venerdì 20 ottobre 2017

Un comunista al servizio della gente. Settant'anni di impegno politico / Adriano Sartini (a cura di Valentina Filidei), Tagete ed. 2017, pp. 100 e molte illustrazioni.

Il piccolo volume molto ben illustrato racconta la storia di un "soldatino" del PCI di Montecastello (Pontedera/Pisa), che poi ha aderito alle formazioni politiche che dal PCI sono discese per LA COSA-PDS-DS-PD.
Non si tratta di un saggio di memorie che riflettono sulla militanza politica di un comunista, ma  di un omaggio editoriale alla lunga militanza di una persona che da sempre è stata attiva in politica sia pure in un contesto particolare e se si vuole in una specie di meraviglioso microcosmo tra le campagne a est di Pontedera e il piccolo centro medievale di Montecastello.
La storia raccontata da Adriano (con l'aiuto di Valentina Filidei) elude quasi tutti i momenti importanti della storia politica cittadina e nazionale a cui sembrano alludere i settanta anni del titolo. Non è per parlare di queste cose che gli infaticabili amici di Tagete hanno curato e pubblicato il volumetto di Adriano.
Il breve testo costituisce soprattutto una botta di nostalgia per le generazioni più anziane, legate all'antica fede comunista. E l'oggetto stampato è soprattutto e per fortuna un album, ricco di fotografie, a cui il bianco e nero aggiunge un tocco di leggerezza e simpatia. Fotografie in gran parte collegate alle Feste dell'Unità, al lavoro di allestimento della manifestazione estiva e alle attività connesse alla ristorazione che di quella festa furono uno punto cardine ed un elemento di affratellamento tra i partecipanti.
Ma consumata la nostalgia, non si può dimenticare che se i compagni di Adriano (e anche miei) avessero conquistato il potere centrale (lo Stato) nel secondo dopoguerra e se l'Italia fosse finita nell'orbita dell'URSS (insomma se i carri armati di Baffone fossero arrivati anche a Pontedera e a Montecastello, come molti compagni di Sartini e lui stesso almeno fino al 1956, avevano desiderato che accadesse), magari sarebbe stata abolita la democrazia, si sarebbe instaurato un regime totalitario, con un solo partito al potere, quello comunista, e l'Italia si sarebbe  trasformata in qualcosa di simile all'Ungheria, alla Bulgaria, alla Polonia o alla Corea del Nord.
Per questo adesso penso che se i comunisti italiani ci fanno nostalgia è perché hanno (abbiamo) perso  politicamente la loro (la nostra) partita. Perché sono stati politicamente sconfitti. E quindi possiamo vederli (ci) come brave persone. Ma così ci appaiono solo perchè sono stati neutralizzati e alla fine disinnescati fino a scomparire, senza neppure riuscire a trasformarsi in socialdemocratici.
Ma per capire come li (ci) avrebbero visto gli italiani se questo paese fosse diventato simile alla Polonia o all'Ungheria, per comprendere come sarebbero diventati i comunisti italiani se avessero conquistato il governo centrale, basta pensare a come polacchi e ungheresi oggi vedono Gomulka o Kadar. Vale a dire più o meno come i protagonisti di un grande "Arcipelag Gulag" o di "Buio a mezzogiorno".
Lo so, lo so: i comunisti italiani erano un'altra cosa, sostiene una schiera di estimatori di Togliatti, Longo, Berlinguer, Ingrao e Napolitano.
Può darsi che sia così. E forse il mio argomento è semplicistico e impietoso. Ma, col senno del sessantenne, non credo che Togliatti e Secchia, se nel '48 avessero vinto le elezioni, ci avrebbero regalato un Paese migliore di quello che ha ritirato su la DC. Perciò, pur riconoscendo i difetti di una democrazia liberale e cattolica, sono contento che le cose siano andate così a noi italiani. E penso che abbiamo avuto davvero molta fortuna.


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