giovedì 27 agosto 2015

LE CONDIZIONI DELLA RIPRESA INTERNA CI SONO, MA SONO... DEBOLI

Scrivere un fondo alla settimana per un' importante rivista non mette al riparo dal dire cose di una banalità sconvolgente, nè garantisce che si risponda correttamente alle domande complicate che questa congiuntura economica ci pone. Anzi più si scrive e più aumenta la possibilità di dire cose inesatte. Come mai col petrolio al minimo e con bassi tassi di interessi sui capitali la ripresa in Little Italy non si palesa? Già,  come mai? Una delle risposte che non si danno è questa. Gran parte del motore dello sviluppo italiano negli ultimi 70 anni è stato trascinato dall'industria del mattone,  l'edilizia. Ma in questi 70 anni in Italia si è costruito una quantità di alloggi pari al costruito dei 2000 anni precedenti. Solo che la popolazione non è cresciuta abbastanza per far fronte all'offerta, nè sono cresciute le famiglie in grado di comprare nuove case, nè abbiamo avuto emigranti che sono rientranti investendo sul mattone. In buona sostanza, nell'edilizia, petrolio a buon mercato e soldi a prezzi stracciati non fanno né caldo nè freddo. Se le case non si vendono, non si possono costruire. E poi l'impatto del costruito è ormai pesante sull'ambiente e sconsiglia di insistere sul consumo di suolo. Tra i fattori che restano poi critici e ci regalano una bassa se non bassissima crescita c'è il costo del lavoro, l'introduzione di robot risparmia lavoro e il trasferimento di lavorazioni e di capitali su mercati più dinamici di quello nazionale. Tutte osservazioni che il voluminoso libro di Piketty sul capitale nel XXI secolo scandaglia uno per uno, con riferimento anche al nostro amato paese, e che la prestigiosa rivista ha recensito e segnalato, ma forse senza obbligare i propri redattori di punta a leggerlo e studiarlo.
Perché se Piketty avesse letto il titolo dell'articolo di Manfellotto sul numero 35/2015 dell'Espresso in cui ci si chiede "Quando smetterà di essere l'Italia dello zero virgola", avrebbe risposto, grafici alla mano, che semplicemente, Renzi o non Renzi, non smetterà rapidamente. E al massimo si arriverà ad una crescuta del Pil su base annuale dell'1%, ma è difficile che si vada oltre, o molto oltre. Perché un tasso di crescita dell'1% per un paese a capitalismo maturo, e saturo dal punto di vista edilizio, come è il nostro è già un bel risultato. Peccato invece che certa stampa continui a immaginarsi il ritorno dell'Italia del Miracolo economico, magari insieme alla Dc e al Pci. Beh, che torni un Pci col 25% dei voti non ci credo. Ma la Dc, dopo l'incontro di Renzi a Rimini col popolo di Cl, non mi sento affatto di escluderlo.

SUGLI IMMIGRATI HA RAGIONE LA MERKEL. L'ITALIA DOVREBBE FARE DI PIÙ E MEGLIO

Non è possibile che con le tecnologie digitali e con l'automazione l'Italia non riesca ad identificare il grosso delle persone che arrivano e non riesca costruire una grande banca dati dei migranti che transitano dal continente, una banca dati, con tanto di immagini, da condividere appunto con gli altri partner europei. È una seria incapacità organizzativa quella che ci impedisce di procedere in questa direzione, che ha alle spalle un atteggiamento da furbastri, da scaricabarile. Un atteggiamento che ci fa perdere non solo credibilità, ma soprattutto il controllo vero del fenomeno e che ci impedisce una discussione politica seria, consapevole di vantaggi e di svataggi. Così il premier la butta sul patetico. Dobbiamo accoglierli tutti, grida nei microfoni per autoconvincersi della bontà delle sue affermazioni. Sono nostri fratelli, quanti sono sono, quanto ci costa, ci costa. Lo dice anche il Papa. Insomma alla disorganizzazione fa da corollario un atteggiamento paternalisticone guascone del premier. Del tipo: fidatevi di me, risolvero' il problema. L'esatto contrario un atteggiamento pubblico serio.
Ma la pressione migratoria verso il continente europeo e l'Italia ha una portata gigantesca, che nei prossimi 20 o 30 anni al massimo cambierà il colore della pelle degli italiani, li creolizzera'. Non può essere trattato all'italiana. Se non vogliamo che ci travolga (ipotesi che ovviamente giudico la più probabile), dobbiamo operare alla tedesca.
Per questo mi dispiace che Matteo, il grande rottamatore, anche in questo sia poco tedesco e molto italianamente pittoresco.
Peccato che la sua modernizzazione si arresti alle poltrone del Senato e non riesca ad aggredire le tare profonde di questo  paese. E l'incapacità di mettere su un sistema di ingressi controllati dei migranti è uno di questi limiti più vistosi.
Peccato che il primo ministro di estrazione boyscout non riesca ad organizzarsi nemmeno con lo spirito di una giovane marmotta. Peccato che neppure i suoi giovani ministri riescano  ad inventarsi un'azione straordinaria di servizio civile che fronteggi l'emergenza migratoria. Nemmeno coivolgendo il volontariato e le confusionarie regioni. Si, peccato.
SAVIANO, LE CICALE E LE PAROLE SBAGLIATE

In uno dei suoi ultimi scritti (L'Espresso, 34/2015), Saviano divide gli italiani in cicale, i nonni e i padri che nel XX secolo avrebbero sperperato soldi a tutta randa, e nei loro figli e nipoti di oggi, sfigati, che si trovano in una sorta di deserto, dove sarebbero costretti a "riciclare gli scarti lasciati dalla generazione dei genitori". La frase, bruttina, riassume il contenuto dello scritto per L'Espreso e ha tre difetti gravi. Per uno scrittore di qualità come è Saviano, si capisce. E' linguisticamente povera, concettualmente sbagliata e socialmente incendiaria. POVERA perché non indicando di quali scarti si parli, smarrisce il proprio significato. Se poi si pensa che l'80 per cento dei nonni e dei genitori lascerà ai pochi nipoti e figli un'immenso patrimonio immobiliare incluso quello abusivo, altro che di scarti e di deserto si deve parlare. Mai nessuna generazione prima in Italia riceverà, anzi sta già ricevendo, tanto patrimonio e tanti tetti sotto cui mettere la testa. Semmai questo eccesso di patrimonio ereditato insieme alla complessità dei tempi potrebbe indurre al bamboccionismo, anziché all'impegno, e ridurre così quella fame di fare tanto cara a Steve Jobs (e ai nonni italiani che fecero il nostro miracolo economico), che certo Saviano non deve amare (mi riferisco a Jobs). SBAGLIATA perché una parte delle giovani generazioni si sta già facendo largo in tanti settori e milioni di partite iva e di precari stanno sorreggendo questo paese, sia pure guadagnando meno di quanto desidererebbero. INCENDIARIA perché una parte di chi non ce la fa né ad inserirsi per migliorare la sua situazione, nè a muoversi per cercare opportunità altrove, potrebbe essere spinto verso una rivolta violenta e sanguinosa contro un potere che ha regalato si pensioni facili a tutti, soprattutto al Sud, fino a ieri, ma ora non può più darne e sta anzi rilevandole a chi le ha avute. Stanno scemando insomma welfare e diritti per il banale motivo che non ce li possiamo piu permettere se non torneremo a crescere, cosa per altro improbabile, come negli anni del boom economico. Certo l'Italia vista dal Sud è più drammatica che guardata dal Nord. Ma ricordiamoci che il miracolo economico è anche il figlio di un intenso processo di migrazioni interne che ha visto grandi spostamenti di uomini e donne dal Sud al Nord. Altro che a schiacciare le cicale debbono dedicarsi i giovani per conquistare il loro futuro. Altro che chiedere grandi investimenti allo Stato per non finire mai la Salerno-Reggio Calabria. Qui serve la logica delle formiche. E servono parole chiare e propositive che purtroppo su questi temi Saviano non riesce a dire. Continua a chiedere che qualcuno risolva i problemi del Sud. Continua a piangere sui mali del Sud, quando l'unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e in silenzio darsi da fare.

sabato 22 agosto 2015

CRISI GRECA: IL PARLAMENTO TEDESCO VOTA IL PIANO DI "SALVATAGGIO". QUELLO ITALIANO NEMMENO NE DISCUTE. I GRECI PRENDONO I SOLDI, POI IL GOVERNO SI DIMETTE E FORSE IL PARLAMENTO SARA' SCIOLTO PER ANDARE A NUOVE ELEZIONI.

Paese che vai, usanze che trovi. I tedeschi discutono in Parlamento se prestare alcuni miliardi di euro, dei loro euro, di euri tedeschi, ai greci in un insieme di 86 miliardi provenienti da altri stati e dal FMI in tre anni. E hanno perfino il coraggio di ammettere pubblicamente che non sanno se il piano di salvataggio servirà, ma sostengono che politicamente la cosa va fatta per il bene dell'Europa. Siamo tre giorni dopo ferragosto, e i tedeschi votano. Ganzi, loro.
E noi in Italia? Un pò di chiacchiere sui giornali (ma poche a dire il vero, anche da parte dell'opposizione esterna al governo e nessuna dall'opposizione interna), non sappiamo nemmeno quanti euri italiani ci costerà questo sostegno, non sappiamo dove prenderemo questi soldi (tasse, debiti, finanza creativa?), ma il Parlamento è in vacanza e quindi sarà il governo italiano a dare un ok scontato al salvataggio greco. In uno dei paesi più bicamerali e ultraparlamentari del mondo, questi argomenti non sono roba da parlamento.  E la nostra opinione pubblica? Sembra si sia stufata di questa storia. Così, tanto per confondere un pò le acque e titillare i suoi lettori germanofobici, rigorosamente sdraiati sotto l'ombrellone, il Corriere della Sera spara con uno dei suoi commentatori di punta contro la grande Merkel e la forte Germania. Che ganzi che siamo anche noi!
Intanto Tsipras, il leader del governo greco messo sotto tutela dalle istituzioni europee, dopo aver promesso mari, porti, aereporti e monti all'Europa, una valanga di riforme e chi più ne ha più ne metta, incassa i soldi, poi si dimette e tra un mese in Grecia forse si va ad elezioni anticipate. Sembrerebbe una barzelletta. Peccato che sia tutto vero.
SULLE BIBLIOTECHE PROVINCIALI OCCORRE MUOVERSI BENE

Il dl 78/2015 recentemente approvato dal parlamento consente che la biblioteca provinciale di Pisa e il suo personale passino allo stato, mantenendo servizio e funzioni. Perché questo accada occorre che Provincia e Mibact si accordino entro il 31 ottobre, data entro la quale il ministro Franceschini può fare un decreto che rende possibile tutto questo. Quello che serve è che la Provincia si muova con chiarezza e con celerità e che non si alzi un polverone di ipotesi che finirebbe per bloccare l'unica soluzione seria per salvaguardare il patrimonio bibliografico della biblioteca provinciale e la professionalità dei bibliotecari provinciali che sono molto utili alla ricerca nel'area pisana. Su questo un ruolo di catalizzatore potrebbe essere recitato da Aib che dovrebbe esaminare il caso alla luce della nuova legge che ha approvato il dl 78/2015 e poi pressare le istituzioni coinvolte nel fare la loro parte con coerenza. Trovo quindi controproducenti anche se fatte col cuore le sparate che rischiano solo di confondere le acque o di creare pessimi rapporti tra chi dovrà sedersi attorno ad un tavolo e organizzare tecnicamente il passaggio.

giovedì 20 agosto 2015

KHALED AL-ASSAAD È UN MARTIRE DELLA CULTURA. MERITEREBBE UN NOBEL ALLA MEMORIA. POTREBBE ESSERE DATO ALLA FAMIGLIA.

Se i dettagli e le informazioni rilanciati dalla stampa internazionale corrispondono alla verità, il direttore del sito archeologico di Palmira, KHALED AL ASSAAD, è un martire della cultura e della civiltà. Ma soprattutto un martire per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a qualunque fede o credo appartengano, che fanno della cultura e dell'umanesimo una conquista di civiltà irrinunciabile. Bene hanno fatto l'Anci e e il Ministro Franceschini a voler far mettere le bandiere italiane a mezza asta nei musei italiani per ricordare il suo sacrificio. Ma forse si può fare di più. Forse l'Accademia delle Scienze della Svezia dovrebbe attribuirgli un premio Nobel speciale. Un premio da attribuire alla famiglia. Un premio per la difesa dei valori culturali dell'umanità. La sua morte sembra il segno di una barbarie che speravamo di non vedere tornare con forza e con stupidità sulla scena della storia. Ma che invece periodicamente torna a colpirci come un'epidemia endemica che non riusciamo a debellare del tutto e contro la quale non ci sono cure definitive. Una barbarie a cui non dobbiamo però  né piegarci, nè assuefarci. Mi auguro che questa barbarie non dilaghi, ma temo che non basteranno le parole a fermarla. Esprimo solidarietà verso KHALED AL ASSAAD e la sua famiglia. E spero che il suo coraggio ci dia la forza per resistere alla barbarie e di combatterla.


Dopo aver letto gran parte del libro "L'Italia può farcela", di Alberto Bagnai (con un po' di fatica e spesso la voglia di chiuderlo), commento questo. Devo fidarmi delle sue statistiche (impossibile verificarne l'attendibilità), ma non mi convincono molte delle conclusioni che ne trae. La tesi centrale del volume (edito da Il Saggiatore, 2014) è: l'Europa (in mano al cattivo ed egoista azionista tedesco) è una fregatura per molti paesi. L'euro è una moneta senza nazione e senza popolo (e purtroppo senza lingua). Il nazionalismo economico offre più vantaggi e libertà di gioco agli italiani (poveri o ricchi che siano, ma soprattutto ai poveri). La parte propositiva del libro è un misto di ricette keynesiane e di "liberismo nazionalista" all'italiana. Non mi meraviglio perciò che le sue tesi piacciano a Landini, a Salvini e alla Meloni. Bagnai è spigliato, discorsivo e accattivante nell'analisi. Un "fiorentino" che smanetta di economia con uno scilinguagnolo che solo certi "fioretin" (colti) hanno e sanno adoperare. Sulla proposta, però, il testo lascia a desiderare. Come è normale che sia per uno come me che preferisce coltivare il mito "europeista" rispetto a quello nazionalista. Il libro è scritto in un linguaggio piacione, spigliato, scattante, televisivo, pieno di battutine ganze. Uno stile alla Krugman (ripreso anche nel blog di Bagnai). Di certo chi ha voluto la convergenza verso Europa e poi l'adesione all'euro pensava che questo avrebbe corretto alcune "storture" italiane. Bagnai sostiene che il virtuosismo europeo è una balla, comunque ci fa male e le statistiche ce lo dimostrano. Cosa concludere? Che potrebbe aver ragione. Non ho suffientte competenza per metterne in discussione le tesi. Spero che il sogno europeo si consolidi e l'euro regga. Bagnai mi replicherebbe che sono un razzista autolesionista. Bah. Controbatterei che nessuno è perfetto.

mercoledì 19 agosto 2015

LA PROVA DEL POTERE di Giuliano Da Empoli ovvero come non si riesce a dare spessore culturale al pragmatismo dei principi

Non bastavano i libretti di Matteo per spiegare perché Renzi si comporta così. Ora il moderno giovane principe ha fatto scendere in campo un suo ex assessore per spiegare le logiche e le giustificazioni più recondite delle sue scelte politiche. Ma il volume di Giuliano Da Empoli, La prova del potere, sottotilotato "Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo paese" (Mondadori, 2015, p. 155, € 17), ha nella brevitas il suo unico punto di forza. Perchè di argomentazioni corpose e convincenti nel libretto non c'è traccia. Mentre ci sono accostamenti che suonano involontariamente ironici. Paragonare le rivoluzioni copernicane di Renzi con le scelte rivoluzionarie del terzo mandato di Deng Xiao Ping sembra un tantinello esagerato, e comunque il paragone con Deng non può ignorare che il primo Deng fu uno dei protagonisti del grande balzo cinese (1958-1962), durante il quale morirono di fame in Cina si stima circa 20 milioni di persone, mentre il terzo Deng (anni 80-90) fu anche uno dei principali responsabili della feroce repressione di Piazza Tienanmen. Bazzecole si dirà rispetto alla storia cinese e alla sua dinamica. Ma sempre molto tragiche. Perciò  speriamo che Renzi,  sia pure in piccolo, non ci faccia conoscere mai niente di simile. Il secondo accostamento ardito proposto nel libro di Giuliano Da Empoli è quello tra Matteo e il generale russo Kutuzov. Anche qui quello che si può sperare è che il generale Matteo non lasci dietro di sé la scia di morti che caratterizzarono la lunga carriera del generale russo che con l'indispensabile soccorso del generale inverno sconfisse Napoleone e guerreggio' a lungo coi turchi per conto degli zar.
La tesi centrale del libretto è che tutti i grandi leader hanno un cuore antico, si rifanno sempre alle radici profonde dei popoli che governano, sono adattivi, interpretano le circostanze e i voleri dei popoli e quindi, anche quando sono democratici, devono essere populisti per necessità più che per vocazione. Meno male che ce l'ha detto. Ora ci sentiamo tutti più tranquilli.

sabato 15 agosto 2015

QUALE FORMAZIONE COSTRUIRSI? QUALCHE UTILE SUGGERIMENTO DAL LIBRO DI ABRAVANEL E D'AGNESE La ricreazione è finita
Mi sono letto questa estate il libro di Roger Abravanel e Luca D'Agnese dal provocatorio titolo "La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare lavoro" (Rizzoli, 2015, 294 p., 18€). Premessa. Nessuno dei due autori è un esperto di formazione scolastica e Abravanel è un ingegnere, legato al mondo delle imprese, della finanza e dell'editoria presso cui ha lavorato come amministratore delegato, membro di consiglio di amministrazione, consulente, editorialista (Abravanel è anche l'autore del libro “Meritocrazia” ed è stato, secondo Wikipedia, per anno collaboratore del Ministro Gelmini). Quindi il volume esprime un punto di vista diverso su scuola e formazione rispetto agli approcci pedagogici e didattici tradizionali. Anche per questo immagino che sia piaciuto a Matteo Renzi al quale i due autori sembrano aver suggerito alcuni argomenti per la recente riforma scolastica, tra cui l'ulteriore potenziamento della figura del preside, scelta quest'ultima che, confesso, condivido anch'io (pp. 217-218). Il libro è un peana, ma scritto col cervello, al rapporto tra lavoro e scuola e sostanzialmente cerca di demolire l'atteggiamento autoreferenziale di molti insegnanti e di diverse realtà scolastiche, che non riescono a vedere più in là del loro naso e a confrontarsi coi cambiamenti del mondo. Naturalmente gli autori non solo accettano le sfide della globalizzazione, ma sostengono fino in fondo le logiche del Progetto PISA, la necessità delle prove Invalsi e attaccano alcune delle peggiori tare della scuola italiana, a cominciare dalla difesa sindacale che molte famiglie italiane fanno dei loro figli scapestrati o la sottovalutazione dell'atteggiamento furbastro e sostanzialmente immorale di chi “copia i compiti, si fa fare la lezione, le tesine, ecc.”. Contestualmente il testo fa un grande elogio della scuola finlandese in testa alle valutazioni internazionali anche rispetto agli agguerriti paesi asiatici. Più  in generale il libro sostiene che la scuola deve stare nel mercato, così come sul mercato dovranno stare gli studenti in quanto futuri lavoratori. E prima imparano a starci e meglio è. Secondo gli autori il lavoratore del futuro dovrà miscelare sempre meglio le abilità professionali con quelle comportamentali. Ed è proprio nell'ambito di queste ultime qualità, le cosiddette soft skills, che la scuola, ma soprattutto le persone dovrebbero fare un autentico balzo in avanti. Soprattutto in paesi come l'Italia. Capacità di lavorare in gruppo, capacità di autorganizzarsi, abilità nel risolvere tutti i problemi che vengono a portata di mano, saper costruire relazioni con fornitori, colleghi e clienti o utenti, anche questo insomma si dovrebbe insegnare ed apprendere oggi a scuola e con maggiore efficacia. Il libro racconta di come si entra e si sta nel mondo del lavoro, racconta del demansionamento, ma soprattutto della imprenditorializzazione del lavoro dipendente, della necessità di potenziare o addirittura di costruire una vera e propria etica del lavoro. Sono queste le idee su cui si dovrebbero ridefinire, secondo gli autori, i processi formativi anche nel nostro paese. Insomma il libro sostiene una visione della scuola, che si riorganizzi a partire dalle esigenze di chi si vuole immettere sul mercato e farci una discreta figura.
Il libro fornisce anche utili suggerimenti su come scegliere la scuola migliore, ma dice anche che si deve coltivare la passione per il lavoro e che si debbono seguire anche le vie del cuore oltre che quelle della ragione. Certo sapendo che questo va fatto con giudizio e con metodo.
Gustoso il decalogo finale dedicato a ragazzi e famiglie, di cui riporto semplificandolo il punto 4: “Abbandonate le comodità e ricercate le difficoltà. Imparerete un sacco di cose in più”. Questo suggerimento è davvero formativo. Peccato che sia troppo poco perseguito dai nostri figli (ma, diciamocelo con franchezza, anche da molti di noi adulti).
Insomma si tratta di un testo ricco di spunti e riflessioni, da tenere sottomano e su cui meditare.  Lo sconsiglio però a tutti  quelli che aspettano che siano gli altri e più in generale lo Stato a risolvere i loro problemi. Invece lo suggerisco ai dirigenti scolastici. E a chi voglia riflettere fuori dagli schemi sul rapporto tra scuola e mondo del lavoro. Ovviamente ci sono anche aspetti del libro che non mi convincono e alcune parti un po' ripetitive e scontate. Ma nell'insieme vale la fatica della lettura.

lunedì 10 agosto 2015

RENZI, LA BALENA ROSA E LE MAGGIORANZE VARIABILI. RIFLESSIONI A CALDO.

Una domanda si aggira per l'Europa: Dove va e che cosa ha in mente esattamente il leader Renzi? Prima risposta: Il leader della balena rosa, alias il Pd, va dove lo porta il cuore ovvero verso una gestione possibile del paese e dei problemi che gli piombano quotidianamente addosso, il tutto in forma compatibile con l'evoluzione disordinata del sistema-mondo in cui Little Italy è inserita e con le numerose e gravi tare che il country si trascina dietro (molta criminalità, troppa abitudine ai privilegi e poco senso civico in primis). SuperMatteo cerca di far ripartire l'economia e lo fa come può e con chi può, tenendo presente che il suo partito, la balena rosa, che assomiglia sempre di più alla vecchia dc, ma con qualche sfumatura di sinistra in più, lo sostiene, in parlamento, solo al 70 o al massimo all'80 per cento. Inoltre in Parlamento (che visto dall'esterno sembra un'autentica gabbia di matti) non ci sono maggioranze facili e stabili. Da qui perciò sono nati non solo l'accordo strategico e strutturale con il centro destra del morituro Alfano, ma anche il patto del Nazareno col mezzo risorto Berlusca, le trattative con l'ipercinetico Verdini e altro di cui non sappiamo ma che di sicuro il boyscout fiorentino si sta inventando (gli accordi imprevedibili e le sparate contro i sindacati costituiscono il suo vero capolavoro politico). Il machiavellico ragazzaccio, che gode di un notevole consenso popolare, si muove in maniera spregiudicata e pragmatica, in un contesto molto conservatore, cercando di tenere sé e il suo partito al centro del gioco politico nazionale, in una situazione come sempre molto incasinata e confusa. Per resistere usa maggioranze variabili, indispensabili di volta in volta per superare le trappole di cui è pieno il gioco parlamentare e politico. Sembra un neogiolittiano in un'Italia post-moderna. Ma al di là di una generica modernizzazione e dei buoni propositi che strizzano gli occhi ad una piazza spinta al forcaiolismo dalla crisi economica e del ridimensionamento dell'assistenzialismo statale, al di là di un europeismo di necessità e del tentativo di rafforzare la presidenza del consiglio a scapito del Parlamento, non c'è e non ci può essere con lui (e nemmeno con qualcun altro) un disegno politico chiaro e coerente. Per ragioni di peso specifico di Little Italy e per ragioni culturali. Le grandi "narrazioni" sono davvero finite. E con loro i grandi progetti. Per questo i leader e gli aspiranti tali possono solo darci l'illusione di avere in mente un disegno intelligente. Ma la verità (che non vogliamo assolutanente sentirci dire) è che di fatto si accontentano di adattarsi alla complicata realtà che vivono e alla quale darwinianamente tentano di adeguarsi al meglio (almeno per loro). E tuttavia la sensazione è che dentro il machiavellico Renzi abiti anche un furbo boyscout cresciuto, almeno in parte, all'ombra della parrocchia e della Chiesa. Se questa ipotesi è plausibile, ecco allora far capolino l'idea di una narrazione più complessa, se non forte. Naturalmente di ispirazione cattolica, per quanto poco sbandierata. Ed è questa a fornire un senso più ampio al convulso agitarsi del prode Matteo. Questo dna cattolico lascia infatti intravede tra gli antenati del giovanotto di Rignano non solo il messianico La Pira e quell'attivissimo toscano che fu Amintore Fanfani, ma anche l'astuto e purtroppo sfortunato Aldo Moro. Pare insomma di intuire che, zitto zitto, SuperMatteo incarni anche il ritorno ad una centralità cattolica che oggi, in un Italia smarrita, popolata da comici e brancaleonici politici, asfaltata per sempre la sinistra laica, rappresenta comunque un approdo politico serio, in perfetta continuità con la più forte e longeva tradizione culturale del Paese. Di sicuro è stato il disegno cattolico, tratteggiato in maniera leggera ma sicura, a fagocitare nel ventre di un balena bianca ora diventata rosa i frastornati nipotini di Gramsci e di Togliatti (molti dei quali non hanno ancora capito da quale tsunami sono stati travolti), a tenere a bada i rincitrulliti bisnipoti del duce e a imbrigliare una destra senza più arte ne' parte. Un disegno politico certo volitivamente voluto da Matteo ma indubbiamente aiutato da molti amici e benedetto dalla Provvidenza, che però dispettosamente, almeno per chi scrive, tiene in vita anche grillini e leghisti, imbarbarendo così la nostra sempre più stralunata e incomprensibile vita politica nazionale e locale. Sulla durata però del progetto catto-renziano, non avendo imbeccate dall'Alto, non è possibile fare pronostici seri. Certo, SuperMatteo, che ha l'aria di un grande imbonitore, ci sa fare: ma sembra questa l'unica immarcescibile certezza di cui oggi si dispone.

BIBLIOLANDIA E' LA RETE TOSCANA A PIU' ALTA INTEGRAZIONE DI PRESTITI


Che vuol dire questa frase astrusa? Ce lo spiega l'ultimo rapporto della Regione Toscana sulle Biblioteche (Rapporto 2012-2014). Dice la Regione che nella Rete Bibliolandia i libri che ciascuna biblioteca presta ai propri utenti prendendoli dalle biblioteche della Rete è il doppio della media di quello che realizzano le altre biblioteche toscane. Insomma la Rete Bibliolandia è quella che più di tutte le Reti funziona come se fosse un'unica grande biblioteca e presta libri a tutti i propri utenti i quali nemmeno si accorgono da quale biblioteca arrivano. Glieli porta Bibliolandia. Per noi pisani, di solito sempre un po' scompaginati, è un bel primato. Per approfondire, basta leggere le pagine 48-51 del Rapporto sulle Biblioteche (sul sito ufficiale della Regione Toscana).

sabato 8 agosto 2015

BIBLIOTECHE PROVINCIALI, UNO SPIRAGLIO DI LUCE

L'approvazione del maxiemendamento al decreto legge 78/2015 sugli enti locali, avvenuta nei giorni scorsi prima al Senato e poi alla Camera, introduce un bello spiraglio di luce per le magnifiche sorti e progressive delle nostre biblioteche provinciali, e, per quanto ci riguarda, per la importante biblioteca provinciale pisana, che aderisce alla Rete Bibliolandia e finora era stata lasciata nel limbo in attesa di sapere cosa farne. Cosa dice in particolare l'emendamento all'art. 16 del dl 78, ora diventato legge operativa? Due cose molto interessanti. Una rispetto al patrimonio documentario, l'altra rispetto al personale.
Il patrimonio e l'immobile che lo contiene possono entrare a far parte del patrimonio dello stato e se entro il 31 ottobre p.v. il ministro Franceschini decide con un decreto che lo vuol fare, il patrimonio documentario della biblioteca provinciale di Pisa diventerà dello Stato. Naturalmente servirà un accordo con la destruttutanda Provincia di Pisa, ma questo, I suppose, non dovrebbe costituire un problema (tuttavia incrocio le dita). Ovviamente può darsi che il patrimonio della biblioteca provinciale venga assegnato ad una biblioteca statale già presente su Pisa, tipo la Biblioteca Universitaria Pisana (che contrariamente a cio' che dice il nome è una biblioteca statale che fa capo al MiBACT), oppure venga assegnato all'archivio di stato di Pisa. Ma questi sono al momento dettagli su cui non conviene soffermarsi.
Vediano invece il nodo del personale. Bene, anche qui, sempre in virtù del medesimo maxiemendamento, ormai diventato legge dello Stato, se il ministro Franceschini vorrà, il personale della biblioteca provinciale verrà traghettato, mediante procedura di mobilità, verso il MiBACT e questo potrebbe destinarlo alla gestione della biblioteca provinciale affidata, come organo esterno, ad una istituzione tra quelle indicate sopra.
Sono sicuro che le cose non andranno così lisce e che per la legge di Murphy tutto quello che potrà andar male lo farà. Ma almeno sulla carta il maxiemendamento su cui ha messo le mani lo stesso ministro Franceschini (che il santo protettore degli archivi e delle biblioteche gliene renda merito) non è stato architettato male. Certo, come al solito, ci sono da fare accordi e poi nuovi decreti, ma questo dl 78/2015 per le biblioteche provinciali e per gli archivi di stato (di cui dirò a parte) rappresenta uno spiraglio di luce, che può illuminare il sentiero professionale degli archivisti e dei bibliotecari di buona volontà e dei loro utenti, i ricercatori, che di archivi e biblioteche hanno bisogno per lavorare seriamente.

mercoledì 5 agosto 2015

WIFI NELLE BIBLIOTECHE STATALI. UN GRANDE BALZO CULTURALE IN AVANTI
Procura un enorme sollievo, in questa afosa estate italiana, sapere con assoluta certezza che, grazie alla riforma della Pubblica Amministrazione approvata in questi giorni dal Parlamento, che per essere realizzata richiederà l'approvazione di un miriade di decreti , nel 2017 o al più tardi nel 2018 le principali biblioteche statali saranno dotate di sistemi wifi, i quali, quando le biblioteche saranno chiuse, funzioneranno anche da hotspot per tutti i cittadini che passeranno nei pressi degli edifici. Resta qualche incertezza sui finanziamenti e sulla compatibilità di questa spesa con i futuri equilibri di bilancio, ma complessivamente si respira un'aria di ottimismo rispetto ad un progetto che rappresenta un grande balzo culturale in avanti. Pare quindi che gli universitari italiani si siano dichiarati estasiati di questa parte della riforma che dotera' i più fuori corso di loro di adeguate risorse informatiche prima della benedetta laurea. Solo a Pisa, dove la biblioteca statale sarà riaperta dopo il 2018 (ma sono in pochi a credere a questa profezia), gli studenti hanno sostenuto di non essere interessati alla notizia. Infatti sperano di laurearsi prima.

martedì 4 agosto 2015

L'EUROFOBIA DIFFUSA NELLE NOSTRE OPINIONI PUBBLICHE DA COSA DERIVA?
A questa domanda Lucio Caracciolo, direttore di LIMES ed esperto di questioni internazionali, sulla Repubblica di ieri 3/8 risponde che "è figlia dell'elitismo europeista" e non del populismo e del nazionalismo che stanno riprendendo forza in tutti i paesi europei. "Il paternalismo illuminato dei fondatori -continua Caracciolo- è scaduto nei loro epigoni a brutale autoritarismo. Si è perso il senso dell'Europa, ridotto a ripetitive formulette che non parlano più a nessuno". Ok, lo capisco che fare un ragionamento sensato in 2000 battute anche per esperti è difficile. Ma se anche persone competenti ed esperte scrivono sui giornali formulette come quelle riportate tra virgolette, non è solo la complessa idea di Europa ad essere strapazzata, ma è la comprensione culturale del fenomeno europeo ad essere resa impossibile.
EDGAR MORIN, INSEGNARE A VIVERE.

OK, il titolo è un pò altisonante. Forse risponde ad un'esigenza di marketing editoriale più che ad una scelta dell'autore. Ma nell'insieme il volumetto di poco più di 100 pagine di riflessioni su cosa debba insegnare oggi la scuola e che è intitolato "Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione" (Cortina Raffaello, 2015, 115 p, 11€), vale la pena di essere letto e meditato proprio per la promessa/pretesa utopica contenuta nel titolo. Non per trarne spunti sulle cose da insegnare, ma per meditare su come insegnare, su come imparare ad apprendere e su come mettere in dubbio e rivedere periodicamente le proprie certezze, incluse quelle professionali sull'educazione e sull'insegnamento. Il mondo cambia troppo in fretta perché la scuola possa innovare continuamente curricoli, contenuti e argomenti. Allora l'importante forse è che sappia investire sugli insegnanti e sui ragazzi e alla fine sappia aiutare gli studenti a crescere e ad affrontare le responsabilità del mondo e della vita, incluse ovviamente quelle collegate all'ingresso nel mondo del lavoro.
Confesso che non sono un seguace di Morin, e di aver letto poco di lui, pur conoscendone per sommi capi la biografia. Il volumetto riassume di sicuro idee che Morin ha disseminato in una bibliografia imponente e vasta, in larga parte disponibile anche in italiano. Quindi per i lettori "anziani" e che conoscono il pensatore forse non ci saranno in questo piccolo volume novità sorprendenti. Ma per i giovani lettori, per i giovani insegnanti, per quelli che vogliono non solo entrare in cattedra, ma "insegnare ai ragazzi", per loro risulterà una lettura assai utile oltre che molto interessante.
PS. Si tratta di un libro per teste pensanti e per persone a cui piaccia essere spiazzati e sfidati, uscendo dalla routine delle idee quotidiane.

lunedì 3 agosto 2015

GERMANIA, ITALIA E UNIONE EUROPEA. UN BEL LIBRO DI ANGELO BOLAFFI.
Ho letto in questi giorni il libro che Angelo Bolaffi ha intitolato "Cuore tedesco. Il modello Germania, l'Italia e la crisi europea", Donzelli, 2013, pp. 288. Tratta dell'intricato e affascinate rapporto tra Germania, Italia ed istituzioni europee. Senza dubbio è anche la riprova che i libri restano lo strumento conoscitivo migliore per avere una visione più complessa e meno distorta delle cose e delle relazioni. E la lettura delle mille sfumature di tedesco e di Europa che Bolaffi, buon conoscitore dell'argomento, ci propone è una specie di goduria per la mente che viene stimolata a leggere il rapporto Germania/Europa da molti punti di vista, mai banali, alcuni dei quali inediti. Il libro ci fa anche capire che se la discussione su questo tema rimarrà a livello dei soli giornali,  resterà rozza, semplificata ed infarcita di stereotipi. Resterà inficiata da nazionalismi, da punti di vista locali e da quella arroganza che spinge ad urlare i diversi punti di vista anziché a confrontarli. Ma per chi ha tempo per leggere e voglia di capire, Bolaffi racconta il punto di vista della Germania su se stessa e sull'Europa e descrive con lucidità le caratteristiche di quel capitalismo "renano" che sta mietendo risultati interessanti anche in questo periodo di crisi e che i tedeschi propongono come modello agli europei. Bolaffi argomenta di una Germania che mantiene un forte senso di colpa rispetto alla seconda guerra mondiale e alla shoah, ma che riesce anche a guardare avanti.
Spiega anche di una Germania che non sembra tentata dal desiderio di egemonizzare il continente, nè di volersi giocare rivincite di alcun tipo. Semmai Bolaffi vede una Germania che riflette sull'ipotesi di disimpegnarsi dall'Europa, perché il progetto europeo, dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell'impero russo è cambiato ed è diventato più complesso e difficile da gestire. Anche per un paese forte come quello tedesco.
Il libro entra anche nelle vicende dell'euro e fornisce una spiegazione interessante delle scelte monetarie tedesche ed europee. Ovviamente molte delle annotazioni di Bolaffi potranno suonare discutibili se invece di assumere un atteggiamento amichevole verso la Germania  (come fa Bolaffi) se ne assume uno ostile e prudenziale, come accade ai principali quotidiani europei che riflettono i sentimenti di molti dei loro lettori. Ma il valore ed il coraggio del libro, fuer mich, sta anche nel saper navigare contro corrente, nel combattere gli stereotipi antitedeschi e antiMerkel, portando argomenti e cercando di approfondire i problemi, anziché lanciare indiscutibili verità. Mi auguro che il libro di Bolaffi trovi molti lettori, anche perché l'Europa senza tanti lettori forti e che pensano con la loro testa non si farà. Ci scommetterei.

domenica 2 agosto 2015

GUIDA GALATTICA PER AUTOSTOPPISTI
Confesso di aver letto solo nei giorni scorsi il romanzo, per alcuni "culto", di Douglas Adams, "Guida galattica per autostoppisti". Devo dire che trovo alcune battute del libro esilaranti e che mi sono affezionato subito a due idee a mio avviso condivibili ma poco meditate. La prima: l'homo sapiens non è la specie vivente più sapiens del pianeta Terra. La seconda: dal punto di vista delle galassie e degli altri pianeti dell'universo, tutto quello che sta nello spazio e nel tempo e nelle altre dimensioni che non conoscismo, la Terra è un pianeta "innocuo". Anzi, secondo l'aggiornamento di Ford Prefect, "fondamentalmente innocuo". La terza riguarda Zaphod, un presidente del governo della Galassie così moderno e attuale per noi italioti. Poi ci sono anche tante altre chicche e.. di sicuro il testo merita di essere letto. Ringrazio mio figlio che ha tenuto per anni il libro di Adams in bookcrossing in bagno e ha insistito con me, sia pure con garbo, perché lo leggessi.

sabato 1 agosto 2015

CARO SAVIANO IL SUD NON PUÒ SALVARLO UN RENZI SUPERMAN MA SOLO IL CORAGGIO, IL TALENTO, LE IDEE E I SOLDI DELLE DONNE E DEGLI UOMINI DEL SUD

No, caro Roberto, la lettera da lei indirizzata al nostro amato giovane premier, comparsa su La Repubblica del 1° agosto, non è l'ultima di un romantica serie di lettere meridionali. È un testo vistosamente retro', con quel filo che strappa forse la lacrima, ma che usato come argomento retorico nel 2015 suscita, almeno in alcuni, un sentimento opposto. È una lettera con poco senso storico e, mi perdoni, senza una vera comprensione di quello che sta accadendo oggi. In Italia e nel suo stupefacente far west meridionale.
Che un Renzi superman intervenendo in tempo, subito,  con un decreto urgente da approvare in consiglio dei ministri, prima di ferragosto, non si sa con quali risorse, nè  per investirle dove, possa davvero salvare il nostro mezzogiorno, via, non lo può crede più nessuno. Temo non lo creda nemmeno lei, quando la mattina si fa la barba, da solo, in bagno, e può confrontarsi con la crudita' consapevole dei suoi veri pensieri.
Nella sua lettera poi ci sono idee che non avrei immaginato potesse far sue. Una per tutte. Ma per quale ragione ad esempio la diminuzione della natalità del mezzogiorno (che credo resti comunque superiore a quelle dalla mia Toscana) sarebbe un male in un mondo già affollato da più di 7 miliardi di individui? Fare molti figli come conigli è oggi oggetto di riflessione perfino nelle più tradizionali sedi religiose. Allora perché lei rispolvera la forza e l'indice della natalità di buonanima memoria per chiedere più risorse per il Sud? Ma che argomento è? Ha mai letto le riflessioni del politologo Sartori su questo tema? O quelle di molti scienziati che sostengono che il peso demografico potrebbe essere un problema per il pianeta e per le aree depresse nello specifico?
Quanto all'idea che il Sud abbia bisogno per tornare a crescere di forti investimenti esterni di per sé non è sbagliata, ma quando si hanno regioni amministrate come quelle meridionali, da classi dirigenti meridionali, che non riescono nemmeno a spendere una parte delle risorse che l'Europa ha destinato alle regioni meridionali, è evidente che il problema è interno alle regioni del sud più che alle risorse esterne. Hai voglia di buttar soldi, se li butti nel deserto.
Temo che anche lei abbia chiaro che il Sud lo possono salvare solo il coraggio, il talento, le idee e i soldi degli uomini e delle donne del Sud. Perchè è doloroso dirlo ma la criticità di queste regioni non sta nell'assenza dello stato (o come dice Svimez in questi giorni nell'assenza dell'Europa, o nella fine del piano Marshall, o nella crisi irreversibile dello stato assistenziale, e, perchè  no?, nella crisi dell'Onu), quanto piuttosto nella fragilità della società civile meridionale, come suggeriscono studi ormai consolidati e condivisi nell'ambito della letteratura scientifica internazionale sulle regioni e sulle aree che non riescono a crescere. E per superare questa fragilità, altro che Renzi ci vuole!
No, non credo proprio che Renzi potrà far completare al meglio la Salerno - Reggio Calabria e mantenerla in perfetta efficienza. Nè potrà far funzionare meglio lo Stato in certe Regioni piuttosto che in altre. L'idea che esce dalla sua lettera a Renzi pubblicata oggi su Repubblica ovvero che un brav'uomo solo al comando di un popolo possa cambiare le caratteristiche di quel popolo e di quei territori, sopratutto se hanno molti problemi, compreso quello di un forte livello di criminalità e forse di un modesto senso civico, rivela un pensiero ingenuo che, mi perdoni, ma non oso attribuirle.
Mi sono fatto di lei l'idea di uno scrittore che coglie e restituisce la complessità tragica della società contemporanea e dei rapporti sociali che la innervano.
Una lettera come quella inviata a Renzi ha invece un pò il sapore di un letterina inviata a Babbo Natale. La si può scrivere e spedire, certo. Ma quando a scriverla è l'autore di "Gomorra", c'è qualcosa che stride. Qualcosa che non torna. Almeno per me. Cordialmente, Roberto.