sabato 27 dicembre 2025

MUSEO PIAGGIO, COMUNE E UNDERTURISM (2a parte, lunga)

Nella strategia dell’underturism il Comune di Pontedera ha trovato un partner importante: il Museo Piaggio. 

Per quanto gestito ufficialmente da una Fondazione partecipata dal Comune, che, come socio di minoranza, esprime nel CDA il vicepresidente, il Museo è diretto ferreamente dalla proprietà della Piaggio (oggi in mano ai fratelli Colaninno). E' la multinazionale a possedere gli oggetti, i marchi, ecc. ecc. e a decidere tutto. I rapporti di forza col Comune sono sproporzionati. La sudditanza operativa del Comune, massima. La capacità di incidere sulla strategia museale, anche se il Comune avesse idee (e non è un rischio che sembra voler correre), minimale.

Il Museo Piaggio, che contiene al proprio interno una delle storie imprenditoriali (e lavorative) più originali della Nazione, anziché valorizzare in maniera socialmente moderna un patrimonio culturale di interesse “planetario”, non è ancora riuscito a costruire, a 25 anni dall’avvio, una struttura all’altezza delle potenzialità e della sfida. Le ragioni di questa incertezza progettuale e costruttiva sono molte e complesse. Meriterebbero un dibattito pubblico che Piaggio però non vuole (e quindi non si farà) e che il Comune, per sudditanza, rinuncia perfino a ipotizzare. Ci si accontenta dei raduni, che ovviamente non sono certo da sminuire. Ci mancherebbe.

Restano outsider come me a poter sollevare il tema e a riprendere osservazioni che si borbottano, a mezza bocca, in città, ma che nessuna forza politica (e giornalistica), neppure di opposizione, osa sollevare. Ecco quindi alcune delle mie annotazioni. 

LE APERTURE DOMENICALI. Ma possibile che il Museo Piaggio sia chiuso il 50% delle domeniche dell’anno? Eppure le domeniche sono il giorno più appetibile per i visitatori dei musei, soprattutto per quelli che vengono da lontano. Davvero una multinazionale come Piaggio non trova gli spiccioli per aprire il Museo tutte le domeniche?

LE MOSTRE FUORI TARGET. Ma che c’azzeccano le mostre di arte contemporanea con i prodotti Piaggio? Ma davvero un appassionato di Piaggio fa centinaia di km per venire a Pontedera al museo Piaggio per vedere mostre d’arte spesso “modeste”, offerte gratuitamente, e che si vedono in 40 minuti (e a volte meno)? Non sarebbe meglio invece promuovere mostre o eventi specificamente legati ai prodotti o ai marchi Piaggio o al mondo due ruote, allestiti in esposizioni di ampio respiro e con modalità più moderne?

LA DIREZIONE SCIENTIFICA. Ma un simile Museo non dovrebbe avere una direzione scientifica di altissimo profilo? Una direzione con una strategia magari anche di medio periodo e di orizzonte internazionale? E il Museo, che contiene anche un grande archivio storico che racchiude una immensa storia popolare, non andrebbe valorizzato molto, molto di più? La grande storia della motorizzazione su due ruote non potrebbe diventare anche il centro di una produzione letteraria e social che andrebbe incoraggiata in maniera sistematica e con più mezzi?

GLI INVESTIMENTI PROMOZIONALI. Non servirebbe anche una strategia di comunicazione più efficace, in grado di attrarre molto più pubblico (orientato al prodotto) che sarebbe tanto apprezzato anche dalla città soprattutto se pernottasse? Tra l’altro sarebbe apprezzabile che le statistiche minimali, offerte dal Museo, scorporassero i visitatori museali che vengono per vedere gli oggetti Piaggio da quelli che vengono per eventi più disparati. Solo così si avrebbe il dato sulla capacità attrattiva del Museo. Una cosa è infatti il Museo Piaggio e una cosa è l’uso dei suoi spazi per finalità culturali diverse. La confusione tra i due ruoli non giova allo specifico “Piaggio” e ai suoi prodotti e ha un impatto minimo sulla città.

LA BIGLIETTAZIONE. E che dire della possibile introduzione di un sistema di bigliettazione anche simbolico? Che magari separasse l’evento occasionale (tipo la presentazione di un libro, un concerto musicale, uno spettacolo di beneficienza, una serata di un’istituzione amica, ecc., che dovrebbero restare gratuiti) dagli eventi museali specifici? 

IL PUBBLICO. Ma quale pubblico di visitatori il Museo Piaggio punta a portare a Pontedera? I turisti nazionali e internazionali attratti dal mito vespa/ape o i pontederesi e un po' di amici di Pontedera e dei dintorni che vengono agli eventi di sapore locale? 

GLI SPAZI. Possibile che sia stata abbandonata l’idea di progettare una sede che permetta un percorso museale di due o tre ore con un racconto degli oggetti meno affastellato? Possibile che non si riesca a superare un'accoglienza alla buona e non si metta su un piccolo ristorante interno, con un adeguato servizio di caffetteria e altri strumenti di accoglienza più qualitativi, ecc.? Adesso che l'Atelier della Robotica non si farà più nei capannoni attigui al museo, quegli spazi anziché essere trasformati in parcheggi, non potrebbero essere riacquisiti e ristrutturati per creare un ampliamento del museo Piaggio? I materiali da mostrare ci sono. Vanno solo resi organizzati in un percorso,più moderno. I servizi e l’accoglienza invece sono minimalisti. Andrebbero migliorati. E infine nei nuovi spazi riacquisibili su via del Fosso vecchio non potrebbe trovar posto una sede per il coordinamento dei tantissimi vespa club italiano ed esteri e ancora una sede per un mercato periodico se non mensile, che ne so, trimestrale, di oggetti Piaggio, ecc. ecc.?

Concludo. Per il pressappochismo che caratterizza l’intervento in ambito turistico sostengo che Comune di Pontedera, Palp e Museo Piaggio (che pure, insieme, qualcosa investono nelle iniziative) sembrano davvero coltivare l’underturism.

Per l’amor di Dio, come ecologista, posso esserne solo contento. Meno gente viene, meno inquinamento si produce.

Ma da pontederese e per le potenzialità che la città sembra avere in questo settore, un significativo turismo di qualità, gestito bene, credo che ci gioverebbe. E parecchio.

Tra l’altro il Museo Piaggio (che resta l’unico vero attrattore di un turismo che viene da lontano) ci potrebbe consentirebbe di coltivare anche la memoria di “come eravamo” e potrebbe non solo identificarci e renderci orgogliosi di quello che città e cittadini sono ancora oggi (pur senza percepirlo), ma darci ancora, oltre a risorse dirette, suggerimenti per il presente e soprattutto per il futuro. O almeno così presumo.

venerdì 26 dicembre 2025

COMUNE, PALP E STRATEGIE DI UNDERTURISM (1a parte)

 Ormai la strategia pontederese dell’underturism è chiara.

E arcinoto infatti che al PALP di Pontedera si organizzano mostre fatte apposta per non attrarre né turisti né persone che si fermino prima o dopo la visita a comprare nei nostri negozi (se non col contagocce), tanto che questa volta hanno perfino deciso di non contarli più… i visitatori. Si soffre meno a non sapere.

La scelta underturist si caratterizza in particolare nell'individuazione di mostre e artisti in virtù di informazioni presenti ai vertici dell’amministrazione. Macché studi sul mondo dell’arte. Macché strategie di marketing culturale. Dio ce ne scampi e liberi degli esperti. Basta e avanza il filo diretto tra Comune e Fondazione Pontedera Cultura, con quest’ultima che opera come cinghia di trasmissione e non come un soggetto dotato di una sua autonomia e professionalità. La cultura è una cosa troppo seria per affidarla ai competenti con tanto di titoli di studio e di lunga esperienza sul campo.

I RISULTATI del ping-pong Comune/Fondazione sono che il PALP è di fatto senza una vera direzione artistica. In più, grazie alla natura giuridica della Fondazione, i vincoli amministrativi (gare, selezioni pubbliche, ricambio dei fornitori, motivazione delle decisioni, e rendiconti dettagliati e pubblici), sono ridotti a… quasi nulla. 

E la modestia di ruolo della Fondazione Pontedera Cultura si manifesta anche nel modo in cui gestisce Villa Crastan che il comune le ha “formalmente” affidato. Potrebbe infatti utilizzarla come spazio museale per esporre e valorizzare la raccolta di quadri posseduti del Comune. Invece non lo fa. Nel parco della Villa potrebbero essere esposte le sculture di BENETTON donate al Comune e, se non erro, prestate al Teatro del Silenzio a Lajatico. Niente di tutto ciò. Sempre nella villa Crastan si potrebbero collocare alcune opere della straordinaria raccolta di Sergio Vivaldi, morto oltre 4 anni fa e il cui impegno di collezionista questa amministrazione aveva pubblicamente dichiarato di voler valorizzare. Ma se ne guarda bene. 

Insomma il Comune, tramite la Fondazione, potrebbe fare tante cose con la Villa Crastan e invece l'affitta, tramite la Fondazione, a una scuola privata che la usa saltuariamente (e per scopi privati), mentre il giardino è curato pochissimo ed è pressoché sempre chiuso. Risultato: un bene pubblico che costa e che i cittadini non usano se non raramente, affidato senza gara ad un soggetto terzo privato, non si sa bene in cambio di quale affitto (la Fondazione non fornisce informazioni agli estranei e nemmeno ai cittadini).

Un vero capolavoro, non c'è che dire. E la strategia dell’underturism non finisce qui.

I CATTOLICI E IL PACIFISMO ATTIVO CONTRO IL RIARMO

Ma davvero i CATTOLICI iscritti al PD sono a favore del RIARMO europeo come vuole la Schlein e il suo gruppo dirigente? 

Davvero i CATTOLICI ignorano che il RIARMO anche se solo a livello europeo fa spendere centinaia di miliardi in armi ed è stato sancito dei socialisti europei ad Amsterdam e quindi approvato dalla Schlein come dimostra anche la mozione (punto 10) presentata dal PD alla Camera il 17 dicembre u.s.? 

E davvero i CATTOLICI Italiani individuano nella Russia il più grande nemico dell'Europa? 

Io non credo che i CATTOLICI che amano San Francesco e Don Milani siano favorevoli a sostenere le politiche europee e italiane di RIARMO e accettino che il loro partito approvi il debito europeo (e quindi italiano) per comprare armi (soprattutto dagli Usa) e continuare la guerra in Ucraina.

E non credo che possano fare come Ponzio Pilato e limitarsi a far decidere altri sulla politica di RIARMO, come se si trattasse di una bagatella.

Né credo che i CATTOLICI possano accontentarsi di dichiararsi pacifisti e condannare la guerra a parole e poi però voltare la testa dall’altra parte e lasciare via libera ai guerrafondai che riarmano l'Italia e l’Europa. 

Nessuno può salvarsi l’anima col pacifismo passivo e occasionale o con un pacifismo narcisistico. 

Contro il RIARMO e il rischio concreto di scivolare direttamente nella guerra serve un impegno più forte. Quotidiano.

Serve un pacifismo ATTIVO. 

Per questo i CATTOLICI potrebbero spedire migliaia di mail natalizie alla segretaria Schlein per dirle che per Natale non vogliono armi e nemmeno droni sotto l'albero perché sono contrari al RIARMO anche europeo e che non intendono neppure mettere missili europei nel presepe per difendere Gesù. A lui non piacerebbe una cosa del genere.

Bene le veglie per la pace. Ma promuovere scioperi fiscali contro le spese per il RIARMO sarebbe meglio. Meloni, Mattarella e Schlein capirebbero meglio cosa vuole la gente comune, gli italiani.

E poi c’è il boicottaggio delle imprese che fanno affari con la guerra e delle banche che le supportano e della stampa favorevole al RIARMO. 

La resistenza attiva è fatta di mille gesti concreti quotidiani contro il RIARMO.

Perché mai come in questo caso la disubbidienza al RIARMO è una virtù, ma una virtù che per funzionare va esercitata pacificamente tutti i giorni. In tanti, possibilmente.

BUON NATALE.

NÉ DIO, NÉ IL POPOLO VOGLIONO IL RIARMO. MATTARELLA, MELONI E SCHLEIN SI.

I vertici delle principali istituzioni italiane (governo, presidente della Repubblica e quasi tutte le opposizioni) sono ormai compulsivamente RIARMISTI.

Ma sono solo élite. Minoranze ristrette, insomma, per quanto potentissime. E non rappresentano la volontà popolare.

Infatti LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI È CONTRARIA AL RIARMO. FORTEMENTE E APERTAMENTE CONTRARIA.

Tanto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (che presiede il Consiglio Supremo di Difesa), ne ha preso atto pubblicamente (cfr. Discorso 19 dicembre 2025, saluti di Natale alle istituzioni), per sostenere però che questo sentimento va compreso ma ignorato. Il paese dovrà riarmarsi lo stesso, in barba a ciò che vuole la maggioranza del popolo. 

Ma chi lo vuole allora il RIARMO?

Non è Dio che lo vuole. La chiesa di papa Francesco e di papa Leone è chiara. 

Lo vorrebbe, secondo Mattarella, la democrazia aggredita dagli Stati autocratici, dai quali sempre la democrazia deve difendersi, armandosi fino ai denti. Strano argomento, però. 

La democrazia infatti è espressione della volontà delle maggioranze popolari. Ma se le maggioranze sono contrarie al RIARMO e lo Stato ignora la volontà popolare e si riarma lo stesso (usando le tasse dei cittadini contro la loro volontà) non c’è una contraddizione evidente?

Ma una democrazia resta tale se va contro quello CHE DESIDERA LIBERAMENTE IL 70% dei suoi cittadini elettori?

La situazione ricorda il paradosso del 1915, quando l’Italia entrò nella prima guerra mondiale contro la volontà della stragrande maggioranza del popolo italiano e perfino contro la maggioranza dei parlamentari italiani. Lì però c’era la Monarchia, c’era il Re che aveva trattato e firmato l’ingresso in guerra degli italiani all’insaputa del popolo e del Parlamento. Ne conseguirono alcune tragedie: 4 anni di guerra con centinaia di migliaia di morti e di feriti e poi l’avvento del fascismo che durò 20 anni e terminò con un’altra guerra devastante.

Tra le contraddizioni più evidenti della situazione attuale c’è anche il fatto che il nostro paese cattolico, guidato per lo più da leader che si professano cattolici (almeno Mattarella e la Meloni si dichiarano tali e si apprestano perfino a festeggiare l’800esimo anniversario della morte di San Francesco), disconosce i principali doveri dei cristiani e dei principi francescani che sono quelli di cercare ossessivamente la pace e non certo di riarmarsi. Né san Francesco, né papa Francesco hanno mai suggerito il RIARMO anche solo difensivo.

Si dimentica poi che le élite che vollero l’Unione Europea fecero tutto tranne che riarmarsi e per 80 anni l’Europa (almeno quella occidentale) è stata in pace.

Ma oggi che non ci sono più né motivazioni religiose, né ideologie politiche veramente divisive, ci riarmiamo. E in Europa lo facciamo in nome del diritto e della democrazia, ma in realtà con una decisione imposta dalle élite ad una maggioranza fortemente contraria.

L’unica speranza resta come sempre il POPOLO che però se non vuole il riarmo non potrà solo dichiararlo nei sondaggi. Perché le élite i sondaggi, quando non riescono a manipolarli, li ignorano. 

Se davvero non vuole il RIARMO, il POPOLO dovrà scendere in piazza e farsi sentire.

Soprattutto i GIOVANI dovranno fare baccano, perché i costi del riarmo ricadranno soprattutto su di loro (economicamente, fisicamente e moralmente).

Il riarmo va fermato. FERMATO.

I SOCIALISTI EUROPEI, L’UCRAINA E IL PD DI ELLY

I vincoli europei non gravano solo sui governi nazionali, ma anche sulle opposizioni. E non riguardano solo i bilanci, ma anche la politica estera. I vincoli non li impongono solo le istituzioni europee. Li mettono anche le coalizioni politiche europee.

Ovviamente chi sta all'opposizione finge di non averne di vincoli. Invece sono sul tavolo europeo e si riverberano anche nei contesti nazionali.

Un esempio? Prendiamo le decisioni assunte dal PD e dalla SCHLEIN sull’Ucraina nel congresso dei socialisti europei di Amsterdam di ottobre scorso.

La stampa italiana in quella occasione si è focalizzata su una SCHLEIN che ha attaccato Giorgia Meloni come leader poco democratica. Tendenzialmente illiberale. Una imitatrice di Trump. Invece ha ignorato che la SCHLEIN ad Amsterdam ha confermato il PD sulle posizioni dei socialisti europei che sono quelle “RIARMISTE”, “fortemente antirusse” e decisamente “filoNato”, le stesse della maggioranza Ursula. Che poi sono (con il distinguo sugli asset russi) anche quelle della Meloni.

Nel documento finale dei socialisti europei approvato ad Amsterdam (cfr. sito Pes), quindi anche da Elly:

1 si conferma l’incrollabile sostegno all’Ucraina

2 si conferma che la battaglia degli Ucraini per la libertà è anche la nostra

3 si dichiara la piena responsabilità dei crimini di guerra dei russi

4 si chiede che i russi sostengano i costi della ricostruzione

5 si invocano ulteriori sanzioni verso la Russia 

6 si sostiene l'ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea

7 si sostengono esplicitamente in Russia le forze anti Putin.

Seguono altre sberle ai nemici russi.

Ma si possono raggiungere questi obiettivi senza riarmarsi fino ai denti?

Temo proprio di no.

Che lo si faccia sostenendo il riarmo europeo e non quello nazionale cambia qualcosa? Non sembra un mero trucco retorico?

La verità è che Schlein si è allineata ad Amsterdam al mainstream socialista  subendo l’inevitabile vincolo politico europeo, destinato a riflettersi (in negativo) sulle scelte “belliciste” del PD in Italia e quindi sulla costruenda maggioranza di centro sinistra.

Ne e' riprova la mozione presentata dal PD ieri 17 dicembre alla Camera dei Deputati per la parte sulla guerra in Ucraina (che pur nelle contorsioni del testo, che è disponibile negli “Atti parlamentari”,  si dichiara favorevole a utilizzare gli asset russi per continuare la guerra). La mozione ricalca le decisioni di Amsterdam e non è risultata condivisibile dai potenziali alleati del Campo Largo, che infatti hanno tutti presentato proprie risoluzioni. 

Non il massimo per una pacifista che vorrebbe guidare una maggioranza politica di centro sinistra.

martedì 16 dicembre 2025

A CIASCUNO IL SUO "SCIASCIA"

Grazie al Circolo di lettura di Utel ho riletto “A ciascuno il suo” di Sciascia, una piccola chicca, un gioiellino letterario. Un breve piccolo giallo, che si risolve in relativamente poche pagine e che però racconta un mare di cose, anzi un mondo che va dal microcosmo di un paesino a mezz'ora da Palermo, alla Sicilia intera, fino a dirci molto perfino su tutta l'Italia e quindi anche su di noi. 

È la Sicilia come metafora del mondo, che Leonardo Sciascia ci ha proposto in tutta la sua opera letteraria attraverso gli occhi di un illuminista colto, attento alla realtà e appassionato della vita collettiva. Un intellettuale fortemente pessimista.

Chiaro quindi che il professor Laurana sia una proiezione di Sciascia, un suo avatar letterario investigativo, anche se un po' più sciocco, imprudente e soprattutto debole, direi.

Il testo, a 60 anni dalla sua uscita, è ancora fresco, per nulla invecchiato, e mi dà la sensazione che la Sicilia affaristico-politico-mafiosa che S. racconta sia ancora quella. E se i partiti a cui si fa esplicito riferimento nel giallo, i comunisti, i socialisti, i democristiani, non ci sono più, beh, certi intrecci tra affari, potere e sesso invece sono ancora quelli e si ritrovano anche nel continente. Anche dalle nostre parti. E forse se si scavasse nelle famiglie e nelle genealogie, forse si scoprirebbe che anche se oggi i potenti locali militano in partiti con nomi diversi da allora, le casate, le consorterie, i giochi di interesse hanno radici profonde e toccano i vecchi partiti che si sono solo reimpastati.

Ma tornando al testo, buono il trucco del depistaggio iniziale (in cui cadono gli inquirenti ufficiali: dei veri babbei, inetti o venduti e comunque quasi assenti dalla storia. Segno di una sfiducia nelle istituzioni che non è molto cambiata).

Buona anche l’idea di affidare a un professore di italiano e storia delle superiori, un signorino che vive con la madre, le indagini vere sulla morte del farmacista e del medico Roscio.

Pennellate lucide e disincantate quelle che disegnano la Sicilia dei primi anni ‘60. Un paese di bacchettoni, ma anche di raffinati e un po' patetici viveur, raccontati bene anche da Vitaliano Brancati che S. cita direttamente.

Va detto che già un anno dopo l’uscita del romanzo, nel ‘67, il grande regista Elio Petri ne trasse un film che sfruttava soprattutto il contenuto pruriginoso della storia (in realtà molto meno presente nel testo di Sciascia), contando sul fatto che la strampalata vicenda amorosa tra Gian Maria Volontè e Irene Papas riuscisse a trascinare masse numerose ma scarsoleggenti e poco illuministe al cinema.

Del resto erano gli anni che preludevano a quella che poi sarebbe stata la liberazione sessuale di questo paese: allora però quasi tutta da venire, soprattutto in Sicilia (ma non solo). E la storia della ragazza ingiustamente accusata di avere una tresca col farmacista le dice lunga di un costume non solo religiosamente bacchettone, ma sessualmente repressivo e ingiusto. E non solo a svantaggio delle donne. Il rapporto malato tra il professor Laurana e la madre ne fornisce un'altra indicazione. Confermata infine dalla fedifraga relazione tra i cugini assassini che, sotto lo sguardo dello zio arciprete, costituisce il vero movente del doppio omicidio.

Il piccolo gioiellino pseudopoliziesco di S. racconta tutto questo e nel frattempo contiene la denuncia sociale di un sistema di affari che mescola il controllo di società private e pubbliche, le cariche negli enti pubblici, nelle banche e la collusione, ove necessario, con la mafia.

Il vero burattinaio della situazione, l’uomo che tira tutti i fili e collega più mondi, come svela a Laurana il parroco cinico e senza fede (che trovata!) di Sant’Anna, non a caso è l'avvocato Rosello.

Ma Laurana un po' non ci crede e un po' viene depistato dalla bella moglie di Roscio, cugina e amante di Rosello. Ergo la sparizione del professore è la conclusione perfetta di un impiccione presuntuoso che non era certo attrezzato per venire a capo di una storia come questa. Un individualista, cretino, che non credendo nel valore delle istituzioni e neppure della politica (memorabili le battute col deputato comunista) viene sconfitto da forze più grandi di lui e quindi perde la vita.

Tra le chicche del racconto: 

La vicenda della ragazza che viene accusata di avere una storia col farmacista e che poi risulterà totalmente innocente, ma che provoca la rottura immediata del suo fidanzamento e una sonora bastonatura da parte degli stessi familiari che la condannano seduta stante senza neanche porsi il problema se la ragazza potesse essere innocente.

Le dinamiche del potere locale, il fatto che si è potenti se si riesce a intrecciare il controllo di alcune società para pubbliche o che gestiscono appalti, con banche e anche con ruoli pubblici e se si sa gestire la commistione fra questi livelli. Tema questo ancora di grande attualità e non solo in Sicilia.

L’ingenuità del professore che rimane vittima dell’avvocato Rosello, abile ragno sociale che controlla i vari intrecci tra politica, affari e rapporti diretti con la criminalità e poi chiaramente soddisfa anche i propri appetiti sessuali.

La condanna di tutto questo andazzo in nome di un moralismo illuministico scettico che non crede che la politica abbia la forza di cambiare questo stato di cose.

Il moralismo illuministico, che si incarna in Laurana e nel padre di Roscio, l’oculista cieco, il cui destino finale però è quello di essere sconfitto (come nel più siciliano ciclo dei vinti)

Insomma quello di S. è un romanzo breve che ci racconta che l’Intelligenza non può farcela contro una certa natura umana, contro una certa immoralità, contro la debolezza della carne.

Infine una curiosità. Un’ultima chicca letteraria. Dalla pagina finale del racconto di S. deve aver preso lo spunto, 35 anni dopo, il romanzo di Camilleri sulla scomparsa di Pato’.



domenica 14 dicembre 2025

AL PALP SI SVOLTA ANCORA

Sì, bisognava proprio rinnovarlo il consiglio direttivo della Fondazione Pontedera Cultura per realizzare una mostra così originale come quella che resterà aperta fino al prossimo marzo al PALP. 

“Pinocchio e i carabinieri” è sicuramente una chicca nel panorama culturale italiano e sicuramente avrà una grossa risonanza attrattiva sul pubblico. Non a caso in città si vocifera della prossima riapertura di un ex hotel in zona stazione per fare fronte alla domanda di camere che si è scatenata appena la grande stampa ha dato la notizia della nuova mostra, mentre i B&B cittadini sono già tutti sold out dall’avvio dei rumors sull’evento.

Strano solo che all’inaugurazione abbiano parlato tutti, tranne i membri del CDA della Fondazione Pontedera Cultura, diversi dei quali, anzi quasi tutti, neppure erano presenti alla inaugurazione. Un caso, probabilmente.

Assente è risultata anche l’onnipresente assessora della Regione Toscana (ente che pure ha patrocinato l’evento) che in occasione invece dell'inaugurazione della mostra Banksy & Friends era stata immortalata in diverse foto (ma era prima della compilazione delle famose liste elettorali del PD).

Forse per questo la presentazione è stata soprattutto un duetto tra il curatore, scelto a quanto si è intuito più dal Sindaco che dal CDA della Fondazione, e il Sindaco stesso, che non a caso ha sottolineato i reciproci rapporti di sopportazione col curatore dell’evento. 

La mostra in sé, per quanto caratterizzata da un taglio fortemente istituzionale e quindi da contenuti inevitabilmente buonisti se non “conservatori”, è carina. Rassicurante. Familiare. Immagino che piacerà ai bambini, più che ai ragazzi o agli adulti. 

Magari un po' ripetitiva, con opere di tanti (forse troppi?) autori, di diversa qualità e livello, senza veri guizzi o trovate spiazzanti e bizzarre, come invece ci si aspetterebbe dalla presenza di Pinocchio. La mostra collettiva insomma consegna il burattino (e Collodi) alle mani ammorbidenti delle istituzioni: e sapendo che cosa pensasse l’autore delle istituzioni e degli ammorbidimenti, la cosa fa bonariamente sorridere.

Nell’insieme si tratta di un patchwork che assemblea più opere e più collezioni (tra cui alcuni lavori di Silvano Campeggi, il murales ex novo di Skim e i materiali librari di quello straordinario collezionista e cultore di Pinocchio che è il pontederese Franco Ferrini).

Ne esce un insieme gradevole, ma con scarsa capacità di incuriosire. Semmai un po' scontato e lievemente soporifero: e questa è l’ultima cosa che lo scoppiettante, irriverente e irrequieto Carlo Lorenzini avrebbe voluto.

L’unico elemento spiazzante è l’ingresso gratuito alla mostra. 

Dopo l’esperimento del biglietto per la mostra dedicata a Banksy, ecco un’ennesima giravolta, segno che chi ha scelto la nuova mostra (il Sindaco? il CDA della Fondazione?) e chi ha deciso la non bigliettazione (il sindaco? Il CDA della Fondazione?) ignora non solo che la continuità paga, mentre l’estemporaneità non costruisce nulla, ma che il biglietto è un segnale di qualità della mostra e dell’evento (oltre ad una maniera legittima per rientrare nelle spese, che in assenza di biglietto saranno tirate all’osso con il taglio, immagino, anche dell’investimento nella promozione e la conseguente mancanza di informazione sull’evento).

Almeno un vantaggio però il biglietto gratuito lo regala (al sindaco e alla Fondazione). Alla fine non si potrà sapere quanti visitatori saranno passati dalla mostra. Così Sindaco e Fondazione Pontedera Cultura potranno gridare al successo senza timore di essere sbugiardati dai numeri, come invece sta accadendo con la mostra su Banksy di cui ci si rifiuta ostinatamente (pur possedendoli) di rivelare il numero degli accessi paganti.

Va da sé che anche di questa mostra (che ha un’appendice all’ospedale Lotti, contempla un'installazione in piazza Curtatone, ecc.) né il Comune, né la Fondazione si sono degnate di fornire i costi. Che sia un regalo di Collodi? Mah!

Forse non ci dicono nulla perché è meglio che il popolo non sappia. Così soffrirà di meno.

sabato 13 dicembre 2025

IL PD E L’ORO DI MOSCA

Sostiene l’Intelligenza Artificiale, IA, opportunamente interpellata, che la Schlein non si sarebbe ancora pronunciata con chiarezza su cosa fare dei circa 190 miliardi russi congelati (in pratica, sequestrati) nelle banche belghe, soldi e titoli che l'Unione Europea vorrebbe usare per sostenere l’Ucraina nella guerra contro i russi. 

Sostiene ancora l’IA che il PD e il suo gruppo al Parlamento europeo sarebbero addirittura favorevoli ad utilizzare il tesoretto di Mosca a favore degli Ucraini, anche se l’IA non dice con chiarezza come intenderebbero farlo.

Sostengo invece io che se l’Europa metterà le mani sui soldi dei russi depositati in Europa, loro, i russi, considereranno questo gesto come un esproprio illegittimo, si arrabbieranno di brutto con noi europei e ci considereranno sempre di più loro acerrimi nemici. Ne conseguirà che le relazioni già disastrose tra russi ed europei precipiteranno, anche se la stampa italiana fingerà di cadere dal pero e dirà: o perché i russi ce l’hanno tanto con noi? O che gli s’è fatto?

Grandiosa poi la mossa conciliante di Mattarella che ieri ha riunito tutti gli ambasciatori per i tradizionali auguri di capodanno, tutti meno quelli russi e  bielorussi. A loro niente auguri di Natale. Così imparano il bon ton. Una maniera davvero molto diplomatica per dichiarare che noi non vogliamo trattare coi russi, ma vincerli, scordandoci però (e per un Presidente che dà lezioni di storia tutti i giorni al mondo, la dimenticanza è particolarmente grave) che né Napoleone, né i generali di Hitler sono riusciti a batterli i russi. E scordandoci che neppure la tragedia del comunismo è riuscita ad azzoppare del tutto l’impero russo e la sua resiliente autocratica società.

Ma tornando agli asset russi, per fortuna pare, pare che la sovranista Meloni si orienti a negare nel consiglio dei ministri europei, quello previsto per la prossima settimana, il consenso dello stato italiano a mettere le mani sui soldi russi congelati in Belgio; mossa questa che dovrebbe stoppare anche la possibilità della BCE di fare debiti collettivi per finanziare la guerra. Ora non è affatto certo che Giorgia tenga il punto. Ma io auspico che lei resista. Anzi mi auguro perfino che prima della riunione del Consiglio dei ministri europei la stessa Schlein si pronunci con chiarezza su questo snodo strategico e sostenga anche la contrarietà del PD a utilizzare gli asset russi e non si allinei con chi vuole andare allo scontro finale coi russi (inclusa una parte consistente del suo gruppo parlamentare europeo).

Auspico infine che anche le numerose sezioni locali del PD si esprimano sull’uso dell’oro di Mosca. Potrebbero uscirne sorprese interessanti.

venerdì 12 dicembre 2025

CONTRORDINE TOVARISCH: NIENTE NUMERI DI BANKSY (PER ORA)

Dopo aver fatto sapere tramite Quinewsvaldera che finalmente l’11 dicembre il soviet comunale avrebbe elargito ai curiosi i numeri dei visitatori paganti della mostra di Banksy & Amici (e forse perfino quelli della mostra di BABB), come che così il ristretto Politburo pontederese ci ha ripensato. Questa soddisfazione al vecchietto da tastiera non gliela vogliono proprio dare. Tanto ai cittadini non interessano queste informazioni, pensano i compagnucci della parrocchietta. Quindi? I numeri? Niet. 

E poi visto che c'è un’interpellanza ufficiale presentata dai consiglieri pontederesi di centrodestra per ottenere questi stessi dati, gli ex tovarisch forse approfitteranno di quella occasione per renderli noti. O forse diranno Niet anche all’opposizione, in virtù del loro superiore livello di democrazia.

Per ora comunque il segreto di Pulcinella (ovvero il megafiasco che ha caratterizzato la pontederese mostra banksyana) resta ufficialmente un segreto. Anche se niente è stato mai così clamorosamente noto come questa debacle colossale.

Anzi la verità è talmente clamorosa che il megafiasco non sanno proprio come annacquarlo. E allora, per il momento, meglio non ammetterlo. Si stancheranno prima o poi quelli fuori dal palazzo di chiedere i numeri.

E noi? Vabbè, si aspetterà. Che altro possiamo fare? 

I dati li hanno gli ex tovarisch del Politburo. Se non vogliono mollarli…

Certo se hanno deciso di seppellirli nel campo dei miracoli sperando che nottetempo si moltiplicheranno, temo che, come Pinocchio, coi suoi zecchini d’oro, rimarranno molto delusi.

Intanto il soviet comunale ha prodotto una nuova mostra, ma stavolta senza biglietto di ingresso. Così nessuno potrà formulare al Politburo l’imbarazzante domanda: com'è andata la mostra?

E se gliela faranno, gli ex tovarisch potranno comunque rispondere con sincerità: “bene”, essendosi privati da soli della possibilità di sapere come sia davvero andata e potendo inventarsi quindi tutte le risposte che vogliono, senza temere di essere smentiti. 

Quando si dice la trasparenza!!!

giovedì 11 dicembre 2025

TRUMP E I SOCIALISTI EUROPEI

Se è vero che la pubblicazione della “National Security Strategy” degli Usa, approvata da Trump a novembre, è un atto che riguarda l’Unione Europea, è anche vero che i socialisti europei, ovvero la seconda famiglia politica che guida, insieme al Ppe, oltre al parlamento europeo, diversi singoli stati europei, dovrebbero dire che ne pensano della NSS e come intendono replicare a questa analisi assai grossolana.

Il PSE e il gruppo parlamentare europeo “S&D” (di cui fa parte anche il PD della Schlein), che si sono da poco riuniti ad Amsterdam in un congresso che non è riuscito a balbettare niente di nuovo sulla politica estera europea, sulla Russia e sull’Ucraina, non possono fare finta di nulla e lasciare i loro gruppi e i loro leader nel parlamento europeo, nei singoli parlamenti nazionali e nei governi degli stati senza un’indicazione politica che replichi alle analisi dell’oligarca americano. 

Se il socialismo europeo non è un Brancaleone decerebrato deve battere un colpo. Deve rispondere alla provocazione e indicare una via, una prospettiva, una progettualità per l’intera Europa che va dal Portogallo alla Romania.

Deve provare dire qual è la visione socialista dell’Europa rispetto alla NSS di Trump. In una versione altrettanto sintetica e sfacciatamente efficace.

Urge insomma una risposta “politica”, che si affianchi a quelle elaborate dalle altre famiglie politiche europee, con alcune delle quali bisognerà che i socialisti trattino un accordo per gestire il cammino della maggioranza parlamentare europea. Perché la UE è pur sempre una complessa democrazia plurale e orizzontale  e non un’autocrazia verticale, d’impianto rinascimentale, come stanno diventando invece gli Stati Uniti trumpiani.

Perciò i socialisti europei e il gruppo parlamentare di S&D dovrebbero convocare un convegno speciale o un congresso straordinario e dibattere a lungo sulla NSS emanata da king Trump e uscire con una risposta soprattutto chiara.

Altrimenti si certificherà che non solo gli europei sono dei nani militari (cosa che non è detto che sia poi un male) quanto soprattutto che sono dei faragginosi nani politici. Incapaci di affrontare un dialogo pubblico di portata europea sul futuro del vecchio continente. Destinati all’insignificanza.

L’Europa è sola?, come ha sostenuto recentemente Jurgen Habermas. Forse. Ma può darsi che non sia affatto un male. A patto però che oltre che a essere sola l’Europa non spenga anche la luce, ma provi invece ad affrontare con lungimiranza e coraggio il problema politico che ha di fronte e a costruire relazioni col resto del mondo basate, oltre che sul commercio, sul diritto, sulla cultura e sulla non ingerenza.

I socialisti (come pure le altre famiglie politiche di ispirazione religiosa e liberale) lo devono ai cittadini che rappresentano.

In particolare però ai socialisti non basterà continuare solo a discutere e a battersi per i diritti per avere un ruolo in Europa e per dare al continente un futuro dignitoso.

Il contesto è difficile, le soluzioni complicate, ma le famiglie politiche europee debbono impegnarsi a fare la loro parte. Del resto cos’hanno da perdere?

lunedì 8 dicembre 2025

IL ROVESCIAMENTO DI CLEMENCEAU

Al famoso statista francese G. Clemenceau è attribuita la frase che la guerra è una cosa troppo seria per farla fare ai generali, sottolineando il primato della politica rispetto ai militari.

Invece in questi ultimi tempi, almeno in Europa, alla grande prudenza e ambiguità dei politici di fronte alla guerra (perché agli elettori i politici devono poi andare a chiedere i voti), corrisponde una certa imprudente loquacità dei generali.

Ecco allora le uscite dei generali tedeschi che “svelano” quando i russi attaccheranno l’Europa; ecco il capo di stato maggiore francese che dice alla nazione di abituarsi a piangere i propri figli morti in guerra. Ecco un generale della NATO (italiano) che sussurra al Financial Times di guerra ibrida “preventiva” già in atto. E non si capisce se quel “preventiva” voglia dire anche incostituzionale, visto che una guerra (e quindi anche una guerra ibrida), secondo l’articolo 78 della nostra Costituzione, dovrebbe essere votata e autorizzata dalla maggioranza dei parlamentari italiani prima di essere combattuta. Invece non mi risulta che il parlamento italiano abbia discusso e autorizzato l’avvio di alcuna guerra ibrida contro… già contro chi? Contro la Russia? Ma per accusarla in Parlamento di aver aperto un fronte di guerra ibrida e informatica contro di noi occorreranno prove certe. Andranno mostrate. Non basteranno le dichiarazioni alla stampa di Crosetto. Almeno i parlamentari queste prove dovranno pur verificarle prima di dichiarare guerra, per quanto solo informatica, contro qualcuno. O no?

Brutti tempi quando si leggono così tante dichiarazioni di militari (Vannacci incluso). Loro dovrebbero svolgere il loro delicato lavoro con grande discrezione, fedeli al motto “Taci, il nemico ti ascolta”. E soprattutto non dovrebbero interferire con la comunicazione politica.

Brutti tempi se invece i generali tolgono la parola ai politici.

Ma la cosa ancora più importante è evitare di pensare che la guerra Russia e Resto dell’Europa sia ormai ineluttabile, come invece ci vorrebbe far credere un quotidiano assillante bombardamento politico-mediatico. 

Ricordo infine che le coscienze delle persone hanno sempre l’ultima parola. E confido che i giovani disobbediscano, seguendo il suggerimento di Don Milani, a qualunque chiamata alle armi e che, ove mai fosse dichiarata, ci mandino i generali a fare …..la guerra.

MELONI E L’ABILITA' DEI CENTRODESTRI

La Meloni ha ragione ad essere soddisfatta di se stessa e tessere le sue lodi da Mentana sulla 7. In fondo lei è davvero una underdog che si è fatta molto da sola ed è stata brava a sfruttare con “prontezza” tutte le opportunità che la vita politica le ha messo di fronte.

E' infatti la leader che ha scalato meglio il potere, ha applicato alla perfezione le indicazioni di Machiavelli e ora prova perfino a costruire un’egemonia culturale di destra, scimmiottando (sono convinto senza averne letto neppure una riga) i “suggerimenti” di Antonio Gramsci, a cui il suo ministro della cultura, Giuli, ha dedicato recentemente un librettino, a dire il vero di poco spessore culturale (e molto autocelebrativo).

Sull’egemonia della destra ovviamente, la Meloni non può che rivolgersi al mercato culturale contemporaneo, soprattutto a quello mediatico e social, e pescare un po' di tutto, incluso suggestioni internazionali (come dimostra il cartellone assai ricco di argomenti e di partecipanti di Atreju). 

Credo perfino che se fosse ancora vivo Pasolini (a cui per altro Atreju dedica un incontro sia pure a mezzadria con Mishima) qualcosa di buono e di naif nella Meloni e nel suo sovranismo de’ noantri ce avrebbe trovato. E chissà se una poesia alla premier donna italiana, miracolosamente emersa dalle sue tanto amate periferie romane, non gliel'avrebbe dedicata, magari proprio per provocare i suoi compagni di sinistra.

Ma il vero capolavoro della Meloni sta nella forza (della leonessa) e nell’astuzia (della volpe) con cui tiene in pugno la sua variegata maggioranza, facilitata però dalla differenza che corre tra centrodestri e centrosinistri.

Il centrodestra è infatti una coalizione con un accordo chiaro che assegna automaticamente il ruolo di premier al segretario del partito che prende più voti.

Il centrosinistra invece non è ancora una coalizione perché non possiede alcun accordo su come si debba individuare il leader che dovrà guidarla. Anzi nel CS c’è una guerra proprio sul leader e, PD a parte, nessuno per ora accetta che sia il partito che prende più voti ad esprimere il leader.

Ovviamente ci sono anche i contenuti programmatici e ideologici a compattare meglio il CD rispetto al CS.

Infatti il CD ha avuto fino ad ora l’abilità e la flessibilità di negoziare meglio le proprie differenze interne e di contenere le diversità, mentre il CS, ricco di componenti più rigide e convintamente assertive, fatica ad aprire trattative sul programma di compromesso e questo fatto, insieme alla faccenda del leader, lo penalizza.

Questa maggiore rigidità (ideologica? narcisistica? moralistica?) è un ragalone alla Meloni che si diverte perfino (come dimostrano gli inviti ad Atreju) ad aumentare la discordia nel CS. Obiettivo non difficile per altro da raggiungere, vista la naturale propensione dei centrosinistri a litigare tra loro su quasi tutto. 

I migliori si sa non hanno bisogno di imparare dagli altri, né di studiare seriamente né Machiavelli, né Gramsci.

giovedì 4 dicembre 2025

FORZA ELLY

Certo la Schlein ricorderà le terribili parole scagliate contro le correnti del PD, alle idi di marzo del ‘21, da Nicola Zingaretti (eletto appena due anni prima segretario). Secondo Zingaretti, che nonostante il fisico massiccio uscì provato dalla terribile esperienza di segretario (di fatto, si arrese), le correnti e i capicorrente facevano più i loro interessi che quelli del partito e dell’Italia. 

E oggi, a sentire la Schlein a Montepulciano, il PD sembra ancora, più o meno, in quelle condizioni. Perché, ha detto più volte lei, il PD è una comunità “larga, aperta e plurale". Un eufemismo per dire che ognuna delle sue componenti (correnti, capibastone, cordate, ecc.) ha non solo una propria visione del partito, ma ha anche una propria strategia di alleanze, una propria politica estera, una propria politica economica oltre a un modo diverso di selezionare la classe dirigente del partito (scegliendo i suoi amici). E fare sintesi, è proprio dura.

Del resto anche le ultime elezioni regionali hanno dimostrato che stilare le liste elettorali del partito è stato un bagno di sangue (Pontedera docet). Con duelli all’ultimo posto. Sindaci e segretari di sezione che si autosospendevano per difendere candidate escluse e federazioni commissariate. Poi la stessa formazione delle giunte regionali riconquistate dal PD ha originato scontri tra diverse correnti e personalità che hanno lasciato strascichi pesanti e di fatto hanno avviato un confronto pre-congressuale senza che nessuno abbia dato ufficialmente il via al congresso. E ogni giorno si annuncia uno scontro con relativa riappacificazione.

La Toscana è uno dei luoghi più caldi (ma non l’unico) che costringe la SCHLEIN a rincorrere gli eventi e i vari cacicchi.

Se a questa turbolenza interna si aggiunge che il principale alleato del PD, i 5 Stelle, appena ne ha l’occasione sgambetta la povera Elly; che Renzi si riavvicina e si riallontana dal PD secondo i suoi interessi, mentre sul piano europeo il PSE costringe la Schlein a scelte (come quelle sul RIARMO) molto impopolari tra i suoi (e nel paese), beh, ce ne sarebbe a sufficienza per una conclusione del suo mandato con una mossa alla Zingaretti (copiando pari pari perfino le sue dichiarazioni finali).

Perché alla segretaria che “nessuno ha visto arrivare” non può sfuggire il fatto che in effetti, non avendola vista arrivare, gli uomini e le donne delle correnti del suo partito continuino a comportarsi come se lei non fosse mai arrivata o fosse solo di passaggio. Si, vabbè, Elly c’è. Ma ai feudatari che controllano pezzi del partito che gliene importa?

Insomma nessuno si meraviglia che le correnti continuino a gestire le proprie fette di potere in una comunità politica straordinariamente plurale, tendenzialmente un po' anarchica e molto radicata in alcune aree del paese, secondo proprie logiche fiduciarie, perfino in contrapposizione alla segreteria (gli esempi della Campania, della Puglia ma anche del gruppo parlamentare europeo sono eloquentissimi).

Del resto il PD contiene il corredo genetico (oltre ad alcuni longevi dinosauri) dei principali partiti della prima repubblica, partiti in cui, per fortuna, chiunque ne fosse segretario, le correnti e le oligarchie nazionali e locali, che controllavano voti, amministratori e interessi sociali ed economici, la facevano da padrone e i segretari nazionali erano, quasi sempre, re travicelli. Un grande esempio di democrazia dal basso, fondata sulle preferenze, a quel tempo tempo resa coesa da ideologie forti. Ma oggi? 

Comunque la vediate, resta il fatto che la competizione politica è assai più teatrale e mossa. Una vivace, caotica, commedia dell’arte, di cui non a caso noi italiani (senza distinzioni tra destri e sinistri) vantiamo giustamente il copyright. Forza Elly, puoi farcela!

mercoledì 3 dicembre 2025

LE BUCHE DEL MIGLIO DELL’INNOVAZIONE

In Italia vestigia del passato e architetture moderne stanno insieme. Non solo a Roma. Anche a Pontedera le cose vanno così. 

Viale Rinaldo Piaggio ad esempio, sede di industrie fin dall’inizio del ‘900, dopo il ridimensionamento della grande impresa è stato ribattezzato il miglio dell’innovazione. Nei vecchi capannoni in parte ristrutturati o rifatti ex novo, tutti allineati nel viale, si sono infatti insediati l’Istituto di biorobotica dell’Università Sant’Anna di Pisa, Artes 4, Modartech, il museo Piaggio, Pontech, qualche decina di startup, la moderna Biblioteca Gronchi, il Centro Sete Sois Sete Luas, ma i marciapiedi dove il miglio inizia e poi si sviluppa, fino al sottopasso ferroviario, sono a tratti bucherellati e sconnessi.

Giorni fa l’assessore Belli ha ripromesso in una seduta consiliare che su questo miglio dell’innovazione ne vedremo presto delle belle.

Se una cosa analoga non l’avesse già promessa e profetizzata proprio lui nel luglio del 2020 (oltre 5 anni fa) ci sarebbe quasi da credergli senza passare per creduloni.

E comunque per ora chi per qualche ragione (turismo, cultura, ricerca, lavoro o affari) svolti da via Roma verso il viale Piaggio e si avvii in questo miglio dell’innovazione deve stare attento a dove e a come mette i piedi perché si trova di fronte, a destra come a sinistra, marciapiedi piuttosto bucherellati e sconnessi come dimostrano le foto allegate. Non proprio un elegante biglietto da visita per il miglio dell’innovazione pontederese, visti i rischi di incespicare e cadere per i pedoni distratti o anziani come lo scrivente.

martedì 2 dicembre 2025

HABERMAS E LA CONFUSA COSCIENZA EUROPEA (E ITALIANA)

Il 23 novembre è uscito su “La Repubblica” un lungo stralcio di una recente conferenza dell’anziano filosofo tedesco Jurgen HABERMAS (96 anni) centrata sull’evoluzione degli Usa e sul ruolo dell’UE.

Il testo conferma 2 pensieri noti di Habermas. Ovvero che gli Usa stanno declinando e trasformandosi in uno stato autoritario. Il secondo, che l’Europa non ce la fa ad uscire dalle sue debolezze e ad essere un esempio positivo per il resto del mondo, come società del diritto e dei diritti, rendendosi autonoma dal protettorato americano, in cui è vissuta (e prosperata) per 80 anni.

Ora, queste annotazioni di Habermas sono condivisibili (almeno per persone orientate a sinistra). Ma sull’Europa mi sarei aspettato qualcosa di più.

Molti analisti stanno infatti chiedendo all’Europa di trasformarsi in una potenza armata per autogarantirsi meglio come società del diritto e dei diritti e per diventare a sua volta (al posto degli Usa, della Cina e della Russia) garante del diritto e dei diritti anche per altri stati “deboli” nel mondo.

E l’Unione Europea, sia pure tra mille incertezze e divisioni, sembra intenzionata ad andare proprio in quest'ultima direzione col piano di RIARMO o di PRONTEZZA.

Gli stessi socialisti europei, a cui Habermas è sempre stato vicino e a cui aderisce anche il PD, sostengono questa strategia.

Perciò chi parla d’Europa dovrebbe dire quale futuro vuole per il vecchio continente.

Io per esempio sono contrarissimo ad una Europa armata fino ai denti e quindi aborro il piano di RIARMO.

Sono contrario ad una Europa vassalla della e nella Nato.

E desidererei tanto un'Europa NEUTRALE. 

Tutta neutrale. Come la Svizzera e l’Irlanda. Ma mi accontenterei anche di un'Europa disarmata e non allineata. Non allineata agli Usa. Non allineata alla Russia. Non allineata alla Cina.

Aggiungo che trovo l'obiettivo del NEUTRALISMO una strategia politica molto più forte e chiara di quella del PACIFISMO. Perché il pacifismo è un atteggiamento morale, che alla fine deve tradursi in atti concreti. Così ci si può dichiarare, come avviene quasi sempre, pacifisti anche riarmandosi. E non va bene.

Naturalmente mi piacerebbe un’Europa che cerca e trova un accordo civile con le tre grandi potenze del mondo (Usa, Russia e Cina).

Ma si può essere neutrali senza riarmarsi fino ai denti e raggiungere accordi ragionevoli con le grandi potenze?

Il realismo politico direbbe di no.

Ma il realismo si basa sul fatto che l’antropologia umana sia sostanzialmente immutabile e che la cultura non possa migliorare la naturale bellicosità degli uomini e delle loro costruzioni sociali (gli stati).

La storia del diritto dimostra che l’animalità dell’uomo può essere addomesticata e che si possono trovare rimedi ragionevoli agli istinti predatori fortemente radicati nell’animo umano.

L’Europa, continente di vecchi saggi, continente “debole” e denatalizzando, dovrebbe accettare il suo status e scommettere sull’evoluzione NEUTRALISTA, costituendosi sempre di più come un faro giuridico e come esempio (ma non come garante militare) per tutti coloro che non vogliono diventare vassalli delle grandi potenze e non vogliono neppure partecipare alla corsa al RIARMO.

Il tutto senza pensare di costruire alcuna alleanza mondiale che non sia esclusivamente morale e culturale tra i neutralisti e i non allineati.

Discorso utopico? Forse.

Discorso con implicazioni anche economiche? Certo.

Ma mi sembra l’unico ragionamento concretamente alternativo al RIARMO, che purtroppo prende sempre più vigore in Europa e non solo nelle forze di centro destra.

Il pacifismo è un atteggiamento morale, ma non è una strategia politica per gli Stati.

Se l’Italia non voleva infilarsi nella carneficina della prima guerra mondiale doveva rimanere NEUTRALE, posizione che invece non tenne con tutti i disastri che ne conseguirono.