venerdì 26 febbraio 2021

Possono essere filosofi i bambini?

E’ uscito un paio di anni fa un libro su cui sono riuscito finalmente a mettere le mani. L’ha scritto un professore del Liceo Scientifico di Pontedera, Giovanni Volpi, e si intitolata “Il bene è un’emozione felice”. Bambini e filosofi (CLD, 2019, p. 103, 15). Raccoglie l’esperienza di un laboratorio di filosofia pensato e realizzato coi bambini della primaria, tra i 9 e gli 11 anni. Il progetto ha per riferimento il comune di Capannoli ed è stato sollecitato e supportato dall’Associazione Culturale Olifante, che gestisce, tra l’altro, le biblioteche di Capannoli, Forcoli e Palaia.

I materiali proposti al lettore riportano sintesi dei dialoghi, un po’ socratici, intessuti tra il prof. Volpi e i bambini nel corso di vari incontri su un nucleo di temi o argomenti forti: cos’è il pensiero, l’io e la coscienza, l’altro, l’amicizia, gli altri e la società, il tempo, i sentimenti, la morale e molto altro ancora. Ogni argomento inizia con una breve introduzione del prof sul concetto su cui verterà il dialogo e continua coi commenti, le annotazione e gli interventi dei ragazzi. Il progetto, che ha coinvolto fino ad ora 200 bambini, va avanti da quattro anni con grande soddisfazione di tutti: dai bambini agli insegnanti, dai genitori (a cui sarei curioso di chiedere se anche a casa il dialogo coi figli assume le stesse caratteristiche del libro) all’amministrazione pubblica.

Il volume che raccoglie questa esperienza non è un manuale, ma è qualcosa di più di un quaderno di lavoro. Direi che è una buona pratica che gli insegnanti della primaria potrebbero provare ad assimilare e magari a replicare, ovviamente dopo essersi fatta anche qualche buona lettura di filosofia o almeno aver ripassato un buon manuale di filosofia. La lettura del testo messo insieme da Volpi (che merita il ringraziamento di tutti coloro che credono nell’utilità della filosofia per la formazione della persona) suggerisce poi un’infinità di varianti che potrebbero essere realizzare da altri insegnanti un po’ filosofi. Questi ultimi ad. es. potrebbero adattare lo schema proposto da Volpi per far costruire direttamente ai ragazzi di una classe, un po’ anche alla Don Milani, il loro manuale di filosofia, magari per lasciarlo in eredità alla classe che arriverà nella loro stessa aula l’anno successivo.

In Bibliolandia purtroppo c’è una sola copia del libro (e quindi ho dovuto fare la fila per leggerlo) e per giunta non è inserita in SBN, perciò il libro risulta inesistente nel principale catalogo bibliografico italiano. Suggerirei alla Rete di prenderne altre copie e all’Associazione di estendere l’esperienza anche nell’attiguo comune di Palaia. Ovviamente gli insegnanti della primaria con il pallino della filosofia potrebbero comprarne una loro copia e annotarsela. Credo che potrebbe tornargli utile nel lavoro quotidiano anche se non realizzassero un vero laboratorio di filosofia. Ma anche ai genitori farebbe bene leggere e meditare un libro come quello scritto da Giovanni Volpi. Potrebbero anche loro trovarci spunti molto interessanti per intessere un dialogo più fitto coi propri figli e magari creargli piccole alternative all’uso sfrenato dei social o dei videogiochi e farli crescere più consapevoli di sé.



mercoledì 24 febbraio 2021

Ricordando Tommaso Fanfani

Sono trascorsi 10 anni dalla morte del prof. Tommaso Fanfani, una persona importante per la città di Pontedera (che nel 2002 gli aveva conferito la cittadinanza onoraria), anche se era nato a Pieve Santo Stefano (Arezzo) e insegnava storia economica all'Università di Pisa. E proprio per i suoi studi di storia economica Fanfani era stato incaricato a metà degli anni '90 da Giovanni Alberto Agnelli di ricostruire la storia della famiglia e della società Piaggio e quindi anche del grande stabilimento di Pontedera. Ma l'obiettivo ancora più ambizioso del giovane Agnelli era quello di costruire il Museo e l'Archivio della Piaggio, che venne inaugurato nel 2000 e fu il frutto di un lungo e complesso lavoro di raccolta dei materiali e di messa a punto sia degli oggetti che della documentazione. Del Museo (dedicato a Giovanni Alberto Agnelli, morto nel 1997) e dell'Archivio (dedicato a Antonella Bechi Piaggio), che insieme costituiscono una delle istituzioni culturali di eccellenza di Pontedera e sicuramente la più nota e la più visitata da italiani e da stranieri, Tommaso Fanfani fu quindi il regista, l'organizzatore e l'animatore. Dotato di una grande competenza, di una grande passione e di una squisita gentilezza e cortesia, Fanfani si è occupato del Museo e dell'Archivio Piaggio per gran parte della prima decade del XXI secolo, organizzando anche seminari, mostre e convegni, fino a quando una dolorosa malattia non gli impedì di continuare il suo compito.

Copie del suo volume Una leggenda verso il futuro. I 110 anni di storia della Piaggio (edito a Pisa  nel 1994) si trovano presso la Biblioteca Gronchi. Il volume merita di essere letto da tutti coloro che vogliono conoscere la storia affascinante della società Piaggio e degli stabilimenti di Pontedera

Ben fatta la sua sintetica biografia su Wikipedia a cui rimando per ulteriori approfondimenti : https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_Fanfani

Anche "Il Grandevetro" resiste e continua a lottare insieme a noi

Tra le riviste che mi capita di sfogliare in biblioteca e che, ripeto, si trova in quasi tutte le biblioteche della Rete Bibliolandia c'è "Il Grandevetro". Difficile sintetizzare in poche parole cosa sia stata e cos'è oggi questa pubblicazione, nata nel 1977, a Santa Croce, per merito di due intellettuali, almeno per me, leggendari come Sergio Pannocchia e Romano Masoni (quest'ultimo è ancora un artista pugnace e uno dei protagonisti della rivista). Io l'ho frequentata assiduamente negli anni '80 e poi ho continuato a leggerla più o meno regolarmente fino ad oggi. E' una rivista culturale che viaggia tra arti figurative, società e politica con un taglio spiccatamente di sinistra, ma d'una sinistra non schierata, non nostalgica, non ideologica, direi sempre combattente e soprattutto riflettente. Il nome del resto non può essere tradito. L'ultimo numero che ho letto e di cui allego la copertina contiene una serie di riflessioni sulla scuola, la pandemia, la Dad, ma anche sui limiti della scuola preCovid e sul futuro delle giovani generazioni: tutte cose che meritano di essere annotate. Naturalmente come tutte le riviste "riflettenti" richiede un certo impegno anche da parte del lettore. Normale, no?

Per chi volesse saperne di più c'è il sito web: http://www.ilgrandevetro.it, dove sono disponibili anche alcuni numeri arretrati in pdf

Una bella scheda biografica delle rivista, con i riferimenti ai collaboratori del passato e del presente, si trova anche su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Grandevetro





domenica 21 febbraio 2021

Tenga duro, Ministro Franceschini, sulle nomine dei direttori dei musei

In questo paese che apprezza i migliori solo quando i migliori siamo noi stessi o i nostri amici, sia lode al Ministro Franceschini che ha avuto il coraggio di spezzare le promozioni "concordate" e ha voluto che i direttori dei musei italiani venissero scelti con bandi internazionali e ha nominato commissioni in grado di reggere l'urto, almeno in parte, del familismo amorale del burocratico mondo accademico italiano che aspetta ancora uno come Palamara che sveli come funziona il meccanismo di aggiudicazione dei posti che contano anche negli enti e istituti culturali. Ministro tenga duro. Non molli la sua riforma sulla scelta dei direttori. Semmai la estenda alle grandi biblioteche nazionali e agli archivi di stato e alle più prestigiose istituzioni culturali italiane. Selezioni e scelga i migliori, anche se vengono da un altro paese. Basta che parlino decentemente la nostra lingua e sappiano fare bene il loro mestiere. Confesso di non  aver apprezzato la sua politica rispetto alle opportunità che aveva aperto per i bb.cc. la pandemia. Su questo avrei diversi appunti, soprattutto da bibliotecario, da muoverle. Ma, mi ripeto, lo ringrazio di aver tenuto il punto sul fatto che a dirigere importanti istituzioni culturali vadano messi i migliori e non gli amici degli amici. Resista alle pressioni. Spezzi questa prassi atavica del nostro paese, dove tutti, di destra, di sinistra e di centro, bubbolano tanto, ma poi finiscono sempre per scegliere la via "del politicamente a loro familiare o affine". Invece fare concorsi seri e scegliere i migliori  non solo è l'unico modo per premiare chi davvero se lo merita, è soprattutto l'unico modo per far funzionare bene e non solo sopravvivere le istituzioni culturali. Credo che per questa scelta lei sarà ricordato. E giustamente. 

QUEER, il poliziesco onirico di Luca Cherici

Ho letto il testo di Luca Cherici, "Queer. Il Gioco dell'Oca" (Tagete Edizioni, 2020, 235p, 15€), per curiosità. Lo confesso. Conosco Luca da una vita, siamo diventati adulti nella stesso morso di strada di Pontedera, dietro Villa Crastan, ho seguito il suo impegno politico, abbiamo parlato di molte cose negli ultimi anni e mi incuriosiva conoscere il suo approdo alla narrativa. Non so se il suo investigatore Luciano Garbarino diventerà anche un eroe televisivo, ma uno come Giallini probabilmente potrebbe interpretarlo. Lo spessore e le sofferenze psicologiche al poliziotto inventato da Cherici in Queer non mancano; e neppure gli manca una certa tendenza a scavare nelle macerie oltre che del caso che ha sottomano anche della sua vita e nei molti problemi politici e sociali della società in cui è vissuto e vive. Si parte dal cadavere di una donna (un femminicidio) e si procede con un'indagine molto mentale, piena di riflessioni, di ricordi e di dolori (soprattutto del poliziotto). Si incontrano personaggi di una Genova cantautorale e sociale (tra De André, Guido Rossa, don Gallo e il G8), con tanto odore di marcio e di miseria, dove la città diventa palcoscenico, contenitore e simbolo perfetto di un dramma che viene da lontano ed è destinato a durare nel tempo. Il testo contiene molti riferimenti, ma l'essenziale ruota attorno alle indagini sulla morte della ragazza, sugli scheletri nell'armadio del poliziotto e su quelli della società che ci circonda. Il tutto genera un poliziesco onirico, notturno, dove i rimandi a Tabucchi e a Pessoa sono espliciti, ma dove c'è anche molto altro. Della fine ovviamente non si può dire nulla, ma che la scrittura scorre e ci accompagna con ritmo musicale sempre più avvolgente, questo va sottolineato. Io sono uscito dalla lettura piacevolmente sorpreso, anche se leggermente stordito. Aggiungo solo che non è un testo facile. Va letto con un certo impegno, mettendosi a fianco di Garbarino e stando molto attenti a quello che pensa e dice, perché ogni parola che Cherici usa è stata scelta con cura ed è ben incastonata nel testo come una preziosa tessera di un mosaico molto complicato, di cui non è scontato afferrare tutti i disegni e i tutti racconti che contiene. 




sabato 20 febbraio 2021

E' ancora interessante leggere le riviste

Le riviste sono le grandi dimenticate della cultura contemporanea. Peccato. Eppure, ormai quasi tutte in duplice forma (cartacea ed elettronica), sopravvivono, si rinnovano e continuano a produrre buona cultura. Da assorbire con la dovuta lentezza. Ne segnalo una che ha appena festeggiato i suoi 170 anni e continua a proporre articoli di spessore, di argomenti diversificati e di interesse. Metto di seguito due tra le sue ultime copertine, che riportano l'indice dei principali articoli. Si tratta de LA CIVILTÀ CATTOLICA che leggevo in biblioteca, grazie alle scelte del prof. De Martini, già una cinquantina di anni fa e che, lo confesso, non trovo per niente invecchiata. La rivista è disponibile anche sugli scaffali della biblioteca Gronchi e i singoli fascicoli possono essere presi in prestito dai lettori nella stessa modalità dei libri. Gratuitamente. Approfittatene.




giovedì 18 febbraio 2021

I neoitaliani postpandemici

Severgnini è un giornalista attento agli usi e i costumi dei suoi compatrioti, ma con una vocazione alla lettura antropologica,  mi sembra. Degli antropologi condivide la grande passione per i viaggi e la capacità di guardare con empatia e in profondità le persone che incontra, fotografando la loro anima. E questa mi pare la caratteristica anche della sua ultima fatica editoriale. Titolo "Neoitaliani. Un manifesto [in 50 punti/paragrafi] (Rizzoli, 210p. 17€). Obiettivo dell'opera? Cogliere le mutazioni indotte sugli italiani dalla prima fase della pandemia. Il testo è una specie di instant book, uscito a settembre (troppo presto, forse, per sostenere con sicurezza, come più volte si legge, di "avercela fatta" ed essere usciti dalla pandemia). Aggiungo che il volume non contiene sostanziali novità rispetto ai molteplici libri dedicati da Severgnini agli italiani. Il giornalista del "Corriere della Sera" (ma anche autore televisivo, scrittore, conferenziere e molto altro) si conferma, oltre che colto ed elegante, un profondo conoscitore dei vizi e delle virtù che ci caratterizzano e usa la sua mano leggera sia per graffiarci che per accarezzarci: un vera rarità in un popolo di urlatori di "vaffa".

Alla domanda se la pandemia ci ha cambiato, l'A. risponde un po' sì e un po' no, ma, nella sostanza, a me pare che le sue parole pendano più verso la continuità. Il carattere degli italiani ha una struttura profonda.

Il libro si legge bene, fluisce rapido in capitoli brevi, calibrati sulla capacità di lettura degli italiani, e per lo più dedicati ai pregi e alle abilità de noantri, con minore attenzione ai nostri difettucci, che pure non evita di menzionare (ma senza calcare troppo la mano).

Tra i vari contenuti, sottolineo che il libro tesse in più punti un vero e proprio elogio della poesia e dei poeti (un "classico" in questo paese); dedica un paragrafo alle troppo poche scuole montessoriane (che l'A. invece ha frequentato da piccolo, e si vede); parla della passione nazionale per il "mattone" e per tirar su casa (una passione forse eccessiva in un'epoca di risparmio ecologico, anche di suolo); cita la proverbiale capacità degli italiani di rimboccarsi le maniche e darsi da fare soprattutto dopo le tragedie. Ma i 50 temi/paragrafi sono irriassumibili in una recensione che non voglia scoraggiare i lettori. Perciò mi fermo qui. E mi chiedo: vale la pena di leggerlo "Neoitaliani"? Certo che sì. Per le seguenti buone ragioni. Primo perchè Severgnini guarda gli italiani in profondità, da antropologo, come dicevo all'inizio, ma allo stesso tempo parlando di noi con leggerezza, senza acrimonia e senza la presunzione di redimerci (anche se in un po' di ravvedimento l'A. e il qui presente recensore ci spererebbero). Secondo perchè il suo è lo sguardo di chi ama i propri conterranei e apprezza le loro tante (troppe?, dico io) diversità. Ma da Lumbard (lui è nativo di Crema) guarda al paese con lo spirito di chi vuole darsi da fare per migliorarlo ed è perfino contento di fare la sua parte. Terzo perchè dei nuovi e vecchi italiani non si nasconde certo i difetti, ma non se ne fa schiacciare. Infine la sua retorica benevolente (che inevitabilmente c'è) non è mai sdolcinata, semmai avanza ironica. come quando sostiene che gli italiani sono ammalati di "pigrizia civica" o che sono indulgenti con gli imbroglioni per "autoassoluzione preventiva".

Sì, sono numerose anche le battute che il libro ci regala . Ma forse, più che battute, sono aforismi. Da meditare. Ovviamente non mancano neppure gli elogi a tutti coloro che nella prima fase della pandemia si sono impegnati al massimo e fa capolino perfino il riconoscimento del comportamento assennato tenuto da questa "collezione di 60 milioni di casi unici che si chiama Italia", il cui destino l'A. vede sempre più come "multietnico".

Insomma, Severgnini presenta un florilegio di riflessioni capaci di far ruminare i nostri cervelli. Una lettura da non perdere. Da consigliare ai neoitaliani per età. Intendo dire i giovani. Che però temo ignoreranno questo suggerimento. Mentre è facile prevedere che a leggerlo saranno soprattutto le donne e, tra loro quelle più mature (così ci suggeriscono le proiezioni statistiche sulla lettura in Italia). Ma va bene anche così. I giovani, del resto, sono per necessità più impegnati a cavarsela  o a divertirsi che a leggere. E poi è perfino bene che non sappiano esattamente chi sono o cosa sono destinati a diventare. Senza condizionamenti potrebbero migliorarsi ancora di più. Soprattutto i montessoriani.

Ma la frase che più mi ha colpito è il verso di una poesia di Ugo Reale, Homo Ludens, del 1971 che Severgnini colloca all'inizio del volume: "ognuno vedrà a modo suo / la verità che non c'è". Mi pare un motto perfetto per descrivere in poche parole il cervello e i comportamenti di questi 60 milioni di casi unici che sono, appunto, gli italiani postpandemici.

Del testo si trovano copie nella Rete Bibliolandia, ma per chi volesse usarlo come piccolo breviario personale, da succhiellare, annotare, sottolineare e rileggere per mandarne a memoria delle parti (e il testo si presta anche ad un uso del genere) l'acquisto in libreria è d'obbligo oltre che molto apprezzato dai librai di cui l'A. sottolinea la crescente professionalità.

mercoledì 17 febbraio 2021

"Cattiva memoria" o uso sbagliato della memoria?

Lo storico (e docente universitario) Marcello Flores ha pubblicato un bel volume dal titolo: "Cattiva memoria. Perchè è difficile fare i conti con la storia" (Il Mulino, 2020, 138p, 14 €). Un testo breve, ma non lasciatevi ingannare: ogni capitolo e ogni pagina sono in grado di stimolare molte riflessioni. Tutti coloro che sono interessati a riflettere seriamente (e non ideologicamente) sui complicati rapporti tra la produzione dei libri di storia, la memoria dei testimoni, le identità collettive e i tentativi degli Stati e di altri soggetti (media, social, partiti) di elaborare una versione condivisa della storia e della memoria, dovrebbero leggerlo.
Perchè? Semplice, perché dimostra come questo insieme di relazioni non solo costituisca un groviglio maledettamente complicato, ma sia anche contraddittorio e conflittuale e quindi estremamente difficile da maneggiare. A cominciare dalle aule scolastiche, dove storia e memoria dovrebbero essere di casa, ma anche trattate con cura e attenzione. Per i risvolti non solo conoscitivi, ma "civici" e formativi che questa materia porta con sé.
Non è semplice riassumere i contenuti del volume. Ma ci provo. Intanto Flores distingue tra ciò che è storia e quello che è memoria. Perché nonostante una certa confusione popolare e mediatica, i due termini non sono intercambiabili, non sono la stessa cosa e non vanno quindi confusi. La storia si basa su fatti e documenti che danno vita (o almeno dovrebbero darla) ad una narrazione coerente, mentre la memoria si basa soprattutto sul vissuto, sulle esperienze personali o di gruppo, sui ricordi, le immagini, i sentimenti, le riflessioni, le nostalgie, spesso non tiene conto dei testi di storia e quindi ricostruisce versioni del passato fortemente soggettive. Inoltre ognuno (singolo o gruppo) difende quasi sempre il proprio passato a scapito e in contrapposizione con la memoria che dello stesso passato hanno gli altri, quelli che stavano sull'altra sponda o da un'altra parte ancora. Sia la storia che la memoria conferiscono identità ai singoli e ai gruppi, ma la memoria di chi ha militato in gruppi diversi (fascisti, comunisti o cattolici) difficilmente conterrà e apprezzerà i valori e i ricordi dell'altro e quindi genererà identità assai differenti. Insomma la memoria, per sua natura, presenta sempre molte insidie e tende a sfuggire a quella strana richiesta, che spesso si sente avanzare dai media o da alcuni partiti politici, di essere "condivisa". Il fatto è che spesso le memorie sono, al contrario, assai divisive. Esclusive. E creano fratture, lacerazioni, distanze. Che durano ed evolvono nel tempo. Generando rabbia, conflitti e tensioni. Basti pensare alle memorie di fascisti e antifascisti italiani.
Naturalmente tutta questa materia diventa ancora più complicata e incandescente quando Stati e governi pretendono di fissare le Verità Storiche (con la maiuscola, appunto) e di incastonarle nei libri di testo scolastici. Di costruire musei dedicati. Di celebrarle nei mausolei e in altri oggetti. Accade così che da quel momento in poi le Verità Storiche entrano nel calendario civile di una Nazione e conquistano il cervello di tutti, trasformandosi, almeno nelle aspettative del potere, in verità incontrovertibili, non più modificabili. Per fortuna, come suggerisce Flores, gli storici tendono a revisionare continuamente la versione "accreditata" dei fatti in un processo di aggiornamento che non ha mai fine e che tende a superare sempre l'ultima visione adottata: alla luce di nuovi documenti, di nuove analisi, nuove riflessioni, nuovi punti di vista. Naturalmente questo accade nelle società democratiche dove la ricerca storica è libera e dove gli storici non sono dei costruttori di racconti rigidamente sottomessi al governo e ai partiti che lo guidano. Nei paesi non democratici gli storici o si allineano alle disposizioni del regime o divengono pericolosi sovversivi. E solo quando governi e partiti illiberali perdono il potere anche le loro verità storiche e i loro monumenti crollano, come castelli di carta, insieme a loro. A quel punto si riscrivono i libri di storia. Si aggiornano le memorie, ecc. ecc.
Buona parte del libro è quindi dedicata al dovere della memoria, alla battaglia contro il negazionismo e al tentativo degli stati di gestire e controllare la memoria e le celebrazioni connesse, inevitabilmente collegate (almeno negli stati democratici) anche al conflitto politico, esso stesso motore del cambiamento e di modifiche rispetto alla rappresentazione e alla gestione della memoria e del ricordo. Tutto questo declinato ed esemplificato in diverse nazioni e paesi, Italia inclusa.
Diverse belle pagine sono dedicate anche all'Europa e a come la Comunità sorta nel secondo dopoguerra abbia coltivato le proprie conflittuali memorie (rispetto ad es. alla Shoah, alle guerre, al nazifascismo e poi al comunismo) e come il suo approccio e le sue decisioni in questa materia di storia siano mutati nel corso del tempo (l'Europa prima dell'adesione dei paesi dell'ex Patto di Varsavia aveva infatti un altro modo di confrontarsi coi nazionalismi e con il comunismo). Rispetto a questo, di rilevante importanza è stata la risoluzione del Parlamento Europeo del settembre 2019 sul rapporto tra memoria e futuro dell'Europa (cfr. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/B-9-2019-0099_IT.html). Tutta da riflettere, anche per la doppia condanna di comunismo e fascismo, che molto ha fatto infuriare la sinistra europea (ma neanche la destra l'ha presa bene).
Il testo di Flores insomma non è semplice, ma è ricco di informazioni, spunti e riflessioni. Costituisce una lettura obbligata almeno per gli insegnanti, perché a loro offre suggerimenti preziosi per affrontare in classe la storia, in forma più moderna: più divulgativa, più narrativa, più problematica, più globale. Cosa che potrebbe tornare utile in un contesto come quello italiano che ha visto negli ultimi anni solo il 3% degli studenti scegliere il compito di storia come prova scritta all'esame di maturità.
Ma vi garantisco che la lettura di queste 138 pagine non lascerà indifferente nessuno.
Saperne di più sul rapporto tra storia e memoria, allargare, come fa Flores, l'orizzonte di questa problematica su scala globale, affrontando casistiche che riguardano non solo la Shoah, ma anche i conflitti tra Cina e Giappone o la riconciliazione nel Sudafrica dopo la fine dell'apartheid, ci consente di non restringere la nostra visuale alle divise memorie italiane ma di dare respiro ai nostri pensieri. Ragionando sulla varietà delle situazioni, sul rapporto tra memoria e oblio, sulla corretta trasmissione delle memorie sull'esigenza di negoziare anche su questo terreno, rifuggendo soluzioni semplicistiche, partigiane, emotive. E di farlo sui scala planetaria.
Copie disponibili del volume si trovano nella Rete Bibliolandia.

lunedì 15 febbraio 2021

Lavorare tutti? Una buona opportunità per il ministro Orlando

È da poco uscito un testo sul tema dell'occupazione e del lavoro ed in particolare sulla possibilità che lo Stato si faccia carico di garantire un "lavoro a tutti quelli che vogliono davvero lavorare", ma che non riescono a trovare una collocazione sul mercato diciamo così ordinario. L'ha scritto Martino Mazzonis e il libro si giova anche di una lunga introduzione di Laura Pennacchi che di "Piani del lavoro" se ne intende, sia come storica che come economista, essendo lei un'esperta proprio di piena occupazione e di piani pubblici del lavoro. Il volume, che ha azzeccato l'uscita e spero venga letto anche dal neoministro del lavoro Orlando, cerca di proporre e far attecchire anche in Italia un approccio alla questione del "lavoro" che va al di là del reddito di cittadinanza e degli incentivi all'occupazione per le imprese, misure che pure l'autore non contesta ma che ritiene insufficienti, soprattutto per un paese come l'Italia.

Il volume parte da una discussione rilanciata negli Usa dall'ala sinistra del Partito democratico,  in particolare dal "socialdemocratico" Bernie Sanders e dalla giovane deputata Alexandra Ocasio-Cortez, che, forti degli studi di alcuni centri di ricerca socio-economici, riesaminando l'impatto delle politiche del lavoro attuate dal presidente Roosevelt negli anni del New Deal (1933-38), ripropongono con forza l'idea del "lavoro garantito" e della buona occupazione da parte dello Stato. Quest'ultimo visto come datore di lavoro di ultima istanza. Il tutto inserito in una linea di azione denominata Green New Deal (qualcosa di simile alla nostra transizione ecologica?).

Elementi di questo dibattito e proposte simili sono state fatte proprie, in maniera opportuna, dalla CGIL che già dal 2013 ha messo sul tavolo una proposta, che sa molto di New Deal, denominata "Piano del lavoro", alla cui elaborazione ha collaborato Laura Pennacchi. 

Il volume intitolato "Lavorare tutti? Crisi, diseguaglianze e lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza", Edizioni Ediesse, 2019, p. 164) contiene diversi elementi: un'analisi storica dell'esperienza americana tra le due guerre, la ripresa di alcune proposte elaborate allora negli Usa, un'analisi del mercato del lavoro italiano e delle sue criticità, nonchè le modalità per discutere anche da noi della proposta del lavoro garantito. Il problema, naturalmente, oltre la qualità della proposta e la sua sostenibilità, è come portarla in discussione in un dibattito pubblico in tutt'altre faccende affaccendato.

Può interessare questo tema oltre che a forze politiche come LeU e al Pd (italiano), al ministro Orlando e più in generale al nascente governo Draghi?

Aggiungo: non si potrebbero destinare alcune proposte del Recovery Plan in questa direzione? E quindi non sarebbe opportuno utilizzare un po' di risorse per creare specificamente del buon lavoro soprattutto nelle aree più difficili nel nostro paese, magari specializzando il Sud nel nostro Green New Deal?

Batterà il neoministro del lavoro Orlando, uomo certamente di sinistra, un colpo rispetto a queste proposte di CGIL? E la CGIL riformulerà il proprio pacchetto per inserirlo nel Recovery Plan e per sostenerlo di fronte all'opinione pubblica? Mobiliterà i suoi pensionati per far assegnare lavoro ai loro giovani nipoti?

Per chi volesse approfondire queste annotazioni e farsi un'idea con la propria testa della complessa problematica connessa, può cercare e leggere una copia del volume nella Rete Bibliolandia oppure cercarla in libreria o farsela spedire a casa dai rivenditori online. 

Avvertenza: il testo ha una sua complessità e la lettura non è facile. Ma chi cerca risposte facili a problemi difficili non andrà lontano.



domenica 14 febbraio 2021

Buona domenica 14 febbraio

Buona domenica, colleghi pensionati
Per i malati di politica (come me) suggerisco di leggere il fondo di Aldo Cazzullo sulla nascita del nuovo governo Draghi. Nè ottimista, nè pessimista. Direi equilibrato. Lo trovate sul "Corriere della Sera" di oggi, insieme alle belle riflessioni di Angelo Panebianco (sui rapporti Nord-Sud). A questi articoli, come al resto del giornale, possono accedere, via Internet, gratuitamente, tutti coloro che sono iscritti al prestito della Rete delle Biblioteche della Provincia di Pisa e che hanno ricevuto dalla loro biblioteca il relativo codice. Chi non lo avesse, può richiederlo (ormai domani) anche via mail o per telefono sempre alla propria biblioteca. E tra che ci sono ricordo che con questo accesso si possono leggere tutti i giorni una fraccata di altri quotidiani (inclusi LA NAZIONE e IL TIRRENO) in versione integrale e perfino stranieri. Per i pensionati sedentari (come me) e buoni lettori. Una vera pacchia. A costo zero. La buona salute consiglia anche di alternare la lettura di tutti i quotidiani possibili con un po' di movimento. Insomma, ogni tanto, sgranchitevi le gambe e il cervello. Della serie: mens sana...
Ho anche appena finito di leggere (grazie alla combinata covid/pensionamento) il "Sistema" di Luca Palamara, libro/intervista realizzato in collaborazione col giornalista Sallusti. Nella Rete Bibliolandia ad oggi non ce ne sono copie immediatamente disponibili (nemmeno a Pisa SMS, o allora). Ce n'è solo una in arrivo a San Miniato e con già 12 prenotazioni sopra. Sollecito perciò tutti i potenziali lettori a chiedere ai loro bibliotecari di comprarne una copia (io l'ho già fatto coi miei ex colleghi pontederesi, ma nel frattempo, essendo maledettamente curioso e aperto sostenitore anche delle librerie, ne ho comprato e divorato una copia, di cui scriverò, ahivoi a breve, ma non ora). Le biblioteche sono tenute a far fronte anche alle richieste dei lettori e questa lunga intervista di Palamara (ovviamente da non prendere come oro colato, ma solo come la testimonianza di uno "molto addentro alle cose") vale la pena di essere letta e soprattutto meditata. E' la sua versione dei fatti. E condivisa con Sallusti. Ma è interessante e messa giù bene. Non a caso la mia copia appartiene alla quinta ristampa in appena due mesi


martedì 9 febbraio 2021

Si può sconfiggere il cancro?

Tra le letture di questo periodo, segnato dalla presenza del Covid19 e delle sue varianti, sono riuscito a infilare quella di un libro straordinario. L'ha pubblicato una decina di anni fa un medico e ricercatore oncologo americano, Siddartha Mukherjee con il titolo "L'imperatore del male. Una biografia del cancro" (Neri Pozza, 2011, ma ci sono anche ristampe recenti). Si tratta di un testo di 726 pagine (incluse note, bibliografia e indici tematici), che mi ha impegnato e appassionato per una decina di giorni. Un testo non semplice (meritava di essere studiato, ma io l'ho solo letto e ho cercato di trarne gli elementi più interessanti), che, come indica il sottotitolo, riassume la storia di una delle malattie più terribili, quella del cancro. E lo fa a partire da un papiro di oltre 2500 anni avanti Cristo, descrivendo la storia di una serie di interventi e rimedi adottati dagli uomini contro il cancro, con un approfondimento analitico soprattutto di quello che è stato fatto negli ultimi 150 anni negli USA. Il testo, impostato sullo stile del racconto, ricostruisce la storia delle principali scoperte mediche, dell'evoluzione delle chirurgia oncologica, della costruzione di una farmacopea mirata, degli interventi pubblici nell'ambito della ricerca sul cancro e molte altre cose ancora. Il libro ha un notevole spessore e non a caso ha vinto il Premio Pulitzer nel 2011. Io l'ho trovato avvincente e a tratti commovente. Spesso mi ha inchiodato alle sue pagine con la forza ipnotica di un romanzo di Wilbur Smith. Aggiungo che sono entrato nella storia credendo di avere almeno una vaga infarinatura dell'argomento, ma ne sono uscito con la consapevolezza di non aver saputo quasi nulla prima di oggi e sperando di aver assorbito, grazie a Mukherjee, almeno gli elementi essenziali. Di due cose sono però assolutamente certo: la prima è che il cancro ovviamente è sempre meglio evitarlo (e che per farlo si devono seguire comportamenti di prevenzione come per il Covid). La secondo è che chiunque lo sviluppi oggi è comunque più fortunato di chi se lo è beccato anche solo 40 anni fa ed enormemente più fortunato di chi se lo è preso nell'Ottocento. Ovviamente è un libro denso, ma allo stesso tempo discorsivo e risulta leggibile e digeribile (preso un po' per volta ovviamente). L'autore, che con il cancro ha una dimestichezza senza pari, scrive davvero molto bene, cita tra gli scienziati anche quale italiano (Bonadonna, Veronesi e Dulbecco; e questo ci riempie di orgoglio ) e dimostra di aver letto e meditato perfino Italo Calvino e Primo Levi. Orgoglio nazionale a parte, chiunque riesca a navigare in questo mare di pagine e nelle sue terribili ed entusiasmanti storie, ne uscirà con una forte consapevolezza di cosa sia il cancro e di come lo si sia cercato di combattere (almeno negli Usa). Una lettura che se non fosse particolarmente impegnativa e fuori dalla nostra tradizione verrebbe la pena di suggerire. Se non altro per dare l'idea ai contemporanei di quale e quanta tenacia serva per combattere contro le avversità naturali (e contro noi stessi, che quelle avversità ci portiamo dentro) senza farsene annichilire.

sabato 6 febbraio 2021

La classe operaia fa un piccolo passo avanti

La classe operaia metalmeccanica fa un piccolo passo avanti
In questi giorni è stato firmato il nuovo contratto dei metalmeccanici. Secondo "il Sole 24 ore" l'accordo prevede 112 euro in più per il 5 livello ogni mese in busta paga, un aumento scaglionato in 4 rate spalmate su quattro anni. Buone notizie, credo. Almeno per i metalmeccanici. Inclusi quelli pontederesi e del pisano. Dentro l'accordo c'è anche la revisione, dopo 50 anni, degli inquadramenti professionali e altri aspetti normativi non marginali. La Triplice sindacale ha emesso dichiarazioni soddisfatte. Ma immagino che USB e altre sigle siano di altro parere. Ovviamente l'evento non ha fatto scalpore, anche se alcuni TG ne hanno parlato. Cosa racconta il rinnovo quadriennale del contratto? Ci dice che l'industria metalmeccanica italiana è viva, che guarda al futuro, scommette sulla ripresa, ma che diversamente da quanto credevano in molti cinquanta anni fa (me compreso) oggi la fabbrica metalmeccanica non è più il centro nevralgico del nostro paese. Profonde trasformazioni dell'assetto produttivo del paese ne hanno ridimensionato il ruolo. Certo il settore, con 1,6 milioni di addetti, conta ancora molto, produce ricchezza, offre lavoro (ma assai meno rispetto al trentennio magico: 1950/70), mentre socialmente e politicamente il peso della classe operaia metalmeccanica è diventato marginale (un tempo diversi sindaci di comuni della ns provincia avevano "studiato" dentro la Piaggio: oggi non mi risulta). Nella provincia di Pisa comunque, calcolando che il grosso dei dipendenti Piaggio risieda in questo territorio, il contratto avrà un effetto benefico. La disponibilità di spesa delle famiglie piaggiste crescerà, rispetto all'attuale fase, complessivamente di circa 1 milione di euro nel 2021, fino a raggiungere quota 4 milioni alla fine del 2024. Non sono grandi cifre, ma neppure risorse da sottovalutare. Del resto è quasi il doppio di quello che hanno strappato 10 giorni fa i lavoratori della concia che hanno chiuso il loro rinnovo contrattuale con + 65 euro mensili e anche loro in 3 anni.