giovedì 29 maggio 2025

PARCO VILLA CRASTAN CHIUSO ANCHE TUTTO IL MESE DI MAGGIO

Come previsto, continua la CHIUSURA, salvo sporadicissime occasioni e per privatissime occasioni, del Parco della Villa CRASTAN, nel cuore di Pontedera.

Nonostante i cospicui contributi che il Comune continua a dare alla Fondazione cultura, ufficialmente gestore della ex dimora storica dei CRASTAN (mentre la retrostante dépendance è stata concessa alla Fondazione Charlie), nessun lavoro di sistemazione importante del parco è stato realizzato, in particolare sul giardino davanti alla villa, che di sicuro è un bene tutelato ai sensi della normativa nazionale sui beni culturali.

Ma soprattutto occorre ribadire che il parco della villa, luogo apprezzatissimo in passato da bambini, da giovani e da anziani, per la parte che si affaccia su via della stazione vecchia, continua ad essere rigorosamente CHIUSO.

L’utilizzo privatizzato di questo spazio pubblico, proprietà fino dalla metà degli anni ‘60 di tutta la comunità pontederese, continua ad essere un mezzo mistero gestionale, su cui non è stata resa alcuna comunicazione chiara da parte di una amministrazione ciarliera ma solo su quello che le torna più comodo dire.

Sulla sorte del parco di Villa CRASTAN continua invece un assordante silenzio e soprattutto continua la chiusura di questo spazio che non è spiegabile, visto che ormai va avanti di molti mesi, senza una motivazione plausibile.

Ed è un peccato che i cittadini pontederesi accettino questa situazione senza protestare con il Comune, comunque proprietario del bene.

Mentre non meraviglia affatto il silenzio della consulta cittadina del centro città, che per altro non risulta essere stata neppure rinnovata (e per cosa, poi?) a un anno ormai dalle elezioni amministrative. Indizio questo inequivocabile di una vita amministrativa asfittica come è noto ai più.

Del resto è sempre la carenza di senso civico a favorire le gestioni un po' poco chiare dei beni pubblici come è il parco di Villa CRASTAN.

Ma ovviamente anche lo stato autocratico della vita “politica” cittadina ci mette del suo.

lunedì 26 maggio 2025

4 REFERENDUM SUL LAVORO. PER ME 3 SI E UN NO.

Lo so, il Si è più semplice da motivare. Il NO invece richiede una spiegazione più approfondita. Per questo comincio dal primo referendum, quello su “indennizzo o reintegro per licenziamento illegittimo”, su cui dichiaro che vedo buone ragioni nell’una (indennizzo) e nell'altra (reintegro) posizione. Confesso che su questo quesito referendario, il n. 1, il mio ragionamento ha oscillato. Alla fine però ritengo che se si arriva ad un licenziamento riconosciuto illegittimo da un tribunale, il risarcimento monetario al lavoratore licenziato mi sembra la soluzione di compromesso (tra le parti) più ragionevole. E' vero che il lavoratore perde il posto in cambio del risarcimento. Ma lavorare in un contesto in cui il datore di lavoro non ti vuole (sia pure per ragioni giudicate illegittime) e passare anni in questo piccolo inferno psicologico, dove comunque uno deve vivere e lavorare, è un po' come voler tenere in piedi una relazione in una situazione di conflitto perenne. Ora non mi sfugge che ci sono diritti da tutelare, ma c’è anche del lavoro da fare, della produzione da garantire e c’è una relazione da gestire. E oggi più di ieri si può lavorare bene solo se le relazioni in un’impresa sono positive. Imprenditori e lavoratori devono poter operare in un clima di reciproco ragionevole rispetto. Se questo clima salta, se si finisce davanti ai giudici, ripristinare la situazione originaria è quasi impossibile. Per questo il risarcimento mi sembra il compromesso (tra le parti) migliore.

Sugli altri tre referendum i miei SI sono invece netti e non richiedono molte spiegazioni.

Così voterò SÌ al quesito numero 2 che vuole ripristinare maggiori tutele per i lavoratori delle piccole imprese.

SÌ anche alla riduzione del lavoro precario (quesito n. 3). Il lavoro precario può essere utile e perfino, in alcuni casi, necessario, ma deve essere sempre adeguatamente e costantemente motivato. E non dovrebbe mai superare una certa durata.

Sono infine favorevole ad aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro (quindi SÌ anche al quesito n. 4). Anche se il problema maggiore su questo punto resta la presenza dei controlli pubblici e la capacità di sanzionare duramente chi non rispetta le norme di sicurezza.

Aggiungo infine che comunque la si pensi sui singoli referendum, è opportuno andare a votare ed esprimere le proprie scelte. Partecipare è sempre una buona maniera per rafforzare la democrazia.



 


venerdì 23 maggio 2025

REFERENDUM SULLA CITTADINANZA. PERCHÉ VOTERÒ SÌ.

Credo che sia bene andare a votare per i referendum. Tutti. Esercitare la democrazia e partecipare attivamente alle scelte pubbliche fa buono a noi (singolarmente) e alla società nel suo complesso. Favorire l'astensionismo, per ragioni opportunistiche, ovvero per evitare di raggiungere il quorum sommando gli indifferenti ai NO, mi pare un vecchio modo furbastro di essere italiani. Un trucco. Da deprecare. Difficile da estirpare, certo, ma, ripeto, deprecabile.

Sul referendum che accorcia a 5 anni la possibilità di richiedere la cittadinanza italiana voterò SÌ all'abrogazione della norma prevista dal quesito.

Credo che l'Italia debba integrare meglio e soprattutto formare al meglio tutti coloro che, qualunque sia la loro provenienza, intendono diventare cittadini italiani e hanno i requisiti e il coraggio per farlo. E penso che si debba facilitare il percorso di questi volenterosi.

Gli stranieri in attesa di cittadinanza da cinque anni meritano di ottenere questa possibilità. Per loro e per i loro figli.

So bene che una parte degli italiani la pensa diversamente da me. Il referendum è quindi lo strumento migliore per mostrare qual è il pensiero maggioritario nel Paese. Mi auguro quindi che il quorum venga raggiunto.

venerdì 16 maggio 2025

MANCUSO INASCOLTATO OVVERO LA STRAGE DEGLI ALBERI IN VIA NENNI

Ora mi spiego perché nessun amministratore comunale era salito domenica scorsa sul palco a salutare Stefano Mancuso, venuto a Pontedera, su invito di Ecofor Service, per un incontro che ha concluso con la proposta di piantare 1000 MILIARDI DI ALBERI ANCHE SE NON TUTTI A PONTEDERA, OVVIAMENTE.

Infatti a poche decine di metri dal Teatro Era, dove Mancuso ha tenuto la lezione sui rischi del cambiamento climatico e dove gli è stato consegnato il Pegaso dalla Regione Toscana, il Comune di Pontedera ha abbattuto una quindicina di alberi di una quarantina di anni ciascuno come documentato nella foto allegate. Siamo in via Nenni. E gli alberi (ci passo alcune volte alla settimana sotto le loro foglie e i loro rami) mi sembravano in buone condizioni.

Le piante creavano problemi ai marciapiedi, questo si, e allora, siccome, come direbbe Trump, è una fake news che gli alberi assorbano anidride carbonica, che mitighino il fenomeno del riscaldamento delle città e che ci difendano dal cambiamento climatico, allora tanto vale buttarli giù e poi promettere di ripiantarli. Quando? Appena si potrà. Già. Come se tagliare piante di 40 anni e ripiantarne altre di 3 o 4 anni fosse la stessa zuppa dal punto di vista dell’impatto ambientale. Ma per quanto ne so non credo che sia cosi. Tagliare gli alberi e’ come segare il ramo su cui siamo seduti. Significa farsi del male da soli. Su questo punto Stefano Mancuso è stato preciso domenica scorsa a Pontedera. Ha detto chiaro e tondo che gli alberi non vanno tagliati. Ma piantati. E vanno trattati con rispetto.

Ma mentre 500 pontederesi lo applaudivano a scena aperta per quello che veniva dicendo, i nostri amministratori comunali decidevano di tagliare altri alberi a pochi metri da quella sala, ignorando il suo appello. Sono stati eletti per decidere, è vero. Ma hanno deciso bene?

Anche l’incontro con Mancuso aveva il patrocinio del Comune di Pontedera.

Ma allora dare la parola a Mancuso e patrocinare le sue parole vuol dire credere nella cultura green (incluso il rispetto delle piante) o vuole dire fare greenwashing, come si dice oggi?

“La politica, compreso chi guida le amministrazioni pubbliche, non è all'altezza dei gravi problemi ambientali presenti. Chi sta al potere finge di non vedere il cambiamento climatico. Che invece incombe su di noi. Sono molto pessimista”, ha ripetuto più volte Mancuso anche al Teatro Era.

E chi attraversi in questi giorni via Nenni a Pontedera può rendersi conto coi propri occhi di quanto il suo pessimismo sia purtroppo profetico.

“Non mi piace fare la Cassandra”, ha aggiunto Mancuso. Ma non si può tacere.

E il peggio, preciso io, è che l’insensibilità ambientale non è una prerogativa solo delle amministrazioni di destra o di quel folle affarista americano col ciuffo laccato. Anche diversi amministratori di centro sinistra delle nostre parti non scherzano.

Ha ragione Mancuso ad essere pessimista.

Ma come avrebbe detto Gramsci, al pessimismo della ragione si deve rispondere con l’ottimismo della volontà. E quindi dobbiamo per prima cosa mostrare quelli che riteniamo scempi e scelte ecologicamente sbagliate e provare a organizzare un po' di resistenza contro una deriva ambientale che si ritiene pericolosa. Da chiunque sia perseguita.

Per questo con Mancuso bisogna ripetere che gli alberi non vanno tagliati a meno che non siano gravemente malati e non costituiscano un pericolo pubblico. E quelli di via Nenni a Pontedera non risulta che si trovassero in queste condizioni.

Perciò chi ha ordinato che si tagliassero questi 15 alberi ha tolto ossigeno a questa città, ha aumentato la sua temperatura e diminuito le sue capacità di riassorbire l’inquinamento.

E anche se chi l’ha fatto ha il consenso elettorale dei cittadini (come del resto Trump ha quello della maggioranza degli americani) può sbagliare e danneggiare tutti. 

Il cambiamento climatico non farà differenze tra destra e sinistra.

Abitiamo tutti nello stesso supercondominio.

martedì 13 maggio 2025

DAVVERO UNA “GRANDE MERAVIGLIA”?

Il romanzo “Grande Meraviglia” di Viola Ardone, uscito nel 2023, che ha riscosso un grande successo di vendite è davvero, come suggerisce il titolo, una “grande meraviglia”?

Per l’impatto sul pubblico, certamente. 

Ma può bastare questo parametro, ovviamente fondamentale e che non intendo certo snobbare, per decretare la comparsa di un grande romanzo?

E se è un grande romanzo perché lo è?

Che sia scritto bene e con arguzia, non lo nego.

Che la lettura delle sue pagine scorra via veloce, pure.

Che le tematiche trattate siano anche serie, vero.

Che i personaggi del romanzo, a cominciare da Elba e da Fausto, funzionino, è sicuro.

Che la narrazione qua e là strappi perfino qualche lacrima, va ammesso.

Insomma che la storia prenda il lettore e soprattutto le lettrici, è una certezza certificabile, di cui la casa editrice Einaudi è ben lieta. Ma in fondo anche i bibliotecari, lo sono. Ci mancherebbe.

Ma allora, che cos’è che non mi convince?

La perfezione della macchina narrativa, direi. Una storia senza sbavature. Spianata. Si, con qualche contraccolpo e un po' di sorprese, ma tutto scontato dall’inizio alla fine. Con un ritmo e un sapore che però non trovo naturale. Direi che è “pastorizzato”. Si tratta insomma di una di quelle storie che definisco storie fumetto (senza offesa per i fumetti, ovviamente), dove tutto si tiene e tutto si chiude positivamente (a parte qualche inevitabile piccolo problema). Anche nelle situazioni tragiche. Dove i personaggi assomigliano ai loro avatar. Non a protagonisti verosimili. Si tratta di storie scritte con personaggi pensati già come attori cinematografici o inseriti in serie televisive; storie popolate da protagonisti costruiti o scelti per piacere al pubblico e per vendere copie. Sia chiaro: non c’è niente di male nei filoni Liala e nello scrivere per piacere al pubblico. L’intrattenimento è un mestiere e forse un’arte di sicuro nobile. E catturare i lettori è un obiettivo "sacro" non solo per gli editori, ma anche per me. Ma oltre che l’intrattenimento di qualità (sul modello dei serial televisivi) alla narrativa, o almeno ad una parte della narrativa, credo si debba chiedere di più. Sarà una mia fissa, ma per me la lettura dovrebbe farci scoprire pezzi di vita e punti di vista che non si conoscono o a cui non si sarebbe pensato, ma secondo una verosimiglianza storica.

E il piccolo Basaglia partenopeo della Ardone mi suona troppo simpatico (perfino nei suoi difetti) e quindi poco credibile. Poco verosimile. Un personaggio dannatamente simile all’avvocato napoletano che di cognome (nei romanzi) fa Malinconico ed è stato inventato dallo scrittore Diego Da Silva. 

E, come direbbe Fausto, non dico bugie e neppure “palle”. Sono solo le mie idee. Forse prese a prestito dalle mie giovanili letture semiologiche di Umberto Eco (quelle di “apocalittici e integrati", per intenderci), ma ormai mie. Ma il fatto è che leggendo l’Ardone avverto una differenza tra narrativa di consumo e letteratura. Due realtà entrambe meritevoli, ma diverse. E per me l’Ardone si colloca nell’ambito della narrativa di consumo.

Sul carattere “fumettistico” di Elba, che trovo particolarmente ovvio, non sento neppure la necessità di spendere troppe parole. Aggiungo solo che  il personaggio mi pare parecchio tecnicamente irrisolto.

Così come trovo un po' pacchiane le ironie costruite sul cognome Meraviglia e altri giochi di parole presenti nella narrazione. Ma so bene che il pacchiano funziona bene e che battute come “Peccerè, la memoria è una cosa molto sopravvalutata” oppure “l’amore è una cosa sopravvalutata” o ancora “non proiettare!” funzionano: in un mondo che guarda al fumetto, certo, e che proprio per questi suoi caratteri stereotipati e ironici alleggerisce e appassiona. 

Insomma si tratta di una narrazione gestita bene. Senza sbavature. Che ha una sua piacevolezza estetica (oltre che una giusta ragione economica che non disprezzo affatto). Ma che genera un rapporto con la realtà che io percepisco come "dissonante".

E per provare a spiegarmi vi suggerirei di leggere qualche pagina dei racconti che Tobino (un conservatore credo antibasagliano convinto e dichiarato in fatto di manicomi e di matti) mette su, con la sua competenza del medico, partendo dalle vicende dei suoi malati di mente e soprattutto delle sue matte. Mi riferisco alle “Libere donne di Magliano” e altri racconti e romanzi che seguiranno su quel filone.

Letteratura anni 50/80 si dirà. Vero.

Più faticosa da leggere delle storie dell’Ardone. Certamente.

Scritta da un occhio e con un cervello leggermente aristocratico e conservatore, ma che sento più vero, autentico, realistico.

Non parlo naturalmente di superiorità dell’uno rispetto all'altra o di graduatorie di merito tra autori e testi, ma di una narrativa quella di Tobino più vera, più autentica, dire più genuina, meno costruita.

Non so se ho ragione, ma questa distanza e questa differenza per me esistono e mentre colloco  Mario Tobino (al di là della posizione cronologica e delle sue idee) in una certa casella della letteratura italiana, inserisco Viola Ardone in un’altra. Forse quest’ultima più leggibile, ma meno densa. Meno significativa. Più artefatta.

Non proiettate!



lunedì 12 maggio 2025

MANCUSO: MILLE MILIARDI DI PIANTE PER AIUTARE L’UMANITÀ

Nell’ultima giornata degli Ecodays organizzati da Ecofor service a Pontedera, presso il teatro Era, davanti a 500 persone, per lo più non giovani, il professore di coltivazioni arboree dell’Università di Firenze e star mondiale in questo campo, Stefano Mancuso, non ha parlato di piante (come tutti si aspettavano che facesse), ma dello stato di salute del pianeta.

Prima di cominciare la lezione, trasformata in un vibrante appello teso a scuotere le nostre intorpidite coscienze ecologiche, Mancuso ha ricevuto dalle mani di Eugenio Giani, presidente della Giunta Regione Toscana,  il "Pegaso" per il valore delle sue ricerche a favore della collettività.

Subito dopo Mancuso ha iniziato a snocciolare i dati della crisi climatica e del più importante problema che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare nel corso della sua esistenza: il surriscaldamento del pianeta.

E ha iniziato sostenendo che la sensibilità per il problema ambientale è calante. Soprattutto tra i giovani. Un ulteriore guaio.

Dopo di ché ha dedicato spazio a raccontare del carattere pericoloso degli eventi catastrofici eccezionali che si presentano con sempre maggiore frequenza anche in Europa (si pensi all’alluvione di Valencia), in Italia e ovviamente in Toscana (come aveva accennato anche Giani). I cambiamenti climatici, ha affermato, stanno introducendo le nostre società in un mondo nuovo; in un contesto cioè dove non siamo abituati a muoverci.

Ha poi tratteggiato che cosa potrebbe succedere se la temperatura media del pianeta continuerà ad innalzarsi ai ritmi attuali e ha ipotizzato che nei prossimi 20 o 30 anni potremmo aspettarci che molte persone fragili e povere pagheranno prezzi salatissimi. In particolare alcuni istituti di ricerca prevedono che si verificherà una fuga di popolazione dalle aree più surriscaldate del pianeta che coinvolgerà da 1 a 2 miliardi di esseri umani. 

“Da cristiano”, ha commentato, “spero che il Signore non mi faccia assistere a questa catastrofe”.

Durante la sua lezione, Mancuso, che ha preso in esame anche le ultime scelte anti ambientaliste della nuova amministrazione americana, scelte che (come la chiusura di alcune agenzie ambientali) ha definito semplicemente “folli”, si è scusato per tono un po' pessimista che stava dando al suo intervento e per il taglio da climatologo più che da botanico che aveva impresso all’incontro. Ma ha aggiunto che riteneva importante favorire una crescita di consapevolezza rispetto alla crisi climatica in atto, che stava trovando solo nell’istituzione europea un attore abbastanza impegnato nella riduzione delle emissioni di CO2. 

Infine ha concluso che le piante potrebbero aiutarci a difenderci dai mutamenti climatici e dal surriscaldamento. Ma occorrerebbe piantare rapidamente almeno 1000 miliardi di alberi. Bisogna forestare le aree dentro e immediatamente intorno alle città, ha sostenuto con tono pacato ma fermo Mancuso. Forestare le città ovunque. Compreso in Italia. “E' un’idea semplice, che si può realizzare”, ha sostenuto, “e non capisco invece perché lo stato italiano abbia deciso di aumentare la spesa per un inutile RIARMO, mentre non mette risorse per piantare alberi che sarebbero molto più utili delle armi contro la crisi climatica. Forse perché gli alberi non sono brevettabili?”, si è domandato. E su queste parole ha riscosso un applauso fragoroso da parte di un pubblico numeroso e partecipe.

Ma, e questo lo aggiungo io, anche le regioni e i comuni potrebbero spendere più soldi per forestare le città e gli immediati dintorni.

Anche Eugenio Giani e la sua maggioranza potrebbero promuovere progetti di ampia forestazione in Toscana. Credo che Mancuso, vista la criticità climatica che incombe su tutti noi, avrebbe mille volte preferito vedere approvato un progetto di questo tipo dalla Regione Toscana piuttosto che ricevere il Pegaso per i suoi studi. 

E lo stesso, sono sempre io che lo dico, potrebbe fare il Comune di Pontedera, il quale anche nella scorsa legislatura si è limitato a piantare poche decine di arberelli e in questa, per ora, ha fatto più annunci che messe a dimora di piante.

E la stessa Ecofor, se davvero ritiene che Mancuso abbia ragione e che la crisi climatica sia così drammatica, oltre che investire in cultura ambientale, dovrebbe investire cifre importanti in forestazione urbana e stimolare la stessa amministrazione a fare di più in questa direzione.

Perché quello che non si può moralmente fare è dare la parola ad un uomo come Stefano Mancuso, conferirgli onorificenze, tributargli omaggi e dargli visibilità e poi non muovere un dito rispetto ai rimedi che Mancuso propone.

O no?

domenica 11 maggio 2025

IL CYRANO STANCO DI SANTERAMO E I BORGHESI SODDISFATTI

Ho assistito al Teatro Era di Pontedera a un curioso stravolgimento del Cyrano di Rostand, trasformato dall’autore e regista teatrale, Michele Santeramo, in una pirandelliana contestazione dei tre personaggi (il nasuto, la bella e il vanesio belloccio) che, data la mia età avanzata, mi ha ricordato le provocazioni teatrali degli anni ‘60 e ‘70.

Santeramo è entrato in scena per primo e davanti a 500 spettatori, esibendo un canovaccio, ha dichiarato che lo spettacolo che stava per andare in scena era un’opera non finita e che toccava al pubblico aiutarlo a completare il lavoro.

Subito dopo è arrivato Cyrano/Edoardo Leo che si è detto stanco di recitare il suo personaggio e di non volerlo più fare. Anzi di volersene proprio andare via. Invece, come era scritto nel copione provvisorio, è rimasto sul palco. E s’è messo un po' a scimmiottarlo (il testo di Rostand) e un po' a contestarlo. Il tutto insieme a Rossana/Anna Foglietta, entrata nel frattempo, che invece “il Cyrano” voleva proprio recitarlo. E un attimo dopo si è materializzato anche il vanesio belloccio/Marco Bonini, anche lui favorevole a ostentare il suo bel personaggio. E con Leo che non voleva recitare, ma recitava (compreso i versi del "bacio"), e il duo Foglietta/Bonini che invece voleva recitare, si è andati avanti gigioneggiando e sorridendo sugli spoetizzati brani di Rostand. Fino a quando, saltando di botto quasi tutto il testo, il povero vanesio belloccio/Bonini è morto in battaglia, è entrato in crisi come personaggio e ha abbandonato il palco. 

A quel punto Leo/Foglietta hanno strapazzato la morte di Cyrano, mentre Santeramo si rivolgeva di nuovo rivolto ai 500 spettatori presenti in sala invitando chi era insoddisfatto del proprio ruolo, chi voleva smettere di recitare la propria parte e chi voleva darsi un’altra possibilità di vita, ad alzarsi dalla poltroncina e ad andarsene. 

Insomma Santeramo, dopo aver sbriciolato e ridicolizzato i tre personaggi del Cyrano, ha invitato il pubblico a spezzare le catene del proprio disagio esistenziale e a cambiare vita. Semplicemente abbandonando il ruolo di spettatori. Lasciando la sala.

E gli spettatori come hanno reagito?

Dal pubblico ho visto solo un paio di persone effettivamente alzarsi e abbandonare il proprio posto (una dopo aver chiesto se era proprio vero). Ma tutti gli altri sono rimasti immobili.

Del resto, gli spettatori avevano pagato il biglietto e i più erano di sicuro curiosi di vedere come sarebbe andato a finire quello spezzatino di Rostand.

Che ovviamente non è finito, ma è rimasto sospeso, come l’attore, l’autore e il regista (parlo di Santeramo) aveva onestamente promesso fino dall’inizio

E che quasi nessuno dei presenti (me compreso) avesse voglia di alzarsi e di andarsi a cercare un'altra chance di vita, l’ho trovato normale.

E se Santeramo avesse conosciuto singolarmente il pubblico che aveva di fronte (parlo di quello di ieri sera, perché nei successivi due spettacoli il pubblico cambierà e qualche insoddisfatto di sé potrebbe produrre un finale diverso), non si sarebbe meravigliato neppure lui del fatto che il suo appello fosse caduto nel vuoto.

Perché venerdì sera, a Pontedera, Santeramo aveva davanti per lo più persone in là con gli anni, pensionati, proprietari di case o almeno del proprio appartamento, insegnanti, perfino docenti universitari, medici, amministratori locali, persone insomma stabilizzate (e in maggioranza donne). Moderati di centro sinistra, per lo più. Dal punto di vista dei redditi, delle professioni e della psicologia, bravi piccoli borghesi. Anche se buona parte di loro in gioventù forse aveva militato o votato comunista (siamo toscani). E qualcuno forse anche più a sinistra.

Ma oggi la maggioranza di loro, sebbene sempre pronta al mugugno e al chiacchiericcio maligno o lamentoso, a parte i rimbambiti, i più, dicevo, sono più o meno consapevoli del proprio frantumato io pirandelliano e comunque sono timorosi di uscire dal proprio comodo ruolo. 

E per fare cosa, poi?

Per reinventarsi quale nuovo sé? Quale nuova magnifica sorte e progressiva? E, in un’era così secolarizzata e anti-ideologica, ricominciando da cosa? Da una provocazione teatrale di Santeramo?

Via, siamo seri. Con o senza il naso di Cyrano, chi ha raggiunto una certa età di star recitando una parte in commedia lo sa. E che si accontenti, magari borbottando, ci sta.

Infatti sa anche bene che cambiare ruolo e parte (perché sempre di recitare si tratterebbe) sarebbe difficile, impegnativo e perfino rischioso. Senza parlare poi dei vuoti di memoria.

Per questo il piccolo borghese anziano (che magari si percepisce ancora come un mezzo proletariato) non ha una grande propensione al rischio. E se rischia, come dimostra la storia contemporanea, forse oscilla più verso destra che verso sinistra. Più verso l’ordine e la tradizione che la libertà. Più verso una mascherata comica che verso un'eroica tragedia.

Comunque sentiremo nelle prossime settimane da Santeramo se dopo 20 anni di lavoro attorno al naso di Cyrano, il pubblico di queste tre affollare serate pontederesi l’avrà aiutato o meno a risolvere i suoi dubbi drammaturgici e a stendere la versione finale della sua opera. Sentiremo.

Un suggerimento, non richiesto, intanto glielo regalo. Santeramo guardi ai giovani. Meglio se giovanissimi. Loro, come i gatti, hanno ancora tante vite da vivere. E per loro lasciare un sentiero ed imboccarne un altro è facile. Sono convinto che se davanti alla sua provocazione cyranesca si trovasse una platea di giovani, i ragazzi si alzerebbero quasi tutti dalle poltroncine e se ne andrebbero. Dove? Vallo a sapere!

O forse no. Forse anche i giovanissimi resterebbero seduti. E allora ci sarebbe parecchio da pensare.


mercoledì 7 maggio 2025

L’EUROPA E L’IDEA DI POTENZA

Per chi fosse seriamente interessato ad approfondire tutto il complicato antefatto che precede la proposta del REARM EUROPE, avanzata a marzo 2025 dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Layen, segnalo un faticoso ma puntuale e ben fatto libretto di storia. Si tratta di uno studio di 200 pagine circa, elaborato dallo storico Antonio Missiroli, intitolato “L’Europa come potenza. Diplomazia, sicurezza e difesa”, e pubblicato da Il Mulino, nel settembre del 2022.

Missiroli è stato consigliere alla Commissione Europea, direttore dell’Istituto per la sicurezza dell’UE, nonché segretario aggiunto della Nato. Ha insegnato a Sciences Po a Parigi, al Collegio d’Europa di Bruges, a SAIS Europe e alla Scuola Sant’Anna di Pisa.
Formatosi come storico, Missiroli è stato poi un funzionario della UE e della NATO e quindi ha toccato con mano, almeno negli ultimi 25 anni, la complessa evoluzione dell’oggetto del suo libro.
Il volume parte dalla storia della CED e dei progetti di un esercito europeo, obiettivi tanto voluti anche da Altiero spinelli, fatti però deragliare nel 1954 dalla Francia (ma insieme ad altri stati europei). Si concentra poi sulle complesse e controverse tematiche della sicurezza e della difesa europea dalla metà degli anni ‘80 in poi ed in particolare sulla dissoluzione del blocco politico-militare sovietico dell’est Europa per arrivare fino ad oggi.
Missiroli con grande abilità e competenza ci porta tra le commissioni di studi, i gruppi di funzionari e gli incontri dei politici che negli ultimi trent'anni hanno maneggiato, tra istituzioni europee e NATO, il groviglio di azioni che si sono intrecciate intorno alla volontà europea di giocare un ruolo di potenza sullo scacchiere internazionale e tenta di chiarire quale fosse questo ruolo e come si sia cercato di organizzarlo.
Ne esce un quadro storicamente complicato, perché per un non addetto ai lavori non è facile districarsi nelle vicende (fatte anche di innumerevoli relazioni e di tantissime sigle) che Missiroli racconta con una mano sicura ed efficace, ma chiedendo al lettore di impegnarsi a seguirlo nei vari luoghi dei poteri europei.
Il testo (andato in stampa nel settembre del ‘22) giunge anche ad abbracciare il tema del ritorno della guerra in Europa con l’invasione russa dell’Ucraina.
Va detto che il volume non fornisce certezze sulle vicende attuali, ma si limita a descrivere l’arzigogolato e per ora irrisolto percorso verso una difesa europea e il sostanziale appalto di questa sicurezza e della difesa europea agli Stati Uniti d'America.
E' insomma una ricostruzione che conferma (senza sottolinearla mai troppo) la “sudditanza” europea verso gli USA e la tortuosità e per certi aspetti la caoticità del cammino europeo verso la costruzione (tutt’altro che raggiunta) di un ruolo qualificabile come potenza europea: una potenza dotata di una propria diplomazia, una propria struttura di “intelligence” e di un proprio apparato militare di difesa.
La recente guerra russo-ucraina e le modalità del sostegno europeo all’Ucraina certificano infine non solo la lentezza del cammino percorso, ma anche le incoerenze, le contraddizioni e le fragilità soprattutto realizzative delle istituzioni europee rispetto all’obiettivo della sicurezza.
E chi leggerà il testo di Missiroli comprenderà meglio i mille meandri che la difesa europea presenta e che la stampa cartacea, i talk show televisivi e i social neppure trattano o lo fanno con molta superficialità.
Ripeto, il testo non è semplice, ma quando mai capire in profondità le cose si rivela un atto facile e senza impegno?

lunedì 5 maggio 2025

PRIMO MAGGIO PONTEDERESE

Dopo tanti anni ho partecipato al corteo e al comizio del 1 Maggio pontederese. Ho salutato un po' di amici e compagni e camminato dal piazzone fino a piazza Cavour, collocandomi in fondo ai manifestanti. Essere tra gli ultimi e un po' fuori dal coro, mi ha sempre dato sicurezza. E continua a darmene anche ora da pensionato, ultrasettantenne. Poi, in piedi, dietro la colorata panchina di Lodola, ho ascoltato una decina di oratori che si sono alternati sul palco, per lo più sindaci, amministratori regionali e qualche sindacalista.

Mentre guardavo sfilare il corteo, tra il box del Pontedera Calcio e lo schermo curvo di Ecofor service, ho notato lo striscione dei lavoratori della Biancoforno. Invece ho cercato e non ho visto alcuna rappresentanza organizzata di operai della PIAGGIO di Pontedera. E allora ho pensato: possibile che ad una manifestazione sindacale del primo maggio a Pontedera (che non si organizzava in questa forma da 35 anni: così è stato detto dal palco), possibile che non si fosse riusciti a far sfilare nemmeno 10 operai della Piaggio, o anche 7 o 8, dietro un loro striscione che li identificasse con certezza? E che cosa significava questa assenza? Forse era per questa difficoltà di afferrare le persone e i loro problemi che il consiglio comunale pontederese, a maggioranza di centro sinistra, solo pochi mesi fa si era perfino rifiutato di discutere pubblicamente delle dinamiche della società Piaggio?

Non sapendo cosa rispondermi, ho sentito un pezzo del mio vecchio cuore operaista sussultare. Il tutto però mentre il cervello continuava a chiedersi, fissando le teste dei diversi pensionati che avevo davanti, perché diamine in piazza ci fossero così pochi uomini e donne in età lavorativa. E ancora meno giovani.

E come se non bastasse, mi sono domandato com'è che i sindacati non fossero riusciti a trovare neppure un operaio che raccontasse dal palco, con parole semplici ma vere, come si vive e si lotta oggi in fabbrica.

E perchè mai non si era trovato, in una zona dove pure ce ne sono molti, un operaio di origine extracomunitaria, senegalese o marocchino o albanese, che raccontasse dal palco che vita è quella di un lavoratore straniero venuto da queste parti a cercare fortuna.

Ma come era possibile che non si fosse rintracciato nessuno che narrasse dal palco del primo maggio la vita di un extracomunitario nelle nostre campagne, nelle nostre concerie o anche solo nei tanti servizi che caratterizzano le nostre cittadine? E questo proprio nel momento in cui la CGIL sta combattendo la battaglia dei 5 referendum incluso quello sulla cittadinanza.

Non fraintendetemi. Non voglio dire che gli onnipresenti e loquaci sindaci, assessori e presidenti regionali abbiano parlato male. Tutt’altro.

E' che la loro sapiente e misurata retorica rendeva ancora più dolorosa l’assenza del racconto sociale vero del lavoro. Sottolineava la mancanza delle testimonianze vive, quelle che toccano il cuore, quelle delle giovani o almeno mediane generazioni di lavoratrici e lavoratori che hanno in mano il futuro del nostro Paese.

M’è parsa una piazza un po' afona quella del 1° maggio a Pontedera e non solo perché per essere una manifestazione provinciale c’era un po’ poca gente. Soprattutto era afona perché mancava la voce di chi dovrebbe avere maggiore motivazione e più energia per battersi per il proprio presente e per il proprio futuro. Perché non si era riusciti a portarli e a dargli la parola?

Certo la presenza della banda tutta al femminile che apriva allegramente il corteo del 1° Maggio rappresentava una buona trovata comunicativa; ma far parlare dal palco qualche giovane operaia, anche rischiando che urlasse troppo forte la sua rabbia o il suo disagio, sarebbe stato decisamente meglio. Anche perché i giovani ascoltano più volentieri i giovani dei vecchi e imparano più volentieri dai loro pari che non dagli anziani.

E a questo proposito mi auguro che il grande attore e scrittore di teatro Stefano Massini, diventato da poco direttore artistico anche del Teatro Era, ci aiuti a restituire voce al mondo del lavoro. Ma una voce vera. Giovane. Che vive sulla propria pelle la condizione lavorativa di oggi. 

Massini in particolare ha promesso di voler effettuare a Pontedera ricerca teatrale “sui temi del lavoro”, coinvolgendo anche “i lavoratori della Piaggio”. Sembra proprio un’occasione perfetta per coniugare al meglio due delle caratteristiche più forti che caratterizzano (o almeno caratterizzavano) la nostra città, come il mondo del lavoro e la ricerca teatrale. 

Ma ci sarà da impegnarsi. E non sarà facile. Perché c'è da rivitalizzare radici che hanno sofferto. E soprattutto da restituire protagonismo e voce a chi lavora.

sabato 3 maggio 2025

CRAXI SECONDO CAZZULLO

Ho letto, per curiosità, il volume scritto da Aldo CAZZULLO intitolato “CRAXI L’ULTIMO VERO POLITICO. I RACCONTI E LE IMMAGINI” (Rizzoli, 2025, 277 p. con moltissime grandi illustrazioni, 25 €).

Che Cazzullo sia bravo a catturare il lettore (oltre che il telespettatore) non è una novità. E che il volume si legga bene, lo confermo. 

Ma che Craxi si possa davvero definire, come sostiene Cazzullo, l’ultimo VERO POLITICO, non mi pare che il testo lo dimostri a sufficienza. 

Ripeto, la lettura è piacevole, il giornalista prestato alla storia è abile nel costruire il montaggio della biografia (compresa la parte affettiva) del leader socialista. Ma le prove di una affermazione così impegnativa il testo non le presenta. E anche a voler soprassedere sugli esiti processuali che coinvolsero direttamente Craxi e a fare finta di nulla rispetto alla sua latitanza (perché di “latitanza” si trattò, almeno secondo i tribunali della Repubblica Italiana e anche per milioni di italiani dell’epoca), resta il fatto, tutto politico, che diventare segretario di un partito come il PSI e vederlo sbriciolare (per mai più ricompattarsi) poco dopo la sua fuga in Tunisia, non mi pare possa autorizzare nessuno a conferire a Craxi il titolo molto impegnativo di “ULTIMO VERO POLITICO”.

Che sia stato un importante politico italiano nessuno può negarlo. Ma nessuno può neppure negare (nemmeno Cazzullo) che nel 1976 Craxi prese in mano un partito minore ma vitale (che raccoglieva allora circa il 10% dell'elettorato ed esprimeva un variegato e brillante gruppo dirigente, punto di riferimento di molti moderni intellettuali italiani) e che dopo 17 anni sotto la guida di Craxi il partito “esplose”. Subito dopo la sua fuga ad Hammamet, la cultura politica socialista sostanzialmente svanì, come elemento significativo, dal dibattito pubblico italiano. Cento anni di tradizione politica socialista, iniziata col congresso di Genova del 1892, si sbriciolarono.

Ovviamente la responsabilità di questa scomparsa non può essere attribuita solo a lui. Ma lui ne fu il massimo protagonista. Vittima di complotti? Non so dire. Ma o che abbia fatto tutto da solo o che sia stato schiacciato da “nemici potenti”, il risultato non cambia: non gli si può attribuire il titolo di ultimo vero politico.

Un vero politico, a mio avviso, assume una eredità, dipana con chiarezza la sua abilità rispetto ai problemi che deve affrontare e poi lascia a sua volta una eredità almeno altrettanto vitale. Ma per quanto si frughi nel libro di Cazzullo su Craxi di abilità da grande statista e da vero politico non mi pare di averne intravista molta e sull’eredità meglio lasciar perdere.

Craxi resta semmai uno dei personaggi più controversi della scena politica italiana e della nostra recente storia nazionale, che forse solo una futura generazione di storici potrà studiare e giudicare con maggiore distacco, frugando meglio in tutti gli archivi pubblici e privati che, si spera, nel frattempo si apriranno e aiuteranno a capire meglio le cose.

Ai suoi contemporanei converrebbe invece mantenere un atteggiamento più cauto e prudente. Meno agiografico.

Ma i giornalisti, si sa, hanno bisogno di titoli efficaci, che funzionino sia per gli articoli che per i libri che pubblicano oggi: e questo lo capisco. E alla fine hanno bisogno anche di rendere un po' eroico o quanto meno intrigante per i loro lettori (e acquirenti) il personaggio di cui narrano le avventure (magari anche quando dicono di non amarlo): capisco benissimo anche questo.

Del resto il volume di Cazzullo insiste, come dichiarato onestamente fin dal titolo, su racconti e fotografie. Solo che sono fonti un po' deboli per affermazioni assertive e forti.

venerdì 2 maggio 2025

GRONCHI RIPESCATO… DAL COMUNE

In occasione del 70° anniversario della elezione del pontederese Giovanni Gronchi alla carica di presidente della Repubblica, che cosa ha fatto l’Amministrazione Comunale (AC) che spende e spande per eventi culturali e di intrattenimento di ogni tipo a volte fino a 500.000 euri in un anno?

Niente, direte voi.

E in effetti avete quasi indovinato.

In realtà la parsimoniosa AC è andata a ripescare in soffitta una vecchia mostra su roll up allestita già 11 anni fa in occasione dell'inaugurazione della nuova biblioteca civica intitolata proprio a Gronchi; ha recuperato anche un po’ di copie dei cataloghi allora avanzati e ha infilato tutto appiccicatamente nella prima parte dell’atrio del Comune, dove, come è noto, passa pochissima gente. Certo non ci passano i giovani, che dovrebbero essere i principali destinatari dell’evento.

A no, dimenticavo. Il sindaco e il presidente della Regione Toscana si sono fatti anche un selfie insieme con la foto di Gronchi tra le mani e l’hanno postata sui social e poi hanno fatto fare dei video, postando tutto su fb e speriamo (per i giovani) anche su Tik-tok. E questo è tutto quello che hanno annunciato.

Poi uno dice che si perde la memoria di certi eventi e di certi personaggi.

Oppure qualcun altro sostiene che nessuno che abbia meno di 50 anni a Pontedera sa chi sia Giovanni Gronchi; mentre i meglio informati sostengono che si tratti dell’autore di un celebre francobollo rosa su cui si scatenò anni fa la frenesia dei collezionisti internazionali di francobolli e questo fece schizzare in alto il prezzo del francobollo. Mah!

Si scherza certo. Ma mica tanto. Soprattutto se si pensa che Pontedera fa parte, per sua libera scelta, del club ristretto delle città che hanno dato i natali ai presidenti della repubblica e che per il suo Giovanni Gronchi forse avrebbe potuto (e forse potrebbe ancora) fare qualcosa di meglio.

Cosa?

Per esempio l’AC di Pontedera avrebbe potuto presentare la figura di Gronchi ai ragazzi delle terze medie e di qualche classe delle secondarie superiori provando a coinvolgerle fino dall’inizio di questo anno scolastico in un progetto di ricerca sulla biografia del più illustre dei pontederesi.

Forse la vecchia mostra sui roll up si poteva portarla nelle scuole e fare in modo che l’archivista comunale la illustrasse ai ragazzi e ai loro insegnanti (che di Gronchi, quasi certamente, sanno poco), cercando di coinvolgere in questo percorso il maggior numero possibile di classi, di insegnanti e di istituti.

Forse avrebbe potuto produrre una biografia di Gronchi  in una versione adatta ai ragazzi. Buoni autori ce ne sono in giro. 

Forse persino farci lavorare sopra un disegnatore di fumetti e trarne una biografia per i bambini delle scuole elementari o i ragazzi delle medie inferiori.

O forse chiedere a qualche videomaker di provare a raccontare il presidente attraverso filmati. 

O magari convincere qualche compagnia teatrale a cimentarsi col tentativo di raccontare la vita avventurosa di questo straordinario pontederese.

Volendo poi si potrebbero trovare degli spazi adeguati per allestire una mostra permanente dedicata al presidente Gronchi. E sempre volendo ci si potrebbe accordare con la famiglia di Gronchi per recuperare cimeli e documenti da esporre in via permanente.

Già ma dove collocare tutto questo? Magari nei locali dell'ex Centro Cirri, già di proprietà dell’amministrazione comunale, utilizzati lo scorso Natale per il percorso su Babbo Natale.

L’allestimento di una mostra permanente potrebbe fornire la possibilità di farci passare le classi scolastiche che attraverso Gronchi potrebbero leggere, in una lezione (o due), l’intera storia del ‘900, vivendola attraverso gli occhi di un loro concittadino. 

Una mostra del genere potrebbe essere visitata anche da turisti e curiosi per approfondire la figura di un personaggio di un certo rilievo nella storia nazionale.

Ovviamente l’esistenza di un piccolo museo/spazio espositivo dedicato a Gronchi potrebbe consentire anche di cantierare molte altre attività di ricerca insieme al Centro Studi Gronchi e movimento cattolico, coinvolgendo le scuole superiori, forse perfino l’università e qualche importante istituzione romana, in progetti di studio più ambiziosi. Sempre che si volesse lavorare seriamente sulla memoria dell'uomo e della città. Ma qui si va più sul difficile e mi rendo conto che agli attuali AC non si può chiedere troppo.

Credo invece che se fosse ancora vivo Mario Lupi sul tema di come si conservano e si valorizzano le memorie locali avremmo fatto dei bei ragionamenti e naturalmente anche qualche bella risata. E alla fine ci saremmo guardati sconsolati e avremmo scosso la testa come due vecchi brontoloni, commentando: o allora!