venerdì 23 febbraio 2024

IL PD E I “SUOI” SINDACI

Di un partito dei sindaci in Italia si parla almeno dalla metà degli anni ‘90, quando crollarono le ideologie politiche (e morirono quasi tutti i partiti della prima repubblica); e quando il Parlamento modificò la legislazione comunale e il sistema elettorale locale che di fatto rese più difficile ai partiti (e ai cittadini) il controllo sui loro amministratori. 

A quel punto i sindaci, eletti dal popolo, divennero soggetti forti dentro partiti deboli e le strategie personali dei sindaci e i loro sistemi di gestione (e di rapporti interpersonali e amicali, sempre più opachi) finirono per condizionare e talora a prendere il sopravvento sulla politica locale e in misura minore  a incidere sulla politica nazionale. 

Esempi di questa deriva personalistica si ritrovano anche in alcuni comuni di questo angolo di Toscana, dove non è quasi mai il PD a dire cosa pensa di fare, ma spesso sono i sindaci a dire e fare tutto quello che vogliono fare. Evitando poi di farsi controllare e valutare, anche dal partito che li ha scelti, lanciati e sostenuti. L’eletto dal popolo non gradisce i giudizi del partito. 

Non a caso quest’anno a Pontedera il PD non ha neppure tentato un bilancio pubblico del sindaco Franconi e lui si e' ricandidato in un evento in cui il partito sembrava un soggetto residuale. A Capannoli invece la sindaca PD pretendeva il terzo mandato ed è stata sfiduciata da una parte del PD sostenuta dalla segreteria provinciale, che però è  stata a sua volta attaccata dalla consigliera regionale del PD, nativa di Capannoli, a cui la sindaca uscente si è direttamente appellata. Ora la sindaca uscente scenderà in campo contro il partito che l'ha tradita, affidandosi al giudizio del popolo. A San Miniato invece il segretario del PD ha portato alle primarie il sindaco che aveva concluso il suo primo mandato. A Peccioli… beh l'emblematica storia di Peccioli è nota anche a New York e non vale la pena di ripeterla qui. 

Nel resto della provincia di Pisa la situazione è  talmente squinternata che il segretario provinciale del PD ha fatto firmare a… un certo numero di sindaci un appello ad abbassare i toni delle polemiche.

In sintesi in questi territori il partito si muove verso le elezioni amministrative senza una regola univoca. Le mosse nelle singole realtà locali dipendono da diverse variabili. Variabili tutte molto condizionate dal ruolo e dal potere personale dei primi cittadini.

Ma allora è il segno che i territori contano?

O è semplicemente il segno che in alcuni comuni il PD è ancora un soggetto vivo e in altri no?

Oppure è il segno che la politica locale non ha più idee fondanti ed è tornata al Medioevo, quando contavano solo i feudatari, i loro vassalli, i legami personali e i clan?

Non è facile dirlo, ma due cose credo di saperle.

La prima è che in una democrazia accettabile un sindaco deve essere valutato pubblicamente e coi numeri alla mano per quel che ha fatto alla fine di ogni mandato.

La seconda è che nessun sindaco dovrebbe superare i due mandati (10 anni). In qualunque Comune. Grande o piccolo che sia. Per bravo che sia un sindaco.

Il controllo vero e pubblico sull’operato del sindaco e l’alternanza obbligatoria ogni 10 anni giovano molto alla democrazia locale. 

Evitano, almeno in parte, la costruzione di sistemi di interessi amicali, familiari e interpersonali, che anche a livello locale spesso incrostano la vita pubblica e si sviluppano inevitabilmente attorno a chi mantiene certi posti di potere troppo a lungo.

Meglio prevenire le tentazioni, come sapevano già gli antichi romani al tempo della repubblica, quando le cariche duravano un anno e non si poteva essere rieletti se non per una volta.

Peccato che in questo paese di classicisti, le regole migliori si finga sempre di dimenticarle.

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