La Pontedera in cui atterrò la Piaggio nel 1924 era quella appena fascistizzata, che aprì le porte ad un’impresa importante e innovativa forse senza neppure rendersi conto della fortuna piovuta sulla città. Poi la Piaggio decollò producendo motori per aerei assai utili per la politica coloniale fascista (guerra d’Etiopia) e per la seconda guerra mondiale. Non a caso il Re Vittorio Emanuele III venne a visitare gli stabilimenti di Pontedera il 26 ottobre 1940, guidato da Enrico Piaggio in camicia nera.
Produrre per la politica bellica del Regime consentì quindi alla Piaggio ampi profitti e permise una forte stabilità dei processi produttivi.
In fabbrica, la direzione controllò rigidamente la manodopera, grazie anche al sindacato fascista (l’unico consentito), che azzerò il conflitto sociale, concedendo anche qualche vantaggio per le maestranze. Lavorare in Piaggio significava non partire per la guerra di Albania o per il fronte russo. Una bella fortuna per gli operai e i tecnici dello stabilimento che nel ‘43 erano oltre 11.000.
Ma il rapporto stretto tra fascismo, impresa e città nel luglio del ‘43 si sfasciò con la caduta del governo Mussolini. Pochi mesi dopo Pontedera e la Piaggio furono bombardate e semidistrutte dagli Alleati. La produzione si fermò. Impianti, operai e tecnici vennero decentrati. Anche al Nord, nel biellese, su richiesta dell’esercito tedesco.
Enrico Piaggio capì che di aerei a Pontedera non se ne sarebbero più fabbricati e che occorreva inventarsi nuovi prodotti se si voleva, finita la guerra, ripartire.
La Vespa e poi l’Ape furono il suo colpo di genio. Un colpo che 80 anni dopo continua a dare ancora frutti, lavoro e ricchezza alla città, sebbene ci se ne accorga di meno.
Dal 1945 in poi Pontedera fu governata da comunisti e socialisti e i rapporti tra il Comune e la Piaggio, che produceva Vespe, furono difficili. A volte tempestosi.
Anche le relazioni industriali furono aspre. I conflitti sindacali tesi (per ragioni ideologiche e di bassi salari). Lo scontro di classe imperversò.
Alla metà degli anni ‘60, morto Enrico Piaggio, finito il boom della Vespa, il controllo della società passò agli Agnelli. Le relazioni tra Comune e azienda migliorarono, grazie soprattutto all’avvento del centro sinistra e poi alla scomparsa del PCI e del PSI. Fu allora che i sindaci, prima quelli socialisti e poi i post-comunisti, gestirono i rapporti con l’impresa in maniera meno ideologica e (in particolare gli ex comunisti) schermando in parte gli umori "anticapitalisti" dei militanti.
Negli anni ‘80 Piaggio batté il muso contro la concorrenza giapponese e i cambiamenti dei gusti dei consumatori. Per salvarsi, ridimensionò le sue capacità produttive, dismise spazi, capannoni e aeroporto e dimezzò gli occupati.
Per Pontedera fu un trauma terribile e il comune iniziò a decrescere anche demograficamente.
Tra il ‘92 e il ‘93 la Piaggio tentò, utilizzando fondi governativi ed europei, di trasferirsi in parte a Nusco. Ma un aspro conflitto sindacale e politico, condotto anche dal Comune guidato dalle sinistre e sostenuto dall’opposizione democristiana e dal proposto, bloccò il progetto. Poco dopo, con l'arrivo di Giovannino Agnelli al vertice aziendale, la Piaggio decise di restare a Pontedera e di misurarsi con più realismo col mercato internazionale.
La sua morte improvvisa però interruppe questa fase e portò gli Agnelli a vendere la società. Così alla fine degli anni ‘90 la Piaggio fu acquisita da fondi di investimento internazionali e le relazioni tra Azienda e Comune divennero evanescenti.
Il Comune comunque comprò parti importanti degli immobili dismessi dalla Piaggio e avviò un proprio progetto di rigenerazione urbana.
Una nuova svolta avvenne infine nel 2003 quando R. Colaninno acquisì il controllo della Piaggio, ridefinendo le strategie industriali del gruppo con risultati rivelatisi molto buoni.
E oggi? Assopita la lotta di classe, la maggioranza consiliare a trazione PD ritiene perfino INOPPORTUNO parlare di Piaggio in consiglio comunale.
Per questo quasi meraviglia che il Museo Piaggio abbia festeggiato questi primi 100 anni organizzando una bella mostra fotografica curata da Margherita Scotti e Michele Quirici, ad ingresso libero, aperta fino al 23 febbraio. Una maniera davvero coraggiosa per approfondire il rapporto tra azienda e città che speriamo scuota un po' l’indifferenza di questi tempi.
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