venerdì 1 dicembre 2023

ECUBA o dell’essere tutti sconfitti e profughi.

Giovanna Daddi, diretta da Dario Marconcini, che ha curato la riduzione delle tragedia “Le Troiane” e la regia, ci ha regalato un’Ecuba intensa, dolorosa, straordinaria, trascinandola dalla coste di una Turchia arcaica nel nostro rumoroso secolo XXI. Un’Ecuba già regina, strappata alla sua città, al suo popolo disfatto, ai suoi affetti straziati e trascinata in schiavitù da qualche parte. In Grecia. In Italia. In fondo al mare. Lontano dalla sua casa. Preda dei vincitori (ma ci sono vincitori?). Straziata dal dolore per i figli assassinati. Impossibilitata perfino a seppellire il nipote Astianatte. Violata in tutti i modi possibili. Dolorante e dolente. Rappresentante di un mondo di profughi, esuli, espulsi, violentati che bussa alle nostre porte e ci chiede aiuto. Che invoca pietà.

“E’ un testo contemporaneo” ha detto Dario Marconcini alla fine dello spettacolo, provando a coinvolgere il pubblico in un dialogo su quello che aveva appena visto. E’ un monologo sul dolore delle nostre sorelle e dei nostri fratelli sconfitti e sradicati dai loro affetti. Delle donne a cui la guerra distrugge le città, ammazza i mariti, i figli, i nipoti. Delle vecchie, delle nonne, delle anziane che sono costrette a piangere e a seppellire, quando ce la fanno, i mariti, i figli e i nipoti e a vivere un’esistenza residua priva di speranza.
Giovanna Daddi, coi suoi ‘tantanni, ha realizzato una grande prova da attrice. Una delle più belle che io ricordi. Di una maturità aspra e generosa. Con una buona grinta e una rabbia degna di una vecchia rivoluzionaria che, pure nella tragedia e nel dolore, conserva una luce negli occhi. Difficile dire se sia speranza o disprezzo verso la propria sorte o più banalmente quell’altezzosità che non piega le vecchie querce. Sì, Giovanna è stata notevole. Anche se alla fine, mentre amiche e amici l’abbracciavano, ha dichiarato di essere molto provata. Dopo la tensione era arrivato il dolore.
Non so se un giovane diciassettenne liceale pontederese sarebbe in grado di silenziare il cellulare e ascoltarla recitare per mezz’ora senza mai prendere fiato. Ma se fossi il Teatro Era un esperimento con qualche classe di secchioni lo farei. Penso che potrebbe servire molto ai secchioni farsi stupire da questa nonna Ecuba. Ma forse anche per le ragazze del Montale sarebbe parecchio istruttivo ascoltarla. E anche ai giovani dell’Iti, del Fermi e dell’Ipsia potrebbe giovare. Quanto meno varrebbe la pena di provarci. Magari spiegando loro che vivranno un’esperienza davvero unica. Non digitale, ma, pur nella finzione, come dice spesso Dario Marconcini, vera.
E altrettanto notevole e straordinariamente giovanile è stata la verve di Dario Marconcini di volerci raccontare la sua passione per Troia, per la cultura greca, e il viaggio degli attori del Piccolo Teatro di Pontedera negli anni ‘60, con uno sgangherato pulmino Volkwagen, attraverso i Balcani, fino al Bosforo e poi su su fino alla collina di Hissarlink.
Bene ha fatto il Comune a insistere per questo inaspettato ampliamento del programma teatrale. E anche se la sala Cieslak non era piena, chi c’era, come ha detto un’amica all’uscita dallo spettacolo, ha respirato aria pura. Aria di un teatro che per fortuna continua a riflettere su se stesso, a reinventarsi, a sfidarsi. Perfino a provocarci. A farci uscire di casa senza dover andare per forza ad un apericena. A farci spegnere per un’ora i nostri amatissimi cellulari. Grazie Dario e Giovanna. Che meraviglioso esempio di giovani teatranti che siete. Pontedera vi abbia in gloria!

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