Lette le anticipazioni del testo di Massini apparse su la Repubblica, letta la versione a stampa della ballata di Donald uscita per i tipi di Einaudi, il monologo non mi è arrivato addosso inaspettato. Avevo sperato in meglio, ma non mi sono stupito che lo spettacolo non riuscisse mai a decollare e alla fine terminasse con l’appello alle formichine che ho trovato uggiosamente scontato.
Un attore solo al comando ha infatti raccontato la storia di Trump (colto nella fase prima di entrare nel mondo delle TV e prima di scalare non una ma ben due volte la Casa Bianca) limitandosi a confermare più che la “banalità” verrebbe da dire la “stupidità” del male, tipico di una società e di una umanità fortemente orientata agli affari.
Ma ripetuto più volte il refrain del golden boy e pur cercando di introdurre battute e situazioni alla Brecht, alla Dario Fo e alla Marchese del Grillo, il monologo di Stefano Massini non cattura mai e in un’ora e mezza non strappa che pochi applausi e qualche sorrisetto ad un sala amica per fortuna gremita fino all’inverosimile.
Neppure le trovate sceniche (come la costruzione del flipper e della Trump Tower) e la musica dal vivo che accompagnano il monologo aiutano gli spettatori a stare svegli e a seguire la storia che narra di un narcisista fraudolento patologico che è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti a colpi di furbate e truffe. Perché il succo è questo. Ed è un po' poco.
E la sensazione è che neppure un pubblico ideologicamente antitrumpiano, come quello pontederese, abbia apprezzato più di tanto lo spettacolo e il personaggio che forse andava scavato di più e costruito meglio, aggredendo il nocciolo vero che è l'ascesa al potere mondiale. Perché Trump questo ha fatto: ha scalato la prima grande potenza del mondo. Ha messo le mani sulla valigetta atomica.
Ovviamente Massini è un grande attore e per oltre un’ora e mezzo si è mosso come un gatto mammone sulla scena tenendo la sua preda tra i denti. E con Trump ha davvero giocato come il gatto con il topo. Regalando certo qualche battuta allusiva, ma emozionando poco e alla fine senza davvero fare capire al pubblico come ha fatto questo biondo megalomane a conquistare l’anima e il voto di circa 80 milioni di elettori americani per ben due volte. E da dove gli venga l’impulso a trasformare una democrazia imperfetta come quella statunitense in una monarchia imperialista.
Uno spettacolo che delude culturalmente e politicamente. Una rappresentazione che gigioneggia ma non graffia, né morde. Un teatro senza forza su un tema (quello della natura degli uomini di potere) troppo trattato in letteratura per potersi permettere di dire così poco come accade in questo Donald.
Eppure se il racconto è insufficiente, la prova di attore di Massini è invece superlativa. Il mattatore del palcoscenico c’è. E si è visto benissimo. Ma la bravura attoriale (e il narcisismo che l’accompagna) non colma la fragilità di uno spettacolo per lo più monocromatico che non riesce mai ad afferrare il cuore del suo personaggio e a metterlo nelle mani degli spettatori, come l’autore-e-regista, oltre che attore unico, ambirebbe a fare.
Forse quello prodotto dal Teatro della Toscana, in collaborazione col Piccolo di Milano, è uno spettacolo troppo ambizioso che non raggiunge la vetta e che alla fine diventa un po' noioso, ripetitivo e strappa, almeno allo scrivente, irrefrenabili sbadigli.
Oddio, magari tradotto in inglese e allestito a New York o a Londra lo spettacolo potrebbe produrre una sensazione diversa. E forse Massini, autore giustamente internazionale, è proprio a quel pubblico che ha pensato nel costruire questa performance.
Tornando però a Pontedera, si, certo, alla fine (ma solo alla fine) in sala gli applausi non sono mancati. Ma erano applausi antitrumpiani e forse antimeloniani o di apprezzamento per lo spettacolo teatrale? O erano un tributo all’intensa e faticosa prova di attore del cinquantenne Massini?
Difficile rispondere con sicurezza.
Certo Massini non aggiunge davvero nulla al bombardamento di trumpate a cui noi formichine siamo quotidianamente sottoposte in questo paese vassallo dell’imperatore. Né ci fornisce alcun antidoto alla barbarie mondiale che avanza. Ma di questo non gli si può fare certo una colpa.
Ma un'ultima cosa vorrei infine che fosse chiara: ce ne fossero di autori, attori e registi come Massini. E la Pergola e Pontedera sono fortunati ad averlo anche come direttore artistico e uomo immagine del Teatro della Toscana.
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