martedì 10 ottobre 2017

Carlo Nesti, operaio Piaggio (Pontedera), 1950-2017

E' morto Carlo Nesti. Era un operaio della Piaggio di Pontedera (anche se da ragazzo credo avesse lavorato alla Pistoni Asso). Un uomo alto, ben piantato, capigliatura folta. Con baffi e pizzetto (almeno per un certo tempo della sua vita). Era un uomo che poteva essere uscito dal film "La classe operaia va in Paradiso", anche se era pontederese e ironicamente toscano.
Già, credo di averlo conosciuto... tra il 1969 e il '70. Lavorava già, mentre io studiavo. Era uno dei pochi operai che bazzicavano le riunioni di quella specie di circolo esoterico che dichiarava di credere in una vulgata rivoluzionaria del marxismo-leninismo. Una cosa che a ripensarci oggi mi viene da ridere, ma allora era una fede.
Carlo, a Pontedera, era una mosca bianca, perché alla Piaggio gli operai di solito erano iscritti al PCI o alla DC o al PSI e qualcuno, già allora (parlo della fine degli anni '60) al MSI, quelli che oggi potrebbero essere amici della Meloni.
Lui no. Lui era un operaista che credeva nella rivoluzione comunista e frequentava gli studenti che animavano i gruppuscoli di estrema sinistra.
Per me, nel 1970, Carlo era un mitico operaio della Piaggio. Una specie di titano. Un superuomo che apparteneva alla mitica classe operaia, la classe che prima o poi avrebbe fatto la rivoluzione e rivoltato come un calzino questo paese. E a queste favole, allora, ci credeva anche Carlo. Ma con meno enfasi. Almeno così mi pare di ricordare.
Con questa credenza esoterica siamo andati avanti diversi anni. Almeno fino alla metà degli anni '70. Poi, più io che lui, siamo cominciati a cambiare.
Carlo restava sempre un portatore di istanze rivoluzionarie sia pure in un mondo in cui si riconosceva sempre meno, mentre io mi facevo sempre più un dubbioso e maturavo la convinzione che erano state le nostre primitive idee esoteriche ad averci fregato, facendoci prendere lucciole per lanterne.
Alla fine andai militare e quando tornai, ricordo che discutemmo a lungo della legnata che la "classe operaia" aveva preso tra l'80 e l'81 alla FIAT. Una legnata da cui la "Classe" non si sarebbe mai più ripresa. E nemmeno noi ex operaisti.
Ricordo che con Carlino, lo chiamavamo così, in barba alla sua stazza (di allora), commentammo a lungo la tentazione berlingueriana di occupare la fabbrica torinese. E a quel tempo ci sarebbe piaciuto,  forse,  che il povero Enrico desse davvero il via all'occupazione e alla rivoluzione. Ma Berlinguer, il PCI e la CGIL, per fortuna, avevano la testa sulle spalle e non fecero niente del genere. Dopo quel biennio, il comunismo cominciò a tramontare a passi da gigante anche nel nostro paese. Berliguer mori, si perse il referendum sulla scala mobile e alla fine il Pci cambiò nome e orizzonti.
Il mio operaismo si affievolì e si trasformò in qualcosa di nostalgico. Io smisi di cantare le canzoni di lotta e di protesta, Carlo invece continuò almeno per un po' in un coro di voci rosse.
Carlo inoltre patì in fabbrica i colpi della ristrutturazione della Piaggio e vide buttare fuori dagli stabilimenti di Pontedera 4.000 operai. Un salasso drammatico. Ma lui era un operaio qualificato e, da ragionatore quale era, aveva messo da parte le ultime velleità operaiste. Per cui, alla fine, gli Agnelli se lo tennero e così potè raggiungere, con qualche scivolamento, l'agognata pensione e dare sfogo ad una delle sue grandi passioni: pedalare in bicicletta.
Ma nei quasi quaranta anni che seguirono l'irreversibile sconfitta di Torino, tutte le volte che ci trovavamo ed inevitabilmente parlavamo di politica e di sindacato, lui con me recitava la parte del pessimista (la sua tesi era che la classe e il paese sarebbero andati sempre peggio), mentre io cercavo di sottolineare i lati positivi della situazione. Insomma a lui il ruolo del Titano sconfitto. A me, laureato in filosofia, quella di Candide che sosteneva che in fondo non ci era andata poi così male, anche se i nostri sogni non si erano avverati.
Poi c'eravamo visti sempre meno e i suoi malanni avevano preso il sopravvento. Ma anche un paio di anni fa, dopo che era riemerso da lunghe peripezie ospedaliere, più o meno alla fine del suo racconto, riprendemmo a recitare un pezzo della nostra umana commedia. Stessi ruoli. Stesse battute. Più o meno.
Ricordo che di sè Carlo diceva di essere una specie di Panda. Una tipologia di operaio in estinzione. Di quelli che conoscono il mestiere e sanno farsi valere. Ed in fondo era quello che di lui ho sempre pensato anch'io. Peccato che dagli anni '80 in poi queste abilità valessero sempre meno. E che il mondo si fosse fatto sempre più complicato.

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