domenica 29 aprile 2018

Frazioni e Sezioni / di Angelo Frosini.
Presentazione molto partecipata, a San Miniato, ieri pomeriggio, quella del libro che Angelo Frosini ha scritto per fissare e tramandare episodi, avvenimenti e insegnamenti che hanno caratterizzato la sua vita di docente di matematica, di politico e di amministratore comunale. Nonostante la stampa locale avesse ignorato l'evento, oltre un centinaio di persone si sono accalcate nell'aula Pacis di San Domenico per ascoltare i commenti e aggiungere qualche episodio e qualche aneddoto ai 53 racconti che l'autore ha distillato sotto il titolo “Frazioni e Sezioni. Racconti di scuola e di politica” (edito da “La Conchiglia di Santiago”, 15€). L'avvio è toccato ad Andrea Mancini, che, in qualità di editore, ha raccontato i tratti essenziali del libro che ha costruito insieme all'autore, partendo dall'idea di mettere insieme un piccolo omaggio ironico e divertente per i colleghi insegnanti che il pensionando Angelo si appresta a salutare. Letto il materiale, Mancini e altri amici hanno semplicemente incoraggiato il Prof a dare ancora più forza alle sue storie scolastiche e politiche. Si è così giunti ad un prodotto godibilissimo, che non ha perso smalto, ironia e leggerezza, ma semmai ha assunto un valore ancora più emblematico e significativo e non solo nel contesto locale (tant'è che sarà presentato a maggio al Salone del Libro di Torino nello stand della Regione Toscana con la presenza e i commenti di Enrico Rossi).
E con l'ironia e l'autoironia sormiona e bonaria dell'Autore ha giocato Pilade Cantini, cantastorie, scrittore, poeta, animatore culturale e politico di lungo corso, che ha letto un gustoso racconto con al centro una serie di parole pronunciate alla Buchmesse di Francoforte dal sindaco Frosini, in un misto di italiano e di tedesco, un idioma definito da uno dei presenti alla Fiera “alla Benigni”.
A commentare invece i ricordi politici dell'ex sindaco di San Miniato è stato Paolo Fontanelli, già sindaco di Pisa oltre che ex parlamentare del PD e oggi esponente di LeU. Fontanelli, oltre a parlare delle doti autoironiche di Angelo, ha insistito molto sul ruolo pubblico del sindaco e sulla dignità di aspetti apparentemente marginali come quello di saper indossare la fascia tricolore solo nelle occasioni istituzionali, senza abusarne quindi. Naturalmente in questa parte della presentazione è uscita  qualche salace battuta sull'attualità politica ed è stata ricordata la polemica sull'autovelox in superstrada che collegò il giovane Renzi, allora presidente della Provincia di Firenze, al comune di San Miniato.
Dalla politica si è poi tornati verso la scuola. Così, dopo aver letto il brano in cui si narra di come Angelo prese la decisione di iscriversi alla facoltà di matematica, la parola è passata alla studentessa del Liceo Marconi Giulia Fontanelli, la quale ha raccontato che cosa significa avere a che fare con un prof pignolo e puntuale come Angelo e di come l'esempio di un docente che riportava i compiti corretti in pochissimi giorni e si faceva trovare in classe sempre puntualissimo all'inizio della lezione l'avesse stimolata ad impegnarsi e avesse rappresentato un punto di riferimento con cui confrontarsi e, perchè no?, un esempio da imitare.
Infine la prof Cristina Giorgi, docente al Liceo Marconi di San Miniato, ha disegnato un breve ironico ritratto del collega con uno specifico riferimento all'impegno di Angelo nel settore dell'orientamento scolastico; un impegno che lo stesso Frosini richiama in un paio di racconti del libro. Tra le osservazioni della prof è poi uscito fuori anche un pizzico di invidia per la puntualità di Angelo  nella riconsegna dei compiti, impresa, a dire il vero, un po' più ardua per in insegnante di lettere qual è la prof Giorgi. Angelo ha concordato.
Dopo gli interventi previsti e alcune repliche dello stesso Autore, sono seguiti i ricordi e le riflessioni di tanti altri amici, colleghi, collaboratori, dagli ex sindaci Alfonso Lippi e Ivan Mencacci, da Laura Cavallini a Calugi  a Grazia Messerini, da Morena Lotti a Daniel Pescini e tanti altri di cui mi scuso di non ricordare i nomi. Ma tra le battute più ganze che si sono ascoltate ieri pomeriggio ci sono quelle dell'allenatore Renzo Ulivieri, il quale se ha impietosamente infierito su Angelo definendolo come calciatore e terzino un'autentica schiappa, ha però aggiunto che come sindaco ha fatto parte di una bella tradizione, dopo di lui " purtroppo bruscamente interrotta". L'ultimo intervento è toccato a Vittorio Gasparri, già operaio e sindacalista alla Piaggio di Pontedera, il quale, partendo da un racconto di Angelo dedicato ai funerali di Enrico Berlinguer, ha detto che era lieto di aver partecipato ad un evento così denso di significati e ha aggiunto che avrebbe comprato due copie del volume, una per sé e una per farne omaggio all'attuale sindaco di San Miniato.

mercoledì 25 aprile 2018

Che ne sarà del Pd

Secondo me militanti ed esponenti del Pd dovrebbero decidere se vogliono stare in una forza di Sinistra o in un soggetto politico di Centro-Sinistra (CS).
Le due opzioni non sono la stessa cosa. Un soggetto politico di CS è più ampio e contiene anche componenti moderate con cui va negoziata un'appartenenza. Ma va ben al di là di un soggetto solo di Sinistra, per altro in un'epoca in cui, come dimostrano anche i risultati in diversi paesi europei, essere di Sinistra non è particolarmente attrattivo per gli elettorati.
Il Cs costituisce un soggetto plurale e meno ideologico. Con tutti i pro e tutti i contro che questo si porta dietro.
Una forza solo di Sinistra può invece essere più compatta,  più ideologica, forse più chiara nelle proprie scelte, ma meno ampia per attrazione.
A mio avviso la scissione del Pd ha spostato il baricentro politico del Pd verso il centro.
Una rifondazione del Pd come soggetto solo di Sinistra (o comunque a trazione di Sinistra) potrebbe avvenire solo se l'attuale maggioranza di esponenti del partito (con vari livelli di responsabilità nel partito e nelle istituzioni) collassasse e vi fosse un rientro in massa di tutti i fuoriusciti.
Cosa che non mi pare probabile. Non a breve, comunque.
Aggiungo che io auspico che i fuoriusciti rientrino, in massa, e che il Pd sappia ritrovare un equilibrio tra componenti moderate e componenti di Sinistra. Perché la forza del Pd sta, a mio avviso, nell'essere un partito "popolare" che tiene insieme le ragioni di tante parti della società, con una forte attenzione alla democrazia e quindi agli interessi di tutti, scansando la demagogia e il populismo, anche quello di Sinistra.

lunedì 23 aprile 2018

Io e il Papu  / Luigi Garlando, Rizzoli, 2017

Ovvero Papa Francesco spiegato ai ragazzi. Perchè di questo tratta il romanzo pensato per giovani lettori (fascia 11-15). Di provare a spiegare un Papa apparentemente semplice e grande comunicatore ai ragazzi che dovrebbero essere il massimo della semplicità. Il tutto però in un mondo complicato, caotico e pieno di insidie, dove gli uomini parlano mille lingue, comprese quelle delle figurine Panini. Il tutto in un mondo che trasuda incertezza, insicurezza e mette ansia. Il tutto dove persone innocenti possono essere feriti dalla cattiveria degli altri e smettere di parlare e di comunicare.
E' davvero una bella impresa quella di cui si è caricato il giornalista sportivo con la passione per la narrativa per ragazzi, Garlando. Spiegare la complicatezza dei grandi personaggi e dei grandi eventi della storia e della contemporaneità alle persone che di complicatezza e di complessità hanno, per ragioni biovgrafiche, un'esperienza limitata.
Questa, che coinvolge il vicario di Cristo sulla terra, è una delle trame romanzate per leggere la biografia di una grande anima tra le più riuscite, o almeno così mi sembra.
Certo "Io e il Papu" resta un libro per bambini "colti", anche se il gioco delle figurine Panini come lingua veicolare tra l'anziano Papa e il piccolo Arcadio sembra una trovata veramente efficace (ma almeno per l'adulto richiede un livello di attenzione doppio rispetto alle parole ordinarie). E la stessa lettura del libro pare richiedere un qualche accompagnamento adulto.
Mi auguro che bravi e motivati insegnanti riescano ad utilizzare strumenti narrativi come i testi prodotti da Garlandi e che lo stesso facciano i genitori sensibili, in grado davvero di aiutare giovani lettori a crescere e magari crescendo anche loro come lettori già adulti insieme ai propri studenti e ai propri figli.
Happy Hour all'ITIS MARCONI di Pontedera. VIII edition
Sabato 21 aprile ho fatto un salto all'H.H. del ITIS di Pontedera. E poiché come coordinatore della Rete Bibliolandia e direttore della Biblioteca Gronchi sono un partner dell'Itis in vari progetti  (inclusa l'alternanza scuola lavoro), la prof. Serragoni mi ha assegnato una guida personale, una specie di "Virgilio", che in verità era una giovane Beatrice, che mi ha accompagnato in vari luoghi, laboratori e stand per illustrarmi la loro ottava edizione di Happy Hour della tecnica e della scienza. L'evento, nato da un'idea del prof. Massimo Bertolotti,  è fortemente sostenuto dal preside Robino, che si avvale della collaborazione e dell'impegno di un fortissimo pool di professori e dei loro straordinari studenti. Così sabato sono transitato per i laboratori di chimica, di fisica, di meccanica e di elettronica. Sono passato dai radioamatori e dai costruttori di piccoli congegni animati da Arduino. Dalla biblioteca. Ho ascoltato spiegazioni in italiano ed in inglese, sono rimasto affascinato dalla spiegazione dello spazio curvo di Einstein e da altre "fumogene" e illuminanti dimostrazioni di chimica. Ho perfino affrontato spettrometri e sintesi clorofilliane, cercando di ripescare nella memoria profonda tracce delle lontane, svanite, conoscenze.
E se alle 12,30 gli stand non si fossero svuotati, sarei rimasto ancora come un'ape curiosa a farmi impollinare di progetti e applicazioni da un bel gruppo di ragazzi sicuri di sé e orgogliosi di quello che stavano facendo.
Preciso che conoscevo e avevo già frequentato  l'evento, ma mi ha fatto molto piacere vederlo crescere ancora. In qualità e in sicurezza espositiva. Almeno per quanto posso capirne io (e di materie tecnico-scientifiche, poco, lo confesso). Ma la partecipazione dei prof e l'atteggiamento dei ragazzi mi sono sembrati molto positivi. Davvero molto. E i livelli di motivazione e di partecipazione al gioco, incluso quello  dell'apprendimento, sono strategici per ottenere buoni risultati. E questa discreta motivazione si toccava con mano. Era cosa viva. Palpabile. Faceva piacere respirarla.
Ho avuto la sensazione di cosa dovrebbe essere una buona scuola. Bravi dirigenti, professori motivati ed in grado di fare squadra, capacità di incoraggiare i ragazzi e di riuscire a coinvolgerli e a farli esprime da soli, col massimo di autonomia. Ragazzi che partecipano, mettendo in moto le mani e il cervello.E ancora: collaborazioni con l'esterno. Infine, certo, anche un pizzico di fortuna e di buona sorte,  che non guasta. L'ITIS di Pontedera sembra davvero su questa strada.

Un lenzuolo e una palla di acciaio per spiegare la curvature dello spazio e il moto dei pianeti


La pressione dell'aria

sabato 21 aprile 2018

Don Armando alla Biblioteca Gronchi di Pontedera

L'intervista a Don Armando Zappolini, alla Biblioteca Gronchi, ieri sera, è stata una festa dello spirito. Incalzato dalle domande di Ladio Luschi, in un evento che puntava ad incentivare la raccolta delle testimonianze dei migranti, il sacerdote della chiesa di Perignano ha parlato della sua biografia e delle sue innumerevoli esperienze di aiuto agli altri e di partecipazione attiva al soccorso verso i bisognosi, gli abbandonati, i reietti della terra. Un'esperienza che cambia le persone, ha ribadito più volte. Dare e darsi interamente agli altri modifica te stesso e ti fa vedere le cose con occhi diversi, qualunque sia il tuo punto di partenza. Ed è sicuramente così.
Così anche ieri sera il ragazzo nato e cresciuto a Palaia, formatosi nei seminari di Firenze e Pisa, fratello e compagno dei preti scomodi della Toscana (da Don Milani, a Don Mazzi, a Don Nesi) si è offerto per quello che è: un prete coraggioso, che ha scelto la via dell'impegno e del soccorso agli ultimi come missione nel mondo e scopo centrale della sua vita sulla terra. Si è definito e raccontato nel libro come un sognatore coi piedi nel fango. Ed è per questo che si trova bene adesso con Papa Francesco, il quale, non a caso, paragona la Chiesa ad un ospedale da campo, dove si curano i reduci in condizioni precarie ed incerte.
Grande motivatore, grande comunicatore, non privo di quegli eccessi che rendono ancora più umana la sua straordinaria esperienza di vita e di pastore di anime, Don Armando è in grado di illuminare il cammino e di indicarlo agli altri.
Confesso che ascoltarlo commuove, fa sentire inadeguati e perfino un po' inutili. Ma così dev'essere. Del resto gli occhi di Don Armando non ti fissano, ma ti scrutano e ti sfidano. Sono curiosi di sapere di te. Ma soprattutto ti chiedono cosa stai facendo per gli altri. Quanto stai aiutando gli altri.Fino a che punto sei disposto a metterti in gioco e a relazionarti. Domande attualissime e assolutamente necessarie per trasformare milioni di piagnucolosi reduci narcisisti in persone capaci di vivere con coraggio, amore e consapevolezza i loro tempi.

venerdì 20 aprile 2018

Il museo Piaggio verso il futuro

Inaugurando i due nuovi padiglioni del Museo Piaggio di Pontedera, Roberto Colaninno, il 19 aprile, ha detto chiaramente che, certo, questa è ancora una casa della memoria, ma è anche un oggetto mobile ed è in cammino per diventare un grande museo, in grado di esporre perfino oggetti futuribili come GITA, una specie di valigia rotonda e mobile che segue le persone.
Il progetto che Colaninno ha inaugurato fa compiere un grosso, importante, balzo in avanti alla realtà museale di Pontedera che da piccolo santuario della Vespa, dell'Ape e del Ciao diventa anche un luogo di culto di alcune motociclette ed in particolare di quelle che stanno all'interno della Piaggio Group che oggi la famiglia Colaninno possiede e dirige. Mi riferisco alle moto Guzzi, alle Gilera e alle Aprilia.
Fisicamente il Museo Piaggio passa da 3000 a 5000 mq, ma i cambiamenti che questo fondamentale balzo in avanti annuncia sono ancora più importanti delle sue nuove dimensioni.
Naturalmente non tutto è stato esplicitato, ma gran parte della strategia che Colaninno ha in mente sembra ormai chiara.
Per prima cosa si precisa ancora meglio il core business del museo. Le due ruote, i prodotti dei marchi Piaggio (inclusi quindi Guzzi, Gilera e Aprilia), la storia del motociclismo italiano. Più in generale la storia della mobilità su due ruote. Il museo dovrà concentrarsi su tutto questo. Investire su questo. Fare marketing e attirare visitatori interessati a questo.
Poi c'è un secondo salto che si intravede, quello dimensionale. Perché, come ha lasciato intendere anche Colaninno, 5000 mq espositivi sono ancora pochi per un racconto che vuole coprire tutti i prodotti dei marchi di Piaggio Group. Per ospitare 1.000 persone giorno (e magari intrattenerle per almeno due o tre ore, magari offrendo loro la possibilità di una sosta in un piccolo ristorante e in un shop significativo con annessa libreria specialistica, perché no?) di mq ne servirebbero almeno 3 volte tante. Bisognerebbe pensare un progetto da 15.000 mq, magari su 3  piani. Magari ripensato anche in un altro spazio Piaggio, forse piu vicino ai suoi stabilinenti, con un parcheggio e altre comodita funzionali intorno. Perchè  solo un progetto di queste dimensioni potrebbe raccontare al mondo una storia emozionante.  Certo, questo è già un museo affascinante,  ma lo diventerebbe ancora di più se i visitatori potessero muoversi con più comodità, più  agio e supporti multilinguistici. Un museo cosi pensato potrebbe davvero raccontare a turisti provenienti da tutto il mondo (in grado di raggiungerci facilmente con l'aeroporto di Pisa a venti minuti di treno e di auto e il porto di Livorno a 40 minuti di bus) la storia delle due ruote motorizzate italiane e del genio tecnico che ha reso universali i marchi Piaggio.
Obiettivo realistico di questo museo? Conquistare almeno 300.000 visitatori all'anno. Almeno. E se davvero 300.000 visitatori all'anno piombassero su Pontedera, anno dopo anno, da tutto il mondo, avrebbero un impatto molto importante sull'economia della comunità e dei dintorni: dagli agriturismi alla ristorazione. Potrebbero perfino favorire la rinascita di una parte del commercio al minuto, insediato nel centro storico, che certo dovrebbe adattarsi a sostenere l'immagine di Pontedera città delle due ruote, ma ricavandone ampi vantaggi. E questi 300.000 turisti stranieri potrebbero perfino rimbalzare sul PALP e sostenere un centro espositivo di mostre di qualità. Se poi decollasse nei prossimi tre anni anche l'Atelier della Robotica, beh si potrebbe davvero cominciare a sognare un grande rilancio di Pontedera. E qui c'è bisogno del coraggio e dell'inventiva delle Istituzioni pubbliche. Quelle che hanno portato a stringere e a fare decollare la Biblioteca Gronchi coi suoi 250.000 utenti annuali e i 60.000 prestiti librari.
Certo per fare trecentomila visitatori al Museo Piaggio bisognerebbe aprire tutte le domeniche dalle 10 alle 18 e alle 19 in estate e non come ora due domeniche su 4 o su 5 al mese e l'apertura completa solo in luglio e in agosto. E il sabato servirebbe l'orario continuato. La contemporaneità ci dice che più vincoli mettiamo agli utenti più loro andranno da un'altra parte. Se vogliamo crescere, dobbiamo aprire di più.
E ancora: un Museo Piaggio che facesse delle due ruote e della mobilità il suo core business potrebbe anche abbinarsi alla presenza sempre in Pontedera di un Centro studi di eccellenza sul futuro delle due ruote e, perché no?, della mobilità. E un Centro Studi di questo tipo, magari collegato ai progetti di Industria 4.0,  potrebbe giovarsi nelle presenze culturali dell'Università di Pisa e della Scuola Sant'Anna in particolare, nonché di altre istituzioni culturali che sorgono sul viale R. Piaggio. E un centro così a sua volta potrebbe produrre conoscenze, attrarre cervelli e risorse.
Sogni? Mica tanto ad ascoltare anche le cose che hanno detto Jeffrey Schnapp (autore dell'idea di FuturPiaggio e del libro che le argomenta) che sta ispirando ed orientando il progetto museale di Colaninno (come dimostra il bel video che gira nella mostra e le osservazioni sulla mobilità che ha svolto l'architetto Greg Lynn (consulente del progetto GITA a Boston, anche lui presente in video nella padiglione FuturPiaggio) (vedi foto).
Ma più in generale l'impressione che ho ricavato ascoltando il discorso che Roberto Colaninno ha tenuto, a braccio, è che alcune delle idee che ho qui sintetizzato (insieme ad una forte fiducia nel futuro di questo progetto museale) siano ben presenti nella mente del Presidente e Amministratore delegato di Piaggio Group. Ed è sicuramente per questo che ha chiesto alle Istituzioni pubbliche fiducia e libertà di movimento. Ma su questo credo che almeno le Istituzioni locali saranno prontissime a dare una mano e a favorire rapidamente i sogni e gli investimenti di Colaninno.

Roberto Colaninno nei nuovi padiglioni del Museo Piaggio

Vespa cafè - sempre nuovo padiglione

Sala moto Gilera, Guzzi e Aprilia

Jeffrey Schnapp - autore di FuturPiaggio, con GITA nuovo strumento di mobilità



il volume catalogo FuturPiaggio di J. Schnapp


L'architetto Greg Lynn che illustra il senso del nuovo oggetto di mobilità - GITA

giovedì 19 aprile 2018

Associazionismo di cittadinanza a Ponsacco. Dalle confraternite ottocentesche alla nascita della Società Semplice "Rinascita" / Silvano Granchi, Circolo Rinascita Ponsacco, 2018, p. 160

L'associazionismo locale è una forza vitale per la convivenza civile e secondo alcuni studiosi è anche uno strumento importante per lo sviluppo della nostra democrazia. Le varie forme associative garantiscono infatti ai singoli cittadini piccole reti entro le quali le persone crescono, col giusto grado di esposizione verso gli altri e di protezione nei confronti degli altri. Il tutto fino a consentire agli individui una maturazione nelle forme possibili per ciascuno di loro.
L'associazionismo italiano affonda le proprie radici nelle compagnie religiose e nei movimenti conventuali e solidaristici da sempre presenti sul territorio nazionale, ma conosce tra '800 e '900, anche a seguito della rivoluzione industriale, una fioritura tutta particolare nell'ambito dell'assistenza sociale, in quella del mutuo soccorso tra lavoratori, nelle formazioni politiche, nell'associazionismo ricreativo, culturale e sportivo.
Di questo associazionismo, che sta a cavallo tra '800 e '900, Silvano Granchi ricostruisce la storia per la comunità di Ponsacco partendo dalla Misericordia e poi dalla Pubblica Assistenza e venendo su su attraverso la filarmonica Verdi, gli Amici della Musica e il Circolo Arci Rinascita.
Si tratta di un lavoro appassionato, competente (sia come storico che come militante di queste associazioni, almeno dagli anni '70 in poi, illustrato con moltissime fotografie, ben corredato con le immagini dei protagonisti di una storia che ci restituisce la vivacità dell'Associazionismo anche in un microcosmo come quello di Ponsacco.
Il lavoro di Granchi costituisce un importante passaggio di memoria in particolare verso il mondo giovanile (ma anche verso i meno giovani) che spesso non ha la più pallida idea di quanta ricchezza associativa si sia espressa e si esprima sul proprio territorio e che altrettanto spesso fatica a trovare in queste stesse associazioni un punto di riferimento per le proprie dinamiche di vita.
E' un testo che suggerisce e trasmette il senso della storia e la necessità dell'impegno. Due sentimenti importanti che vanno coltivati (se si vuole che fioriscano) e non possono essere dati per scontati o lasciati al caso.
Il rischio infatti di una frattura (e di un vuoto) nel passaggio della memoria anche rispetto all'associazionismo è infatti ormai una concreta realtà che non solo non può essere ignorata, ma a cui gli uomini di buona volontà dovrebbero provare a porre rimedio. Come? Anche partendo da piccole opere come quelle scritte, con molto merito, da Silvano Granchi ed impegnandosi a diffonderle. Operazione non facile. Ma da sostenere. Soprattutto da parte di chi ha ruolo e competenza per farlo.

lunedì 16 aprile 2018

Il giovane Karl Marx / Raoul Peck, film, 2017

Gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto. Così ieri sera non mi sono meravigliato di trovare nella sala dell'Agorà di Pontedera dove si proiettava "il giovane Marx" di R. Peck, oltre a me stesso, alcuni degli antichi correligionari di 50 anni fa che per giunta ricordavano (tra loro) una qualche mia bischerata di quei tempi scanzonatamente giovanili e molto estremisti.
Il film sul giovin Marx è discreto, efficace, sufficientemente accattivante (anche se sempre di Marx Karl si sta parlando) e per quello che so di Lui verosimile e chiaro.
Rende bene il clima sociale e culturale in cui prese forma il marxismo nel secolo XIX e contiene gli elementi cinematografici giusti (inclusa una moderata attività sessuale) per tentare di far seguire la storia anche ai digiuni del marxismo (e, per fortuna, nelle nuove generazioni l'analfabetismo rispetto a tutti i marxismi è molto elevato).
Ovvio, natuerlich, che si tratti di un film per pochi. Per lo più anziani. E se hanno almeno sfoglialo "La sacra famiglia" e "La miseria della filosofia" è meglio (entrambi nel catalogo degli Editori Riunti). Perché immagino che chi ha meno di 50 anni (a meno che non abbia alle spalle solidi studi filosofici e di storia del XIX° secolo) non possa sapere nulla dei libri citati (dal film oltre che da me), e quindi temo che il film possa risultare per costoro (almeno in Italy) largamente incomprensibile; così come immagino che un pubblico medio non sappia nulla (o quasi) dei personaggi (da Bauer a Ruge, da Weitling a Proudhon) che nel film e nella storia reale si incontrano (e si scontrano) coi giovanissimi Marx ed Engels (una meravigliosa coppia di intellettuali simbiotici).
Ma, ripeto, tenuto conto della complessità della storia narrata, il film funziona straordinariamente bene.
E si resta perfino felicemente stupiti quando il regista sottolinea come quel piccolo vangelo del comunismo che è stato ed è il "Manifesto del Partito Comunista" sia stato scritto da un giovane di soli 29 anni. Da un ragazzo, diremmo oggi, che però aveva già attraversato Germania (Berlino), Francia (Parigi), Inghilterra (Londra) e Belgio (Bruxelles) e messo al mondo perfino due figlie, oltre ad aver trovato la collaborazione e il sostegno di un altro ragazzo più giovane di lui di due anni: Engels, appunto.
L'unico limite del film è che manca di quel distacco ironico che sarebbe potuto servire a collocare Marx e il suo pensiero attivistico nella storia con un pizzico di relativismo culturale ed una minore adesione propagandistica. E di questa ironia si sente la mancanza soprattutto quando scorrono le immagini finali che ci raccontano di una storia fatta di lotte di classe e di sussunzione di tutti i rapporti sociali al demone capitalistico, una sottomissione che ovviamente arriva fino a noi. Qui, un autore ironico avrebbe almeno accostato gli orrori del capitalismo in maniera un po' più evidente  ed esplicita anche a quelli del comunismo di ispirazione marxista.
Detto questo, consiglio a tutti di vedere il film, perché da certi pensieri, giusti o sbagliati che siano, da certe critiche allo stato delle cose, c'è comunque molto da imparare.
Non so se è per questa ragione che almeno nella proiezione di domenica sera alla fine del film c'è stato un tentativo di applaudire la pellicola. Una cosa da altri tempi. Un'altra botta di nostalgia che gli assassini che tornano sul luogo del delitto apprezzano. Con borghese ironia, natuerlich.
Se i delfini venissero in aiuto / Erri De Luca, Libreria Dante & Descates, 2017, 44p, (cm 15x10)

Nell'intenzione dell'A. il testo costituisce una breve testimonianza (con foto) di un'esperienza condotta su una nave di Medici Senza Frontiere in mezzo al Mediterraneo dove l'equipaggio cercare di salvare vite di migranti, messe in pericolo da scafisti predoni e senza scrupoli e lasciate al loro destino da una divinità demoniaca chiamata Europa: un'entità ricca ma avara, disinteressata alla sorte degli uomini (buoni) che fuggono dalle sofferenze dei loro paesi natii (Africa, Asia). La cronaca e il commento che accompagna il testo potrebbero costituire, visto anche il tono sacerdotale della scrittura e l'argomento di cui tratta, una piccola integrazione alla Bibbia. Vecchio Testamento. Collocazione a piacere. Non ci sfigurerebbe. Come la Bibbia, del resto, anche l'A. parla di popoli migranti e di uomini erranti. Di nazioni accoglienti (poche) e di genti ostili (tante). E il punto di vista dell'A. sembra ispirato e molto simile a quello dei compilatori del grande testo sacro.

sabato 14 aprile 2018

La verità politica è mobile

La buona legge elettorale italiana e il voto espresso dai nostri concittadini il 4 di marzo ci consegnano una rappresentanza parlamentare all'incirca così articolata: un 37% al Centro destra. Un 32% al M5S. Circa un 24 % ad un insieme litigioso grossolanamente definibile come Centro sinistra. Un 6/7 % di altri non brevemente descrivibili.
Ma la cosa ancora più bella che ci regalano i voti degli italiani è un gran bel ceffone dato a tutti quelli che dicono ad ogni piè sospinto: "Ho ragione io". Perché nel Parlamento appena insediato, la volontà popolare, per fortuna, dico io, non dà ragione in termini assoluti a nessuno. E, per me, questo, oggi, è un fatto educativo molto importante, perché costringe i rappresentanti di un popolo di sfegatati e litigiosi individualisti ad accordarsi e a spiegare ai loro elettori perché ci si deve accordare anche con chi fino a pochi giorni fa si additava come acerrimo "nemico", sostenitore di idee folli e nefaste per il Paese.
Ovviamente non è detto che il buon senso prevalga. Ma l'alternativa all'accordo e alla ragionevolezza è che si rivoti presto. E siccome nel tornare alle urne vi è un'alta probabilità che escano le stesse percentuali di consenso codificate nei risultati del 4 marzo, chi opterà per rivotare rischia un'operazione costosa e soprattutto inutile. Certo la testardaggine dei leader è una malattia che non si cura facilmente e quindi può essere che per aprire la strada al negoziato serva un altro passaggio elettorale. Auguriamoci di no. Ma, testardaggine a parte, la via per uscire dall'impasse sembra stare in un negoziato che porti ad una maggioranza parlamentare e ad un governo di coalizione tra chi la pensa diversamente su molte questioni.
Trovo quindi il negoziato tra "diversi" un atto ragionevole, pacifista e democratico. Una mossa che ridimensionerebbe le pretese assolutistiche di tutti i soggetti politici che dovrebbero contare (e governare) solo in base ai "voti" realmente raccolti e non per la pretesa che molti leader politici hanno di interpretare i veri desiderata del Popolo. Perché la tornata elettorale dimostra che il popolo è vario, diviso ed elettoralmente, per fortuna, discorde. E sottolineo "per fortuna", perchè la democrazia campa e cresce bene solo nella discordia, nelle divisioni, nella concorrenza, purché il gioco delle divisioni sia ben regolato e ci siano pochi giocatori che barano.
Inoltre la democrazia parlamentare è quella forma istituzionale che nega l'esistenza di "verità assolute". Essa ci dice che idee e proposte politiche appartengono solo al mondo immaginario delle "verità relative" e che queste ultime sono correlate solo agli interessi, alle credenze e alle opinioni di chi le sostiene con il voto e con l'attività di propaganda.
Va precisato che pur appartenendo ad un mondo immaginario le verità relative (e perfino certe fake news) hanno valore e servono ad orientare, tra l'altro, le decisioni del governo che raccolga la maggioranza dei consensi in Parlamento. Ma il loro valore è appunto relativo e durerà, sul piano parlamentare, fino a quando reggerà la maggioranza che le esprime o che dice di crederci, in buona o cattiva fede che sia, e che comunque usera' queste idee per motivare retoricamente le proprie scelte e convincere gli elettori della bontà del proprio operato.
Va aggiunto che certe idee politiche possono, se sostenute con le armi, fare anche molto male, come insegna, per il passato, lo studio della storia e tutti i giorni, purtroppo, la visione e l'ascolto dei telegiornali.
Ma per quanto le verità politiche possano armare la mano di folli e perfino di assassini, esse restano, almeno in una democrazia, relative e ...mobili.
Ed è così anche quando certi parlamentari e certi leader politici spacciano le loro idee, in maniera ossessivo compulsiva, per verità "assolute, ovvie, lapalissiane e indiscutibili". Anche quando certi capi sostengono di essere ispirati direttamente dal Popolo, da Dio o da una qualche algoritmica Ragione.
Certo, mi rendo conto che non sia facile pensare alle verità politiche come elementi "impermanenti", dotati di un valore relativo e di una qualità che ne fa oggetti "mobili qual piuma al vento". Ma sono certo che se si riuscisse ad assorbire il contraccolpo dovuto al fatto che le idee politiche (incluse le nostre) appartengono ad un mondo immaginario,  che hanno un valore davvero relativo e che mutano col tempo e con l'esperienza (acquisizioni tutte faticosissime, perché entrano in conflitto con l'autostima che alberga in ciascuno di noi e soprattutto fanno a botte col narcisismo strabordante che alimenta i politici), il resto sarebbe tutto in discesa.
Aggiungo che pensare alle nostre idee politiche come oggetti mentali mobili non ne sminuisce l'importanza. Pensare al relativismo culturale come qualcosa di poco profondo o di approssimativo è sbagliato. Se siamo andati sulla luna, se abbiamo imbrigliato le forze della natura, se progrediamo nelle scienze, nella tecnica e nella medicina, è perché abbiamo concetti e idee che consideriamo acquisizioni importanti, ma sempre perfettibili. E siamo disposti a cambiare le nostre convinzioni se qualcuno ci persuade che sono sbagliate e che ce ne sono altre migliori.
In politica questi ragionamenti si applicano con difficoltà. Lo riconosco. Ma prima o poi riusciremo a progredire anche in questo contesto. Serve solo un po' di santa pazienza.
Il segreto di Cagliostro / Angela Nanetti, Giunti, 2008

Ho letto il racconto per ragazzi di Angela Nanetti dedicato alla bibliotecaria Manola (alias la bibliotecaria per ragazzi di Pontedera) e mi scuso sia con l'autrice che con Manola per averlo letto solo 10 anni dopo dalla sua pubblicazione.
E' una storia molto carina, per ragazzi, certo, ma efficace, intrigante e con una bell'intreccio. Meriterebbe uno sviluppo.
Ovviamente a me colpisce, per inevitabile deformazione professionale, il ruolo, in tutta la vicenda, che giocano le due differenti biblioteche (quella per gli adulti e quella per i bambini); e soprattutto il ruolo dei bibliotecari: quello centrale della scaltra e determinata bibliotecaria Urbina (liberamente ispirata a Manola), sia quello marginale del bibliotecario conservatore e un po' tontolone (anche se dell'ingenuo si dice che "regna da padrone"), tale Rodolfo Tritafumi.
E della biblioteca per ragazzi, da inguaribile ghiottone, mi piace l'idea della sua articolazione a strati, come quelle belle torte tutte colorate e saporitissime che deliziano gli occhi e il palato. Per questo mi permetto di suggerire la lettura del testo a qualche giovane (o anche meno giovane) e creativo architetto che avesse voglia di provare a progettare una biblioteca per ragazzi come quella animata dalla bibliotecaria Urbina (alias Manola) e immaginata da Angela Nanetti. Di più. Spero che quando prima o poi amplierà la biblioteca per ragazzi di Pontedera, l'Amministrazione comunale chieda ad Angela Nanetti il copyright della sua idea di biblioteca per ragazzi di Urbina e cerchi un architetto (ed una ditta che fabbrica arredi per biblioteche) in grado di realizzarla.
E poi sono contento che la storia abbia al centro alcune pagine strappate di un antico codice e il controllo dello schedario anagrafico degli utenti della biblioteca.
Libri, identità anagrafiche e identità doppie (gran parte del racconto gioca anche su quest'ultimo tema) sono infatti gli elementi attorno a cui ruota tutto.
Certo si tratta di un gioco (e di un libro) da ragazzi. Con un inevitabile happy end. Ma quanti misteri e segreti (su di noi e sul mondo) ci svelano i libri per ragazzi!

giovedì 12 aprile 2018

Right or duty to work. Lavoro, welfare e politiche per l'occupazione tra House of Cards e le sfide del futuro / Valerio Martinelli, ETS, 2018, p. 136

Occuparsi delle problematiche connesse al lavoro e alle politiche per l'occupazione è un tema che fa tremare le vene e i polsi. Per le cose dette e scritte sopra un argomento infinito. Per gli attori in gioco. Miliardi di persone nel mondo. Per la complessità del gioco che in un mondo globalizzato non può che essere un gioco globale. Per i soggetti attivi che animano e a volte trascinano il gioco (istituzioni, stati, governance europea, ma anche sindacati, masse migranti, ecc.). Il saggio di Martinelli viaggia tra elementi di diritto, etica e politica. Contiene spunti di riflessione, ma resta un saggio breve per un tema strabordante.

martedì 10 aprile 2018

Ricordando Roberto Cerri detto Paiolo (1932-2018)

E' morto nei giorni scorsi Roberto Cerri, classe 1932, un uomo noto in Pontedera, almeno tra le persone di una certa età. Il suo soprannome era "Paiolo", ma non so quale origine e che significato avesse questo nomignolo che gli amici gli avevano appiccicato fino da ragazzo.
Proveniva da una famiglia di antifascisti e da giovanissimo, nell'immediato secondo dopoguerra, aveva ricoperto l'incarico di segretario della sezione cittadina della Federazione dei Giovani Comunisti Italiani (la FGCI). Ho un vago ricordo che fosse parente di Aurora Cerri (forse una zia?), che era stata una delle prime donne sindacaliste di Pontedera, impegnata in politica, se non erro, nelle file socialiste. La passione della politica dunque doveva averla ereditata in casa.
All'età di 14 anni aveva cominciato a lavorare alla Crastan e nello stabilimento della "Cicoria" di via I maggio aveva pure concluso la sua carriera lavorativa negli anni '80.
E' stato sindacalista della CGIL, ma soprattutto un militante del PCI, all'interno del quale ha ricoperto piccoli ruoli, incluso quello di rivenditore domenicale dell'Unità.
Negli anni '70 e '80 era stato anche consigliere comunale e se la memoria non mi inganna tra il 1980 e il 1985 fu assessore al personale nella seconda giunta guidata dal Sindaco Carletto Monni. Un'esperienza che lo segnò profondamente, facendogli affrontare il problema del lavoro e dei diritti sindacali anche dalla parte del "datore del lavoro" (il Comune, appunto). Un'esperienza da cui mi aveva raccontato di essere uscito un po' "provato".
Da togliattiano e forse perfino da ingraiano quale doveva essere stato fino ai primi anni '60 si era via via trasformato in amendoliano e migliorista e con questa fama, quella di migliorista, era traghettato, dopo la fine del PCI, nel PDS, nei DS e forse nel PD.
Del PCI fu un militante fedele, fino allo scioglimento del partito. E della sua militanza comunista mi piace ricordarlo nel ruolo di tuttofare alle feste estive dell'Unità all'Albereta. Qui lo rivedo attivo a gestire la cucina, insieme alla moglie, e soprattutto lo stand della ruota della fortuna.
Nella seconda metà degli anni '80, ormai pensionato, in collaborazione con Renzo Remorini, a cui lo legava un lungo sodalizio politico, collaborò alla costruzione dell'Università della Terza Età. Dell'UTE fu per un ventennio almeno vicepresidente e forte organizzatore.
Fu un militante comunista attivo e motivato. Pronto alla battuta. Come tutti i toscanacci che si rispettano. Ironico e negli ultimi anni sempre più disincantato.
Se si escludono gli anni della guerra e il periodo dello sfollamento, penso che abbia vissuto una bella vita. Motivata. Intensa. Piena di senso. Per me appartiene a quella schiera di italiani in gamba che non solo hanno risollevato il Paese dalla catastrofe del fascismo e della guerra, ma hanno fatto diventare questa Nazione (con tutti i suoi limiti e le sue pecche) un gran bel posto.
Di questo Roberto era consapevole e, senza tante smancerie, perfino orgoglioso.


lunedì 9 aprile 2018

Mio papà scrive la guerra / Luigi Garlando, Piemme, 2005, p. 106
I racconti di Garlando con un forte impegno civile meritano sempre e comunque di essere letti. Sono un modo esplicito di narrare ai bambini e ai ragazzi i dolori, le difficoltà e le tragedie del mondo. Per capirle ed esorcizzarle. Ma, diciamocelo, quella che conosciamo come letteratura per ragazzi ha sempre fatto questo. A volte però il perseguimento del fine inceppa un po' il racconto e la storia. Nel caso del "Mio papà.." sembra di avvertire questo inceppamento. Ma lo sforzo per raccontare temi difficili (come l'assurdità delle guerre e l'ossessione di raccontarle in presa diretta) è largamente meritorio e valido. E merita di correre il rischio dell'efficacia narrativa.

martedì 3 aprile 2018

Camilla che odiava la politica / Luigi Garlando, Rizzoli, 2008, pp. 268

Non è un romanzo facile quello che Garlando ha costruito pensando di comunicare ai ragazzi (12-15) la passione e soprattutto il senso della politica.
L'Autore ci prova con una storia che affonda le sue radici nelle vicende di Tangentopoli e i cui echi lombardi mi sembrano evidenti e chiari (ma forse solo perché sono molto adulto).
Garlando scrive bene e mette in atto tutta una serie di stratagemmi per fare in modo che alla fine la politica si riscatti agli occhi della sua protagonista Camilla e dei lettori che l'A. cerca di conquistare all'idea che la politica non è solo una cosa sporca.
Ma costruire il senso civico e il gusto della politica in un paese di individualisti come il nostro è un'impresa difficile che merita di essere apprezzata anche solo per il fatto di averci provato.
Quanto all'esito narrativo il risultato sembra più discutibile.
Certo un bravo insegnante di seconda o terza media (o magari del biennio delle superiori), che avesse una certa passione per l'educazione civica e per la politica, potrebbe utilizzare il romanzo in classe per un approfondimento sul tema della democrazia e più in generale della passione per la politica.
E da questa punto di vista e con il sostegno di un bravo insegnante, la storia di Garlando, che è piena di dettagli e di battute interessanti, potrebbe rivelarsi utile e davvero stimolante.
Diversamente il diario di "Camilla" richiede un lettore sveglio, motivato, con una famiglia sensibile alle spalle e che abbia voglia i misurarsi con domande insolite, che però, spesso, per fortuna i ragazzi e le ragazze si fanno.