giovedì 21 dicembre 2023

MARCONCINI METTE IN SCENA LA FIGLIA DI IORIO

Non è una riscrittura del dramma dannunziano. E' una scarnificazione de “La figlia di Iorio” e una lettura che ha cercato dentro le parole del Vate il nocciolo della questione. Qualcosa che la contemporaneità potesse vedere, comprendere e odiare. Un nocciolo duro e doloroso che ancora sopravvive alla trasformazione di una società agricola, poi industriale e ora dei servizi; qualcosa che ha radici profonde e che caratterizza certe famiglie, certi rapporti patriarcali, certe relazioni sociali malate. Anche in un Occidente ormai secolarizzato. E' questo che il grande regista pontederese, Dario Marconcini, ho costruito e ci ha regalato. Scavando in un autore lontanissimo dalla sua sensibilità. Un autore certamente da lui (e molti di noi) poco amato.

Questa messa in scena, in un atto solo, del lungo dramma di Aligi e Mila, uscita in prima nazionale a Buti e ieri sera felicemente approdata al Teatro Era, qui a Pontedera, contiene tante cose e tante emozioni che proverò a sintetizzare in poche parole.
Per prima cosa sono rimasto colpito dalla sottolineatura del valore del teatro povero e semplice. Marconcini ha fatto una rappresentazione con mezzi poveri ma efficaci, dando davvero un bell’esempio.
E poi il rapporto speciale tra lo spettacolo, il regista e il pubblico. Un pubblico decisamente over 60. Almeno per la stragrande maggioranza. Allestito nella sala Cieslak, col suo centinaio di posti scarsi, il pubblico ha infatti finito per circondare la scena e poi quasi per abbracciarla ed entrare a farne parte come una specie di tribunale. Si, Marconcini ha trasformato gli spettatori in una giuria popolare che per un’ora ha ascoltato i testimoni, ne ha soppesato le parole e ha sicuramente respinto in cuore suo la sentenza emessa sul palco. Mila era forse una strega ma era innocente e il padre di Aligi, padrone e violento, meritava la sua fine. O qualcosa del genere.
E ancora il linguaggio. Benché ridotto al minimo, perfino il linguaggio tardo ottocentesco del Vate ha retto alla sintesi e alla ricucitura marconciniana e ha emozionato gli spettatori. Con una superba madre interpretata da Giovanna Daddi, con un giovane ma bravissimo Aligi, impersonato da Leonardo Greco e una altrettanto valida Mila, a cui ha dato l’anima Maria Bacci Pasello, la vicenda e’ avanzata rapida, quasi con passo cinematografico. Pochi quadri, poi il dramma, infine la condanna e il finale.
Insomma con poca scena (replicabile anche in spazi piccoli), con luci essenziali, con attori validi ma dagli stipendi sicuramente modesti, con una rappresentazione dal sapore liturgico che badava ad emozionare e coinvolgere il pubblico e a portarlo in una classica tragedia patriarcale, dove i padri (e chi comandava) poteva disfare i figli e prendersi le donne che voleva, Marconcini ha messo su uno spettacolo davvero pieno di qualità. E di echi lontani. Quante volte, quand’ero piccolo e tremendo, ho sentito mia madre gridarmi: “Bada bimbo, io t’ho fatto e io ti sfaccio”, minaccia dal sapore arcaico e che credo nessun giovane genitore oggi si sentirebbe di ripetere.
E, nella piccola sala piena, il pubblico ha davvero partecipato al dramma e forse come me ha risentito certe frasi che giungevano dalla notte dei tempi. Una notte che purtroppo deve ancora finire di passare. Si, credo proprio che il pubblico si sia riconosciuto nei personaggi, abbia sofferto con loro, abbia sperato in un finale diverso da quello annunciato: o almeno questo è quello che ho provato io.
Qualche sbavatura? Direi di sì. Qualcosa da mettere ancora a punto? Certamente.
Tuttavia, pur individuando anche alcuni limiti, m’è parso di aver assistito ad un piccolo capolavoro, realizzato da una compagnia guidata da un ironico e lucido regista ottuagenario, magicamente annidata nel piccolissimo paese di Buti, che con un colpo di scena (verrebbe da dire teatrale, ma in realtà si è trattato di una vera magia) ha tenuto nella sala piccola del grande Teatro Era la quarta replica di una comprensibilissima lettura della “Figlia di Iorio”. Una replica alla fine della quale il pubblico ha tributato un lungo caloroso applauso agli attori e al regista.
Chissà se questo scarnificato D’Annunzio di Marconcini, con qualche opportuno aggiustamento, sarà riproposto anche alla Pergola o in altri teatri di prestigio su scala nazionale. L’impressione e' che sia una rappresentazione davvero originale e che costituisca uno dei punti più alti dei lavori del regista pontederese, che si è tolto un altro sassolino dalla scarpa ed è andato a confrontarsi con uno degli scrittori più ostici della nostra letteratura nazionale. Bravo Dario!

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