domenica 22 maggio 2016

LA POLITICA LOCALE NON E' MORTA, HA SOLO CAMBIATO PELLE

Se uno incontra per caso sul corso l’ex sindaco ed ex onorevole Giacomo Maccheroni e si ferma a fare due chiacchiere con lui, una delle lamentazioni che ascolterà dalla sua voce a tratti ancora tonante è che la politica ha perso la bussola e la testa. Un argomento analogo è stato riproposto qualche mese fa sulla stampa locale da un altro personaggio illustre, anche lui ex sindaco della nostra ridente cittadina, il quale si è lagnato dell'assenza del dibattito politico nella vita pubblica locale e dell'assenza della politica in generale. Che dire? Per non smentire la mia fama di bastian contrario, sosterrò che la politica non ha perso nè la bussola, nè la testa, nè tanto meno è scomparsa dalla vita pubblica locale. Ha solo cambiato pelle ed è diventata più complicata da decifrarsi perché il conflitto sociale e quello tra le élite che lo cavalcano si è fatto più complicato, più tecnico e soprattutto più opaco. La politica locale si intreccia in forme diverse rispetto a quelle novecentesche con l'andamento dell'amministrazione locale. Ad essere scomparsi, e da un pezzo, sono i partiti nella forma che si era affermata negli anni del dopoguerra, sostanzialmente fino agli anni '80. Dopo di allora i partiti sono diventati leggeri, liquidi, opachi, non più vincolati ad un dottrina politica chiara, nè ad un corpus culturale sufficientemente uniforme, nè ad un blocco sociale facilmente descrivibile, nè a una tradizione politica radicata nella storia. Gli iscritti si sono ridotti di numero e quindi sono diventati sempre più importanti gli elettori e la comunicazione disintermediata (il marketing). Il controllo sui pochi iscritti e sui simboli politici si è ristretto a pochissime persone, che spesso costruiscono molteplici reti di relazioni e di potere (magari collegate con le raccolte fondi per le loro campagne elettorali) al di fuori dello stesso partito a cui sono iscritti e che cercano di controllare per fini spesso molto soggettivi. Su scala locale il fenomeno è abbastanza vistoso, ovviamente per chi segua le cose. La stessa stampa locale, cartacea ed elettronica, è coinvolta in questo ginepraio e quindi non aiuta a capire una mazza. La fine della militanza, la fine di qualunque vita di sezione, la fine di una vera discussione interna alle sezioni e anche alle direzioni e alle segreterie, ha trasferito il potere politico locale nelle stanze dei palazzi comunali dove i sindaci sono diventati almeno per gli anni del loro mandato amministrativo, in maniera ufficiosa ma sostanziale (per quanto non codificata) anche "segretari di fatto"  del partito politico che esprime la maggioranza amministrativa. Questo mortifica e avvelena ulteriormente il dibattito politico locale, trasformandolo o in fiancheggiamento amministrativo o in attacco aperto all'amministrazione in carica. E soprattutto inibisce una discussione che abbia un minimo di orizzonte che vada oltre il destino del sindaco pro tempore e che abbia la possibilità di ragionare sugli interessi locali a prescindere dalle sorti del sindaco in carica. A rafforzare tutto questo gran caos c'è il fatto che spesso le opposizioni esistono solo dentro le amministrazioni locali (nei consigli comunali), ma non hanno alcuna vita politica autonoma, nemmeno sussurrata. E a peggiorare questo andazzo c'è che alcuni sindaci hanno a volte una visione padronale sia dell'amministrazione che del partito di riferimento e legano in maniera impropria (e per diversi anni) questa visione coi loro interessi personali (magari per garantirsi un futuro dopo la loro uscita dalla carica, non avendo un mestiere a cui tornare). Ma una simile ingarbugliatissima situazione non rappresenta affatto la morte della politica (bensì solo quella della politica partecipata e trasparente), nè è incompatibile con buone scelte amministrative. Costituisce una riduzione a forme elitarie o un po' oligarchiche di una tardademocrazia che in sede locale vede quasi azzerato il livello di partecipazione alle scelte. Di solito questo fenomeno si accompagna con un certo sfrangiamento della cultura politica, con la tecnica che prende il sopravvento e con un dibattito pubblico faticoso, molto fazioso e spesso poco comprensibile. Quindi riemergono con ancora più  forza i localismi, i voti dei quartieri, delle frazioni, delle aree con piccole identità che possono fornire voti in cambio di piccoli vantaggi. Ma esiste una ricetta per guarire da questo andazzo? Il mio amico Antonio dice di no. Io spero che sì sbagli. Ma devo aggiungere che purtroppo non conosco il rimedio, se non il ritorno ad una improbabile partecipazione pubblica. Mi dispiace.

Nessun commento:

Posta un commento