Il Teatro Era di Pontedera è una grande risorsa per la città e presenta una stagione straordinaria
Ho
partecipato con molto piacere alla presentazione della prossima
stagione del Teatro Era di Pontedera, che da tre anni, a tutti gli
effetti, è una componente importante del Teatro della Toscana (una
joint-venture tra il Teatro La Pergola di Firenze e il Teatro Era di
Pontedera col sostegno economico, fondamentale, della Regione Toscana
e del Ministero per la Cultura). Una fortuna per la Toscana e
soprattutto per Pontedera.
E se
la stagione sarà all'altezza della presentazione di martedi 10
ottobre, sarà un successone, perché anche l'annuncio (a cominciare
dal curatissimo video promozionale sparato all'inizio) è stato
strepitoso e da tanti punti di vista.
Per
le cose dette. Per le molteplici interlocuzioni. Per le cose a cui mi
ha fatto pensare.
Intanto
Luca Dini, direttore, ha fatto un bilancio del triennio che si è
appena concluso e insieme ad Antonio Chelli, vice presidente del
Teatro della Toscana, ha fornito numeri e diversi spunti, senza
nascondersi le difficoltà che in questi anni la nuova organizzazione
(che pure si è avvalsa di cospicui finanziamenti) ha dovuto
affrontare e superare.
Dini
soprattutto ha anche annunciato una volontà di aprirsi ancora di più
al territorio. Un lavoro di conquista importante, che va perseguito
con maggiore metodo. In particolare quello verso le scuole. E verso
gli insegnanti.
Poi è
seguita una breve ma intensa performance di Gabriele Lavia, direttore
artistico della Pergola, sull'immortalità del teatro e sulla sua
importanza nella vita umana. Una performance che si è conclusa con
l'appello a non misurare tutto sulla base dei soldi e dei costi e con
un incoraggiamento, imperioso, al consiglio di amministrazione del
Teatro a tirare fuori più quattrini. Un invito che ha fatto
arrossire il povero Chelli.
A
seguire, il neopensionato, ma sempre attivo al centro del
palcoscenico, Roberto Bacci che ha rivendicato la storia del CSRT,
gli incontri con Grotowski e con altri straordinari artisti italiani
ed internazionali che hanno reso celebre il decentrato "teatro
pontederese". Presentate le produzioni della prossima stagione,
Bacci ha quindi suggerito come l'anima del "suo" teatro
andasse ricondotta all'idea di una Pontedera città dell'accoglienza,
degli esuli (in questo caso teatrali, come Grotowski), e delle sfide
impossibili, che però si radicano e alla fine sopravvivono e danno
frutti molto interessanti. Tutti concetti che condivido. Uno per uno.
A cui aggiungerei solo la mercantile abilità pontederese di sapersi
adattare al mutamento.
Poi il microfono è passato a Giorgetti, direttore amministrativo del TdT. La
sincerità sulla faticosa costruzione delle stagioni teatrali. La
sottolineatura delle dinamiche conflittuali interne al nuovo
complesso teatrale, chiamato ad amalgamarsi in una rapida esperienza
triennale. E la capacità di prendere il toro per le corna e
sottolineare anche differenze di vedute, scontri e negoziati sulle
soluzioni. L'ammissione, in alcuni casi, di essersi sbagliati. Tutto
ciò che Giorgetti ha raccontato ha dato la sensazione di un teatro vivo, complicato nel farsi, ma consapevole di sè e attento alla contemporaneità.
Insomma
è stata una bella presentazione. Forte. Poco retorica. Originale, credo.
Mi ha confermato che il Teatro Era costituisce davvero una risorsa strategica
per Pontedera. Strategica come la Piaggio, come il Sant'Anna,
l'Ospedale Lotti e il sistema scolastico superiore.
Rispetto al Teatro mi permetterei di sottolineare solo un obiettivo da perfezionare: quello di far crescere il pubblico locale. Lo so,
Roberto Bacci potrebbe replicarmi che vale più uno spettatore che
viene da Tokyo a vedere uno spettacolo per 50 spettatori prodotto e
realizzato a Pontedera dal CSRT, che i 49 spettatori che abitano tra
Palaia e Calcinaia o nel resto delle campagne pisane e che
frequentano il Teatro senza capire molto di quello che vedono
(soprattutto per la parte di sperimentazione). Replicherei che,
certo, fino a tre o quattro anni fa, aveva ragione lui. Ma, oggi, il
gigantismo della nuova struttura (e i costi connessi), i mutamenti di
sensibilità politica (e i nuovi assetti che potrebbero prendere
corpo), la mutazione dell'offerta teatrale in atto, ho l'impressione
che abbiano cambiato la situazione.
Senza
importanti numeri sarà più difficile sostenere i costi
complessivi (e i posti di lavoro collegati), soprattutto in una fase
politica complicata come è quella i cui ci siamo infilati. Perciò,
a maggior ragione, serve un equilibrio tra ricerca teatrale e offerta
di spettacoli che vada incontro ai desiderata del pubblico, il quale
è bene non solo che riempia sempre le belle e comode poltrone del Teatro, ma che funzioni come supporto
consensuale alla grande struttura teatrale.
E poi
oltre i numeri, c'è anche la qualità degli spettatori da far
crescere.
Su
questo versante l'idea di sostenere e incoraggiare la presenza a
teatro degli insegnanti è strategica, come quella di costruire una
rete di alleanze, di promoter e di supporter del proprio lavoro. Tutte cose però che chi lavora al Teatro Era sa bene.
Ovviamente,
e qui concordo fino in fondo con Bacci, tutto questo va fatto senza
smarrire anima e originalità del CSRT.
Infine
il problema del nuovo pubblico si ricollega anche alla capacità di
rinnovare il rapporto con le elite politiche del territorio. Un
rapporto che non può più essere di collateralità
ideologico-culturale. Perchè i tempi stanno cambiando, canterebbe il vecchio Dylan.
Qui
la soluzione teatrale che Gabriele Lavia ha straordinariamente
suggerito, attraverso l'invocazione ad un mecenatismo generoso, dovrà
trovare soluzioni in classi dirigenti locali (e nazionali) che da una
parte conoscano e amino di più la cultura e dall'altra sappiano allargare il
mecenatismo ad una borghesia "generosa" che in terre come
questa dovrebbe essere abbastanza presente. Ma che va coltivato.
Sottolineo
infine, pur non essendo un esperto di Teatro, ma solo uno spettatore
curioso (e amante soprattutto del teatro classico) che la babelica e
per certi aspetti bulimica offerta della prossima stagione mi
stordisce, ma allo stesso aspetto mi fa molto piacere, perché indubbiamente, pur essendo il frutto di una negoziazione assai complicata, mi sembra andare nelle giusta direzione.
Certo saranno solo i biglietti staccati a fine stagione e i giudizi valutativi del pubblico
che avrà visto gli spettacoli a raccontarci, con chiarezza, se il
progetto del Teatro Era che sta per prendere il via avrà funzionato
e avuto successo.
In
bocca al lupo.
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