Sala Cieslak strapiena ieri sera, al Teatro Era, per la lettura della “Ginestra” di Leopardi realizzata dall’attore Mario Biagini. Anche se l’incremento del 40% del programma teatrale non era stato annunciato nella conferenza stampa di fine ottobre (+4 spettacoli oltre i 10 annunciati), anche se l’incremento di questi spettacoli dicembrini non ha goduto di alcuna vera promozione (posso sbagliarmi, ma non ho visto in questi giorni neppure la distribuzione di materiale informativo per la città), il tam tam fatto dagli amici di Casa Teatro e dal neonato gruppo di sostegno al Teatro Era ha favorito comunque la rapida circolazione della notizia e stasera gli 84 posti della sala Cieslak erano tutti occupati. Non certo merito dell’organizzazione centrale (che ieri sera non è riuscita neppure a garantire l’apertura del bar interno, una cosa evidentemente troppo complicata da programmare), ma merito delle forze locali, a cominciare da quelle espressione diretta dall’amministrazione comunale che deve aver spinto molto e con grinta, rispetto al centro, per conquistare questi spettacoli aggiuntivi, rivelando una dinamica centro (Firenze)- periferia (Pontedera) di sapore granducale.
venerdì 8 dicembre 2023
LA GINESTRA COMMENTATATA E RECITATA DA MARIO BIAGINI
Nel merito dello spettacolo, confesso, da coerente bastian contrario, che Leopardi e “La Ginestra” non sono mai stati nelle mie corde. E tuttavia la sfida lanciata da Biagini mi incuriosiva. Forse perché come ha detto lo stesso attore bisogna pensare molto per capire Leopardi (che non a caso piaceva a filosofi come Schopenhauer o Nietzsche). O forse perché volevo vedere se anche un testo difficile come la Ginestra poteva attirare spettatori e reggere. Magari attirare qualche giovane liceale. La sala, ripeto, era piena, ma di gente di scuola, poca. Appena una manciata di insegnanti, per lo più donne e per lo più in pensione. Giovani studenti, non pervenuti. Forse qualche universitario. Comunque la lettura di Biagini, oscillante tra un Leopardi progressivo e amico degli uomini, antesignano di una fratellanza universale accomunata dal dolore contro una natura inesorabilmente matrigna e indifferente (funesto a chi nasce è il dì natal) e una vocalità che all’inizio ha ricordato quella di Carmelo Bene, hanno un po' scosso certe mie certezze. Biagini, che non conoscevo come attore, non mi ha stravolto, ma ha presentato un lavoro onesto. Di chi sa dialogare coi “grandi” e sfidarli senza lasciarsi intimidire, né gigioneggiarci. Si è sforzato di sussurrare che viviamo in tempi leopardiani. Tempi di cui non possiamo essere contenti. E anche noi ironizziamo sulle tanto decantate magnifiche sorti e progressive. Una lettura forse un po’ nostalgica. Ma nell’insieme Biagini ha sostenuto bene il peso che da solo si è messo sulle spalle. Peccato che poi non abbia sfidato il pubblico a fine spettacolo, come invece aveva fatto Dario Marconcini alcune sere fa. Anzi si è perfino defilato senza lasciarsi applaudire più di tanto, come invece avrebbe meritato. Ma forse era stanco (perché il monologo è durato oltre un’ora) o forse non si usa davvero più tentare un confronto diretto col pubblico per approfondire la performance, magari beccarsi qualche critica o semplicemente sentire cosa ne pensa il pubblico, a caldo, della proposta artistica. Peccato perché la sala Cieslak, col suo contatto fisico diretto, si presta perfettamente per questo gioco tra attori registi e spettatori. Beh, sarà per un’altra volta.
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