EUROPEISMO E CRISI GRECA
Noi possiamo lamentarci che non esista una visione "socialista" dell'europa. Nè della sinistra moderata. Nè di quella più radicale. La sinistra radicale per altro è tendenzialmente nazionalista. Quindi tendenzialmente antieuropeista. Quella moderata sta al rimorchio dell'europeismo borghese. L'internazionalismo socialista è sprofondato cento anni fa nel baratro della prima guerra mondiale e non è mai risorto. Ovviamente l'europeismo non è un dogma, nè è la panacea di tutti i mali. E' una ricetta politica che ha tanti limiti ed un buon numero di vantaggi. Anche per i non borghesi. Tra i vantaggi: ha garantito 70 anni di pace e di sicurezza a paesi spesso, in passato, in guerra tra di loro; ha garantito un mercato ampio dove il lavoro è stato in una certa misura tutelato e i livelli di welfare non sono stati male; è un'area dove le istituzioni democratiche non sono solo una parvenza e dove i diritti sono stati ragionevolmente salvaguardati. Andare oltre questo assetto europeo, mi pare difficilissimo. Invece andare indietro, tornare ai nazionalismi fasulli e alle singole sovranità monetarie, mi pare più facile. Su quest'ultima strada gli europei sono spinti da forze interne ed esterne. Stiglitz ad es. sul Guardian di oggi, se il mio inglese non è troppo arrugginito, sembra suggerire ai greci di votare no, aprendo la porta al ritorno alla dracma. Krugman ieri su Repubblica, se non lo interpreto male, mi pareva della stessa opinione, assegnando ai greci la medaglia di vittime dell'austerita dei conservatori europei contro cui bisogna ribellarsi. Su questa analisi sostenuti da messier Piketty. A mio modesto avviso la Grecia entrando nell'euro ha fatto il passo più lungo della gamba. Questo azzardo gli sta costando caro. Per altro si è già venduta un pò di infrastrutture a fondi e imprese estere. Forse la soluzione migliore per i greci è davvero tornare alla dracma, farsi una bella svalutazione selvaggia e non pagare i debiti. Poi piano piano torneranno in gioco, come potranno.
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