai cittadini.
Un modello antiquato? La democrazia partecipata e lineare va troppo lenta per i tempi moderni? Per quello che so di Carlesi non credo che avrebbe apprezzato tutta questa frettolosa e fantasmagorica approssimazione. Proprio no. Per questo sottolineo che non basterà la trovata di una intitolazione qualificata della nuova scuola a farne un buon progetto e a non aprire un vuoto culturale e forse identitario del cuore della città. No, non basterà



mercoledì 15 dicembre 2021

Piantare alberi: una necessità vitale e un bisogno di qualità urbana

Gran bella lezione stasera, quella dell'Arch. Adriano Marsili all'Università del Tempo Libero, di fronte ad una trentina di persone. Una lezione che è partita dalla storia del verde urbano nell'evoluzione della città (con un rapido excursus dalla Roma antica a oggi), per concentrarsi poi sul verde pubblico a Pontedera negli anni tra il 1982 e il 2012, ovvero il periodo in cui lo stesso Marsili ha elaborato e realizzato i principali progetti delle aree verdi cittadine. Un trentennio di intensa attività che ha portato il nostro comune da circa 20.000 mq di verde pubblico a oltre 500.000 mq e alla costruzione del Parco dei Salici, al recupero dei laghi Braccini e dell'area delle ex fornaci della Rotta, nonchè alla realizzazione delle aree verdi di via Galimberti, di via Nenni e all'importante valorizzazione degli argini dell'Era dal ponte sulla Tosco Romagnola fino al cosiddetto terzo ponte. In quei gloriosi trent'anni Pontedera, che nel dopoguerra di verde pubblico scarseggiava, ha realizzato non solo un recupero ma un vero e proprio salto di qualità. Merito di un'amministrazione comunale che ci credeva e della figura del vicesindaco Renzo Remorini, un operaio comunista della Piaggio, che ha sostenuto con fiducia le proposte dell'Ufficio Urbanistico e del suo Architetto di punta che, proprio in questi anni, andava studiando i modelli del verde pubblico delle principali città italiane e progettava adattamenti per la nostra città. Il tutto in un clima culturale in cui anche a Pontedera la cultura ecologista muoveva i primi passi, veniva fondata Legambiente, nasceva una Lista Verde e la città scopriva il piacere delle piste ciclabili, un rapporto di nuovo positivo coi propri argini, con gli orti sociali e altre relazioni di questo tipo. Data la passione ambientale dell'arch. Marsili non sono naturalmente mancate note polemiche sulla maniera in cui è stato manutenuto il verde pubblico negli ultimi dieci anni, sulle ragioni che hanno portato al blocco delle nuove piantumazioni (dal 2012 a oggi il verde pubblico non è cresciuto e semmai si è impoverito, visto che ai tagli degli alberi non è seguita la sostituzione con nuove essenze arboree), sul sistema spesso dissennato delle potature effettuate. Di tutto questo l'Arch. Marsili, che ha una conoscenza del territorio comunale verrebbe da dire zolla per zolla, ha dato spiegazioni e illustrazione per oltre un'ora e mezzo, instaurando col pubblico un dialogo serrato e particolarmente caloroso. Detto questo giova anche ricordare che Pontedera costituisce comunque un comune che soprattutto negli ultimi venti anni del '900 si è impegnato positivamente per affrontare la transizione verde e che in questo inizio del nuovo millennio deve solo ritrovare il passo e l'impegno giusto. Certo, perché questa ripartenza ci sia, servono soggetti sensibili collocati nei posti giusti, ha detto concludendo Marsili. C'è bisogno di tecnici con esperienza di progettazione verde a Palazzo Stefanelli. Di amministratori che li stimolino a misurarsi con questa tipologia di problemi. Infine di un'opinione pubblica meno stralunata di quella che sembra oggi sgambettare per la nostra città; e, forse, di un movimento ambientalista che ritrovi grinta e coraggio.

lunedì 13 dicembre 2021

Verde pubblico e riqualificazione urbana. Esperienze realizzate a Pontedera dal 1982 e il 2012. A cura dell'Architetto Adriano Marsili

Mercoledi 15 dicembre alle ore 15,30 ultima straordinaria lezione del 2021 dei corsi dell’Università del Tempo Libero.
L’architetto Adriano Marsili, per oltre un trentennio responsabile dei servizi urbanistici del Comune di Pontedera e profondo conoscitore della materia, racconterà lo sviluppo delle aree verdi pubbliche del comune di Pontedera come strumento per creare un positivo equilibrio ecologico sul territorio. I temi trattati vanno dai giardini pubblici fino al recupero degli argini lungo il fiume Era; dalla creazione di numerosi parchi urbani (come, ad es. quello dei Salici), alla riqualificazione di piazze alberate (ad es. a La Rotta) e delle mura (come quelle di Montecastello).
La lezione è ricca di illustrazioni, studi e fotografie del progettato e del realizzato, nonché di riferimenti ad interventi compiuti sul campo e diretti operativamente dallo stesso Architetto Marsili e dal personale del suo ufficio.
La conferenza sul “verde urbano” che ha modificato e riqualificato il volto di ampie aree di Pontedera e delle sue frazioni tra il 1982 e il 2012 si terrà nei locali di via della Stazione vecchia ed è aperta ai soci dell’UTeL e ai curiosi e interessati.
Obbligo di green pass e di mascherina, ovviamente.


lunedì 29 novembre 2021

Per una biografia di Dino Carlesi: spunti provocatori

Undici anni fa, il 30 novembre, ci lasciava Dino Carlesi. Un pontederese quasi doc, in grado di animare la vita culturale e politica cittadina come pochi altri e soprattutto capace di produrre cultura con una propria originalità, rimanendo in provincia, come è quella che abitiamo noi pontederesi della valdera (tutto volutamente minuscolo per non far ridere il mondo e neppure Carlesi se per caso ci ascolta in qualche parte dell'inferno dantesco dove certamente si trova). La biblioteca Gronchi ha accolto e parzialmente catalogato diverse migliaia di volumi che Carlesi ha donato al Comune. Molti restano ancora da catalogare, ma gestire un fondo librario come quello accumulato da Dino non era e non è uno scherzo. Ci vorrà ancora del tempo. Ma la vera novità di queste settimane è che, compiendo un'opera assai meritoria, dopo 5 anni di lavoro, un gruppo di volontarie dell'Associazione Crescere Insieme di Pontedera ha completato l'inventario di una trentina e passa di scatole di materiale archivistico di Carlesi (lettere, testi, appunti, scritti editi e inediti). Un mare magnum documentario eccezionale. Tutti scritti attinenti ai quattro principali settori di cui Carlesi si è occupato: (1) pedagogia e didattica; (2) poesia; (3) critica d'arte; (4) politica e amministrazione. Ovviamente chi ha tra i venti e i trent'anni oggi di Carlesi non sa nulla. O quasi. Per loro Dino è un illustre sconosciuto. Normale che sia così. Ma questo indica un vuoto da colmare. E per colmarlo servirebbe un libro. Un testo serio e non celebrativo o agiografico, magari pieno di tante belle foto, come ne escono tanti. Servirebbe un testo analitico e critico, che esaminasse le fonti e ci restituisse l'uomo e le sue molteplici battaglie culturali: perchè Dino fu uomo di battaglie culturali anche veementi e aspre (e anche di accordi, naturalmente). Solo così si potrebbe dare l'idea  di chi sia stato l'uomo, amico, tra l'altro, di artisti del calibro di Renato Guttuso e Salvatore Quasimodo, di cui in biblioteca Gronchi si conservano alcune lettere. Sì, servirebbe uno strumento agile, una biografia ben scritta, che lo raccontasse, con quella vivacità e con quella profondità che a lui sarebbero tanto piaciute. Solo così, lo si potrebbe trasmettere alle nuove generazioni. Del resto non si faceva così già dal Medioevo con le storie dei Santi? Ma è possibile fare una cosa del genere? Certo che si. La documentazione è interamente disponibile presso la biblioteca Gronchi: basta trovare il tempo e la voglia di andarsela a studiare. Servirebbe però un committente della biografia (come nel Medioevo). Potrebbe essere la Fondazione socialista che gestisce il Circolo Fantozzi? Perchè no? Carlesi è stato un socialista di lungo corso e (non me ne vogliano nè Giacomo, nè Carletto) soprattutto il vero maitre a penser delle amministrazioni a guida socialista di Pontedera (nel periodo 1960-1990).  Ma anche le giunte guidate nel ventennio 1990-2009 dai post-comunisti Enrico Rossi e Paolo Marconcini sono state fortemente influenzate (almeno sul piano culturale) da Dino, non a caso collocato proprio da questi ultimi, con un ruolo certo non secondario, nella Fondazione Piaggio e nel Centro Otello Cirri. Mi dicono che la Fondazione Fantozzi non se la passi nemmeno male. Se l'informazione fosse vera, una borsa di studio per sostenere una biografia dedicata a Carlesi dovrebbe potersela permettere. Inoltre visto il ruolo di amministratore e di grande intellettuale cittadino (Dino è di sicuro l'inventore e il maggior coltivatore dell'idea di Pontedera come città d'arte contemporanea), forse un sostegno al progetto di scrivere e pubblicare una sua biografia potrebbe arrivare dalla stessa Amministrazione comunale, magari coinvolgendo nella cosa anche l'Amministrazione di Peccioli che si è avvalsa a lungo della collaborazione di Carlesi. Anche a loro potrebbe far piacere ricordarlo e invogliare i giovani a leggere i suoi scritti. Del resto, pensando ad un grande progetto culturale della Valdera, Carlesi casca a fagiolo. Suggerirei infine che a scrivere questa biografia fosse un giovane (un under 40), con un carattere un po' indipendente, in grado di affrontare tutti gli aspetti di una vita così poliedrica e curiosa come quella di Carlesi, senza però regalarci un santino, ma restituendoci un uomo vivo, in carne ossa, coi suoi pregi e i suoi difetti. Che ne dite? Sarà possibile realizzarla?

giovedì 25 novembre 2021

Tagete Edizioni di Michele Quirici: una storia lunga quasi 20 anni e 500 titoli pubblicati


Senza dimenticare Valentina Filidei, che della Tagete è stata coautrice e grande protagonista, ieri Michele Quirici ha raccontato parti importanti e perfino intime della sua avventura professionale. A cominciare da quando iniziò il suo percorso in mezzo alla carta stampata diventando uno degli ultimi rivenditori di libri della Einaudi, ereditando il ruolo che su Pontedera era stato svolto di Raffello Pistolesi. Davanti ad un pubblico di incuriosite e partecipi signore dell'UTel, Michele ha snocciolato le difficoltà del suo mestiere, la cronica mancanza di soldi dei committenti, lo scarso numero di lettori, la complessità di mettere insieme tutti i fattori che stanno dietro ad un volume. Ma poi è passato a sottolineare la bellezza e la passione di fare libri e di metterli al mondo, un po' come si fa coi figli, di presentarli agli amici e ai conoscenti, e poi di mandarli a giro per il mondo, da soli, perché attraverso la lettura si facciano una reputazione, facciano onore al loro autore e al loro editore, al quale, dettaglio non secondario, dovrebbero anche consentire di campare. Ma, come ha sottolineato più volte, la vita di un editore è dura e aspra. Michele però lo sapeva e non avrebbe mai voluto farne un'altra.
In particolare ieri Michele Quirici ha parlato, per oltre un'ora, di alcuni libri dedicati a Pontedera: da quelli che raccontano l'avventura di Sandro Mazzinghi alle 600 pagine del volume sul Pontedera Calcio: uno dei libri col maggior numero di pagine dedicato ad una squadra di calcio di tutte le serie (almeno in Italia). E poi dalla sua borsa ha tirato fuori i testi di Mario Marianelli, di Giacomo Maccheroni, il volume di Balbiani scritto da Dino Fiumalbi, la ricerca di Manfredi sul generale Luigi Stefanelli, lo splendido studio di Ristori dedicato al Palazzo Pretorio (ma anche palazzo comunale) di Pontedera . E ancora una miriade di altri volumi compresi quelli dedicati alla storia economica della città e alle lotte dei lavoratori della Piaggio in particolare. Infine ha citato (lui che, con Cimino, era stato un padre del premio letterario "Orne Gialle") la pubblicazione di un giallo che merita, uscito per la Tagete di recente e che sta dando fama al giovane Walter Mangini. Si tratta "La terapia celata".
Del resto se Pontedera ha una memoria così ricca e pubblicata, se la Valdera è inondata di libri di memorie e di saggistica, gran parte del merito va davvero alla Tagete Edizioni, al grande lavoro di scavo che lo stesso Quirici ha svolto negli ultimi venti annui sulle fonti e soprattutto alla sua voglia di "salvare tutti i documenti possibili", incluse le memorie delle singole personalità: modeste o illustri che siano.
Michele Quirici è insomma una risorsa culturale eccezionale per il nostro territorio, al cui appello a leggere (e a comprare libri) dovremmo tutti rispondere




domenica 21 novembre 2021

La nostra vita dipende dalle piante anche se non lo sappiamo

 In attesa di discutere presso il circolo di lettori di saggistica il libro di Stefano Mancuso "La nazione delle piante" (Laterza 2019), segnalo che nel 2020 lo stesso Mancuso ha pubblicato un altro bel libro dedicato alla terra come se fosse ricoperta da un'unica vegetazione tutta dialogante. Si intitolata "La pianta del mondo" (Laterza 2020). Tra i contenuti più interessanti e curiosi: una sintetica storia degli alberi della libertà; la datazione del tempo attraverso le piante; meravigliose annotazioni sugli alberi da cui si estraggono eccezionali strumenti musicali; belle riflessioni sulla teoria del mutuo appoggio che caratterizza il mondo vegetale rispetto alla teoria della guerra competitiva che vige in gran parte del mondo animale e umano; una curiosa storia sulla scivolosità delle bucce di banana; acute osservazioni sulle piante come strumenti per combattere il crimine e molto altro ancora.
Insomma il pensiero ecologista e filovegetale di Stefano Mancuso fa respirare aria buona e le sue storie arboree sono costruite con le tecniche se non del giallo almeno con quelle del thriller. Ma mettono meno ansia e forniscono molti buoni suggerimenti applicabili alla vita quotidiana una volta chiuso il libro. Perché a dirla in breve i vegetali, se sappiamo capirli, ci sono assai più amici degli animali. Leggere Mancuso per farsi un'idea.
Copie del volume nelle Biblioteche di Bibliolandia. 






martedì 16 novembre 2021

Gli Acusmatici nelle poesie ironiche e giocose di Giuliano Boldrini

 

Il poeta in bicicletta, al secolo Giuliano Boldrini, dedicò alla compagnia de Gli Acusmatici diversi testi poetici. Rigorosamente in vernacolo, come dimostra il brano che segue. Giuliano, una volta in pensione, divenne infatti non solo un assiduo frequentatore dei corsi dell’Università della Terza Età di Pontedera, come si chiamava fino a poco tempo fa l’UTeL, non solo un cantore della Pontedera del passato e di quella della contemporaneità che aveva contribuito a realizzare, ma tra che c’era si trasformò anche in attore; anzi, come diceva lui stesso, fu trasformato “con l’accetta” in cantastorie, bella statuina e attore. Un’esperienza che giudicava “favolosa”.

In qualche modo quindi gli Acusmatici, accanto agli applausi del pubblico locale ed europeo, accanto alla recensioni di numerosi giornali, trovarono gloria e tanta autoironia anche nella poesia di Boldrini. Anche di questo si dirà domani pomeriggio all’UTEL.



Tratta da:



domenica 14 novembre 2021

Gli Acusmatici ovvero la compagnia di attori dell’UTE di Pontedera

 Tra il 1995 e il 2008 a Pontedera, grazie alla collaborazione, al sostegno e all'intervento diretto del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, guidato, allora, da Roberto Bacci, ebbe vita una compagnia speciale di attori, tutti soci dell'Università della Terza Età. Insieme al CRST, la compagnia che si chiamò de “Gli Acusmatici” realizzò e portò in giro per la Toscana, l'Italia e perfino l'Europa, 8 spettacoli. Di quello splendido e vivacissimo gruppo facevano parte: Vivetta Baldini, Ernesto Bimbi, Giuliano Boldrini, Franca Ghiara, Maura Lazzeretti, Annamaria Mosti, Maria Teresa Orlandini, Aurelie Pieracci, Anna Regali e Miranda Tamberi. Le regie furono di Roberto Bacci, poi di Nicoletta Robello, di Roberto Romei e infine di Silvia Rubes, ma altri artisti, a cominciare da Dario Marconcini, collaborarono alle drammaturgie. Merito di Bacci e del CSRT aver creduto ed insistito nel progetto per oltre 13 anni. Ma senza questi straordinari attori anziani (avevano tutti un’età compresa tra i 62 anni e gli 80), senza la forza e il coraggio di mettersi in gioco, la compagnia e gli spettacoli non ci sarebbero stati o non avrebbero avuto la qualità che progressivamente assunsero. La storia de gli Acusmatici verrà brevemente ricordata da Roberto Cerri in un incontro che si terrà presso la sede dell'Utel di Pontedera mercoledì 17 alle ore 15.30. L'incontro è aperto a chi è curioso di conoscere questa storia di teatro non solo amatoriale e a chi potrebbe essere interessato a raccogliere il testimone de GFli Acusmatici. Mascherina e green pass obbligatori. Per informazioni: UTEL tel. 0587 57000 o mail: segreteria@utelpontedera.it

lunedì 8 novembre 2021

Possiamo salvare il mondo prima di cena? di Jonathan Safran Foer

 

Mentre seguivo le vicende delle conferenze internazionali sul clima (in Italia, il G20, poi in Scozia), con un certo scetticismo, deve ammettere; mentre scorrevo i commenti sui giornali, le promesse dei pochi Grandi e le proteste delle moltitudini dei Piccoli, mi è capitato di leggere anche un libro di... saggistica di uno scrittore americano, di cultura ebraica, impegnato sul fronte dell'ambientalismo e del vegetarianesimo.

Mi riferisco a Jonathan Safran Foer e al libro intitolato "Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi" (Guanda, 2019, pp. 312) di cui suggerisco caldamente la lettura.
Perché?
Prima di rispondere devo aggiungere che una decina di anni fa sempre di J. Safran Foer (che abbrevierò in JSF) avevo letto con una certa ansia il saggio: "Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?" (Guanda, 2010): un testo sull’organizzazione degli allevamenti degli animali e dell'industria che produce la carne rossa e bianca che noi compriamo già pronta per essere mangiata, senza fare alcuno sforzo e senza farci molte domande su quello che ci sta dietro.

[Di lui ho letto anche il testo d’esordio, Ogni cosa è illuminata, ma mi è piaciuto meno e l’ho quasi completamente dimenticato].
I due libri su allevamenti e clima sono collegati perché la produzione di carne per 8 miliardi di umani risulta essere, secondo i dati forniti da JSF, la principale fonte di inquinamento e di crescita dei gas serra del pianeta.
Ma il bello del documentato saggio di Safran Foer sul cIima (“Possiamo salvare il mondo prima di cena”) è che non contiene solo l’analisi delle criticità ambientali e delle fonti di inquinamento che gli allevamenti producono, mettendo a rischio la sopravvivenza degli uomini sulla Terra. Il bello sta soprattutto nel fatto che JSF si chiede non solo cosa possono fare i Grandi della terra per evitare la catastrofe; ma anche e soprattutto cosa possiamo fare NOI, individualmente, col nostro impegno quotidiano, familiare. Perché se non ci comporteremo individualmente in maniera ecosostenibile la nostra storia collettiva non finirà molto bene.
Ma quali sono allora le proposte concrete che JSF avanza per se stesso e per ciascuno di noi, nessuno escluso, in un libro di circa 310 piagine, ma con 50 pagine di note e di bibliografia?

A pag. 111 JSF le riassume brevemente così: (1) mangiare vegetariano, (2) non prendere aerei, (3) non avere l’automobile e (4) fare meno figli .

Scioccante? Certo. Ma lui argomenta molto bene, cita molte fonti, evoca molte storie e il libro mi pare decisamente affidabile, per non dire “illuminante”. Quindi per approfondimenti e arrabbiature, rimanderei alla lettura soprattutto di “Possiamo salvare il mondo prima di cena”, ma subito dopo anche di “Se niente importa”. Credo che né il primo, né il secondo deluderanno i lettori, anche se diversi di loro (soprattutto gli estimatori delle bistecche alla fiorentina e delle grigliate) indubbiamente si arrabbieranno. I problemi più seri li avranno però quelli che riterranno che JSF abbia ragione.

Perchè se le sue argomentazioni sono valide, se i rimedi che propone sono giusti (non solo proteste, ma soprattutto azioni e comportamenti individuali coerenti col raggiungimento degli obiettivi), allora la strada è maledettamente impegnativa. Non ci sarà solo da convincere i GRANDI, ma da conquistare i PICCOLI, uno per uno. E come insegna la storia dei no vax non sarà una passeggiata.

Come sempre, marciare e protestare non basterà. Bisognerà fare molto di più. E non sarà facile. JSF infatti sostiene che sarà più facile scomparire.

PS. Su posizioni analoghe si è schierato anche il matematico Piergiorgio Odifreddi che in un articolo apparso su LA STAMPA di sabato 6 novembre u.s. (p.27), intitolato "Greta accusa ma nessuno ascolta", ha sostenuto che una vera posizione ecologista richiederebbe un forte taglio dei trasporti e dei consumi (in particolare di carne).