Grazie al Circolo di lettura di Utel ho riletto “A ciascuno il suo” di Sciascia, una piccola chicca, un gioiellino letterario. Un breve piccolo giallo, che si risolve in relativamente poche pagine e che però racconta un mare di cose, anzi un mondo che va dal microcosmo di un paesino a mezz'ora da Palermo, alla Sicilia intera, fino a dirci molto perfino su tutta l'Italia e quindi anche su di noi.
È la Sicilia come metafora del mondo, che Leonardo Sciascia ci ha proposto in tutta la sua opera letteraria attraverso gli occhi di un illuminista colto, attento alla realtà e appassionato della vita collettiva. Un intellettuale fortemente pessimista.
Chiaro quindi che il professor Laurana sia una proiezione di Sciascia, un suo avatar letterario investigativo, anche se un po' più sciocco, imprudente e soprattutto debole, direi.
Il testo, a 60 anni dalla sua uscita, è ancora fresco, per nulla invecchiato, e mi dà la sensazione che la Sicilia affaristico-politico-mafiosa che S. racconta sia ancora quella. E se i partiti a cui si fa esplicito riferimento nel giallo, i comunisti, i socialisti, i democristiani, non ci sono più, beh, certi intrecci tra affari, potere e sesso invece sono ancora quelli e si ritrovano anche nel continente. Anche dalle nostre parti. E forse se si scavasse nelle famiglie e nelle genealogie, forse si scoprirebbe che anche se oggi i potenti locali militano in partiti con nomi diversi da allora, le casate, le consorterie, i giochi di interesse hanno radici profonde e toccano i vecchi partiti che si sono solo reimpastati.
Ma tornando al testo, buono il trucco del depistaggio iniziale (in cui cadono gli inquirenti ufficiali: dei veri babbei, inetti o venduti e comunque quasi assenti dalla storia. Segno di una sfiducia nelle istituzioni che non è molto cambiata).
Buona anche l’idea di affidare a un professore di italiano e storia delle superiori, un signorino che vive con la madre, le indagini vere sulla morte del farmacista e del medico Roscio.
Pennellate lucide e disincantate quelle che disegnano la Sicilia dei primi anni ‘60. Un paese di bacchettoni, ma anche di raffinati e un po' patetici viveur, raccontati bene anche da Vitaliano Brancati che S. cita direttamente.
Va detto che già un anno dopo l’uscita del romanzo, nel ‘67, il grande regista Elio Petri ne trasse un film che sfruttava soprattutto il contenuto pruriginoso della storia (in realtà molto meno presente nel testo di Sciascia), contando sul fatto che la strampalata vicenda amorosa tra Gian Maria Volontè e Irene Papas riuscisse a trascinare masse numerose ma scarsoleggenti e poco illuministe al cinema.
Del resto erano gli anni che preludevano a quella che poi sarebbe stata la liberazione sessuale di questo paese: allora però quasi tutta da venire, soprattutto in Sicilia (ma non solo). E la storia della ragazza ingiustamente accusata di avere una tresca col farmacista le dice lunga di un costume non solo religiosamente bacchettone, ma sessualmente repressivo e ingiusto. E non solo a svantaggio delle donne. Il rapporto malato tra il professor Laurana e la madre ne fornisce un'altra indicazione. Confermata infine dalla fedifraga relazione tra i cugini assassini che, sotto lo sguardo dello zio arciprete, costituisce il vero movente del doppio omicidio.
Il piccolo gioiellino pseudopoliziesco di S. racconta tutto questo e nel frattempo contiene la denuncia sociale di un sistema di affari che mescola il controllo di società private e pubbliche, le cariche negli enti pubblici, nelle banche e la collusione, ove necessario, con la mafia.
Il vero burattinaio della situazione, l’uomo che tira tutti i fili e collega più mondi, come svela a Laurana il parroco cinico e senza fede (che trovata!) di Sant’Anna, non a caso è l'avvocato Rosello.
Ma Laurana un po' non ci crede e un po' viene depistato dalla bella moglie di Roscio, cugina e amante di Rosello. Ergo la sparizione del professore è la conclusione perfetta di un impiccione presuntuoso che non era certo attrezzato per venire a capo di una storia come questa. Un individualista, cretino, che non credendo nel valore delle istituzioni e neppure della politica (memorabili le battute col deputato comunista) viene sconfitto da forze più grandi di lui e quindi perde la vita.
Tra le chicche del racconto:
La vicenda della ragazza che viene accusata di avere una storia col farmacista e che poi risulterà totalmente innocente, ma che provoca la rottura immediata del suo fidanzamento e una sonora bastonatura da parte degli stessi familiari che la condannano seduta stante senza neanche porsi il problema se la ragazza potesse essere innocente.
Le dinamiche del potere locale, il fatto che si è potenti se si riesce a intrecciare il controllo di alcune società para pubbliche o che gestiscono appalti, con banche e anche con ruoli pubblici e se si sa gestire la commistione fra questi livelli. Tema questo ancora di grande attualità e non solo in Sicilia.
L’ingenuità del professore che rimane vittima dell’avvocato Rosello, abile ragno sociale che controlla i vari intrecci tra politica, affari e rapporti diretti con la criminalità e poi chiaramente soddisfa anche i propri appetiti sessuali.
La condanna di tutto questo andazzo in nome di un moralismo illuministico scettico che non crede che la politica abbia la forza di cambiare questo stato di cose.
Il moralismo illuministico, che si incarna in Laurana e nel padre di Roscio, l’oculista cieco, il cui destino finale però è quello di essere sconfitto (come nel più siciliano ciclo dei vinti)
Insomma quello di S. è un romanzo breve che ci racconta che l’Intelligenza non può farcela contro una certa natura umana, contro una certa immoralità, contro la debolezza della carne.
Infine una curiosità. Un’ultima chicca letteraria. Dalla pagina finale del racconto di S. deve aver preso lo spunto, 35 anni dopo, il romanzo di Camilleri sulla scomparsa di Pato’.
Grazie,mi hai fatto capire bene il senso e tutte le dinamiche del racconto!Non lo avevo molto apprezzato ma con la tua spiegazione ho cambiato idea!Bravissimo!
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