In un breve comunicato comparso sulla stampa in merito ai gravi episodi avvenuti nell’ambito della notte granata a Pontedera il sindaco, immagino a nome della sua maggioranza di centrosinistra, ha dichiarato alla stampa: “non permetterò che trenta ragazzetti infanghino la reputazione di Pontedera". Una frase del genere sembra ridurre il fenomeno ad una bagatella. Poi sono stati annunciati sempre dal sindaco dei provvedimenti urgenti raggruppati sotto il nome di Daspo. Ma se si arriva a questo, vuol dire che la situazione è più seria. Molto più seria.
Ora io non sono un esperto di sicurezza urbana, ma suggerisco al sindaco e alla sua maggioranza di non sottovalutare i 30 RAGAZZETTI che forse potrebbero essere assai di più e che non puntano tanto ad “infangare” Pontedera, quanto a manifestare un disagio che forse ci converrebbe capire bene per cercare di fornire risposte adeguate e non solo ideologiche o sensazionalistiche che spesso lasciano il tempo che trovano. Mi riferisco ai Daspo che mi ricordano tanto le “grida manzoniane”. Ma, per l’amor del Cielo, che Daspo sia; e poi se ne valuterà l’impatto come Manzoni fece con le grida.
Io aggiungo solo alcune riflessioni alla buona. Da vecchietto impiccione e brontolone, quale sono.
La prima. Se Pontedera vuole per ragioni economiche configurarsi come luogo attrattivo per la MOVIDA giovanile e non solo (e questa maggioranza in quella direzione sta portando la città), non può evitare di subire anche gli effetti negativi che le movide si trascinano dietro. Il fenomeno è noto. Che dentro la movida si agiti poi un certo disagio giovanile e non solo che si manifesta anche in vandalismi, danneggiamenti, schiamazzi e scontri tra gruppi è del tutto evidente. C’è di peggio. Con la movida si favorisce anche una certa microcriminalità che fa più facilmente affari in situazioni vivaci che in contesti più tranquilli. La MOVIDA insomma porta soldi, ma anche disagi. Soprattutto per i residenti e per l’ordine pubblico. Senza dimenticare che le movide costano alla pubblica amministrazione e siccome la coperta è corta non si può non alzare la Tari.
La seconda. Da anni si vede crescere una società giovanile meno formata, meno educata e più irrequieta, che manifesta anche sul piano locale modelli di comportamento per niente carini. Il pluralismo sociale, le molte etnie presenti, la difficoltà di integrarsi, la tendenza a fare gruppo per lingua, nazione, colore della pelle, ecc., la carenza di buoni sbocchi occupazionali, le mille fragilità giovanili sono elementi incontrovertibili. Possono giocare ruoli negativi e positivi. Ma quanto conosciamo nel dettaglio questi fenomeni? In che maniera la nostra società li intercetta e li aggiusta in maniera civile?
Vogliamo seriamente affrontarli, provando a dialogare e non usando solo gli strumenti repressivi, che pure non possono essere rifiutati a priori? Come si passa però dalle chiacchiere alle azioni concrete? Sono anni che abbiamo smesso di studiare la Pontedera che cambia. Sarà il caso di ripartire?
Terzo. La scuola cosa può fare? Cosa offre come modelli alternativi a questi giovani? Quanti di questi 30 ragazzi sono già fuori dai percorsi scolastici e perché? La fortuna di una persona passa da un buon processo formativo ed educativo. E la sfortuna delle persone, che non è la sfiga, è condizionata quasi sempre da percorsi formativi sbagliati e spesso deragliati. E' possibile che i comuni lavorino anche su buoni percorsi formativi locali che non hanno niente a che vedere col toccare la proboscide agli elefantini e farsi selfie con queste figure neopagane?
Quarto. Chi sono le famiglie di questi ragazzetti? Che rapporti hanno i genitori coi loro figli che crescono in maniera fragile e arrogante? In che misura sono coinvolte le famiglie nei percorsi scolastici dei figli? In che misura partecipano alla vita sociale cittadina? In che misura la città le accompagna nei loro stessi percorsi di cittadinanza e nell’accudimento dei loro figli? La Fondazione Charlie può darci una mano in questa direzione?
Quinto. Pontedera è una città dello sport. Si parla di una realtà in cui sono presenti circa 80 associazioni sportive con circa 6000 iscritti, in buona misura giovani. Ma bastano queste associazioni sportive per assorbire il disagio giovanile? O abbiamo bisogno di coinvolgere anche altre forme di associazionismo? Che fine hanno fatto le relazioni strutturate con le comunità straniere presenti in città e sul territorio della Valdera? L’Unione Valdera può darci una mano?
Sesto. Che dicono i referenti dei servizi sociali dei comuni della zona e della Asl su questi fenomeni complicati? Si potrebbero conoscere meglio le cifre e le analisi in merito al disagio giovanile e alle sue manifestazioni su scala locale? Spendiamo molto in notti bianche, granata e di altro colore. Potremmo investire anche in ricerca sociale? Magari coinvolgendo l’Università di Pisa? Per costruire un dibattito non ideologico sul fenomeno, dentro e fuori del consiglio, servirebbero dati e analisi precise. E atteggiamenti propositivi. Altrimenti al massimo ci si schiera, ognuno con la maglietta della propria squadra del cuore, ma senza fare alcun passo in avanti rispetto al fenomeno concreto, quello che tocca anche la nostra città.
Ecco, credo che ci sia ancora molto da capire, da sapere e da indagare.
Nel frattempo, certo, si può anche chiedere più polizia, più carabinieri, più esercito, più prefetto e più Daspo.
Ma non di sola repressione vivono bene le società complesse e plurali come le nostre. Anche perché nelle società civili come le nostre, la repressione è sempre un’arma mezzo spuntata. E poi è tardiva. E spesso inefficace. Anche se a parole può sembrare risolutiva.
Per vivere bene bisogna conoscere bene i fenomeni che ci riguardano e saperli gestire. Quando si arriva alla repressione (che pure serve) vuol dire che il fenomeno ci è sfuggito di mano. E per riacciuffarlo serve tanta prevenzione su tanti piani, quanto meno per impedirgli di crescere.
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