Storie della buonanotte per bambine ribelli : 100 vite di donne straordinarie / Elena Favilli e Francesca Cavallo / Mondadori, 2017
Il marketing ed il packeging sono quasi tutto, ma a volte... troppo. A parte questo il libro è gigione, furbo e con un titolo accattivante ma anche fuorviante. Le brevi biografie sono infatti centrate sull'orgoglio femminile e raccontano, sinteticamente e a volte in maniera un po' edulcorata (ed è un peccato), tante storie di donne straordinarie. Il libro però andrebbe letto di giorno, e non dovrebbero leggerlo solo le bambine, ma anche i bambini. Suggerirei poi a maestre e maestri a cui piace disubbidire (almeno in parte) ai programmi ministeriali, di smontarlo e rimontarlo per raccontare certi periodi della storia attraverso il ruolo delle donne in determinate epoche. E poi è un libro che nonne e mamme potrebbero leggere alle loro bambine, anche per dimostrare quante cose, volendo, una bambina sveglia e tenace più fare nella vita, in ogni parte del mondo. Ma è un libro che, se fossi una mamma e un babbo oppure un nonno, leggerei anche ai maschietti. Molte storie sono istruttive anche dal punto di vista dei ragazzi. Non ci sono dubbi.
In Bibliolandia il libro sta andando forte. Speriamo anche che dia davvero buoni frutti.
venerdì 30 giugno 2017
lunedì 26 giugno 2017
Elezioni amministrative 2017.
Torna l'Italia dei mille municipi e dei tanti particolarismi
Torna l'Italia dei mille municipi e dei tanti particolarismi
I risultati elettorali di ieri ci dicono che ogni municipio torna a fare storia a sè. Ma ovunque si respira un'aria antigovernativa (per altro endemica in questo paese). Poi ideologie sempre più deboli e partiti (soprattutto quelli di governo) sempre meno attrattivi fanno il resto. Il precipitato elettorale, in questa tornata, segnala un'oscillazione in netto favore del centro destra, marginalizza il M5S, che ha trovato pochi candidati locali credibili, e penalizza duramente un litigioso e confuso Centro sinistra: chi è causa del suo male pianga se stesso.
Scendendo all'interno dei risultati specifici, quello che mi colpisce di più, da toscano, non è tanto il voto di Carrara (una città dove, per altro, il centro sinistra ha provato in tutti i modi a suicidarsi e c'è infelicemente riuscito, aiutato da una sinistra radicale coscientemente votata alla scomparsa), quanto l'esito del ballottaggio di Pistoia.
Quella di Pistoia resta la sconfitta più anomala. Quella che si spiega peggio. Quella che simboleggia alla perfezione la fine del lungo ciclo amministrativo del secondo dopoguerra in Toscana. Quella dove la sinistra perde pur non avendo (almeno per quanto ne so) particolarmente demeritato. Quella in cui il sindaco uscente è riuscito si a conquistare la palma d'oro (e le risorse connesse) di città della cultura italiana, ma non gli è bastato per vincere le elezioni.
Addio dunque alla Regione rossa? No. Ma solo perché almeno da trent'anni (dalla tornate amministrative e dagli accordi tra ex PCI, ex PSI e ex DC degli anni '90) questa era già diventata una regione rosa. E da almeno una decina di anni anche questo "rosa" si sta sbiadendo e ora si è messo a litigare furiosamente al suo interno e a dividersi. Le profonde trasformazioni socio-economiche e sul versante politico l'avvento del renzismo e dei suoi arrogantissimi e machiavellici luogotenenti, a cui si è inevitabilmente contrapposto il lagnoso e temo inconcludente reducismo d'alemiano/bersaniano, hanno fatto il resto.
Ma la sostanza è che nei microcosmi locali le reti ideologiche tessute nel secondo dopoguerra, morti o rimbambiti i vecchi che le avevano tessute e ci avevano creduto, si sono sfarinate. Mario Caciagli docet.
Altre reti, meno chiare (almeno per me), ora si stanno cucendo. E stanno già prendendo i loro pesci. Dentro queste nuove reti è tutto l'assetto di relazioni sociali ed economiche ad essere mutato e a consentire una forte variabilità politica.
Infine, tornando ad esprimere una valutazione generale, credo si possa dire che più che una vittoria del centro destra, si sia registrata una esplicita volontà di non votare il centro sinistra per stufosità (e stanchezza) da parte degli elettori. Di questa stufosità ai ballottaggi si è giovato il centro destra che alla fine ha potuto raccogliere, come era già accaduto nel referendum di dicembre 2016, il consenso di tanti scontenti e arrabbiati, i quali hanno finito per far pendere la bilancia contro i candidati che, sul piano locale, in qualche modo apparivano come "governativi".
Sul piano concreto quindi la politica locale si spappola e si frammenta, perde gran parte dei propri ancoraggi ideologici e nazionali, si tiene le mani libere rispetto alle scelte governative e si lega a forme di populismo strapaesano. Ogni città e villaggio, insomma, farà sempre di più storia a sè. Se sarà un bene o un male, si saprà solo in seguito
giovedì 22 giugno 2017
Qualcosa / Chiara Gamberale (Longanesi, 2017, 16,90 €)
Ho letto il testo. Tutto. Fino in fondo. E non riesco a farmi un'idea precisa della cosa. Si, insomma, di cosa col suo romanzo (perchè sulla copertina c'è scritto che si tratta di un romanzo e no di una fiaba, abbondantemente illustrato da Tuono Pettinato, come se fosse una fiaba per ragazzi delle elementari o al massimo di 1a media) ci abbia voluto non dire la Gamberale. Non capisco se il testo è una provocazione, il frutto di uno stato confusionale, un disperato bisogno di scompigliare le idee degli altri per costringerli a cercare di capire un mondo sempre più complicato, un messaggio di resa verso una generazione di lettori considerata quasi perduta, un tentativo che non mi pare molto riuscito di scimmiottare un ben più significativo "piccolo principe". Boh. Davvero un testo che attriga, più che intrigare. Non so però se cercherò di rispondere a queste domande. Spero che altri lettori (ce ne sono ben 17 copie in rete e molte sono in lettura) segnalino le loro impressioni. Positive o negative che siano.
Ho letto il testo. Tutto. Fino in fondo. E non riesco a farmi un'idea precisa della cosa. Si, insomma, di cosa col suo romanzo (perchè sulla copertina c'è scritto che si tratta di un romanzo e no di una fiaba, abbondantemente illustrato da Tuono Pettinato, come se fosse una fiaba per ragazzi delle elementari o al massimo di 1a media) ci abbia voluto non dire la Gamberale. Non capisco se il testo è una provocazione, il frutto di uno stato confusionale, un disperato bisogno di scompigliare le idee degli altri per costringerli a cercare di capire un mondo sempre più complicato, un messaggio di resa verso una generazione di lettori considerata quasi perduta, un tentativo che non mi pare molto riuscito di scimmiottare un ben più significativo "piccolo principe". Boh. Davvero un testo che attriga, più che intrigare. Non so però se cercherò di rispondere a queste domande. Spero che altri lettori (ce ne sono ben 17 copie in rete e molte sono in lettura) segnalino le loro impressioni. Positive o negative che siano.
lunedì 19 giugno 2017
Ripensare le forme della partecipazione politica
Il deputato Paolo Fontanelli, già Pd ma ora iscritto ad Art. 1 Mdp, si è speso molto in questi ultimi anni per ampliare una riflessione che potesse consentire di rilanciare la partecipazione politica che da vecchio militante, funzionario e quindi amministratore del Pci, poi pds e quindi ds, Fontanelli ha visto progressivamente assotigliarsi. Sulla scia di questo tema Fontanelli ha anche presentato alla Camera dei Deputati una proposta di legge per definire meglio il dettato dell'art. 49 della costituzioone concernente l'assetto e il funzionamento dei partiti. E attorno a questo obiettivo riformatore, Fontanelli ha organizzato, almeno su Pisa, diversi dibattiti pubblici con politologi, storici, professori di scienze della politica e politici per approfondire, dibattere, discutere un tema che gli sta particolarmente a cuore e che chiamerei sinteticamente la crisi della organizzazione politica.
In questo contesto stasera, presso la sala Alex Langer, in piazza Clari, è stato presentato un testo molto complesso, un testo accademico, scritto da Antonio Floridia, dell'Osservatorio elettorale della Regione Toscana, intitolato "Un'idea deliberativa di democrazia", Il Mulino, 2017.
A discutere del concetto di democrazia deliberativa, plebiscitaria, diretta e delle tante altre forme di "deriva" o di crisi che sta conoscendo in Occidente la democrazia, Nadia Urbinati (docente di scienze politiche alla Columbia University) e Saulle Panizza, docente di Diritto Costituzionale all'Università di Pisa. Ad ascoltarli una trentina di persone.
Il dibattito, introdotto da Fontanelli, si è articolato sia attorno agli aspetti concettuali che all'attualità politica, mantenendosi sempre ad un buon livello e cercando di rispondere alle domande che la disaffezione verso la politica e la crescente crisi di legittimazione politica pongono a tutti coloro che credono nella politica ragionata e discussa.
Ovviamente la discussione non ha proposto panacee, ma riflessioni, analisi e dubbi, perché la stessa democrazia deliberativa, di matrice per lo più americana, analizzata e proposta da Floridia, va considerata solo un metodo, per altro non privo di criticità e controindicazioni.
Ma se non esiste l'olio della Maddalena per riavvicinare la gente alla politica, certo si esce da serate e conferenze come queste con la speranza che si possa ancora discutere di politica ad un livello accettabile e cercando di dare un senso a quello che si dice. Mi rendo conto che non è molto. Ma anche i tempi sono quello che sono.
domenica 18 giugno 2017
Cose in Comune / di Alberto Cioni (2017?)
L'autore, neopensionato, ha ricoperto un ruolo importate, per non dire centrale, negli anni '90 nell'ambito dell'Amministrazione comunale di San Miniato (PI). Nella città della Rocca federiciana è stato indiscutibilmente il principale collaboratore dell'allora sindaco Alfonso Lippi e persino qualcosa di più. Qui Cioni ha vissuto la trasformazione di una stagione politico amministrativa che all'inizio vedeva ancora, come ha scritto lui, i segretari di partito eleggere il sindaco, mentre alla fine di quel decennio il rapporto sindaci partito si era quasi completamente rovesciato ed erano i sindaci a nominare i loro segretari di partito. I bozzetti che ci ha regalato sugli anni da funzionario amministrativo sono divertenti e curiosi. Ma le riflessioni e la testimonianza di prima mano che potrebbe ancora donarci (ed io mi riferisco almeno alla situazione di San Miniato, non avendolo seguito nelle precedenti e successive esperienze), potrebbero essere ancora più significative e importanti per un dibattito vivo e appassionato sui temi di una vita politica locale che non riesce a diventare adulta.
Il volume non presenta editore. Probabilmente è autoedito. Si trova nelle collezioni della rete Bibliolandia e può essere preso in presto presso le nostre biblioteche.
venerdì 16 giugno 2017
Due Goya ed un Guido Reni in una Pontedera che cambia
Pur non essendo uno specialista di storia moderna, credo di poter affermare che nè Goya, nè Guido Reni siano mai stati a Pontedera ............prima di ieri. Intendo riferirmi alle loro opere ovviamente.
Certo non si può escludere che nelle collezioni private di qualche famiglia alto borghese e ricca di Pontedera, dai Ferretti ai Bellincioni, dai Ciompi ai Morini, per non parlare dei Toscanelli, qualche loro opera non ci fosse capitata per poi finire chissà dove. Ma quello che è certo è che nessun comune cittadino di Pontedera e dintorni, di ieri e di oggi, ha mai potuto vedere un Goya a 20 centimetri del suo naso, come è successo ieri a me, proprio qui, in questa città, nel suo centro storico. Soprattutto per vedere Goya bisogna prendere un aereo e comunque fare un bel viaggetto.
Per questo vale la pena di sottolineare come la piccola grande mostra allestita attualmente al PALP (alla sua seconda uscita pubblica), consenta invece a tutti, gratuitamente e con un orario oltremodo comodo (dalle 17 alle 23), di poter ammirare due autoritratti (rispettivamente 1771 e 1782) di Goya e la Susanna e i vecchioni di Guido Reni (1620 ca.).
L'evento costituisce una vera opportunità culturale, che non dovrebbe però limitarsi a coinvolgere (e ad essere gustata solo da) gli appassionati di storia dell'arte e gli amanti della pittura classica.
La sfida vera della Fondazione che gestisce il PALP è semmai quella di allargare il raggio dei potenziali visitatori. Allargarlo parecchio. Quindi immagino che nelle prossime settimane partirà una comunicazione in grado di spingere le persone comuni, comprese quelle che non hanno mai neppure sentito parlare di Guido Reni e di Goya, a venire a curiosare nelle sale del Palazzo Pretorio. Confesso che non ho idea di come si possa fare ad incuriosire e ad attirare verso il PALP chi non ha mai sentito parlare del "pittore del Re di Spagna", celebre anche per aver illustrato il famoso motto "Il sonno della ragione genera mostri" (1797) e dipinto la fucilazione dei ribelli antinapoleonici (3 maggio 1808). Ma l'obiettivo prioritario resta questo.
E l'altra cosa importante è che Pontedera non si può sedere sugli allori e godersi il fatto che il PALP si sta già posizionando nell'ambito del circuito nazionale (ed internazionale) delle mostre d'arte importanti. Perchè se è vero che tutto queste contribuisce ad accreditare la nuova struttura museale e la città di Pontedera quali tappe potenziali e di sicuro valore dei grand tour della cultura artistica italiana. E' anche vero che non basta. In realtà questo è solo il punto di partenza e, a voler essere sinceri, solo una autentica fortuna, che, come sosteneva Machiavelli, va ulteriormente incoraggiata ed incentivata. Ovvero coltivata e perfezionata con tanto lavoro quotidiano.
Certo si tratta di una fortuna che non ha alle spalle il vuoto, semmai un lungo e coerente percorso iniziato almeno dagli anni '90 e proseguito nel primo quindicennio del nuovo millennio con i cantieri d'arte e con gli eventi curati da Bartalini.
Perchè è chiaro che non è un caso che in questo momento Pontedera ospiti una mostra fortemente contemporanea come quella di Francesco Barbieri al Museo Piaggio e sia riuscita ad attrarre alcune opere "classiche" come quelle descritte sopra al PALP. Così come non è un caso che camminando per le vie della città ci si possa imbattere in un mosaico strepitoso come il Muro di Baj in piazza Garibaldi, oppure si possa osservare il murales di Ozmo nella galleria della Biblioteca Gronchi, o la statua della "Ragazza in piedi" di Vangi in piazza Cavour, o il toro di Cascella in piazza Curtatone e Montanara e diverse altre istallazioni e opere contemporanee di indubbio pregio (di Benetton, Trafeli, Canuti, Carmassi, ecc. ecc.).
Tutto questo ci dice allora, con assoluta precisione, dei numerosi passi fatti da Pontedera per trasformare ed arricchire la sua qualità urbana ed estetica. Ci dice degli sforzi compiuti per trovare nuovi assetti ed identità, mentre la città vedeva modificarsi il proprio tessuto economico e sociale, vivendo allo stesso tempo un profondo cambiamento di popolazione (con l'arrivo di oltre 3.000 persone appartenenti a circa 100 nazioni). Il tutto mentre la Piaggio si internazionalizzava ancora di più, ma su Pontedera perdeva addetti, lavorazioni e abbandonava edifici e solo recentemente è sembrata assestarsi, ma dopo una lunga crisi durata per tutti gli anni '80 e '90 e i primi anni del 2000. E mentre si ristrutturava e si rigenerava, Pontedera cercava di riutilizzare i capannoni industriali dismessi. Paolo Dario e la Scuola S.Anna ci si insediavano e sviluppavano un importante centro della Robotica di valore internazionale. Mentre altre piccole e medie imprese, insediate nella dilatata periferia industriale, conquistavano mercati nazionali ed internazionali. E i frenetici processi di globalizzazione, simili a mitologiche divinità capricciose, continuavano a sballottarci di qua e di là.
Sì, la presenza delle opere di Goya e Guido Reni sta in relazione anche a tutto questo grande trambusto socio-economico: che i pontederesi ne siano consapevoli o meno.
Autoritratto, Goya (1782)
Autoritratto, Goya (1771), Roma
Susanna e i vecchioni, Guido Reni (1620 ca.)
giovedì 15 giugno 2017
Riflettendo su Don Milani e i nuovi poveri a cui la scuola dovrebbe rivolgersi
Don Milani, prete comodo per migliorare la scuola e cambiare il mondo. Cosi recita il titolo di una conversazione che si terrà Martedi 20 giugno, alle 21.15, a Vicipisano, in biblioteca, a cui parteciperanno Sara Costanzo e Giuseppe Cecconi. L'incontro nasce dal desiderio di riflettere a 50 anni della morte sul prete fiorentino a cui il prossimo 20 giugno renderà omaggio Papa Francesco, salendo a Barbiana a pregare sulla sua tomba.
lunedì 12 giugno 2017
Francesco Barbieri disegna le trasformazioni della città industriale
Da almeno 200 anni Pontedera è immersa nelle trasformazioni economiche e sociali che caratterizzano molte piccole e grandi città del pianeta. Commercio, traffici, innovazioni tecnologiche, industria e spostamento di popolazione hanno cambiato e cambiano continuamente lo skyline e il volto dei centri urbani, rimodellandoli, secondo esigenze e scelte che si succedono, obbedendo a logiche diverse, ma tutte destinate ad incidere sugli stessi spazi. La stessa cosa vale anche per Pisa, la città dove il pittore Francesco Barbieri è cresciuto. Anche Pisa negli ultimi 200 anni ha subito trasformazioni economiche profonde e processi di destrutturazione e ricostruzione, indotte anche dalla guerra e da pesanti bombardamenti. Città di industrie tessili e meccaniche dall'800 alla prima metà del '900, non a caso definita "città proletaria", oggi delle grandi fabbriche di quel periodo e delle loro scarne architetture Pisa vede resistere solo la Saint Gobain. Tutto il resto è storia e memoria, quest'ultima per altro in via di dissolvimento. Ma le tracce di questa storia incidono le anime, hanno prodotto cultura e consentono di leggere il cambiamento.
Ed è proprio il clima di frenetico mutamento urbano quello che si respira nelle opere di Francesco Barbieri esposte fino a luglio al Museo Piaggio di Pontedera. E' un'aria di trasformazione caotica e tuttavia razionale, che i cambiamenti incessanti della società globalizzata impongono alla faccia delle città. O almeno questo è ciò che vedo uscire dalle tele di Barbieri e mi colpisce. Ma quello che provo non è il dolore di un cazzotto nello stomaco, bensì un sentimento più complicato dove si mescolano nostalgia, critica sociale, bisogno di ordine e ineluttabilita' del procedere delle cose. Questo sento mentre attraverso la galleria del Museo e osservo i suoi dipinti, disposti secondo una spazialità ideata, con amore e grande attenzione, dall'architetto Carlo Alberto Arzela'.
I paesaggi urbani che Barbieri ha prodotto, influenzato, credo, anche dal recente soggiorno in Cina e dall'impatto con la faccia che la globalizzazione ha assunto in Asia, raccontano di città come enormi cantieri e grandi laboratori, dove la vita arriva attraverso le ferrovie e i porti, si inerpica su grattacieli e su gru, e poi si intreccia, fluisce, cola, si perde, e ancora si colora ed assume luce.
Le tele trasmettono un senso di caos, ma anche tanta energia, forza e dinamicità. Non dicono che stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili, ma neppure inquietano e deprimono. Semmai sollecitano a fissare i dettagli, ad andare oltre la paura dell'ignoto e ad affrontare le complicanze del mondo, grazie anche a macchie di colore che conferiscono alle tele, insieme ad una certa malizia, gioia e vitalità.
Per un attimo osservo che in queste opere mancano gli uomini (e anche la vegetazione). Ma sono gli uomini che abitano le città trasformate in cantieri permanenti. E allora? Allora ne ricavo l'idea che forse viviamo un'epoca di cantieri in cui l'uomo è a sua volta un piccolo cantiere e un laboratorio. E l'intera nostra vita non è che progetto ed avventura e le città in perenne trasformazione sono sia il luogo del nostro divenire che il riflesso di questo errare.
La mostra ha anche un finale onirico che non vale la pena di svelare, ma che contribuisce a fare di questo evento una degnissima continuazione della mostra dedicata al futurismo, allestita sia al Palp che al Museo Piaggio fino allo scorso maggio. E probabilmente una mostra come quella di Barbieri sarebbe piaciuta anche a Marinetti.
La speranza però è che ora le opere di Francesco Barbieri esposte al Museo Piaggio vengano viste ed apprezzate da un pubblico più vasto possibile. Perché di sicuro meritano. E molto.
Da almeno 200 anni Pontedera è immersa nelle trasformazioni economiche e sociali che caratterizzano molte piccole e grandi città del pianeta. Commercio, traffici, innovazioni tecnologiche, industria e spostamento di popolazione hanno cambiato e cambiano continuamente lo skyline e il volto dei centri urbani, rimodellandoli, secondo esigenze e scelte che si succedono, obbedendo a logiche diverse, ma tutte destinate ad incidere sugli stessi spazi. La stessa cosa vale anche per Pisa, la città dove il pittore Francesco Barbieri è cresciuto. Anche Pisa negli ultimi 200 anni ha subito trasformazioni economiche profonde e processi di destrutturazione e ricostruzione, indotte anche dalla guerra e da pesanti bombardamenti. Città di industrie tessili e meccaniche dall'800 alla prima metà del '900, non a caso definita "città proletaria", oggi delle grandi fabbriche di quel periodo e delle loro scarne architetture Pisa vede resistere solo la Saint Gobain. Tutto il resto è storia e memoria, quest'ultima per altro in via di dissolvimento. Ma le tracce di questa storia incidono le anime, hanno prodotto cultura e consentono di leggere il cambiamento.
Ed è proprio il clima di frenetico mutamento urbano quello che si respira nelle opere di Francesco Barbieri esposte fino a luglio al Museo Piaggio di Pontedera. E' un'aria di trasformazione caotica e tuttavia razionale, che i cambiamenti incessanti della società globalizzata impongono alla faccia delle città. O almeno questo è ciò che vedo uscire dalle tele di Barbieri e mi colpisce. Ma quello che provo non è il dolore di un cazzotto nello stomaco, bensì un sentimento più complicato dove si mescolano nostalgia, critica sociale, bisogno di ordine e ineluttabilita' del procedere delle cose. Questo sento mentre attraverso la galleria del Museo e osservo i suoi dipinti, disposti secondo una spazialità ideata, con amore e grande attenzione, dall'architetto Carlo Alberto Arzela'.
I paesaggi urbani che Barbieri ha prodotto, influenzato, credo, anche dal recente soggiorno in Cina e dall'impatto con la faccia che la globalizzazione ha assunto in Asia, raccontano di città come enormi cantieri e grandi laboratori, dove la vita arriva attraverso le ferrovie e i porti, si inerpica su grattacieli e su gru, e poi si intreccia, fluisce, cola, si perde, e ancora si colora ed assume luce.
Le tele trasmettono un senso di caos, ma anche tanta energia, forza e dinamicità. Non dicono che stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili, ma neppure inquietano e deprimono. Semmai sollecitano a fissare i dettagli, ad andare oltre la paura dell'ignoto e ad affrontare le complicanze del mondo, grazie anche a macchie di colore che conferiscono alle tele, insieme ad una certa malizia, gioia e vitalità.
Per un attimo osservo che in queste opere mancano gli uomini (e anche la vegetazione). Ma sono gli uomini che abitano le città trasformate in cantieri permanenti. E allora? Allora ne ricavo l'idea che forse viviamo un'epoca di cantieri in cui l'uomo è a sua volta un piccolo cantiere e un laboratorio. E l'intera nostra vita non è che progetto ed avventura e le città in perenne trasformazione sono sia il luogo del nostro divenire che il riflesso di questo errare.
La mostra ha anche un finale onirico che non vale la pena di svelare, ma che contribuisce a fare di questo evento una degnissima continuazione della mostra dedicata al futurismo, allestita sia al Palp che al Museo Piaggio fino allo scorso maggio. E probabilmente una mostra come quella di Barbieri sarebbe piaciuta anche a Marinetti.
La speranza però è che ora le opere di Francesco Barbieri esposte al Museo Piaggio vengano viste ed apprezzate da un pubblico più vasto possibile. Perché di sicuro meritano. E molto.
sabato 10 giugno 2017
Premiazione concorso Wanted della Rete Bibliolandia (9/6)
Wanted ovvero un pomeriggio frizzante, a Calcinaia. Ieri pome con la scusa della lettura, Wanted è volteggiato leggero per spazi indefiniti, cercando comunque di accalappiare lettori, anche per sbaglio, anche ironizzando su se stesso. La premiazione del concorso indetto da Bibliolandia in collaborazione con le biblio di Vicopisano e SGT, orchestrata da quel duo di impareggiabili bibliotecarie che sono Simona Morani e Laura Martini, si è avvalsa della musica, della voce, della ideazione, della colonna sonora originale e di performance di Andrea Brotini, un archivista (della Rete), un bibliotecario, un musicista e molto altro ancora. A fare il valletto Alessandro Simonetti (da SGT), perfettamente a suo agio. Giuria di insegnati, con lo scrittore Simone Giusti (è quello con la croce sul petto). Ragazzi premiati arcicontenti. Wanted è uno dei progetti che vorrebbe catturare i giovani lettori a leggere e a riscrivere i finali dei libri. W. è un progetto molto contemporaneo e allo stesso tempo antico. Anche l'immenso Dante, come è noto, si era divertito a riscrivere il finale dell'Odissea, facendo ripartire Ulisse da Itaca, alla ricerca di nuove avventure, rivelatesi alla fine disastrose. E anch'io, lo confesso, vorrei riscrivere diversi finali. A cominciare da quello di Pinocchio, insopportabilmente dolciastro (unico neo per altro d'un testo che resta strepitoso ed insuperabile e che cede al bisogno della lacrima finale e forse alle lusinghe del marketing dell'epoca). Ma questa è un'altra storia che scriverò, forse, in un altro post.
Wanted ovvero un pomeriggio frizzante, a Calcinaia. Ieri pome con la scusa della lettura, Wanted è volteggiato leggero per spazi indefiniti, cercando comunque di accalappiare lettori, anche per sbaglio, anche ironizzando su se stesso. La premiazione del concorso indetto da Bibliolandia in collaborazione con le biblio di Vicopisano e SGT, orchestrata da quel duo di impareggiabili bibliotecarie che sono Simona Morani e Laura Martini, si è avvalsa della musica, della voce, della ideazione, della colonna sonora originale e di performance di Andrea Brotini, un archivista (della Rete), un bibliotecario, un musicista e molto altro ancora. A fare il valletto Alessandro Simonetti (da SGT), perfettamente a suo agio. Giuria di insegnati, con lo scrittore Simone Giusti (è quello con la croce sul petto). Ragazzi premiati arcicontenti. Wanted è uno dei progetti che vorrebbe catturare i giovani lettori a leggere e a riscrivere i finali dei libri. W. è un progetto molto contemporaneo e allo stesso tempo antico. Anche l'immenso Dante, come è noto, si era divertito a riscrivere il finale dell'Odissea, facendo ripartire Ulisse da Itaca, alla ricerca di nuove avventure, rivelatesi alla fine disastrose. E anch'io, lo confesso, vorrei riscrivere diversi finali. A cominciare da quello di Pinocchio, insopportabilmente dolciastro (unico neo per altro d'un testo che resta strepitoso ed insuperabile e che cede al bisogno della lacrima finale e forse alle lusinghe del marketing dell'epoca). Ma questa è un'altra storia che scriverò, forse, in un altro post.
giovedì 8 giugno 2017
Mondi divisi. Analisi della disuguaglianza globale / Branko Milanovic (Mondadori, 2017, 240p)
Libro complicatissimo, che cerca di mettere un po' di ordine attorno ad un tema intricato con l'obiettivo di rispondere alla domanda se la diseguaglianza sia cresciuta e stia crescendo o no su scala planetaria dagli anni '50 in poi.
Ma per rispondere ad una domanda del genere bisogna provare a mettersi d'accordo su cosa si intenda per disuguaglianza globale del reddito e contestualmente su come questa si misuri concretamente.
Poi bisogna capire se abbiamo le fonti numeriche (i dati statistici) sufficienti per misurare il tutto e poter esprimere dei giudizi attendibili.
Non a caso, quindi, alle questioni metodologiche Milanovic (che è un economista capo presso il Dipartimento di ricerca della Banca Mondiale) dedica una parte importante del sup volume, tirando fuori formule per me incomprensibili e grafici appena appena più facili da leggere (e che lui spiega con calma e pazienza).
Chiarito che ci sono almeno tre modi di leggere la diseguaglianza, Milanovic definisce l'andamento di questo fenomeno lungo il secondo dopoguerra, arrivando alla conclusione che la disuguaglianza cresce e che è drammatica e moralmente inaccettabile, con molte facce e tantissime articolazioni.
Nella parte finale del testo, Milanovic prova a definire anche quale sia il trend di questo fenomeno nella fase attuale e come possa essere combattuto o quanto meno arginato.
Nella prefazione all'edizione italiana, Milanovic sottolinea anche come le indagini sulle famiglie rivelino che "anche il 5% più povero degli italiani stia meglio di metà dei cittadini del mondo. La classe media italiana è più ricca -scrive sempre Milanovic- del 90% degli altri abitanti del pianeta e naturalmente il 5% più ricco degli italiani appartiene al più ricco percentile a livello mondiale. Eppure - conclude - la classe dirigente italiana non sembra aver ancora completamente assimilato questo fatto" (pp. VIII-IX).
Osservo che è soprattutto la gente comune in Italia, confrontandosi col 5% di chi sta molto bene in questo paese, non intende affatto pensare a chi sta ancora peggio (e persino molto peggio) nel resto del mondo.
Anche per questo non meraviglia che l'Italia resti un paese i cui aiuti allo sviluppo "sono molto modesti rispetto alle sua ricchezza". L'Italia versa infatti solo lo 0,3% del suo PIL, pari al 30% in meno della media dei paesi OCSE e oltre il 50% in meno di quello che era stato stabilito dalle Nazioni Uniti trenta anni fa.
Del resto ad una diseguaglianza globale corrisponde anche una diseguaglianza all'interno di ciascun paese e tra nazionale e nazione. E tutte queste diseguaglianze hanno effetti sicuramente negativi sul comportamento dei governi,
Il volume offre quindi una miriade di altri spunti di riflessione e nell'insieme fotografa un pianeta dove il 10% della popolazione ricca (pari a 700 milioni di persone) consuma il 50% del reddito prodotto dal pianeta. Mentre il rimanente 50% (pari a 6 miliardi di persone circa) si spartisce il rimanente 50%. Ciò significa che la stragrande maggioranza di africani, indiani e cinesi si colloca in una fascia di reddito medio che non supera i 5000 dollari all'anno. Mentre la stragrande maggioranza di americani ed europei viaggia tra i 20 e il 30.000 dollari annui. E questo nonostante Cina e India abbiano fatto negli ultimi 40 anni passi da gigante per uscire dal Medioevo e agguantare una contemporaneità che resta comunque, per ragioni storiche, fortemente disuguale.
Maggiori criticità di sviluppo restano poi in Africa e nell'America Latina, dove il barometro sociale sembra essere regredito anzichè progredito.
Almeno questo ci raccontano le complicate formule matematiche e i grafici che Branko Milanovic ha raccolto e interpretato.
Un bel libro per chi voglia riflettere sul tema della diseguaglianza, provando a partire dai numeri e non solo dalle impressioni o dal sentito dire.
Ovviamente questo non vuol dire che io sia in grado di valutare nè le formule nè le fonti statistiche citate.
Libro complicatissimo, che cerca di mettere un po' di ordine attorno ad un tema intricato con l'obiettivo di rispondere alla domanda se la diseguaglianza sia cresciuta e stia crescendo o no su scala planetaria dagli anni '50 in poi.
Ma per rispondere ad una domanda del genere bisogna provare a mettersi d'accordo su cosa si intenda per disuguaglianza globale del reddito e contestualmente su come questa si misuri concretamente.
Poi bisogna capire se abbiamo le fonti numeriche (i dati statistici) sufficienti per misurare il tutto e poter esprimere dei giudizi attendibili.
Non a caso, quindi, alle questioni metodologiche Milanovic (che è un economista capo presso il Dipartimento di ricerca della Banca Mondiale) dedica una parte importante del sup volume, tirando fuori formule per me incomprensibili e grafici appena appena più facili da leggere (e che lui spiega con calma e pazienza).
Chiarito che ci sono almeno tre modi di leggere la diseguaglianza, Milanovic definisce l'andamento di questo fenomeno lungo il secondo dopoguerra, arrivando alla conclusione che la disuguaglianza cresce e che è drammatica e moralmente inaccettabile, con molte facce e tantissime articolazioni.
Nella parte finale del testo, Milanovic prova a definire anche quale sia il trend di questo fenomeno nella fase attuale e come possa essere combattuto o quanto meno arginato.
Nella prefazione all'edizione italiana, Milanovic sottolinea anche come le indagini sulle famiglie rivelino che "anche il 5% più povero degli italiani stia meglio di metà dei cittadini del mondo. La classe media italiana è più ricca -scrive sempre Milanovic- del 90% degli altri abitanti del pianeta e naturalmente il 5% più ricco degli italiani appartiene al più ricco percentile a livello mondiale. Eppure - conclude - la classe dirigente italiana non sembra aver ancora completamente assimilato questo fatto" (pp. VIII-IX).
Osservo che è soprattutto la gente comune in Italia, confrontandosi col 5% di chi sta molto bene in questo paese, non intende affatto pensare a chi sta ancora peggio (e persino molto peggio) nel resto del mondo.
Anche per questo non meraviglia che l'Italia resti un paese i cui aiuti allo sviluppo "sono molto modesti rispetto alle sua ricchezza". L'Italia versa infatti solo lo 0,3% del suo PIL, pari al 30% in meno della media dei paesi OCSE e oltre il 50% in meno di quello che era stato stabilito dalle Nazioni Uniti trenta anni fa.
Del resto ad una diseguaglianza globale corrisponde anche una diseguaglianza all'interno di ciascun paese e tra nazionale e nazione. E tutte queste diseguaglianze hanno effetti sicuramente negativi sul comportamento dei governi,
Il volume offre quindi una miriade di altri spunti di riflessione e nell'insieme fotografa un pianeta dove il 10% della popolazione ricca (pari a 700 milioni di persone) consuma il 50% del reddito prodotto dal pianeta. Mentre il rimanente 50% (pari a 6 miliardi di persone circa) si spartisce il rimanente 50%. Ciò significa che la stragrande maggioranza di africani, indiani e cinesi si colloca in una fascia di reddito medio che non supera i 5000 dollari all'anno. Mentre la stragrande maggioranza di americani ed europei viaggia tra i 20 e il 30.000 dollari annui. E questo nonostante Cina e India abbiano fatto negli ultimi 40 anni passi da gigante per uscire dal Medioevo e agguantare una contemporaneità che resta comunque, per ragioni storiche, fortemente disuguale.
Maggiori criticità di sviluppo restano poi in Africa e nell'America Latina, dove il barometro sociale sembra essere regredito anzichè progredito.
Almeno questo ci raccontano le complicate formule matematiche e i grafici che Branko Milanovic ha raccolto e interpretato.
Un bel libro per chi voglia riflettere sul tema della diseguaglianza, provando a partire dai numeri e non solo dalle impressioni o dal sentito dire.
Ovviamente questo non vuol dire che io sia in grado di valutare nè le formule nè le fonti statistiche citate.
mercoledì 7 giugno 2017
Sulle biblioteche
scolastiche nella Rete Bibliolandia.
Qualche parola nella giornata delle buone pratiche scolastiche
(Teatro Era, 7 giugno 2017)
Oggi libri,
enciclopedie, giornali e riviste hanno assunto anche una seconda
forma, digitale, e moltissimo materiale di lettura, di studio,
informazione e intrattenimento lo portiamo in tasca, negli
smartphone, o nelle borse (tablet e notebook) o lo abbiamo a portata
di mano in qualunque computer collegato ad internet. Ma non tutto
quello che conta è disponibile su digitale e non tutto è a costo
zero.
Rispetto
alle risorse digitali dobbiamo alfabetizzarci meglio per trovare
davvero quello che ci serve. E dobbiamo dirci che ci mancano bravi
alfabetizzatori. Anche nelle scuole. E il fai da te non sempre
funziona bene.
Contemporaneamente
una montagna di libri cartacei (e di altri materiali documentari) è
ancora presente nelle nostre biblioteche, comprese le biblioteche
scolastiche.
In provincia
di Pisa diverse biblioteche scolastiche aderiscono alla Rete
Bibliolandia e hanno i loro cataloghi comulati nello stesso
CATALOGO ELETTRONICO delle biblioteche comunali.
Questo
catalogo elettronico, consultabile via internet attraverso qualunque
device mobile e pc fisso, mette insieme circa 500.000 descrizioni
di libri e riviste. Basta scrivere Rete Bibliolandia e vi
viene fuori su Google il suo indirizzo. Accedervi è uno scherzo e in
pochi secondi il catalogo elettronico vi consente di sapere se un
determinato libro che state cercando si trova in Provincia di Pisa e
lo localizza esattamente in una o più delle 48 biblioteche della
Rete.
Se siete
iscritti ad una delle biblioteche scolastiche o ad una delle
biblioteche comunali della Rete, una volta che avete individuato
l'esistenza del libro potete “prenotarlo” dal vostro device e
ovunque questo libro sia fisicamente ubicato come per magia nel giro
di qualche giorno vi arriverà gratuitamente presso la biblioteca che
avrete scelto come vostro domicilio di lettore. A quel punto potrete
andarlo a ritirare e leggerlo.
Dopo un mese
il libro va riportato dove è stato preso, oppure potete prorogarvi
da soli il prestito per un altro mese. Poi... va riportato. Due mesi
sono un tempo ragionevole per leggere un libro. Se invece volete
tenerlo un po' di più, dovete parlare col vostro bibliotecario di
fiducia. E se non ci sono prenotazioni di altri utenti, il
bibliotecario vi allungherà il prestito.
Tutto questo
ci dice due cose:
trovare e
leggere un libro non è mai stato tanto facile come oggi
leggere
non è mai costato così poco come oggi (si
parla di un costo pari a zero)
Ma se è
così facile trovare il libro che ci serve e se non costa nulla
leggerlo, perchè restiamo una Regione con un basso numero di lettori
rispetto al nord Italia e in confronto coi mitici paesi del nord
europa?
La risposta
sarebbe lunga. Ma io mi soffermerò su alcune buone pratiche da
migliorare se si vogliono avere più lettori che leggano più libri.
Nelle
famiglie si legge poco e i figli riproducono i bassi livelli di
lettura dei genitori. Per incentivare la lettura familiare dobbiamo
investire.
Chi deve
farlo?
Ad es. gli
enti locali che investono poco nelle loro biblioteche.
Sopratutto i piccoli enti locali. Le loro biblioteche sono poco
fornite e raramente hanno personale professionale e motivato. Piccoli
spazi, pochi libri nuovi e volontari invece di bibliotecari
costituiscono una miscela che non fa crescere i lettori. O li fa
crescere lentamente. E spesso li perde.
Poi ci sono
le biblioteche scolastiche, incluse quelle delle superiori,
che raramente sono organismi vivi. Spazi insufficienti, poche novità
e personale così e così. Quindi lo stesso effetto che troviamo nei
piccoli comuni. Con la differenza che le biblioteche scolastiche
avrebbero anche la funzione di far apprezzare ai giovani non solo il
piacere della lettura, ma la metodologie delle ricerca in biblioteca.
Ma senza una biblioteca scolastica che funzioni bene, soffre l'uso
della biblioteca, il cui apprendimento viene rimandato alla fase
universitaria.
Infine c'è la Regione
Toscana. Quest'anno la Regione erogherà alle biblioteche
pubbliche il 20% in meno rispetto allo scorso anno, taglierà i finanziamenti per gli acquisti libri alle biblioteche locali (ad oggi questo è quello che si sa) e avrà sempre meno personale per stimolare lo sviluppo della lettura
sul territorio. Anche qui sta venendo meno la percezione che le
biblioteche sono infrastrutture strategiche per lo sviluppo di un
territorio, come i porti, le strade, gli aeroporti. Dobbiamo invece sapere che comprare
meno libri equivale a ridurre gli investimenti in ricerca, ovvero a
tagliare il nostro futuro.
Conclusione: dobbiamo
invertire alcune cattive pratiche.
E il bello è non
costerebbe neanche molto.
E allora perchè non lo
facciamo?
Temo che il Paese abbia
un'opinione pubblica troppo poco leggente, la quale, essendo poco
leggente e poco frequentando le biblioteche, non è portata a stimolare i decisori
politici e gli amministratori a potenziare le biblioteche e a
comprare più libri per tutti.
Definirei questo scenario come quello del serpente
dei lettori deboli che si morde la coda invece di mordere i fondo
schiena degli amministratori e dei dirigenti scolastici e di
spingerli ad investire di più sulla lettura e sulle biblioteche.
Appello. Andate in biblioteca
ragazzi. L'estate è un ottimo periodo per farlo. Scoprirete mondi e
non vi annoierete. Vi farete idee un po' più forti e più certe
rispetto alle tante balordate che circolano in rete. Con l'aiuto dei
libri vi formerete consapevolezze più durature. Rafforzerete la
capacità di ragionare. Imparerete a leggere un libro al giorno. A
smantellare un pregiudizio al giorno. E troverete risposte ad un
sacco di domande. Certo, un po' di fatica va fatta.
martedì 6 giugno 2017
La dignità della differenza. Come evitare lo scontro delle civiltà / Jonathan Sachs (Garzanti, 2004, 249p)
Il testo del rabbino di Londra, Jonathan Sachs, merita una lettura attenta. E' una riflessione sul mondo, scritto dopo l'attentato alle torri gemelle, e prende di petto il tema dello scontro delle civiltà ovvero il conflitto tra le diversità culturali, religiose, morali che caratterizzano la contemporaneità.
Il tutto analizzato dal punto di vista di un ebreo ortodosso, con radici profonde nel cosmopolitismo londinese che anche i recenti attentati di queste settimane hanno scosso, certo, ma non reso incerto di sè e delle proprie prospettive.
Il volume è ampio, analitico, descrittivo e affronta molte questioni a partire dalle criticità generate dal fenomeno della globalizzazione. Ovviamente il mercantilismo che ha sempre di più caratterizzato e condizionato gli ultimi secoli della storia umana sul pianeta ha avuto ed ha effetti destabilizzanti su molte istituzioni tradizionali. Famiglie, stati, nazioni, ma anche costumi, tradizioni e morale sono scossi dalle gigantesche trasformazioni indotte dal "mercato" (p. 43). Eppure, annota Sachs, quasi fosse un paradosso, il mercato ha anche effetti benefici. Perchè annota Sachs è attraverso lo scambio sul mercato che le "differenze" entrano in contatto e queste differenze si trasformano da minacce in "benedizioni" (p. 32). Il commercio di solito porta pace (p. 114) e non guerra.
Quello che però è certo è che se il mercato e la globalizzazione cambiano la faccia del pianeta, certo non risolvono tutti i problemi dell'uomo contemporaneo e non garantiscono la soluzione pacifica di tutti i conflitti (p.42). Anzi ne creano anche a causa del fatto che la ricchezza non si distribuisce sul pianeta nè all'interno delle nazioni in maniera equa (pp. 213-2014). Tutt'altro.
Da qui il risorgere costante delle religioni e del bisogno che hanno gli uomini di trovare risposte a livello spirituale e psicologico (p. 214). Gli uomini non sono solo consumatori. Hanno bisogno di dare un senso alla loro esistenza. Di rispondere alle domande sul bene e sul male. Di attivare un comportamento morale. Debbono capire e condividere valori comuni. Sentire cos'è il bene comune.
Ma definire il bene comune in una società sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa è difficile.
Allora, scrive Sachs, è proprio l'ascolto degli altri, l'accettazione delle differenza, il riconoscere che nelle differenze degli altri c'è dignità, che si può costruire una via di uscita allo scontro delle civiltà.
La saggezza, insiste Sachs, è imparare da tutti gli altri, imparare da chi è differente da te, perchè nessuno di noi conosce la verità e tutti ne conosciamo solo una parte (p. 77).
La verità insomma è molteplicità, alterità e differenza (pp. 77-78).
Un messaggio assolutamente condivisibile e fondativo della contemporaneità. Un messaggio, però, che richiede maturità; che implica piena libertà di giudizio, controllo sui propri pregiudizi e una notevole forza nel reggere l'accettazione delle differenze e nel vedere nelle differenze un valore aggiunto.
Il testo del rabbino di Londra, Jonathan Sachs, merita una lettura attenta. E' una riflessione sul mondo, scritto dopo l'attentato alle torri gemelle, e prende di petto il tema dello scontro delle civiltà ovvero il conflitto tra le diversità culturali, religiose, morali che caratterizzano la contemporaneità.
Il tutto analizzato dal punto di vista di un ebreo ortodosso, con radici profonde nel cosmopolitismo londinese che anche i recenti attentati di queste settimane hanno scosso, certo, ma non reso incerto di sè e delle proprie prospettive.
Il volume è ampio, analitico, descrittivo e affronta molte questioni a partire dalle criticità generate dal fenomeno della globalizzazione. Ovviamente il mercantilismo che ha sempre di più caratterizzato e condizionato gli ultimi secoli della storia umana sul pianeta ha avuto ed ha effetti destabilizzanti su molte istituzioni tradizionali. Famiglie, stati, nazioni, ma anche costumi, tradizioni e morale sono scossi dalle gigantesche trasformazioni indotte dal "mercato" (p. 43). Eppure, annota Sachs, quasi fosse un paradosso, il mercato ha anche effetti benefici. Perchè annota Sachs è attraverso lo scambio sul mercato che le "differenze" entrano in contatto e queste differenze si trasformano da minacce in "benedizioni" (p. 32). Il commercio di solito porta pace (p. 114) e non guerra.
Quello che però è certo è che se il mercato e la globalizzazione cambiano la faccia del pianeta, certo non risolvono tutti i problemi dell'uomo contemporaneo e non garantiscono la soluzione pacifica di tutti i conflitti (p.42). Anzi ne creano anche a causa del fatto che la ricchezza non si distribuisce sul pianeta nè all'interno delle nazioni in maniera equa (pp. 213-2014). Tutt'altro.
Da qui il risorgere costante delle religioni e del bisogno che hanno gli uomini di trovare risposte a livello spirituale e psicologico (p. 214). Gli uomini non sono solo consumatori. Hanno bisogno di dare un senso alla loro esistenza. Di rispondere alle domande sul bene e sul male. Di attivare un comportamento morale. Debbono capire e condividere valori comuni. Sentire cos'è il bene comune.
Ma definire il bene comune in una società sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa è difficile.
Allora, scrive Sachs, è proprio l'ascolto degli altri, l'accettazione delle differenza, il riconoscere che nelle differenze degli altri c'è dignità, che si può costruire una via di uscita allo scontro delle civiltà.
La saggezza, insiste Sachs, è imparare da tutti gli altri, imparare da chi è differente da te, perchè nessuno di noi conosce la verità e tutti ne conosciamo solo una parte (p. 77).
La verità insomma è molteplicità, alterità e differenza (pp. 77-78).
Un messaggio assolutamente condivisibile e fondativo della contemporaneità. Un messaggio, però, che richiede maturità; che implica piena libertà di giudizio, controllo sui propri pregiudizi e una notevole forza nel reggere l'accettazione delle differenze e nel vedere nelle differenze un valore aggiunto.
lunedì 5 giugno 2017
L'Europa non ha un destino da compiere, ma una vocazione da coltivare che non ha niente a vedere con le manie di grandezza.
La missione dell'Europa non è quella di compiere, costi quello che costi, il proprio destino, come sembra che abbia affermato recentemente il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Non ci possono essere "destini" nel nostro futuro collettivo, magari da affermare contro il destino di altri popoli o continenti. Questo ce lo aveva già detto nell'infernale anno 1942 un grande storico del Novecento, Johan Huizinga, che aveva definito il termine "destino" privo di contenuto e, aveva specificato, non solo per il pensiero cristiano (cfr. Lo scempio del mondo / J. Huizinga, p. 5).
Nè l'obiettivo della UE deve essere quello di "Make Europe Great Again" (La Stampa, 3/6/2017, p. 3). Niente manie di grandezza, per favore. Il mondo è troppo complicato per volerlo dominare con paturnie da megalomani. Lasciamo a Trump la suua "America first and great again". L'Europa guardi oltre. Siamo vecchi e saggi. Niente spacconerie da cawboy.
L'Europa deve coltivare la propria biodiversità culturale prima e politica poi. L'Europa deve restare "razionale e ragionevole", perchè è figlia dell'illuminismo e delle due rivoluzioni riuscite (quella inglese del '600 e quella francese del 1789). Deve mantenersi una comunità integrante, tollerante e multiculturale. Accogliente (almeno entro certi limiti fisici e in rapporto a ciò che è ragionevole gestire) e multireligiosa, sapendo che se le sue radici sono essenzialmente giudaico cristiane, oggi l'Europa è anche jn pò musulmana e sicuramente questa componente religiosa crescerà di più nel futuro.
Deve mantenere i propri livelli di welfare e aiutare lo sviluppo del resto del mondo, che notoriamente (cfr. Mondi divisi / B. Milanovic, 2017) sta molto peggio di noi. E nei confronti di chi cresce meno, l'Europa deve dimostrarsi più generosa.
Deve controllare la malvagità e la stoltezza del genere umano e tenere a bada la superbia, l'avarizia e l'avidità di dominio dei suoi leader e dei suoi popoli (Huizinga cit. p. 6). Non lasciarsi travolgere dagli appetiti del "mercato" e non ridurre gli uomini a meri produttori e consumatori di beni.
In sintesi l'Europa deve coltivare un vocazione sobria, non urlata, verso uno sviluppo sostenibile ed eco-compatibile. Perchè è una delle regioni del mondo che ha il talento e le condizioni per farlo e che può rappresentare, per questa ragione, una speranza per il mondo.
La missione dell'Europa non è quella di compiere, costi quello che costi, il proprio destino, come sembra che abbia affermato recentemente il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Non ci possono essere "destini" nel nostro futuro collettivo, magari da affermare contro il destino di altri popoli o continenti. Questo ce lo aveva già detto nell'infernale anno 1942 un grande storico del Novecento, Johan Huizinga, che aveva definito il termine "destino" privo di contenuto e, aveva specificato, non solo per il pensiero cristiano (cfr. Lo scempio del mondo / J. Huizinga, p. 5).
Nè l'obiettivo della UE deve essere quello di "Make Europe Great Again" (La Stampa, 3/6/2017, p. 3). Niente manie di grandezza, per favore. Il mondo è troppo complicato per volerlo dominare con paturnie da megalomani. Lasciamo a Trump la suua "America first and great again". L'Europa guardi oltre. Siamo vecchi e saggi. Niente spacconerie da cawboy.
L'Europa deve coltivare la propria biodiversità culturale prima e politica poi. L'Europa deve restare "razionale e ragionevole", perchè è figlia dell'illuminismo e delle due rivoluzioni riuscite (quella inglese del '600 e quella francese del 1789). Deve mantenersi una comunità integrante, tollerante e multiculturale. Accogliente (almeno entro certi limiti fisici e in rapporto a ciò che è ragionevole gestire) e multireligiosa, sapendo che se le sue radici sono essenzialmente giudaico cristiane, oggi l'Europa è anche jn pò musulmana e sicuramente questa componente religiosa crescerà di più nel futuro.
Deve mantenere i propri livelli di welfare e aiutare lo sviluppo del resto del mondo, che notoriamente (cfr. Mondi divisi / B. Milanovic, 2017) sta molto peggio di noi. E nei confronti di chi cresce meno, l'Europa deve dimostrarsi più generosa.
Deve controllare la malvagità e la stoltezza del genere umano e tenere a bada la superbia, l'avarizia e l'avidità di dominio dei suoi leader e dei suoi popoli (Huizinga cit. p. 6). Non lasciarsi travolgere dagli appetiti del "mercato" e non ridurre gli uomini a meri produttori e consumatori di beni.
In sintesi l'Europa deve coltivare un vocazione sobria, non urlata, verso uno sviluppo sostenibile ed eco-compatibile. Perchè è una delle regioni del mondo che ha il talento e le condizioni per farlo e che può rappresentare, per questa ragione, una speranza per il mondo.
Un uomo che ha vissuto. Storie di tutti i miei giorni / Riccardo Fogli (con Tommaso Labranca e Luca Rossi), Sperling & Kupfer, 2017, 181p.
Pontedese (di Gello di Lavaiano), piaggista, toscano, noto musicista e cantante, uno de "I Pooh", Riccardo Fogli è stato (ed è) molte cose.
Per i pontederesi (e anche per i piombinesi, come per quelli di Campiglia Marittima) è uno di loro. Uno di noi. Un uomo che è andato lontano, che si è inventato, con forza e coraggio, una strada assolutamente non scritta, estremamente originale e l'ha percorsa (e ancora la percorre).
Naturalmente fa piacere leggere le annotazioni sulla famiglia Fogli e su quella della madre. E' bello scoprire le lezioni di musica prese dal mitico maestro Santarnecchi di Montecalvoli (prima o poi qualcun dovrà dedicargli una piccola biografia). Fogli ci andava da casa sua in bicicletta (12 chilometri tra andata e ritorno, con la chitarra a tracolla). E poi il lavoro come fattorino alla Piaggio (sì, proprio alla Piaggio e questa esperienza gli resterà dentro per tutta la vita). E ancora la passione per il ping pong prima in parrocchia (già, Fogli ha fatto anche il chierichetto) e poi con la squadra "Sportiva Pontedera". E infine il licenziamento dalla Piaggio e tutta la famiglia che si trasferisce a Piombino, dove il padre apre un negozio di gommista.
Ma il demone che guida e orienta la vita del giovane e "capellone" Riccardo Fogli è la musica e il desiderio di avere successo e di esibirsi in pubblico. E allora ecco l'ingresso di Fogli nella band degli Slenders a Piombino, come bassista e voce, e poi il salto a Milano e l'incontro coi Pooh e poi quello con Patty Pravo e poi la rottura coi Pooh e le canzoni che scrive e che canta e tutto il resto della sua vita (mogli, separazioni, figli, relazioni) e della sua carriera, che non è affatto il caso di riassumere, ma che, ve lo giuro, vale la pena di leggere, succhiellando le pagine come una bibita deliziosa.
Tra le tante cose che si potrebbero dire del libro, mi piace sottolinearne una. Molto pontederese. Nella storia di Riccardo Fogli, una storia tipica del nostro dopoguerra, c'è la voglia di costruire il proprio destino, usando la testa e le mani, cercando di assecondare le proprie passioni e la propria voglia di emergere. Mettendo in gioco tutto se stessi. Limiti inclusi. Rischiando, costruendosi, facendosi e risfacendosi. Incontrando altri, cercando collaborazioni, ma sempre perseguendo una propria strategia di vita. Credendo in se stessi, ma seguendo anche le vie del mercato e le opportunità che si presentano lungo la strada.
In fondo quella del musicista Fogli è la storia di una impresa musicale (centrata su di lui e sulle sue capacità canore) che riesce ad attraversare e a durare per 60 anni sul turbolento e cangiante mercato musicale e discografico nazionale ed internazionale. E, come molte piccole imprese italiane di tutti i settori, sarà proprio il mercato internazionale (e quello dei paesi dell'Est in particolare, nel caso di Fogli) a dargli una mano a superare i periodi di crisi (negli intervalli tra u successo e l'altro) del mercato interno.
Davvero una storia bella e interessante.
Pontedese (di Gello di Lavaiano), piaggista, toscano, noto musicista e cantante, uno de "I Pooh", Riccardo Fogli è stato (ed è) molte cose.
Per i pontederesi (e anche per i piombinesi, come per quelli di Campiglia Marittima) è uno di loro. Uno di noi. Un uomo che è andato lontano, che si è inventato, con forza e coraggio, una strada assolutamente non scritta, estremamente originale e l'ha percorsa (e ancora la percorre).
Naturalmente fa piacere leggere le annotazioni sulla famiglia Fogli e su quella della madre. E' bello scoprire le lezioni di musica prese dal mitico maestro Santarnecchi di Montecalvoli (prima o poi qualcun dovrà dedicargli una piccola biografia). Fogli ci andava da casa sua in bicicletta (12 chilometri tra andata e ritorno, con la chitarra a tracolla). E poi il lavoro come fattorino alla Piaggio (sì, proprio alla Piaggio e questa esperienza gli resterà dentro per tutta la vita). E ancora la passione per il ping pong prima in parrocchia (già, Fogli ha fatto anche il chierichetto) e poi con la squadra "Sportiva Pontedera". E infine il licenziamento dalla Piaggio e tutta la famiglia che si trasferisce a Piombino, dove il padre apre un negozio di gommista.
Ma il demone che guida e orienta la vita del giovane e "capellone" Riccardo Fogli è la musica e il desiderio di avere successo e di esibirsi in pubblico. E allora ecco l'ingresso di Fogli nella band degli Slenders a Piombino, come bassista e voce, e poi il salto a Milano e l'incontro coi Pooh e poi quello con Patty Pravo e poi la rottura coi Pooh e le canzoni che scrive e che canta e tutto il resto della sua vita (mogli, separazioni, figli, relazioni) e della sua carriera, che non è affatto il caso di riassumere, ma che, ve lo giuro, vale la pena di leggere, succhiellando le pagine come una bibita deliziosa.
Tra le tante cose che si potrebbero dire del libro, mi piace sottolinearne una. Molto pontederese. Nella storia di Riccardo Fogli, una storia tipica del nostro dopoguerra, c'è la voglia di costruire il proprio destino, usando la testa e le mani, cercando di assecondare le proprie passioni e la propria voglia di emergere. Mettendo in gioco tutto se stessi. Limiti inclusi. Rischiando, costruendosi, facendosi e risfacendosi. Incontrando altri, cercando collaborazioni, ma sempre perseguendo una propria strategia di vita. Credendo in se stessi, ma seguendo anche le vie del mercato e le opportunità che si presentano lungo la strada.
In fondo quella del musicista Fogli è la storia di una impresa musicale (centrata su di lui e sulle sue capacità canore) che riesce ad attraversare e a durare per 60 anni sul turbolento e cangiante mercato musicale e discografico nazionale ed internazionale. E, come molte piccole imprese italiane di tutti i settori, sarà proprio il mercato internazionale (e quello dei paesi dell'Est in particolare, nel caso di Fogli) a dargli una mano a superare i periodi di crisi (negli intervalli tra u successo e l'altro) del mercato interno.
Davvero una storia bella e interessante.
Iscriviti a:
Commenti (Atom)









