domenica 31 dicembre 2023

OCCORRE RECUPERARE LA CURTATONE

Un fantasma si aggira nel cuore di Pontedera. È il fantasma della ex scuola Curtatone. LA CURTATONE. L’edificio storico, costruito a fine ‘800, in piazza Garibaldi, è stato abbandonato in fretta e furia nel luglio del 2021, senza che nessun terremoto lo lesionasse, perché uno studio (che non mi risulta sia mai stato reso pubblico dal Comune, io l’ho cercato sul sito web del Comune, ma senza trovarlo), lo dichiarava a rischio sismico.

Il 15 luglio 2021 l’Amministrazione comunale scrisse che avrebbe avviato, oltre la ricerca di un nuovo edificio scolastico, “il procedimento per affidare la progettazione esecutiva della messa in sicurezza della Curtatone”.

Invece, trovato il nuovo edificio, sulla Curtatone è calato un silenzio tombale.

Due anni e mezzo dopo, LA CURTATONE è sparita dai radar cittadini e non ci sono atti pubblici concreti e noti che ci dicano che l'Amministrazione abbia avviato il percorso per metterla in sicurezza. 

Buio pesto quindi sui tempi e i costi dell’operazione di messa in sicurezza.

Buio pesto su cosa farci o su chi ospitare nella ex scuola.

Questo, in soldoni, vuol dire che almeno per altri 7 o 8 se non 10 anni quell’immobile rimarrà vuoto, inutilizzato e sottoposto a degrado e tutte le chiacchiere su cosa farne saranno solo ARIA FRITTA.

L’unica certezza è che un altro EDIFICIO FANTASMA, di cui nessuno sentiva il bisogno, popolerà la città per diversi anni.

Speriamo almeno che gli ex allievi e gli ex docenti de LA CURTATONE si uniscano in un comitato per coltivarne la memoria e soprattutto battersi per stimolare chi di dovere a ripararla e a darle nuova vita, magari insieme a chi gestisce attività economiche e commerciali nella zona. 

In alternativa dovremo sperare che qualche soggetto economicamente forte si faccia avanti per comprare LA CURTATONE e la utilizzi per ragioni private. Ma l’intervento sulla sua fragilità sismica non renderà facile questa opzione.

Si potrebbe poi sperare in un intervento del FAI.

In quel caso sarebbe come vincere alla lotteria. Ma saremo così fortunati?

domenica 24 dicembre 2023

PASOLINI SECONDO GERMANO E TEARDO

 Si, Germano ha una voce incantevole, che usa con grande maestria. Ma per dirci cosa? Quello infatti che non ho capito bene del “Sogno di una cosa” da lui rappresentato venerdì sera al Teatro Era di Pontedera è quale sia il senso della selezione dei testi operata da Germano e cosa intenda dirci sull’oggi riprendendo un lavoro scritto tra il ‘48 e il 52 e pubblicato nel ‘62 da quel grande vate di sinistra che è stato ed è tuttora Pasolini.

Perché chiedere a 400 abitanti della provincia di Pisa e dell’empolese di mettersi in macchina, venire a Pontedera in una serata umida e pagare un biglietto? Per incuriosirli a riflettere su cosa, esattamente?

Su alcune storie di gioventù del poverissimo Friuli dell’immediato secondo dopoguerra?

Sulle speranze e le illusioni di quegli anni che inevitabilmente travolsero anche il giovane scrittore di Casarsa?

Su un Pasolini che non pare, almeno dai brani letti, poi tanto diverso da un Pratolini o da un Cassola?

Era davvero così Pasolini in quel 1948 o è Germano che un po’ lo appiattisce?

Francamente non saprei rispondere. Non ho letto quel testo di Pasolini. Né lo spettacolo mi stimola a cercarlo.

Aggiungo che non ho trovato Germano noioso (anche se un paio di amiche mi hanno detto di essersi assopite), neppure oscuro. Semmai l’ho percepito privo di forza, un po' amorfo, senza un’ anima riconoscibile. Senza un nocciolo, a parte il vitalismo giovanile, la critica sociale e una qualche insofferenza che torneranno in tutte le successive opere di Pasolini. Ma non è troppo poco per montarci su uno spettacolo di un’oretta scarsa? Che poi spettacolo vero non è, essendo alla fine una lettura statica fatta dal solo Germano con qualche inserto sonoro e un po' di musica. 

Tuttavia m’è sorto un dubbio. Che sia stato io a non capirci niente? Magari gli altri lo hanno trovato intenso e affascinante, come suggeriva, non richiesta, un’esuberante livornese di mezz’età, con una mise da teen ager degli anni ‘80, seduta proprio accanto a me.

Boh!

Così ho lanciato un'indagine tra una decina di amiche e amici presenti in teatro. Spiace dirlo, ma la maggioranza di loro non ha apprezzato molto la recita.

Sia chiaro, l’arte non è e non deve essere democratica e non va sottoposta al voto dei professori. Il consenso in questo campo non è necessario. L’opera può essere anche provocatoria. Spiazzante. Urticante. Pesante. Pensata per allargare la mente degli altri. Ma in questa lettura pasoliniana di provocatorio non c’era un bel nulla.

Un tempo gli spettacoli così, se si era pagato il biglietto, si aveva il diritto di fischiarli. E almeno qualche loggionista incontentabile questo diritto se lo sarebbe preso.

Ieri sera l’Umarel che è in me non ha fischiato, ma avrebbe tanto voluto farlo. Per dire a Germano, puoi fare di meglio. Anzi, se ti cimenti con Pasolini, dovresti fare di meglio. Se vuoi che il pubblico ti venga a sentire, devi donare qualcosa di più della tua voce.

Per altro l’interpretazione che Germano portò nella scorsa stagione del 33esimo canto del Paradiso di Dante (pur senza essere stata entusiasmante) era stata di ben altro spessore. Più impegnativa per lo spettatore, ma almeno aveva forza comunicativa, mostrava coraggio, capacità scenica, qualche trovata, anche sonora. Qui, nonostante Teardo, niente di tutto quello. Neppure dal punto di vista sonoro. Uno spettacolo tutto al risparmio. Un discreto piattume perfettamente esemplificato dalla postazione fissa dietro cui i due performer si sono esibiti.

Si, uno spettacolo che meritava i fischi.

Ma per sfortuna del Teatro oggi il pubblico è buonista e ingoia di tutto.

Certo il tiepido applauso finale dei molti  presenti venerdi sera è stato tardivo, incerto e breve e il sipario è stato chiuso quasi subito, senza riaprirsi più.

Ed essendo Umarel' seduto proprio sotto il palco non gli pare di aver intravisto nel volto di Germano una grande soddisfazione per come era andata la recita. No, “il sogno di una cosa” non ha funzionato, almeno venerdì sera a Pontedera.


venerdì 22 dicembre 2023

BIBLIO GRONCHI: LOCALI AFFITTASI!

Biblio Gronchi sempre più in stato confusionale. Non solo nel 2023 ha perso ancora circa il 30% di prestiti librari su scala annuale rispetto al 2019,non solo non ha riparato il muro da cui piove dentro la sede; non soltanto non ha recuperato presenze significative di studenti nelle aule di studio rispetto al precoviid, non solo ha ridimensionato il ruolo della biblioteca ragazzi e di molti altri suoi servizi culturali (archivio storico, archivio fotografico, ecc), non solo ospita da un anno una postazione della segreteria universitaria (per altro in una situazione da profughi, nell’ingresso, senza un minimo di privacy, accanto alla bancarella libri), ma adesso ha concesso in affitto 3 giorni alla settimana l’auditorium De Martini ad un istituto scolastico. E non per un periodo temporaneo o per ragioni di emergenza della scuola stessa. 

No, non c'è nessuna emergenza scolastica. Si tratta di una scelta strutturale e duratura che ipoteca un pezzo del futuro della biblioteca a favore di una scuola privata. Tanto dell’auditorium non sanno che farne. Lo usano poco. Tutto qui. Obiettivo del Comune ottenere un po' di soldi, 5 o 6000 euro all’anno forse (la determina che approva questa scelta, la n. 1190/2023, e che dovrebbe accertare le somme non le quantifica annualmente) e soprattutto fare un favore ad un prestigioso istituto scolastico privato che cresce, ha bisogno di spazi e, resosi conto della debolezza della biblioteca, si accaparra un luogo e un’istituzione affogata tra i ponteggi e in palese confusione gestionale. Infatti la convenzione con l’istituto scolastico è addirittura quadriennale, ovvero copre un periodo, dal 2024 al 2027,  in cui questa amministrazione comunale potrebbe non essere più nemmeno in sella, compresa la funzionaria che ha sottoscritto l’atto. Un atto che sostanzialmente conferma, se ce ne fosse bisogno, che per questa giunta Biblio GRONCHI è un peso e un’ansia; che gli importa poco se attira pubblico adulto o no; che non intende fare niente per recuperare lettori in sede, cercando di tornare alle frequentazioni del livelli pre-covid; che gliene importa poco dei giovani universitari; che gliene importa ancora meno di ritessere relazioni con le numerose associazioni cittadine con le quali negli anni pre-covid erano stati costruiti molti eventi nell’auditorium. Perciò se viene qualcuno che, al posto loro, sa come utilizzarne gli spazi della biblioteca (anche se non per ragioni di pubblica lettura e anche se questa scelta esclusiva preclude ad altre associazioni culturali cittadine di fare altrettanto), e questo qualcuno offre un po' di soldi al Comune in cambio dell’uso dell’auditorium, ben venga, si accomodi.

Certo, per salvare la faccia, nella convenzione si dice che se proprio la biblioteca avrà bisogno qualche volta dell’auditorium nei tre giorni affittati potrà ottenerlo mettendosi d’accordo con l'istituto scolastico. Che diamine, in fondo in fondo è pur sempre un bene (?) comunale.

giovedì 21 dicembre 2023

MARCONCINI METTE IN SCENA LA FIGLIA DI IORIO

Non è una riscrittura del dramma dannunziano. E' una scarnificazione de “La figlia di Iorio” e una lettura che ha cercato dentro le parole del Vate il nocciolo della questione. Qualcosa che la contemporaneità potesse vedere, comprendere e odiare. Un nocciolo duro e doloroso che ancora sopravvive alla trasformazione di una società agricola, poi industriale e ora dei servizi; qualcosa che ha radici profonde e che caratterizza certe famiglie, certi rapporti patriarcali, certe relazioni sociali malate. Anche in un Occidente ormai secolarizzato. E' questo che il grande regista pontederese, Dario Marconcini, ho costruito e ci ha regalato. Scavando in un autore lontanissimo dalla sua sensibilità. Un autore certamente da lui (e molti di noi) poco amato.

Questa messa in scena, in un atto solo, del lungo dramma di Aligi e Mila, uscita in prima nazionale a Buti e ieri sera felicemente approdata al Teatro Era, qui a Pontedera, contiene tante cose e tante emozioni che proverò a sintetizzare in poche parole.
Per prima cosa sono rimasto colpito dalla sottolineatura del valore del teatro povero e semplice. Marconcini ha fatto una rappresentazione con mezzi poveri ma efficaci, dando davvero un bell’esempio.
E poi il rapporto speciale tra lo spettacolo, il regista e il pubblico. Un pubblico decisamente over 60. Almeno per la stragrande maggioranza. Allestito nella sala Cieslak, col suo centinaio di posti scarsi, il pubblico ha infatti finito per circondare la scena e poi quasi per abbracciarla ed entrare a farne parte come una specie di tribunale. Si, Marconcini ha trasformato gli spettatori in una giuria popolare che per un’ora ha ascoltato i testimoni, ne ha soppesato le parole e ha sicuramente respinto in cuore suo la sentenza emessa sul palco. Mila era forse una strega ma era innocente e il padre di Aligi, padrone e violento, meritava la sua fine. O qualcosa del genere.
E ancora il linguaggio. Benché ridotto al minimo, perfino il linguaggio tardo ottocentesco del Vate ha retto alla sintesi e alla ricucitura marconciniana e ha emozionato gli spettatori. Con una superba madre interpretata da Giovanna Daddi, con un giovane ma bravissimo Aligi, impersonato da Leonardo Greco e una altrettanto valida Mila, a cui ha dato l’anima Maria Bacci Pasello, la vicenda e’ avanzata rapida, quasi con passo cinematografico. Pochi quadri, poi il dramma, infine la condanna e il finale.
Insomma con poca scena (replicabile anche in spazi piccoli), con luci essenziali, con attori validi ma dagli stipendi sicuramente modesti, con una rappresentazione dal sapore liturgico che badava ad emozionare e coinvolgere il pubblico e a portarlo in una classica tragedia patriarcale, dove i padri (e chi comandava) poteva disfare i figli e prendersi le donne che voleva, Marconcini ha messo su uno spettacolo davvero pieno di qualità. E di echi lontani. Quante volte, quand’ero piccolo e tremendo, ho sentito mia madre gridarmi: “Bada bimbo, io t’ho fatto e io ti sfaccio”, minaccia dal sapore arcaico e che credo nessun giovane genitore oggi si sentirebbe di ripetere.
E, nella piccola sala piena, il pubblico ha davvero partecipato al dramma e forse come me ha risentito certe frasi che giungevano dalla notte dei tempi. Una notte che purtroppo deve ancora finire di passare. Si, credo proprio che il pubblico si sia riconosciuto nei personaggi, abbia sofferto con loro, abbia sperato in un finale diverso da quello annunciato: o almeno questo è quello che ho provato io.
Qualche sbavatura? Direi di sì. Qualcosa da mettere ancora a punto? Certamente.
Tuttavia, pur individuando anche alcuni limiti, m’è parso di aver assistito ad un piccolo capolavoro, realizzato da una compagnia guidata da un ironico e lucido regista ottuagenario, magicamente annidata nel piccolissimo paese di Buti, che con un colpo di scena (verrebbe da dire teatrale, ma in realtà si è trattato di una vera magia) ha tenuto nella sala piccola del grande Teatro Era la quarta replica di una comprensibilissima lettura della “Figlia di Iorio”. Una replica alla fine della quale il pubblico ha tributato un lungo caloroso applauso agli attori e al regista.
Chissà se questo scarnificato D’Annunzio di Marconcini, con qualche opportuno aggiustamento, sarà riproposto anche alla Pergola o in altri teatri di prestigio su scala nazionale. L’impressione e' che sia una rappresentazione davvero originale e che costituisca uno dei punti più alti dei lavori del regista pontederese, che si è tolto un altro sassolino dalla scarpa ed è andato a confrontarsi con uno degli scrittori più ostici della nostra letteratura nazionale. Bravo Dario!

martedì 19 dicembre 2023

PRESO IN PAROLA

Dato che il sindaco di Pontedera mi ha pubblicamente chiesto di insistere e io ho promesso di accontentarlo, vi riassumo i principali errori della politica culturale di questa amministrazione e del sindaco.

Tutto comincia 5 anni fa, nella campagna elettorale del 2019, quando Franconi dichiara di voler tenere per sé anche l’assessorato alla cultura e di affidare alla Fondazione Cultura la regia tecnica di ciò che si muove nel mondo culturale pontederese. Alcuni suoi elettori (tra cui chi scrive) gli dissero che erano due propositi sbagliati. Il modello pecciolese, a cui sembrava ispirarsi l’allora candidato Franconi, su Pontedera non avrebbe funzionato, per ragioni di scala, di ricchezza e di autonomia dei soggetti culturali cittadini. Tralasciando i poli scolastici e universitari, Pontedera aveva nel 2019 almeno quattro presidi culturali forti (Palp, Biblio Gronchi, Teatro Era e Museo Piaggio) e uno intermedio ma di sicuro rilievo (il Sete Sois), che meritavano una cura e un’attenzione continua. A questi presidi vanno aggiunti l’Agorà versione invernale ed estiva, il Cineplex (privato, ma strategico per il comprensorio), il recente palazzo della musica sul corso Matteotti.
Franconi tirò dritto, ma dopo 5 anni questi presidi culturali (musica a parte) sono tutti in situazioni peggiori rispetto al 2019. Dare la colpa al Covid è una scusa che non regge. Certo, il Covid ha influito, ma sono soprattutto le mosse dall’assessore alla cultura, ovvero dal Sindaco, come ho cercato di dimostrare nei miei ultimi post, che non hanno centrato gli obiettivi e hanno indebolito i presidi.
C’è di più. Pontedera, diversamente da Peccioli, ha almeno una quarantina di organizzazioni culturali che coprono tantissimi settori culturali con i quali l’assessore dovrebbe dialogare, ma non occasionalmente, bensì ascoltando e lavorando sulle proposte delle associazioni e coordinandone le attività. Bene, dopo 5 anni, niente o molto poco di questo è avvenuto. Inoltre la Fondazione cultura a cui il sindaco pensava di affidare un ruolo di regia non solo non l’ha recitato, ma grazie ad alcune scelte dell’assessorato (parlo della giubilazione del duo Modesti & Pampaloni) è stata ulteriormente depotenziata anche sul terreno espositivo (A proposito: che fine hanno fatto il Centro Otello Cirri, l’esperienza dei cantieri dell'Arte, la gestione della Villa Crastan, la collezione di Sergio Vivaldi e le 12 opere di Simon Benetton donate alla città per abbellirla?).
Quanto all'associazionismo culturale cittadino, non si è neppure accorto né dell’esistenza di un assessore alla cultura, né ha avvertito il ruolo della regia della Fondazione. Ha cercato in qualche modo una sponda diretta col Palazzo, ottenendo poco.
Ma c’è di peggio. E il peggio è che l’ufficio cultura in questi 5 anni ha cambiato 3 dirigenti e 3 funzionari direttivi (3 P O.) per finire, da un annetto, nelle competenze di un dirigente che per ragioni contrattuali viene pochi giorni alla settimana nel Palazzo e in compenso ha tantissime incombenze e poco tempo per seguire la cultura. Ma questo continuo farsi e disfarsi dell’ufficio cultura e della struttura amministrativa del settore incide negativamente sul comparto culturale cittadino, produce eventi scadenti e mal finanziati e ci riporta a responsabilità politiche che puntano dritto alle stanze del Sindaco.
Peccato che né sindaco né il PD pontederese abbiano trovato il modo di fare un bilancio né a metà legislatura, né almeno ad inizio 2023 dell’impatto del lavoro amministrativo di questa giunta sulla città. Neppure del comparto culturale. Che di una valutazione seria e concreta avrebbe bisogno. Ma, come suggeriva il maestro Manzi: non sarebbe mai troppo tardi. Per le elezioni c’è ancora tempo.

CHE FINE HA FATTO L’ATELIER DELLA ROBOTICA?

Ero ancora un cinquantenne quando nel Palazzo si cominciò a deliberare qualcosa sull’ATELIER della ROBOTICA. Correva l’anno 2012 e l’attuale presidente del Pontedera Calcio e di Acque spa stava per concludere il suo primo mandato da sindaco. Si progetto’ allora la creazione di un centro servizi per la robotica, con un’attenzione anche per la didattica, affidato alla regia della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e all’Istituto di Biorobotica (attraverso uno specifico braccio operativo, ARTES 4.0), e col coinvolgimento (non ben definito) di una pluralità di soggetti presenti nel Dente Piaggio (troppi per citarli tutti). Il Comune inviò il progetto in Regione. La Giunta regionale valutò e approvò il progetto pontederese e lo cofinanziò (del. 1259/2012). Al cuore del progetto c’era la ristrutturazione di alcuni vecchi capannoni Piaggio, di proprietà comunale, allocati lungo via del Fosso Vecchio, una via stretta, a senso unico, collegata ad un’altra strada trafficatissima, via Roma, e con unico sfogo il parcheggio ospedaliero di piazza Solidarietà, sempre pieno. Dopo 7 ANNI di ulteriore definizione del progetto (per lo più gli anni della seconda giunta Millozzi), dopo aver ricevuto un finqi dalla Regione Toscana, sui 2 milioni di Euro circa, il comune concluse la gara per l’ATELIER nel 2019 per realizzare i lavori di ristrutturazione dei capannoni giacenti tra la nuova biblioteca Gronchi, il museo Piaggio e via del Fosso Vecchio. I lavori vennero aggiudicati appena si insediò la giunta guidata da Franconi, che aveva incastonato il progetto ATELIER (insieme al parcheggio ex Ape) nel suo programma elettorale (p. 41, vedi alla fine). Il dirigente comunale, nel luglio 2019, firmò un cronoprogramma che prevedeva la fine dei lavori dell’ATELIER per il settembre 2021. Poi arrivarono il Covid, nuovi incontri in Regione, nuovi bandi nazionali, ripensamenti vari, riunioni dei soggetti che si affacciano su viale Piaggio e molto altro. Risultato? Per le informazioni disponibili ad oggi e da quanto si vede e si sente camminando in via del Fosso vecchio ( vedi foto), dopo 5 anni dal loro via ufficiale i lavori sono FERMI E INCONCLUSI. Uno dei progetti più innovativi previsti dal mandato elettorale di questa amministrazione si è IMPANTANATO. L'obiettivo ATELIER è stato TOPPATO. La colpa morì fanciulla? Certo il Covid, certo la burocrazia, certo l'inflazione. Le giustificazioni possibili (a parte l’invasione di cavallette che non c'è stata) sono tante. Tutte plausibili, che diamine. Resta la musata di chi si presentava per cambiare la città, e poi non è riuscito a gestire un appalto da pochi milioni di Euro. E a questo smacco, sul viale Rinaldo Piaggio, si sono aggiunti: la mancata aggiudicazione della gara dei parcheggi del capannone ex Ape, i mancati rifacimenti dei marciapiedi (previsti sempre a pg. 41 del Programma Elettorale dei nostri) e da un anno e mezzo la chiusura del passaggio di via Maestri del Lavoro e la chiusura dei parcheggi laterali alla biblioteca. Deh, la disfatta delle Melorie, direbbero i miei spiritosi amici livornesi.

Oltretutto, grazie al blocco dei lavori dell'ATELIER, è continuata a grondare acqua all’interno della biblioteca Gronchi e a danneggiare libri e scaffali, perché la parete a sud della biblioteca (oggetto dei lavori nel progetto ATELIER) è ancora il muro colabrodo del vecchio capannone Piaggio non demolito, da cui filtrano in biblioteca acqua e sporco appena piove un po' di più e su cui, per oscurare la magagna che va avanti da 9 anni, si è steso, nel senso proprio del termine, un telo pietoso.
E il bello è che non c'è alcun atto pubblico noto che ci dica quando i nostri faranno ripartire i lavori e soprattutto quando li completeranno.
Così dopo 11 (UNDICI) anni dai primi atti amministrativi, dopo quasi 5 (CINQUE) anni dall’insediamento dei nostri nuovi amministratori, dobbiamo ancora capire che diavolo succederà dell’ATELIER DELLA ROBOTICA e delle promesse meraviglie sul viale Rinaldo Piaggio. Ammesso (e non concesso) che qualcosa succeda.
PS
Ecco cosa c’è scritto a pag. 41 del programma elettorale 2019 del candidato sindaco Franconi (si trova online)
“Dobbiamo nei prossimi anni capitalizzare e portare a conclusione la trasformazione dell'asse Piaggio mettendo a frutto l'accordo di Programma con Regione Toscana che ha messo a disposizione allo sviluppo del progetto ulteriori 6 milioni di euro per la realizzazione:
-dell’atelier della Robotica, un laboratorio e centro documentazione-didattica per la robotica industriale e l’automazione che diverrà sede del centro di competenza ARTES 4.0 da realizzare;
-di un grande parcheggio multipiano nell’area denominata ex Ape;
-della riqualificazione e della messa in sicurezza complessiva del viale Rinaldo Piaggio”.
Dopo 5 anni niente di questo impegno solenne è stato realizzato.

MOSTRA SCART. MA LA PUBBLICITA' È STATA FATTA?

Quando ho letto il post/comunicato stampa del Comune di Pontedera su fb che ci teneva a sottolineare come nei primi 3 giorni di apertura della mostra SCART, comprensivi di due giorni festivi e un sabato nel mezzo, la mostra era stata visitata da ben 300 persone (boia deh, che partenza col botto, avrebbero commentato certi miei amici livornesi), mi è scappato da ridere. E non solo perché nel venerdì festivo c’ero andato anch’io a vedere la mostra, mi ero trattenuto quasi un’ora e non avevo intercettato nessun altro visitatore. Neppure perché sabato c’erano stati alcuni miei amici, incuriositi dal mio post, e nella quarantina di minuti in cui erano stati nelle sale avevano visto si e no una decina di persone (inclusi loro). E neppure perché alcuni amici appassionati d’arte, che girano l’Europa e non solo, a caccia di mostre e musei, da me interpellati telefonicamente, mi hanno detto che sì, ci sarebbero andati a vedere SCART al PALP, ma con calma. A qualcuno di loro non era nemmeno arrivata l’informazione.

No, il dispettoso vecchietto da tastiera che è in me ha riso perché l'addetto stampa del comune o chiunque abbia scritto e pubblicato il post sulla pagina facebook del Comune non si è reso conto che citare 300 presenze in 3 giorni (per altro rilevate a braccio, visto che non c’è bigliettazione, neppure omaggio, né ci sono varchi contapersone all’ingresso, né cataloghi da vendere), è come ammettere che non ci è andato nessuno o quasi. E ho sorriso perché questo confermava involontariamente quello che io avevo scritto e previsto nel mio post di venerdì 8.
Poi ho letto che "Quinewsvaldera" ha spalmato i 300 visitatori di SCART su 4 giorni, includendoci anche la presentazione fatta dall’amministrazione ad un pubblico selezionato giovedì 7 dicembre, Sant’Ambrogio. Il che, come ha calcolato correttamente il giornalista di Quinewsvaldera, fa una 70ina di visitatori in media al giorno. Se questo fosse il trend dei giorni festivi, i numeri alla fine della mostra (fissata a febbraio) risulterebbero molto molto modesti (e di fatto quasi senza impatto sulle strutture commerciali del Centro, unica motivazione forte dell’investimento nella mostra), soprattutto tenendo conto che si tratta di ingressi gratuiti.
Il vecchietto da tastiera allora si chiede: ma quanto si è investito in promozione?
E se lo chiede perché non gli sembra di aver visto nessuna forma di promozione significativa sui vari media. Il solito vecchietto presuntuoso ma distratto? Oppure nella città dei commercianti chi dirige il PALP si è dimenticato che la pubblicità è l’anima anche delle mostre? Mah!?

MOSTRA DELL' ARTISTA SPAGNOLO JOSÉ ALBERTO LOPEZ AL SETE SOIS

 Nei giorni scorsi si è inaugurata al Centro Sete Sois Sete Luas, nel viale Piaggio, una piccola mostra di qualità. Si tratta di poco più di 10 opere del pittore e artista spagnolo, di Cadice, José Alberto Lopez, che con le mani è un vero portento. E oltre a dipingere su tela, disegna anche su stoffa. Tant’è che il 7 SOIS ha approfittato della presenza di Lopez a Pontedera per realizzare alcuni laboratori proprio di pittura su stoffa.

Dell’esperienza pittorica, poetica e materica di Lopez si è parlato nell’inaugurazione della mostra, che ha preso il via con le parole dell'assessora Carla Cocilova che ha sottolineato la ricchezza culturali delle terre di confine.
Poi Maria Rolli, del Centro, ha presentato brevemente l’artista. Quindi Lopez stesso si è raccontato.
Infine la prof. Marilena Lombardi, docente di storia dell’arte al Liceo Classico pontederese ha guidato i numerosi presenti ad una lettura attenta delle opere esposte, tutte animate da uno spirito favolistico (quello ad es. delle “Mille e una notte” citato dallo stesso Lopez), ma caratterizzate anche da presenze psicologiche e riflessi culturali profondi, nonché da un'abilità tecnica davvero di buon livello. Va aggiunto che in queste opere prevale una fantasia consolatoria che ci acquieta e ci rilassa.
La piccola mostra (a ingresso libero) merita di essere visitata. I quadri di José Alberto Lopez saranno visibili fino al 25 gennaio dal lunedì al sabato dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 15.00 alle 18.00, domeniche e festivi esclusi.

venerdì 8 dicembre 2023

IL SINDACO E IL VECCHIETTO DA TASTIERA

Il sindaco ha pubblicato un post su uno dei suoi profili in cui se la prende con un vecchietto narcisista e rompiscatole che critica le attività della pubblica amministrazione e quindi anche lui e lo fa più per ragioni e velleità personali che per motivazioni concrete o politiche. Il vecchietto da transenna secondo il Sindaco non sa quanto sia complicata e dura l’arte di amministrare un comune e quindi si lamenta snobisticamente e inutilmente.

Francamente non so se il Sindaco si sia ispirato a me (che in effetti ho scritto diversi post critici nei confronti dell’amministrazione pontederese) per delineare questo personaggio. Comunque, a me questo vecchietto sta simpatico e mi ci riconosco. Tranne che per la transenna e lo snobismo. Mi sento infatti più un vecchietto da tastiera, che a fine mandato di questo sindaco, dovendo decidere se rivotare lui o scegliere qualcun altro, per ragioni politiche pensa per primo di misurare le cose che il sindaco aveva promesso di fare nella scorsa campagna elettorale e invece non ha fatto. Soprattutto nel settore culturale, quello che conosco meglio, per ragioni professionali. Parlo di Teatro Era, eventi e feste dai costi importanti, biblioteca Gronchi, Palp, Atelier della Robotica, gestione di Villa Crastan, Fondazione Piaggio, rapporti con le associazioni culturali cittadine e molto altro. Il vecchietto da tastiera, che è stato un elettore del sindaco nel 2019, esamina i dati e i fatti, le promesse e le realizzazioni effettive e su ciascun tema propone ai suoi follower su facebook analisi e riflessioni. Perché lo fa? Perché, in seconda istanza, il tastierista intende favorire un dibattito, generare più consapevolezza e coinvolgere il maggior numero di persone su questi argomenti. Poi ciascun elettore deciderà con la sua testa, ma con più cognizione di causa. Non va bene?
Teatro, biblioteca, Palp, Villa Crastan sono elementi importanti della nostra vita culturale. Ed è necessario che i cittadini ne conoscano il funzionamento e i numeri per valutare, ripeto, l’operato degli attuali amministratori e per poter chiedere a chi si metterà in lista per governare il Comune nel 2024 che idee abbia su questi oggetti e istituzioni e cosa intenda fare per valorizzarli. Preciso infine, per i curiosi, che il vecchietto da tastiera, benché appassionato di politica, non si infilerà in nessuna lista. Lui ha già dato. Si accontenta (se ci riuscirà) di stimolare una discussione che attualmente oscilla tra il soporifero e il bizzoso, senza affrontare i dettagli e quindi le soluzioni vere dei problemi. In questo il tastierista è presuntuoso, lo ammetto.

LA GINESTRA COMMENTATATA E RECITATA DA MARIO BIAGINI

Sala Cieslak strapiena ieri sera, al Teatro Era, per la lettura della “Ginestra” di Leopardi realizzata dall’attore Mario Biagini. Anche se l’incremento del 40% del programma teatrale non era stato annunciato nella conferenza stampa di fine ottobre (+4 spettacoli oltre i 10 annunciati), anche se l’incremento di questi spettacoli dicembrini non ha goduto di alcuna vera promozione (posso sbagliarmi, ma non ho visto in questi giorni neppure la distribuzione di materiale informativo per la città), il tam tam fatto dagli amici di Casa Teatro e dal neonato gruppo di sostegno al Teatro Era ha favorito comunque la rapida circolazione della notizia e stasera gli 84 posti della sala Cieslak erano tutti occupati. Non certo merito dell’organizzazione centrale (che ieri sera non è riuscita neppure a garantire l’apertura del bar interno, una cosa evidentemente troppo complicata da programmare), ma merito delle forze locali, a cominciare da quelle espressione diretta dall’amministrazione comunale che deve aver spinto molto e con grinta, rispetto al centro, per conquistare questi spettacoli aggiuntivi, rivelando una dinamica centro (Firenze)- periferia (Pontedera) di sapore granducale.

Nel merito dello spettacolo, confesso, da coerente bastian contrario, che Leopardi e “La Ginestra” non sono mai stati nelle mie corde. E tuttavia la sfida lanciata da Biagini mi incuriosiva. Forse perché come ha detto lo stesso attore bisogna pensare molto per capire Leopardi (che non a caso piaceva a filosofi come Schopenhauer o Nietzsche). O forse perché volevo vedere se anche un testo difficile come la Ginestra poteva attirare spettatori e reggere. Magari attirare qualche giovane liceale. La sala, ripeto, era piena, ma di gente di scuola, poca. Appena una manciata di insegnanti, per lo più donne e per lo più in pensione. Giovani studenti, non pervenuti. Forse qualche universitario. Comunque la lettura di Biagini, oscillante tra un Leopardi progressivo e amico degli uomini, antesignano di una fratellanza universale accomunata dal dolore contro una natura inesorabilmente matrigna e indifferente (funesto a chi nasce è il dì natal) e una vocalità che all’inizio ha ricordato quella di Carmelo Bene, hanno un po' scosso certe mie certezze. Biagini, che non conoscevo come attore, non mi ha stravolto, ma ha presentato un lavoro onesto. Di chi sa dialogare coi “grandi” e sfidarli senza lasciarsi intimidire, né gigioneggiarci. Si è sforzato di sussurrare che viviamo in tempi leopardiani. Tempi di cui non possiamo essere contenti. E anche noi ironizziamo sulle tanto decantate magnifiche sorti e progressive. Una lettura forse un po’ nostalgica. Ma nell’insieme Biagini ha sostenuto bene il peso che da solo si è messo sulle spalle. Peccato che poi non abbia sfidato il pubblico a fine spettacolo, come invece aveva fatto Dario Marconcini alcune sere fa. Anzi si è perfino defilato senza lasciarsi applaudire più di tanto, come invece avrebbe meritato. Ma forse era stanco (perché il monologo è durato oltre un’ora) o forse non si usa davvero più tentare un confronto diretto col pubblico per approfondire la performance, magari beccarsi qualche critica o semplicemente sentire cosa ne pensa il pubblico, a caldo, della proposta artistica. Peccato perché la sala Cieslak, col suo contatto fisico diretto, si presta perfettamente per questo gioco tra attori registi e spettatori. Beh, sarà per un’altra volta.

IL TEATRO PONTEDERESE: DA AVVENTURA A ISTITUZIONE

Davanti ad un pubblico curioso e attento, con un’età media tra i 60 e i 70 anni e punte fino a 93, Carla Pollastrelli ha raccontato alcune chicche della sua avventura teatrale, ed in particolare di traduttrice delle opere teatrali di Grotowski e di persona che accompagnava Grotowski nei suoi soggiorni e lavori italiani e pontederesi. La studiosa di lingua polacca ci ha raccontato come nel ‘77 arrivo’ a Pontedera e fu incorporata nel Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale, dove lavorò, come organizzatrice di eventi e spettacoli, con Roberto Bacci e con Dario Marconcini. A quel tempo il teatro sperimentale si faceva per lo più nelle piazze e per le strade, oppure, in inverno, nella Palestra comunale di via Marconcini, ha ricordato Pollastrelli. E il CSRT di Pontedera aveva una sede sgangherata e con un solo telefono nella dependance della Villa Comunale. Fu solo nel ‘79, con l’arrivo di un importante spettacolo di Grotowski, che il “Centro”, nome con cui ormai tutti a Pontedera chiamavano il CRST, affittò una sede in via Manzoni risistemando a spazio teatrale una vecchia azienda dei Pasquinucci. Li, al primo piano di via Manzoni, il CSRT ebbe una sede sufficientemente dignitosa e lì si consolidò la stagione teatrale che aveva preso il via alla metà degli anni ‘70 e che in un ventennio avrebbe portato a Pontedera alcuni tra i registi e gli attori più innovativi e sperimentali del teatro internazionale (Barba, Beck, ed altri). Tra il ‘75 e il ‘90, grazie al lavoro di Pollastrelli, Roberto Bacci, Luca Dini, Dario Marconcini e altri Pontedera divenne così uno dei luoghi in cui si faceva e soprattutto si ospitava il teatro sperimentale e d’avanguardia. In quegli anni la città si era conquistata una duplice fama su scala nazionale ed internazionale, ha detto Pollastrelli. A Firenze, a Milano e a New York Pontedera era nota infatti per le Vespe della Piaggio e per il Teatro sperimentale di via Manzoni. E via via l’organizzatrice teatrale ha regalato al pubblico numerosi aneddoti, incluso quello sull’incontro con Samuel Beckett e il ricevimento del prestigioso premio Ubu. E mano a mano che i ricordi riaffioravano e delineavano una grande stagione di sperimentazione teatrale di cui anche lei è stata protagonista, è stato sempre più chiaro perché si è passati da un teatro fatto per strada o nella gloriosa e consumata palestra di via Marconcini, prima alla Villa Crastan, poi al teatro di via Manzoni e infine a raggiungere il grandioso Teatro Era di via indipendenza. È stata una importante tradizione teatrale a sostenere un grande e forse eccessivamente ambizioso investimento edilizio. Così, ha commentato Pollastrelli, da una felice e straordinaria avventura giovanile (con pochi soldi, tanta arte di arrangiarsi e tanta voglia di fare, di sperimentare, di aprirsi al mondo, di incontri fortunati) si è poi passati ad una istituzione culturale consolidata quindi più rigida e più difficile da gestire. Meno avventurosa e meno libera, aggiungo io

Eppure, ho commentato parlando con uno dei pochi under 50 presenti in sala, se esiste l’immenso Teatro Era è perché c’è stata l’avventura del CSRT. Ma soprattutto l’avventura teatrale di oggi consisterebbe nel riuscire a non gestire il Teatro Era in maniera ingessata, burocratica e da remoto, ma a sperimentare forme anche più leggere, nel dargli più autonomia, nel riprendere i processi formativi, nell’accogliere nel suo programma, in parte almeno, quello spirito di apertura, di curiosità e di avventura che l'incontro con Carla Pollastrelli ha fatto rivivere per oltre un’ora nelle nostre menti.

AGGIRARE STANCA: QUANDO RIAPRIRÀ VIA MAESTRI DEL LAVORO?

Come è noto via Maestri del Lavoro e i parcheggi intorno alla biblioteca Gronchi furono chiusi e transennati improvvisamente ad inizio agosto 2022 con ordinanza del Sindaco per ragioni di sicurezza. Insieme fu chiusa la biblioteca. Una sassata sui lettori. Poi, a seguito anche di vivaci proteste, la biblioteca fu riaperta un anno fa, mentre il passaggio di via Maestri del lavoro rimase chiuso. E chiuso è rimasto. UN ANNO E MEZZO DI CHIUSURA E NON SI VEDE LA FINE.

Le informazioni che sono circolate nel frattempo (ma non ho trovato alcuna delibera di indirizzo della Giunta in merito) dicono che la Giunta pontederese intenderebbe inserire i lavori di restauro dei parcheggi attorno a Biblio GRONCHI e quindi anche del passaggio di via Maestri del lavoro nell’ambito dell’affidamento della nuova concessione di tutti i parcheggi cittadini ad una nuova società aggiudicataria. In sostanza chi otterrà la concessione farà anche i lavori sui parcheggi, colonne e coperture incluse. Ma quando accadrà tutto ciò?
In un' assemblea pubblica organizzata diversi mesi fa dalla consulta di Quartiere l’amministrazione disse per bocca di un assessore che la gara sarebbe stata aggiudicata in autunno e i lavori su via Maestri del lavoro sarebbero partiti poco dopo. Ora però siamo quasi in inverno e non si sa nulla della concessione dei parcheggi, né dei lavori.
Così ogni giorno alcune centinaia di persone che parcheggiano nelle aree attorno alla Casa di Riposo Leoncini si sobbarcano la circumnavigazione del Dente Piaggio, lo AGGIRANO, per raggiungere la stazione, sia all’andata che al ritorno. Con notevole perdita di tempo e a volte il rischio di perdere anche il treno.
Possibile che DOPO UN ANNO E MEZZO DALLA CHIUSURA non si sappia neppure chi farà i restauri dei pilastri e soprattutto quando cominceranno i lavori di ripristino del passaggio di via Maestri del lavoro?

DOVE STA ANDANDO IL PALP?

PALP nasce nel 2016 nell’ex Palazzo pretorio. È uno spazio espositivo, realizzato e aperto al pubblico dal sindaco Millozzi e dalla sua assessora alla cultura Liviana Canovai. Obiettivo? Recuperare uno dei pochissimi palazzi storici di Pontedera e puntare ad inserire la città e il suo centro nel circuito delle città d’arte, con un occhio di riguardo anche all’arte contemporanea, tentando qualche sinergia col Museo Piaggio. Il tutto puntando ad attrarre turisti ed acquirenti per i nostri negozi.

A me allora il progetto sembrò una forzatura. Sia rispetto alle mostre d’arte dell’Autunno pontederese sponsorizzate anche dalla presidenza della Repubblica, ma quando al Quirinale abitava un pontederese: Giovanni Gronchi. Sia per il livello artistico e quello delle stesse collezioni e dei collezionisti presenti in città. Infine rispetto alle relazioni che nel settore artistico potevamo attivare e coltivare. Inoltre tra i numerosi istituti superiori presenti in città, l’indirizzo artistico non c’era e allo stesso liceo classico le ore di storia dell’arte si stavano riducendo al lumicino. Si, c’erano i natali dati ad Andrea Pisano da noi ribattezzato da Pontedera. Ma quanto poteva valere oltre le nostre rotatorie?
Anche le risorse che Comune e Fondazione cultura, col sostegno indispensabile di Regione Toscana, potevano mettere in gioco mi parevano modeste.
Ma scommettere sulla cultura è sempre una sfida intrigante e non è mai solo una questione di soldi. Per questo tacqui.
Devo solo aggiungere che la gestione del PALP, affidata da Millozzi alla Fondazione cultura, al cui vertice fu messa la coppia Andrea Modesti & Daniela Pampaloni (quest' ultima ex assessore alla cultura col sindaco Marconcini), mi parve finire in buone mani. Non a caso negli anni successivi il PALP ci regalò alcune mostre davvero belle e di qualità (come dimostrano anche i bei cataloghi pubblicati), tutte in linea con l'obiettivo di inserire la città tra i luoghi da visitare per gli appassionati d'arte. Preciso, per palloccolosita’ congenita, che però non so nulla dei numeri che fece il PALP tra il 2017 e il 2020, ovvero nella fase a trazione Modesti & Pampaloni. Numeri che invece sarebbe bene conoscere nel dettaglio per poter dare giudizi sui successi gestionali veri. Parlo dei visitatori paganti, cataloghi venduti, costo a visitatore per mostra e indice di recupero, carnet di collaborazioni, sponsorizzazioni e altro ancora. Ovviamente il PALP fu anche qualcosa di più perché oltre alle grandi mostre in qualche modo assorbì in sé anche tutta l’esperienza delle attività del Centro d’Arte Otello Cirri. Un riassorbimento alla pontederese, ovvero senza chiarire bene il percorso, le modalità e le finalità. Ma così fu.
Detto questo, la strada verso l’obiettivo indicato all’inizio mi pareva faticosamente ma positivamente avviata.
Poi arrivarono i nostri. Si tolsero dai piedi il duo Modesti & Pampaloni, dopo averli ringraziati. Misero a gestire il PALP persone di loro fiducia, dando inizio a una strategia meno coerente (dalla mostra LEGO, alle opere di Warhol, alla nostra di Enzo Fiore). Questa nuova fase del PALP, certo, un po' anche per colpa del Covid, e sempre per quello che se ne sa (visto che numeri precisi non mi risulta siano stati forniti neppure dai nostri), non pare abbia fatto fare al PALP passi decisivi verso il firmamento degli spazi museali toscani, né abbia portato Pontedera verso l’accreditamento a città d’arte almeno di rilievo regionale, con una conseguente capacità attrattiva, anche ai fini commerciali. La stessa bocciatura della nostra recente candidatura culturale, se non brucia sull’opinione pubblica cittadina che l’ha ignorata, sembra confermare quanto appena detto. Peccato però che non abbia stimolato alcuna riflessione. Peccato.

PALP: parte la nuova mostra.

 Stamani il vecchietto da tastiera è andato al PALP per dare un'occhiata alla nuova mostra annunciata in pompa magna dall’amministrazione comunale e dal suo sindaco che l’ha fortemente voluta e finanziata, affidandone la regia all’architetto Bartalini e la gestione alla Fondazione cultura.

Tra le motivazioni per la scelta di questa mostra le determine di spesa indicavano la capacità di attrarre visitatori verso Pontedera e il suo centro commerciale. Ma stamani, primo giorno della mostra, le sale erano tutte vuote.
Il vecchietto da tastiera, che si è sentito immortalato nell’opera che accoglie i visitatori (se verranno), ha guardato due volte il video a fianco alla saletta d’ingresso, ha fatto due volte il percorso nelle stanze con gli oggetti esposti, ha letto tutte le etichette degli artisti, insomma si è trattenuto circa un’oretta, tra le 11 e le 12, ma, oh, non è arrivato nessuno. Proprio nessuno.
All’unico custode presente all’ingresso il vecchietto da tastiera ha chiesto se c'era un catalogo della mostra. Macché, per quanto ne sapeva l’addetto alla biglietteria, non c’era catalogo e non era neppure previsto.
Nessuno biglietto d’ingresso, nessun catalogo, nessun visitatore. Bah, sarà stata la mattina. In effetti stamani non c’era molta gente neppure a passeggio sul Corso.
Nel pomeriggio, verso le 17, il dispettoso vecchietto da tastiera è tornato. Prima di scrivere il post, voleva documentarsi meglio. Si è seduto al bar davanti all’ingresso del PALP. Ha preso un caffè con un bicchiere d’acqua e si è messo a scrivere questo post, fissando però anche l’entrata e l'uscita della mostra. C’è rimasto una mezz'ora in quella posizione e in quella mezz'ora non ha visto nessuno entrare e nessuno uscire dalla mostra.
Più o meno quello che si dice una partenza col botto!!!

venerdì 1 dicembre 2023

ECUBA o dell’essere tutti sconfitti e profughi.

Giovanna Daddi, diretta da Dario Marconcini, che ha curato la riduzione delle tragedia “Le Troiane” e la regia, ci ha regalato un’Ecuba intensa, dolorosa, straordinaria, trascinandola dalla coste di una Turchia arcaica nel nostro rumoroso secolo XXI. Un’Ecuba già regina, strappata alla sua città, al suo popolo disfatto, ai suoi affetti straziati e trascinata in schiavitù da qualche parte. In Grecia. In Italia. In fondo al mare. Lontano dalla sua casa. Preda dei vincitori (ma ci sono vincitori?). Straziata dal dolore per i figli assassinati. Impossibilitata perfino a seppellire il nipote Astianatte. Violata in tutti i modi possibili. Dolorante e dolente. Rappresentante di un mondo di profughi, esuli, espulsi, violentati che bussa alle nostre porte e ci chiede aiuto. Che invoca pietà.

“E’ un testo contemporaneo” ha detto Dario Marconcini alla fine dello spettacolo, provando a coinvolgere il pubblico in un dialogo su quello che aveva appena visto. E’ un monologo sul dolore delle nostre sorelle e dei nostri fratelli sconfitti e sradicati dai loro affetti. Delle donne a cui la guerra distrugge le città, ammazza i mariti, i figli, i nipoti. Delle vecchie, delle nonne, delle anziane che sono costrette a piangere e a seppellire, quando ce la fanno, i mariti, i figli e i nipoti e a vivere un’esistenza residua priva di speranza.
Giovanna Daddi, coi suoi ‘tantanni, ha realizzato una grande prova da attrice. Una delle più belle che io ricordi. Di una maturità aspra e generosa. Con una buona grinta e una rabbia degna di una vecchia rivoluzionaria che, pure nella tragedia e nel dolore, conserva una luce negli occhi. Difficile dire se sia speranza o disprezzo verso la propria sorte o più banalmente quell’altezzosità che non piega le vecchie querce. Sì, Giovanna è stata notevole. Anche se alla fine, mentre amiche e amici l’abbracciavano, ha dichiarato di essere molto provata. Dopo la tensione era arrivato il dolore.
Non so se un giovane diciassettenne liceale pontederese sarebbe in grado di silenziare il cellulare e ascoltarla recitare per mezz’ora senza mai prendere fiato. Ma se fossi il Teatro Era un esperimento con qualche classe di secchioni lo farei. Penso che potrebbe servire molto ai secchioni farsi stupire da questa nonna Ecuba. Ma forse anche per le ragazze del Montale sarebbe parecchio istruttivo ascoltarla. E anche ai giovani dell’Iti, del Fermi e dell’Ipsia potrebbe giovare. Quanto meno varrebbe la pena di provarci. Magari spiegando loro che vivranno un’esperienza davvero unica. Non digitale, ma, pur nella finzione, come dice spesso Dario Marconcini, vera.
E altrettanto notevole e straordinariamente giovanile è stata la verve di Dario Marconcini di volerci raccontare la sua passione per Troia, per la cultura greca, e il viaggio degli attori del Piccolo Teatro di Pontedera negli anni ‘60, con uno sgangherato pulmino Volkwagen, attraverso i Balcani, fino al Bosforo e poi su su fino alla collina di Hissarlink.
Bene ha fatto il Comune a insistere per questo inaspettato ampliamento del programma teatrale. E anche se la sala Cieslak non era piena, chi c’era, come ha detto un’amica all’uscita dallo spettacolo, ha respirato aria pura. Aria di un teatro che per fortuna continua a riflettere su se stesso, a reinventarsi, a sfidarsi. Perfino a provocarci. A farci uscire di casa senza dover andare per forza ad un apericena. A farci spegnere per un’ora i nostri amatissimi cellulari. Grazie Dario e Giovanna. Che meraviglioso esempio di giovani teatranti che siete. Pontedera vi abbia in gloria!