venerdì 27 novembre 2015

DINO CARLESI: un ricordo in Biblioteca (sabato 28 novembre alle 17) a Pontedera
Dino Carlesi è stato un uomo di cultura laica e un socialista (almeno dagli anni '50 in poi), dove le due componenti forti della sua identità stavano esattamente in quest'ordine. E' stato anche insegnante, ispettore scolastico, direttore scolastico, formatore di insegnanti, sindacalista della scuola, più in generale ... un uomo del mondo della scuola, attratto da tutto ciò che era didattica e pedagogia e con un occhio attento alla didattica della “poesia”.
Perchè come gli aveva felicemente scritto Quasimodo (un paio delle cui lettere compaiono nella piccola mostra di documenti allestita in biblioteca), Carlesi è stato per tutta la sua vita un poeta. Un poeta dotto e che amava le relazioni (anche per scontrarsi, perchè era aperto al confronto e battagliero).
E oltre che poeta è stato un critico d'arte e col mondo dell'arte si è relazionato in varie forme e maniere, incontrando semplici artisti, dialogando di piccole mostre, ma curando anche cataloghi ed esposizioni di personalità come Renato Guttuso o Emlio Greco, tanto per citarne alcuni degli artisti con cui era in corrispondenza e con cui aveva familiarità.
E ancora c'è Carlesi politico, azionista, socialista, liberalsocialista. Amico di Tristano Codignola e di altri socialisti di primo piano, a cominciare da quelli che guidavano il partito socialista a Pontedera e nel pisano.
A fianco del Carlesi politico c'è poi l'amministratore e l'assessore alla cultura del comune di Pontedera. Ma per lui la passione politica (che coltivò fino all'ultimo giorno di vita) sembrava uno strumento di quella che allora si chiamano battaglie culturali, la scelta delle idee, il desiderio di affinare un punto di vista e di proporlo al mondo.
E ancora c'è l'uomo appassionato del teatro che tra le altre cose riuscirà a far produrre al comune di Pontedera nel 1965, in prima assoluta nazionale, la riduzione del testo di Beppe Fenoglio, "Una questione privata". Con la regia di Marcello Santarelli, interpretato da Walter Bentivegna e Paola Quattrini. In questo modo Carlesi riprende e rielabora il lungo percorso del teatro pontederese nato nel dopoguerra e lo intreccia con l'esperienza dell'Autunno Pontederese. Un esperienza che prese il via nel 1948 e fu fortemente voluta dal sindaco e pittore Otello Cirri, il quale, in una Pontedera martoriata e distrutta dai bombardamenti, propose di investire anche in un teatro “popolare”, politicamente impegnato, in grado di parlare alla coscienza dei cittadini della nuova Repubblica. E' da quegli spettacoli allestiti in mezzo alle macerie che maturarono le successive vicende teatrali cittadine.
Più in generale Carlesi è stato uomo di vasta e profonda cultura, una cultura laica, che però non disdegnava di confrontarsi con i temi religiosi e con le domande più difficili che si pongono all'uomo contemporaneo. Il breve scambio di auguri con Mons. Vasco Bertelli (vescovo di Volterra),che si legge nella mostra in biblioteca, dimostra la familiarità con cui interagivano questi due straordinari personaggi, per altro molto diversi tra loro.
Credo che lo studio delle carte e dei testi di Carlesi, la raccolta delle testimonianze dei molti che lo hanno conosciuto, farà scoprire ancora altri aspetti assolutamente inediti e questo ci arricchirà dal punto di vista culturale e offrirà molti stimoli e spunti di riflessione in diversi ambiti.
Sicuramente ci farà apprezzare un lavoratore infaticabile (ha scritto fino all'ultimo e ha allestito e recitato nel suo ultimo spettacolo all'età 90 anni). Un uomo che tra le altre qualità aveva quella, rara e preziosa, di coltivare le amicizie e le relazioni, come dimostrano bene i libri di versi che regalava agli amici ad ogni fine d'anno e di cui sono testimonianza, tra le altre, le lettere di Antonio Tabucchi e dell'avvocato Pier Ugo Montorzi.

sabato 21 novembre 2015

ANCORA SU GIOVANNI GRONCHI E LA POLITICA ESTERA ITALIANA 1955-1962
Una lettera che ho spedito alla rubrica che SERGIO ROMANO tiene sul Corriere della Sera giovedi 19 novembre è stata pubblicata e commentata. Allego il ritaglio.





giovedì 12 novembre 2015

SEMINARIO GRONCHI E LA POLITICA ESTERA ITALIANA - UN BELL'ARTICOLO DI NILO DI MODICA SUL TIRRENO DI IERI


mercoledì 11 novembre 2015

Una gran bella foto scattata, probabilmente nel 1962, al Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi da un giovanissimo ragazzino Aldo Filippi (pontederese poi trapiantato a Montopoli, ceramista, fotografo, musicista, insegnante, amministratore locale e molto altro ancora).


martedì 10 novembre 2015

Conferenza stampa per illustrare il seminario su "GRONCHI E LA POLITICA ESTERA ITALIANA 1955-1962" che si terrà al Museo Piaggio e alla Biblioteca Gronchi il 13 e il 14 novembre.



domenica 8 novembre 2015

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEGLI ANNI DEL MIRACOLO ECONOMICO IGNORATO DALLA STORIOGRAFIA DI SINISTRA?

Per chi leggesse o studiasse ancora la "Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988" di Paul Ginsborg, Einaudi, 1989, pp. 621, per anni considerato un classico della storiografia di sinistra in Italia, Giovanni Gronchi assomiglierebbe quasi ad un ectoplasma. Potrebbe non essere esistito, potrebbe non non essere mai stato Presidente della Repubblica e non aver giocato nessun ruolo nella politica del dopoguerra. Nella svalutazione del miracolo economico e nell'ingigantimento del ruolo dell'opposizione, gli uomini che, pur con tutti i lori limiti, fecero davvero quel miracolo sono molto maltrattati in questo testo di storia ancora utilizzato, credo, anche a livello universitario. Cosi mentre tra gli anni '40, 50 e 60 ricorre innumerevoli volte (una sessantina per la precisione) il nome di Togliatti, nel libro dello storico Ginsborg quello di Giovanni Gronchi, Presidente della Camera dal 1948 al 1955 e e poi della Repubblica dal 1955 al 1962 appare solamente 2 (due), e la seconda volta solo per dire che non venne rieletto alla Presidenza. Del tutto assente Gronchi è stato in manuali di "Storia contemporanea" per licei un tempo largamente adottati come quello di Rosario Villari e quello di Giuliano Procacci (Passato e presente), almeno nelle edizioni  degli anni '70 che ho usato io. Gronchi non figura nemmeno nella "Storia degli italiani" di G. Procacci (Laterza, 1972), dove invece ci sono innumerevoli riferimenti a Gramsci (9) e Togliatti (8). Ok, si tratta di una storiografia partigiana. Ma a rileggerla oggi, fa un certo effetto. E non solo per la partigianeria, ma per l'incapacità di comprendere il contesto e gli uomini che fecero crescere quell'Italia. Spero per i posteri che non si affermi anche una storiografina "grillina". Ma se il movimento neoforcaiolo sopravviverà non solo non si può escludere, bensì si può essere certi che si materializzera' una storiografia "dalla parte di Beppe". In questo caso davvero non ci resterà che ridere.

lunedì 2 novembre 2015

GRONCHI E LA POLITICA ESTERA ITALIANA NEGLI ANNI '50 E '60. IL RICONOSCIMENTO DEL RUOLO DI UN PRECURSORE

Trovo "strano" ma tutto sommato comprensibile che all'uomo che negli anni'50  tracciò le linee chiave di quello che sarebbe diventato l'asse portante della nostra politica estera per il cinquantennio successivo (almeno sui principali scacchieri strategici) non venga affatto riconosciuto questo ruolo e che addirittura all'epoca le sue idee venissero attaccate e duramente combattute sia all'interno del suo partito che dai partiti di opposizione che, pur avendolo innalzato alla Presidenza della Repubblica, non erano certo disposti a riconoscergli un ruolo strategico nella politica italiana. Tanto meno in quella estera.
Vediamole queste idee portanti:
- un filoatlantismo tiepido. L'Italia per Gronchi non era e non doveva pensarsi come un paese satellite degli USA. Doveva giustamente pagare per gli errori di una guerra che aveva contribuito a scatenare, per il sostegno dato alla Germania nazista, ma poi tornare rapidamente a recitare un ruolo "autonomo" (il più autonomo possibile) anche in un contesto "bipolare" e molto complicato, caratterizzato dalla Guerra Fredda. Un ruolo autonomo anche dagli Usa. Ovviamente. Per questo gli addetti all'ambasciata USA a Washington definirono "pericolosa" la sua elezione e pensavano (e scrivevano in privato) che era stato eletto un "socialistoide".
- Non a caso per questo "socialistoide" l'Italia doveva trattare con la Russia di Krusciov, lavorare per la distensione internazionale e allargare il mercato delle nostre imprese includendo anche l'Unione Sovietica.
- in ambito Mediterraneo l'obiettivo di Gronchi era di riconoscere ruolo e protagonismo ai paesi arabi che uscivano dai vari protettorati anglo-francesi. L'obiettivo della nostra politica estera doveva quindi essere quello se non proprio di sostenere certo di vedere favorevolmente i processi di decolonizzazione in atto, con l'obiettivo di entrare sui mercati arabi con le nostre merci e le nostre imprese. Era una decolonizzazione interessata, certo. Ma che dava spazio ai governi guidati dalle forze locali.
- in ambito europeo Gronchi era favorevole alla riunificazione della Germania
- ed era un europeista convinto, sia pure con l'idea di un'Europa come concerto di stati forti e che mantenevano un ruolo importante.
La sua visione della politica estera non era quella di De Gasperi, nè quella di Fanfani, successore dello statista trentino alla guida della DC.
Era una linea che stava in tensione con quella che prevaleva nella DC di quegli anni e che, quando venne eletto presidente della Repubblica, cominciò a viaggiare in maniera parallela a quella dei vari governi a guida democristiana.
Era una linea che per quanto riguardava il tiepido filoatlantismo venne apprezzata dalla sinistra socialista e comunista (allora su posizioni apertamente anti-atlantiche). Prevedeva una decisa apertura verso Mosca (anche questa apprezzata da socialisti e comunisti, con questi ultimi, però, preoccupati di non perdere il ruolo privilegiato con Mosca e di mantenere i finanziamenti di Mosca).
Era una linea che sul versante mediterraneo venne apprezzata meno dalle due sinistre storiche, ma tutto sommato non osteggiata.
Mentre sgradito almeno alla sinistra comunista fu l'europeismo di Gronchi, perchè il PCI di allora non era solo filosovietico e nettamente antiatlantico, ma sosteneva posizioni anti-europeiste.
Certo, venti anni dopo, dalla metà degli anni '70 in poi, le idee di politica estera di Gronchi erano diventate più o meno (con qualche insignificante ritocco) le idee dei socialisti e dei comunisti, ma senza che questo per ovvie ragioni venisse ammesso e riconosciuto. La politica è fatta così.
Recenti pubblicazioni consultate solo da specialisti stanno però restituendo, carte alla mano, a Gronchi quello che era ed è di Gronchi. Il seminario che si terrà a Pontedera, racconterà anche questo.

venerdì 30 ottobre 2015

SEMINARIO SU GIOVANNI GRONCHI E LA POLITICA ESTERA ITALIANA 1955-1962

Siamo ad una quindicina di giorni da questo straordinario seminario legato alla figura di Giovanni Gronchi e al suo ruolo nella politica estera italiana nella seconda metà degli anni '50. Un seminario che avrebbe anche potuto intitolarsi con una frase giornalistica: "Quando l'Italia aveva una politica estera e forse anche di più". Eletto sessanta anni fa alla Presidenza della Repubblica per iniziativa dei socialisti e dei comunisti, col sostegno strategico della sinistra democristiana,l'attività e la personalità di Giovanni Gronchi irritarono parecchio la diplomazia americana (che dubitava del suo anticomunismo e sostanzialmente lo riteneva poco filoatlantico e quindi come scriveva nel 1955 l'ambasciatore a Washington, "pericoloso"!). Contestualmente, come dimostrano recenti documenti usciti dagli archivi del PCUS, i russi (leggi il Ministro degli Esteri Gromyko) capirono subito che con Gronchi avrebbero invece potuto dialogare e definire meglio le numerose questioni aperte (danni di guerra, prigionieri, ecc.). Ma Gronchi non fu solo un tiepido filoatlantico e un presidente favorevole ad un dialogo aperto con Mosca. In politica estera fu ancora più coraggioso ed innovativo, come dimostreranno bene le relazioni che saranno illustrate il 13 e 14 novembre presso il Museo Piaggio e la Biblioteca comunale di Pontedera.

https://www.facebook.com/events/851198178304253/https://www.facebook.com/events/851198178304253/



giovedì 29 ottobre 2015

GIOVANNI SARTORI, LA CORSA VERSO IL NULLA (Mondadori, 2015)
Libro leggero, simpatico, riassuntivo delle tesi politiche e sociali sostenute da sempre da Sartori su diversi argomenti (legge elettorale, dinamica dei partiti italiani, scontro di civiltà, natalità, bioetica, ecc.). Una lettura per spiriti liberi. Piacevole.

venerdì 9 ottobre 2015

UMBERTO ECO SU MARX E IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Eco è tornato brevemente a occuparsi di Marx in un volume recente e ha fatto un esame in larga misura condivisibile del testo più famoso del filosofo e politico di Treviri, il Manifesto del partito comunista, testo che per Eco dovrebbe essere obbligatorio leggere a scuola (1). In Russia lo è stato per diversi anni, credo, e in Cina immagino lo sia ancora. Ma in entrambi i casi i risultati di questa lettura obbligatoria non mi sembrano esaltanti. Niente di quanto è obbligatorio a scuola entusiasma mai i giovani. Comunque l'analisi che Marx faceva 170 anni del capitalismo era lungimirante. Ne aveva capito le dinamiche profonde, la potenza, ma anche i vizi e i guai che avrebbe portato con sé. Ma se aveva capito tutto questo e se milioni di uomini e forse alcuni miliardi di loro sono stati e sono in grado di leggere questa analisi critica, perchè il capitalismo ha largamente dominato e domina le dinamiche di sviluppo del pianeta? Perché è riuscito a ribaltare 70 anni di rivoluzione sovietica e a colonizzare il sempre più confuciano comunismo cinese? Perché le ricette di Marx e di tanti critici del capitalismo non hanno attecchito o si stanno dimostrando fallimentari? Le risposte sono indubbiamente molte e complesse. Ma semplificando parecchio credo che il nocciolo del problema vada ricercato nel rapporto tra capitalismo e libertà individuale e collettiva. Il capitalismo è un sistema che si adatta bene a tutti i contesti politico-istituzionali, compresi i più autoritari e corrotti, purché dotati di una qualche stabilità. Si adatta bene anche a diversi contesti religiosi, incluso quello musulmano. Ma soprattutto si adatta bene al rapporto liquido ed ambiguo che l'uomo contemporaneo intrattiene con la propria libertà individuale, con la coscienza dei singoli e con quella collettiva. Tutto questo sfuggiva a Marx nel '48 e la sua utopia dell'uomo nuovo, del non-borghese, finiva per appoggiarsi su una visione idealizzata del proletariato comunista che alla prova dei fatti si è dimostrata appunto irrealistica e poco efficace. Allora Marx non ci serve più? Tutt'altro. La sua diagnosi del fenomeno è ancora attuale. È su come imbrigliare e curare le energie negative del capitalismo e su come far crescere la coscienza individuale e quella collettiva  (per neutralizzare le forze negative) che il marxismo ci suggerisce purtroppo medicine inefficaci. Il materialismo storico, l'approccio illuministico, scientifico e in certa misura deterministico, positivistico, che hanno accompagnato buona parte del marxismo e dei marxisti del secolo andato non hanno infatti prodotto un'etica per le masse in grado di resistere efficacemente alla globalizzazione capitalistica. Non a caso questi filoni culturali sono ormai confinati in nicchie ambientali frequentate da pochi. Un pò meglio hanno fatto le religioni che, ancora oggi, più della politica, stanno parlando al cuore, alla testa e più in generale alla coscienza degli uomini, pur in un contesto difficile, confuso e per certi versi lacerante.
Ma questo è  esattamente il problema che abbiamo di fronte. Conservare le libertà individuali e collettive, farle crescere laddove ancora faticano ad affermarsi e far sviluppare negli uomini una coscienza forte per resistere alle intemperie dei tempi. In questi tempi da lupi, un ruolo travolgente lo recita uno sfrenato sviluppo capitalistico che, con le sue bolle speculative e le sue sperequazioni, rischia di travolgere importanti conquiste sociali e di frantumare legami significativi per la vita civile. Per arginare i suoi effetti negativi, ci serve una forte moralità individuale ed un altrettanto forte spirito pubblico. Ma temo che proprio su questo punto Marx e molti altri critici del capitalismo e della società contemporanea invece possano dirci poco. I guai cominciano qui.

(1) il testo di Eco è stato parzialmente pubblicato su supplemento Tuttolibri de La Stampa del 3 ottobre 2015 (n. 1973)

mercoledì 7 ottobre 2015

LA  REGIONE TOSCANA NON RINNEGHI LA SUA POLITICA BIBLIOTECARIA

Nella riorganizzazione in corso nell'ambito dei servizi regionali, il settore che si occupa e sostiene le Biblioteche locali da alcuni anni viene indebolito. Fondi tagliati per le Reti Bibliotecarie Provinciali di oltre il 20 % rispetto all'anno passato (e stiamo parlando di una sottile trama di capillari che irrora la lettura su tutto il territorio regionale). Ma sopratutto soldi promessi e non ancora assegnati per l'anno in corso. E stiamo parlando di contributi essenziali per gli acquisti dei libri: il pane della cultura. Stiamo parlando di soldi per il trasporto dei libri sul territorio, e altre cose di questo genere. E ancora personale regionale del Settore Biblioteche, con anni di esperienza, spostato e servizi accorpati in un mega settore omnibus chiamato assurdamente "Patrimonio culturale, siti Unesco, arte contemporanea, Memoria". Spariscono perfino le voci storiche del settore. Via le parole: biblioteche, archivi, musei, istituti culturali. Il messaggio sembra terribilmente chiaro. L'obiettivo non dichiarato ma largamente praticato è che le sovvenzioni regionali per questo settore (che sono pari al costo di un chilometro scarso di superstrada, si avete letto bene a sostegno di tutte le biblioteche comunali la Regione Toscana, se nel 2015 lo farà, i decreti sono pronti da maggio, ma non vengono approvati, metterà l'equivalente di un chilometro di superstrada), le sovvenzioni ai Comuni si riducono al lumicino. Ma con questi spiccioli (non ancora erogati) e con questi pochi addetti non è possibile nessuna vera strategia regionale per il settore. E questo in barba a tutta la normativa anche recente e alla tante chiacchiere fatte anche negli ultimi 5 anni, quando però gli investimenti in edifici (va detto per amore della verità) sono stati da parte della Regione comunque importanti. Così chi se ne importa se nell'era di internet non esiste un catalogo unico delle biblioteche civiche toscane? Perché sostenere un servizio di prestito librario che coinvolga seriamente tutta la Regione? A chi interessa se c'è o se non c'è un piano operativo di digitalizzazione della documentazione libraria e archivistica regionale?
Non a caso in Regione Toscana, nella Regione dove lavorò Luigi Crocetti, uno dei più qualificati bibliotecari italiani del '900, oggi a dirigere il Settore Biblioteche (che di fatto non c'è più) non c'è nessun bibliotecario. Nessuno che assomigli anche solo vagamente a Crocetti. In compenso, come va di moda, a Crocetti è stata intitolata l'ex biblioteca del servizio beni librari regionali. Non credo che Crocetti sarebbe contento di questa deriva.
Insomma a 40 anni dalla legge regionale n. 33 del 1976, che rappresentò un punto di svolta nella pubblica lettura in Toscana e aprì una straordinaria e diffusa fioritura di biblioteche pubbliche locali, il nuovo assessore alla cultura (e anche alle biblioteche) si presenta ridimensionando il mondo delle biblioteche. Uno dei pochi settori che lavora per far funzionare meglio il cervello della gente viene trattato come una bagatella. Un settore al servizio dell'intelligenza e dell'innovazione viene mortificato come se si stesse parlando di qualche rotonda stradale. Il neo Assessore, per altro docente universitario, non riesce neppure a far approvare (almeno ad oggi, quando mancano 80 giorni alla fine dell'anno) i bandi annuali per il 2015 varati a febbraio e che secondo la stesse normativa toscana dovevano essere approvati, finanziati e "liquidati" entro maggio. E nemmeno riesce a convocare i responsabili politici delle Reti toscane e a condividere con loro, in una situazione che non ha precedenti, il disagio di una situazione che certo non ha determinato lei, ma rispetto alla quale l'Assessore (per altro anche vicepresidente della Regione) ha il dovere culturale se non morale di dire da che parte sta e soprattutto dove vuole portare le biblioteche pubbliche locali.
Su questo punto spero che AIB non taccia e organizzi una vibrante protesta, magari proprio sotto le finestre dell'assessorato, contro l'attacco che nessuna politica di spending review più giustificare. Non possiamo permetterci di disinvestire nel settore delle biblioteche se non vogliamo togliere soprattutto ai nostri giovani perfino la speranza del futuro. Libri, biblioteche e formazione permanente costituiscono un asset imprescindibile su cui semmai la Regione Toscana dovrebbe mettere più uomini e più risorse. Vendiamo palazzi, vendiamo quadri, vendiamo terreni, azzeriamo le spese di rappresentanza, ma troviamo due milioni all'anno per comprare libri per le biblioteche civiche toscane. Semmai chiediamo ai bibliotecari di prestarne di più, di promuovere di più la lettura, ma manteniamo quattro o cinquecento bibliotecari a fecondare la campagne della cultura. Se non riusciremo a farlo, accelereremo la profezia della Yourcenar che nelle Memorie di Adriano diceva di intravedere l'arrivo dell'inverno dello spirito, un inverno che secondo lei andava combattuto anche aprendo biblioteche, Signor Presidente della Regione Toscana, l'inverno dello spirito è già qui. Non azzoppi le biblioteche civiche. Abbiamo bisogno che la Regione non solo le sostenga, ma detti gli indirizzi collettivi e gli obiettivi di sviluppo. In questo settore abbiamo bisogno di più Regione e di una Regione che aiuti le collettività locali a guardare lontano. Le biblioteche toscane sono tra i pochi granai dell'anima generosamente costruiti e sparsi su tutto il territorio da una coraggiosa politica regionale adottata negli ultimi quaranta anni dai suoi precedessori. Lei che si dichiara loro seguace non rinneghi la lungimiranza di quegli amministratori in gran parte comunisti.


sabato 3 ottobre 2015

Laudato si', l'enciclica ecologista e sociale di Papa Francesco.

Una conferenza di alto livello del prof. don Federico Giuntoli sull'enciclica di Papa Francesco "Laudato si'" oggi alla Biblioteca Gronchi. Si tratta della prima enciclica che affronta le tematiche dell'ecologia in maniera completa, con la forza e la chiarezza tipiche del pensiero di Papa Francesco. L'uomo, per Francesco, è il custode della Terra e dei suoi beni, non il padrone. Per questo ha una grande responsabilità rispetto al modo in cui i beni comuni vengono utilizzati e consumati. L'enciclica non nega il ruolo del progresso scientifico, ma sottolinea il ruolo negativo della tecnocrazia e sottolinea i limiti e i rischi di uno sviluppo che non tiene conto del carattere finito delle risorse naturali. Per quasi due ore il prof. Giuntoli ha illustrato i punti di forza e gli elementi originali del messaggio di Francesco, che lo stesso pontefice ha ripreso pochi giorni fa negli Stati Uniti davanti al Congresso e all'Onu. La Terra non è nella disponibilità dei potenti e dei ricchi, ma chi governa deve tener conto dei diritti di tutta l'umanità, inclusa la massa dei poveri che abita il pianeta. Attorno a questi temi forti dell'enciclica, si è sviluppato in biblioteca un dibattito vivace che ha coinvolto diversi presenti. Un bel pomeriggio di riflessione.
"Babel" ovvero quando le citazioni ammazzano il pensiero del lettore.

Se dall'ultimo componimento in prosa di Mauro e Bauman, intitolato "Babel", stampato da Laterza, si togliessero tutte le citazioni più o meno colte di autori più o meno alla moda e si togliessero anche le frasi che le congiungono, il libretto residuo si aggirerebbe sulla quarantina di pagine, scarse, scritte e stampate per ipovedenti, il cui contenuto sarebbe sintetizzabile in poche frasi, tra cui il mondo è un casino liquido quasi incomprensibile e immodificabile, la colpa è del capitalismo e del pensiero servile neoliberista che lo leggittima, ma a noi tutto questo ci fa un baffo. Così tra un'esagerazione e l'altra, tra il dissolvimento dei legami sociali e il Mercato delle Identità llimitate (con le Maiuscole al posto giusto), noi mortali fluttuiamo, in mezzo a tanti fluttuanti. Naturalmente chi cerchi in questo "Babel" un filo di Arianna per capirci qualcosa o comunque sopravvivere nel labirinto o semplicemente galleggiare, beh ha sbagliato libro. Per questo a me la lettura di Babel, ha irritato, ma non per le cose che dice e per le tesi a volte strappalacrime, a volte scontate, a volte troppo complicate per il mio modesto cervello. No, soprattutto per l'incontinenza citatoria del componimento e per il fatto che non si possono scrivere e stampare libri che non dicano quasi niente di originale, anche rispetto alle tesi già presentalote dai medesimi autori (incluso l'autore prevalente che è Bauman). Ok, repetita iuvat, ma non si possono friggere e rifriggere le stesse cose, senza un pensierino per gli alberi ingiustamente sradicati e ridotti in poltiglia per farne carta da libri. Verrebbe da chiedere all'Europa l'emanazione di una direttiva che obblighi gli editori ad accompagnare ciascun libro da un "bugiardino" con almeno queste voci e coi rispettivi valori: idee tratte da autori morti: es. 90%; idee prese da altri autori viventi: 5%, rifritture di idee dello stesso autore del libro: 4,5; idee di provenienza sconosciuta: 0,4%, Originalità: tracce non quantificabili. Controindicazioni: produce irritazione a chi conosca gli autori stracitati. Suggerimenti: leggere lontano dai pasti. E purtroppo non è nemmeno stampato su carta riciclata. Domanda: ma se non vale la pena di leggerlo, perché recensirlo? Per lasciare una traccia insignificante sul fatto che i lettori non sono proprio fessi?

venerdì 2 ottobre 2015

Mr. Corbyn, I suppose

Ma i laburisti inglesi, che di solito costituiscono una sinistra molto conservatrice e pragmatica nell'ambito delle sinistre europee, si sono bevuti il cervello per eleggere Mr. Corbyn come loro leader? Solo i posteri potranno rispondere con cognizione di causa a questa domanda. Noi possiamo fare solo ipotesi e congetture. La mia è che
la grande difficoltà in cui si trovano le persone di sinistra a leggere il mondo impedisca loro, ci impedisca di capire e di dire con chiarezza dove vogliamo andare e come vogliamo andarci. Ma una visione radicale della realtà, mi pare ci ponga fuori dalla realtà.

lunedì 7 settembre 2015

Ministro Franceschini faccia qualcosa per il Museo nazionale di San Matteo di Pisa.

Ieri, approfittando dell'apertura domenicale gratuita, dopo una quindicina di anni, sono tornato al Museo Nazionale di San Matteo di Pisa. Ci avevo portato i miei figli poco più che bambini. Loro, a quel tempo, si erano un pò annoiati. Lo avevano trovato freddo e complicato. Io pure. Non sono un esperto d'arte. Nè  medievale, nè rinascimentale, anche se mi sono occupato in piccolo comune anche di piccoli musei e di spazi espositivi. Così ci sono tornato per vedere se era cambiato qualcosa. Da allora. Mentre mi complimento sinceramente con Lei della bella trovata delle aperture gratuite ogni prima domenica del mese, mi permetto di suggerirle alcune piccole cose da fare al San Matteo. La prima. Chiuda pure il Museo di San Matteo il lunedi mattina, ma lo faccia aprire la domenica pomeriggio. Un museo d'arte chiuso la domenica pomeriggio è un modo scientifico per scoraggiare i visitatori. Nel museo poi non si vende un gadget. Nemmeno la torre di Pisa di cui pure il museo conserva la raffigurazione originale (1437) credo più antica. È il secondo modo scientifico per non fare business sui musei. Perché tanto masochismo? Terzo. Molti spazi sono male illuminati. Molto male illuminati. Con poco credo si potrebbe fare molto meglio. Possibile che non ci siano due spiccioli per un intervento modesto? Quarto. Il museo contiene alcune chicche. Dalle statue lignee a quelle di marmo. Ci sono alcune croci dipinte e alcuni polittici straordinari, tra cui quello di Simone Martini, proveniente se non erro dalla Chiesa di Santa Caterina. Credo che attorno a queste chicche si potrebbe fare un bel can can promozionale. Perché non provarci? Quinto. Perfino il chiostro è meraviglioso, con alcune pietre tombali suggestive lasciate però oggi senza alcuna indicazione ed informazione. Idem con le statue e altre parti lapidee ricoverate nella chiesa. Del Museo si può fare un percorso di almeno tre se non quattro ore intense,  ricche, formative, emozionanti. Sesto. Va creata una collaborazione con almeno un centinaio di insegnanti, dalle elementari alle superiori, che tutti gli anni dovrebbero far visitare una parte del museo alle loro scolaresche. Settimo. I numeri. San Matteo registra 7/8.000 visitatori all'anno. Pochissimi. Anzi quasi niente. In confronto ai tre milioni di persone che transitano dalla Piazza dei Miracoli e dalla Torre. Certo nessuno può pensare di portarne qui nemmeno un decimo di quelli attraversano correndo la Piazza. Ma intercettarne solo lo 0,3% scarso è davvero troppo poco. Un record negativo. Ottavo. Ho apprezzato moltissimo la nomina dei nuovi direttori dei musei, anche quelli stranieri. Non so cosa pensa di fare per San Matteo. Sono convinto che se venisse dato in gestione ad un soggetto privato, e meglio ancora ad una cooperativa culturale, lasciando gli incassi al soggetto gestore, nel giro di due o tre anni il museo riuscirebbe a fare 50 se non 60.000 visitatori e con un biglietto a 5/6 € ripagare una parte importante dei costi del personale e delle spese di manutenzione e di investimento. Se poi attorno al San Matteo si costituisse una rete di sostenitori privati, questo Museo potrebbe trasformarsi in un gioellino. Ma c'è bisogno di maggior dinamismo e di una forte autonomia operativa. Questa regola vale anche per le piccole e medie strutture. In fondo la forza di questo Paese è sempre stata nelle piccole imprese. Credo che i musei non facciano eccezione e che bisognerebbe cominciare ad affidarli a piccole o medie imprese culturali, garantendo loro la massima autonomia ed un sistema che ne premi il successo. Lei mi pare un Ministro moderno e coraggioso. Ci rifletta.

sabato 5 settembre 2015

Un Nobel anche alla Merkel

Anche Angela Merkel è un politico. Però sembra appartenere a quel genere di politici di cui abbiamo estremo bisogno. I politici credibili. Affidabili. Io la vedrei bene leader di un governo europeo che fosse un vero governo e non solo una commissione in balia di parlamenti e governi nazionali. Magari potrebbe assumere la carica dopo che avrà terminato il suo mandato di cancelliere ed aver contribuito a modificare l'architettura istituzionale europea. Sono convinto anche che la Merkel accetterebbe perfino la diarchia con un francese, sul modello del doppio console di romana memoria. Perché no? Nel frattempo per il suo impegno europeista e per la sua sobrietà luterana, per la sua razionalità scientifica, per il suo impegno umanitario, dalla crisi ucraina alle porte aperte per i profughi asiatici e africani, dovremmo proporla per il Nobel per la Pace. Si, credo proprio che l'Accademia di Svezia dovrebbe farci un pensierino.

mercoledì 2 settembre 2015

God save Angela

Confinati a giocare nel secchiello del nostro paese, molti di noi forse fanno finta di non sapere che migliaia, forse centinaia di migliaia di migranti disperati vorrebbero raggiungere in Europa due paesi in questo momento governati da due politici che i miei amici di sinistra definiscono conservatori. Gran Bretagna e Germania. Ma mentre Cameron, il britannico, se potesse allagherebbe il viadotto sotto la Manica, è disposto a dare soldi al franco socialista Hollande perché si tenga lui un pò di disperati e spera che il prossimo referendum lo costringa ad uscire dalla Comunità Europea, la Grande Angela Merkel, il mio presidente del consiglio preferito, si è detta disposta ad accogliere tutti i profughi che in questi mesi guardano alla Germania, si proprio alla Germania dominata dal terribile Schauble, come loro Terra Promessa. Per questa nuova ondata di dannati della terra, l'Italia è solo una fasulla terra di transito. Non un luogo di speranza. Uno schiaffo per noi, anche se naturalmente viviamo questo sputazzo come una specie di benedizione della Provvidenza. Ma vedere e sentire migliaia di profughi inneggiare alla Germania e sentire la Merkel disposta a cambiare la loro costituzione per accogliere tutti i richiedenti asilo mi procura un'emozione forte e mi fa pensare con infinita tristezza alla furbastra nullità di tanti nostri politicanti incapaci di reggere una sfida di questa portata. Non so se la coraggiosa figlia di un pastore protestante reggerà la prova, ma da ateo spero proprio che la Provvidenza le dia una mano e a molti di noi apra gli occhi (ma quest'ultima cosa non credo sia nelle possibilità nemmeno della Provvidenza).

Le dinamiche del capitalismo

Come aveva brillantemente intuito a metà del XIX secolo Carl Marx e come hanno ampiamente dimostrato gli studi storici di Fernand Braudel sul sistema-mondo (e di tanti dei suoi epigoni, tra cui vanno annoverati, almeno a mio avviso, anche Wallerstein e Piķetty), il capitalismo è per sua natura un modo per far soldi molto molto instabile e continuamente cangiante. Ma anche dannatamente efficace e capace di adattarsi a quasi tutti i climi geografici e politici che conosciamo. Squilibri, speculazioni, crisi, cambiamenti, rapide fortune, crack inaspettati e violenti, cadute rovinose, cinismo, affarismo, furberie, corruzione, sono solo alcune delle sue molteplici facce, che Stati e altre istituzioni tentano di controllare e di gestire in qualche modo per trarne, a loro volta, il maggior vantaggio possibile. Soldi, imprese, banche e collettività nazionali, Stati piccoli e grandi, sono tutti coivolti in un sistema pazzesco e per certi aspetti infernale che però è in grado però di produrre ricchezza e di distribuirla per quanto in maniera diseguale. Le forze e i protagonisti del capitalismo hanno una grande capacità di adattamento. Non a caso sono stati in grado di acclimatarsi sotto quasi tutti i regimi, da quelli liberal democratici, a quelli totalitari, dalle dittature nazifasciste alle società criminali, dalle società militarizzare, fino alla Russia post-comunista e alla Cina comunista. Quest'ultima, la Cina, sembra essere diventata l'ultima preda di un capitalismo. Qui gli agenti attivi del capitale (banche, imprenditori e affaristi vari) si sono sentiti così audaci da sfidare tutte le logiche e da tentare di prosperare perfino in una società che continua a dirsi comunista e nelle cui scuole si contuano ad insegnare, presumo abbastanza seriamente, le idee di Marx, Lenin e Mao Tse Tung. Marx comunque sarebbe l'ultimo a meravigliarsi di questa dinamica del capitalismo e della sua capacità di diffondersi anche in una Cina, un paese che fino ad una trentina di anni fa era sostanzialmente fuori dal mercato mondiale e che in una decina di anni si è trasformato in un pilastro fondamentale del commercio e della produzione a livello mondiale. Oggi il capitalismo, ovvero una circolazione ormai planetaria di capitali, pagamenti, merci e uomini, con relativamente pochi vincoli e rischi, rispetto ai secoli passati, è la caratteristica fondante del sistema mondo in cui ci troviamo a vivere. Cina inclusa. E inclusi perfino paesi ufficialmente contrari al capitalismo per motivi religiosi, anch'essi catturati dalle logiche, per loro sataniche, del mercantilismo, ed a cui per motivi ideologici viene dato (da questi paesi a totalitarismo religioso) un volto occidentale. Ma è il capitalismo cinese e più in generale quello asiatico a presentare oggi una delle facce più aggressive e dinamiche oltre che di maggiore dimensione per capitali impegnati, progetti e territori coivolti. E con tutti i suoi terribili limiti e gli enormi difetti, il capitalismo, come sistema per produrre ricchezza, non pare avere rivali. È un pò come la democrazia. Non è perfetto, ma è il meno peggio di quanto gli uomini si siano inventati finora per migliorare le condizioni della loro vita materiale. Non segna nè il fine, nè la fine della storia. Ma ha segnato le dinamiche della storia in maniera via via sempre più pervasiva negli ultimi 4 secoli, in abbinata con uno sviluppo tecnologico senza precedenti. Non so se come profetizzano Krugman e altri economisti catastrofisti il capitalismo ci regalerà cento anni di stagnazione e forse di regressione economica. Non vivrò così a lungo per osannare Krugman se le sue previsioni si riveleranno esatte o per prenderlo in giro se avrà sbagliato. So però che il capitalismo farà di tutto per dargli torto. E fino ad ora, nonostante i suoi terribili limiti, ha avuto la meglio su uno stuolo di formidabili critici e... gufi.

giovedì 27 agosto 2015

LE CONDIZIONI DELLA RIPRESA INTERNA CI SONO, MA SONO... DEBOLI

Scrivere un fondo alla settimana per un' importante rivista non mette al riparo dal dire cose di una banalità sconvolgente, nè garantisce che si risponda correttamente alle domande complicate che questa congiuntura economica ci pone. Anzi più si scrive e più aumenta la possibilità di dire cose inesatte. Come mai col petrolio al minimo e con bassi tassi di interessi sui capitali la ripresa in Little Italy non si palesa? Già,  come mai? Una delle risposte che non si danno è questa. Gran parte del motore dello sviluppo italiano negli ultimi 70 anni è stato trascinato dall'industria del mattone,  l'edilizia. Ma in questi 70 anni in Italia si è costruito una quantità di alloggi pari al costruito dei 2000 anni precedenti. Solo che la popolazione non è cresciuta abbastanza per far fronte all'offerta, nè sono cresciute le famiglie in grado di comprare nuove case, nè abbiamo avuto emigranti che sono rientranti investendo sul mattone. In buona sostanza, nell'edilizia, petrolio a buon mercato e soldi a prezzi stracciati non fanno né caldo nè freddo. Se le case non si vendono, non si possono costruire. E poi l'impatto del costruito è ormai pesante sull'ambiente e sconsiglia di insistere sul consumo di suolo. Tra i fattori che restano poi critici e ci regalano una bassa se non bassissima crescita c'è il costo del lavoro, l'introduzione di robot risparmia lavoro e il trasferimento di lavorazioni e di capitali su mercati più dinamici di quello nazionale. Tutte osservazioni che il voluminoso libro di Piketty sul capitale nel XXI secolo scandaglia uno per uno, con riferimento anche al nostro amato paese, e che la prestigiosa rivista ha recensito e segnalato, ma forse senza obbligare i propri redattori di punta a leggerlo e studiarlo.
Perché se Piketty avesse letto il titolo dell'articolo di Manfellotto sul numero 35/2015 dell'Espresso in cui ci si chiede "Quando smetterà di essere l'Italia dello zero virgola", avrebbe risposto, grafici alla mano, che semplicemente, Renzi o non Renzi, non smetterà rapidamente. E al massimo si arriverà ad una crescuta del Pil su base annuale dell'1%, ma è difficile che si vada oltre, o molto oltre. Perché un tasso di crescita dell'1% per un paese a capitalismo maturo, e saturo dal punto di vista edilizio, come è il nostro è già un bel risultato. Peccato invece che certa stampa continui a immaginarsi il ritorno dell'Italia del Miracolo economico, magari insieme alla Dc e al Pci. Beh, che torni un Pci col 25% dei voti non ci credo. Ma la Dc, dopo l'incontro di Renzi a Rimini col popolo di Cl, non mi sento affatto di escluderlo.

SUGLI IMMIGRATI HA RAGIONE LA MERKEL. L'ITALIA DOVREBBE FARE DI PIÙ E MEGLIO

Non è possibile che con le tecnologie digitali e con l'automazione l'Italia non riesca ad identificare il grosso delle persone che arrivano e non riesca costruire una grande banca dati dei migranti che transitano dal continente, una banca dati, con tanto di immagini, da condividere appunto con gli altri partner europei. È una seria incapacità organizzativa quella che ci impedisce di procedere in questa direzione, che ha alle spalle un atteggiamento da furbastri, da scaricabarile. Un atteggiamento che ci fa perdere non solo credibilità, ma soprattutto il controllo vero del fenomeno e che ci impedisce una discussione politica seria, consapevole di vantaggi e di svataggi. Così il premier la butta sul patetico. Dobbiamo accoglierli tutti, grida nei microfoni per autoconvincersi della bontà delle sue affermazioni. Sono nostri fratelli, quanti sono sono, quanto ci costa, ci costa. Lo dice anche il Papa. Insomma alla disorganizzazione fa da corollario un atteggiamento paternalisticone guascone del premier. Del tipo: fidatevi di me, risolvero' il problema. L'esatto contrario un atteggiamento pubblico serio.
Ma la pressione migratoria verso il continente europeo e l'Italia ha una portata gigantesca, che nei prossimi 20 o 30 anni al massimo cambierà il colore della pelle degli italiani, li creolizzera'. Non può essere trattato all'italiana. Se non vogliamo che ci travolga (ipotesi che ovviamente giudico la più probabile), dobbiamo operare alla tedesca.
Per questo mi dispiace che Matteo, il grande rottamatore, anche in questo sia poco tedesco e molto italianamente pittoresco.
Peccato che la sua modernizzazione si arresti alle poltrone del Senato e non riesca ad aggredire le tare profonde di questo  paese. E l'incapacità di mettere su un sistema di ingressi controllati dei migranti è uno di questi limiti più vistosi.
Peccato che il primo ministro di estrazione boyscout non riesca ad organizzarsi nemmeno con lo spirito di una giovane marmotta. Peccato che neppure i suoi giovani ministri riescano  ad inventarsi un'azione straordinaria di servizio civile che fronteggi l'emergenza migratoria. Nemmeno coivolgendo il volontariato e le confusionarie regioni. Si, peccato.
SAVIANO, LE CICALE E LE PAROLE SBAGLIATE

In uno dei suoi ultimi scritti (L'Espresso, 34/2015), Saviano divide gli italiani in cicale, i nonni e i padri che nel XX secolo avrebbero sperperato soldi a tutta randa, e nei loro figli e nipoti di oggi, sfigati, che si trovano in una sorta di deserto, dove sarebbero costretti a "riciclare gli scarti lasciati dalla generazione dei genitori". La frase, bruttina, riassume il contenuto dello scritto per L'Espreso e ha tre difetti gravi. Per uno scrittore di qualità come è Saviano, si capisce. E' linguisticamente povera, concettualmente sbagliata e socialmente incendiaria. POVERA perché non indicando di quali scarti si parli, smarrisce il proprio significato. Se poi si pensa che l'80 per cento dei nonni e dei genitori lascerà ai pochi nipoti e figli un'immenso patrimonio immobiliare incluso quello abusivo, altro che di scarti e di deserto si deve parlare. Mai nessuna generazione prima in Italia riceverà, anzi sta già ricevendo, tanto patrimonio e tanti tetti sotto cui mettere la testa. Semmai questo eccesso di patrimonio ereditato insieme alla complessità dei tempi potrebbe indurre al bamboccionismo, anziché all'impegno, e ridurre così quella fame di fare tanto cara a Steve Jobs (e ai nonni italiani che fecero il nostro miracolo economico), che certo Saviano non deve amare (mi riferisco a Jobs). SBAGLIATA perché una parte delle giovani generazioni si sta già facendo largo in tanti settori e milioni di partite iva e di precari stanno sorreggendo questo paese, sia pure guadagnando meno di quanto desidererebbero. INCENDIARIA perché una parte di chi non ce la fa né ad inserirsi per migliorare la sua situazione, nè a muoversi per cercare opportunità altrove, potrebbe essere spinto verso una rivolta violenta e sanguinosa contro un potere che ha regalato si pensioni facili a tutti, soprattutto al Sud, fino a ieri, ma ora non può più darne e sta anzi rilevandole a chi le ha avute. Stanno scemando insomma welfare e diritti per il banale motivo che non ce li possiamo piu permettere se non torneremo a crescere, cosa per altro improbabile, come negli anni del boom economico. Certo l'Italia vista dal Sud è più drammatica che guardata dal Nord. Ma ricordiamoci che il miracolo economico è anche il figlio di un intenso processo di migrazioni interne che ha visto grandi spostamenti di uomini e donne dal Sud al Nord. Altro che a schiacciare le cicale debbono dedicarsi i giovani per conquistare il loro futuro. Altro che chiedere grandi investimenti allo Stato per non finire mai la Salerno-Reggio Calabria. Qui serve la logica delle formiche. E servono parole chiare e propositive che purtroppo su questi temi Saviano non riesce a dire. Continua a chiedere che qualcuno risolva i problemi del Sud. Continua a piangere sui mali del Sud, quando l'unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e in silenzio darsi da fare.

sabato 22 agosto 2015

CRISI GRECA: IL PARLAMENTO TEDESCO VOTA IL PIANO DI "SALVATAGGIO". QUELLO ITALIANO NEMMENO NE DISCUTE. I GRECI PRENDONO I SOLDI, POI IL GOVERNO SI DIMETTE E FORSE IL PARLAMENTO SARA' SCIOLTO PER ANDARE A NUOVE ELEZIONI.

Paese che vai, usanze che trovi. I tedeschi discutono in Parlamento se prestare alcuni miliardi di euro, dei loro euro, di euri tedeschi, ai greci in un insieme di 86 miliardi provenienti da altri stati e dal FMI in tre anni. E hanno perfino il coraggio di ammettere pubblicamente che non sanno se il piano di salvataggio servirà, ma sostengono che politicamente la cosa va fatta per il bene dell'Europa. Siamo tre giorni dopo ferragosto, e i tedeschi votano. Ganzi, loro.
E noi in Italia? Un pò di chiacchiere sui giornali (ma poche a dire il vero, anche da parte dell'opposizione esterna al governo e nessuna dall'opposizione interna), non sappiamo nemmeno quanti euri italiani ci costerà questo sostegno, non sappiamo dove prenderemo questi soldi (tasse, debiti, finanza creativa?), ma il Parlamento è in vacanza e quindi sarà il governo italiano a dare un ok scontato al salvataggio greco. In uno dei paesi più bicamerali e ultraparlamentari del mondo, questi argomenti non sono roba da parlamento.  E la nostra opinione pubblica? Sembra si sia stufata di questa storia. Così, tanto per confondere un pò le acque e titillare i suoi lettori germanofobici, rigorosamente sdraiati sotto l'ombrellone, il Corriere della Sera spara con uno dei suoi commentatori di punta contro la grande Merkel e la forte Germania. Che ganzi che siamo anche noi!
Intanto Tsipras, il leader del governo greco messo sotto tutela dalle istituzioni europee, dopo aver promesso mari, porti, aereporti e monti all'Europa, una valanga di riforme e chi più ne ha più ne metta, incassa i soldi, poi si dimette e tra un mese in Grecia forse si va ad elezioni anticipate. Sembrerebbe una barzelletta. Peccato che sia tutto vero.
SULLE BIBLIOTECHE PROVINCIALI OCCORRE MUOVERSI BENE

Il dl 78/2015 recentemente approvato dal parlamento consente che la biblioteca provinciale di Pisa e il suo personale passino allo stato, mantenendo servizio e funzioni. Perché questo accada occorre che Provincia e Mibact si accordino entro il 31 ottobre, data entro la quale il ministro Franceschini può fare un decreto che rende possibile tutto questo. Quello che serve è che la Provincia si muova con chiarezza e con celerità e che non si alzi un polverone di ipotesi che finirebbe per bloccare l'unica soluzione seria per salvaguardare il patrimonio bibliografico della biblioteca provinciale e la professionalità dei bibliotecari provinciali che sono molto utili alla ricerca nel'area pisana. Su questo un ruolo di catalizzatore potrebbe essere recitato da Aib che dovrebbe esaminare il caso alla luce della nuova legge che ha approvato il dl 78/2015 e poi pressare le istituzioni coinvolte nel fare la loro parte con coerenza. Trovo quindi controproducenti anche se fatte col cuore le sparate che rischiano solo di confondere le acque o di creare pessimi rapporti tra chi dovrà sedersi attorno ad un tavolo e organizzare tecnicamente il passaggio.

giovedì 20 agosto 2015

KHALED AL-ASSAAD È UN MARTIRE DELLA CULTURA. MERITEREBBE UN NOBEL ALLA MEMORIA. POTREBBE ESSERE DATO ALLA FAMIGLIA.

Se i dettagli e le informazioni rilanciati dalla stampa internazionale corrispondono alla verità, il direttore del sito archeologico di Palmira, KHALED AL ASSAAD, è un martire della cultura e della civiltà. Ma soprattutto un martire per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a qualunque fede o credo appartengano, che fanno della cultura e dell'umanesimo una conquista di civiltà irrinunciabile. Bene hanno fatto l'Anci e e il Ministro Franceschini a voler far mettere le bandiere italiane a mezza asta nei musei italiani per ricordare il suo sacrificio. Ma forse si può fare di più. Forse l'Accademia delle Scienze della Svezia dovrebbe attribuirgli un premio Nobel speciale. Un premio da attribuire alla famiglia. Un premio per la difesa dei valori culturali dell'umanità. La sua morte sembra il segno di una barbarie che speravamo di non vedere tornare con forza e con stupidità sulla scena della storia. Ma che invece periodicamente torna a colpirci come un'epidemia endemica che non riusciamo a debellare del tutto e contro la quale non ci sono cure definitive. Una barbarie a cui non dobbiamo però  né piegarci, nè assuefarci. Mi auguro che questa barbarie non dilaghi, ma temo che non basteranno le parole a fermarla. Esprimo solidarietà verso KHALED AL ASSAAD e la sua famiglia. E spero che il suo coraggio ci dia la forza per resistere alla barbarie e di combatterla.


Dopo aver letto gran parte del libro "L'Italia può farcela", di Alberto Bagnai (con un po' di fatica e spesso la voglia di chiuderlo), commento questo. Devo fidarmi delle sue statistiche (impossibile verificarne l'attendibilità), ma non mi convincono molte delle conclusioni che ne trae. La tesi centrale del volume (edito da Il Saggiatore, 2014) è: l'Europa (in mano al cattivo ed egoista azionista tedesco) è una fregatura per molti paesi. L'euro è una moneta senza nazione e senza popolo (e purtroppo senza lingua). Il nazionalismo economico offre più vantaggi e libertà di gioco agli italiani (poveri o ricchi che siano, ma soprattutto ai poveri). La parte propositiva del libro è un misto di ricette keynesiane e di "liberismo nazionalista" all'italiana. Non mi meraviglio perciò che le sue tesi piacciano a Landini, a Salvini e alla Meloni. Bagnai è spigliato, discorsivo e accattivante nell'analisi. Un "fiorentino" che smanetta di economia con uno scilinguagnolo che solo certi "fioretin" (colti) hanno e sanno adoperare. Sulla proposta, però, il testo lascia a desiderare. Come è normale che sia per uno come me che preferisce coltivare il mito "europeista" rispetto a quello nazionalista. Il libro è scritto in un linguaggio piacione, spigliato, scattante, televisivo, pieno di battutine ganze. Uno stile alla Krugman (ripreso anche nel blog di Bagnai). Di certo chi ha voluto la convergenza verso Europa e poi l'adesione all'euro pensava che questo avrebbe corretto alcune "storture" italiane. Bagnai sostiene che il virtuosismo europeo è una balla, comunque ci fa male e le statistiche ce lo dimostrano. Cosa concludere? Che potrebbe aver ragione. Non ho suffientte competenza per metterne in discussione le tesi. Spero che il sogno europeo si consolidi e l'euro regga. Bagnai mi replicherebbe che sono un razzista autolesionista. Bah. Controbatterei che nessuno è perfetto.

mercoledì 19 agosto 2015

LA PROVA DEL POTERE di Giuliano Da Empoli ovvero come non si riesce a dare spessore culturale al pragmatismo dei principi

Non bastavano i libretti di Matteo per spiegare perché Renzi si comporta così. Ora il moderno giovane principe ha fatto scendere in campo un suo ex assessore per spiegare le logiche e le giustificazioni più recondite delle sue scelte politiche. Ma il volume di Giuliano Da Empoli, La prova del potere, sottotilotato "Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo paese" (Mondadori, 2015, p. 155, € 17), ha nella brevitas il suo unico punto di forza. Perchè di argomentazioni corpose e convincenti nel libretto non c'è traccia. Mentre ci sono accostamenti che suonano involontariamente ironici. Paragonare le rivoluzioni copernicane di Renzi con le scelte rivoluzionarie del terzo mandato di Deng Xiao Ping sembra un tantinello esagerato, e comunque il paragone con Deng non può ignorare che il primo Deng fu uno dei protagonisti del grande balzo cinese (1958-1962), durante il quale morirono di fame in Cina si stima circa 20 milioni di persone, mentre il terzo Deng (anni 80-90) fu anche uno dei principali responsabili della feroce repressione di Piazza Tienanmen. Bazzecole si dirà rispetto alla storia cinese e alla sua dinamica. Ma sempre molto tragiche. Perciò  speriamo che Renzi,  sia pure in piccolo, non ci faccia conoscere mai niente di simile. Il secondo accostamento ardito proposto nel libro di Giuliano Da Empoli è quello tra Matteo e il generale russo Kutuzov. Anche qui quello che si può sperare è che il generale Matteo non lasci dietro di sé la scia di morti che caratterizzarono la lunga carriera del generale russo che con l'indispensabile soccorso del generale inverno sconfisse Napoleone e guerreggio' a lungo coi turchi per conto degli zar.
La tesi centrale del libretto è che tutti i grandi leader hanno un cuore antico, si rifanno sempre alle radici profonde dei popoli che governano, sono adattivi, interpretano le circostanze e i voleri dei popoli e quindi, anche quando sono democratici, devono essere populisti per necessità più che per vocazione. Meno male che ce l'ha detto. Ora ci sentiamo tutti più tranquilli.

sabato 15 agosto 2015

QUALE FORMAZIONE COSTRUIRSI? QUALCHE UTILE SUGGERIMENTO DAL LIBRO DI ABRAVANEL E D'AGNESE La ricreazione è finita
Mi sono letto questa estate il libro di Roger Abravanel e Luca D'Agnese dal provocatorio titolo "La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare lavoro" (Rizzoli, 2015, 294 p., 18€). Premessa. Nessuno dei due autori è un esperto di formazione scolastica e Abravanel è un ingegnere, legato al mondo delle imprese, della finanza e dell'editoria presso cui ha lavorato come amministratore delegato, membro di consiglio di amministrazione, consulente, editorialista (Abravanel è anche l'autore del libro “Meritocrazia” ed è stato, secondo Wikipedia, per anno collaboratore del Ministro Gelmini). Quindi il volume esprime un punto di vista diverso su scuola e formazione rispetto agli approcci pedagogici e didattici tradizionali. Anche per questo immagino che sia piaciuto a Matteo Renzi al quale i due autori sembrano aver suggerito alcuni argomenti per la recente riforma scolastica, tra cui l'ulteriore potenziamento della figura del preside, scelta quest'ultima che, confesso, condivido anch'io (pp. 217-218). Il libro è un peana, ma scritto col cervello, al rapporto tra lavoro e scuola e sostanzialmente cerca di demolire l'atteggiamento autoreferenziale di molti insegnanti e di diverse realtà scolastiche, che non riescono a vedere più in là del loro naso e a confrontarsi coi cambiamenti del mondo. Naturalmente gli autori non solo accettano le sfide della globalizzazione, ma sostengono fino in fondo le logiche del Progetto PISA, la necessità delle prove Invalsi e attaccano alcune delle peggiori tare della scuola italiana, a cominciare dalla difesa sindacale che molte famiglie italiane fanno dei loro figli scapestrati o la sottovalutazione dell'atteggiamento furbastro e sostanzialmente immorale di chi “copia i compiti, si fa fare la lezione, le tesine, ecc.”. Contestualmente il testo fa un grande elogio della scuola finlandese in testa alle valutazioni internazionali anche rispetto agli agguerriti paesi asiatici. Più  in generale il libro sostiene che la scuola deve stare nel mercato, così come sul mercato dovranno stare gli studenti in quanto futuri lavoratori. E prima imparano a starci e meglio è. Secondo gli autori il lavoratore del futuro dovrà miscelare sempre meglio le abilità professionali con quelle comportamentali. Ed è proprio nell'ambito di queste ultime qualità, le cosiddette soft skills, che la scuola, ma soprattutto le persone dovrebbero fare un autentico balzo in avanti. Soprattutto in paesi come l'Italia. Capacità di lavorare in gruppo, capacità di autorganizzarsi, abilità nel risolvere tutti i problemi che vengono a portata di mano, saper costruire relazioni con fornitori, colleghi e clienti o utenti, anche questo insomma si dovrebbe insegnare ed apprendere oggi a scuola e con maggiore efficacia. Il libro racconta di come si entra e si sta nel mondo del lavoro, racconta del demansionamento, ma soprattutto della imprenditorializzazione del lavoro dipendente, della necessità di potenziare o addirittura di costruire una vera e propria etica del lavoro. Sono queste le idee su cui si dovrebbero ridefinire, secondo gli autori, i processi formativi anche nel nostro paese. Insomma il libro sostiene una visione della scuola, che si riorganizzi a partire dalle esigenze di chi si vuole immettere sul mercato e farci una discreta figura.
Il libro fornisce anche utili suggerimenti su come scegliere la scuola migliore, ma dice anche che si deve coltivare la passione per il lavoro e che si debbono seguire anche le vie del cuore oltre che quelle della ragione. Certo sapendo che questo va fatto con giudizio e con metodo.
Gustoso il decalogo finale dedicato a ragazzi e famiglie, di cui riporto semplificandolo il punto 4: “Abbandonate le comodità e ricercate le difficoltà. Imparerete un sacco di cose in più”. Questo suggerimento è davvero formativo. Peccato che sia troppo poco perseguito dai nostri figli (ma, diciamocelo con franchezza, anche da molti di noi adulti).
Insomma si tratta di un testo ricco di spunti e riflessioni, da tenere sottomano e su cui meditare.  Lo sconsiglio però a tutti  quelli che aspettano che siano gli altri e più in generale lo Stato a risolvere i loro problemi. Invece lo suggerisco ai dirigenti scolastici. E a chi voglia riflettere fuori dagli schemi sul rapporto tra scuola e mondo del lavoro. Ovviamente ci sono anche aspetti del libro che non mi convincono e alcune parti un po' ripetitive e scontate. Ma nell'insieme vale la fatica della lettura.

lunedì 10 agosto 2015

RENZI, LA BALENA ROSA E LE MAGGIORANZE VARIABILI. RIFLESSIONI A CALDO.

Una domanda si aggira per l'Europa: Dove va e che cosa ha in mente esattamente il leader Renzi? Prima risposta: Il leader della balena rosa, alias il Pd, va dove lo porta il cuore ovvero verso una gestione possibile del paese e dei problemi che gli piombano quotidianamente addosso, il tutto in forma compatibile con l'evoluzione disordinata del sistema-mondo in cui Little Italy è inserita e con le numerose e gravi tare che il country si trascina dietro (molta criminalità, troppa abitudine ai privilegi e poco senso civico in primis). SuperMatteo cerca di far ripartire l'economia e lo fa come può e con chi può, tenendo presente che il suo partito, la balena rosa, che assomiglia sempre di più alla vecchia dc, ma con qualche sfumatura di sinistra in più, lo sostiene, in parlamento, solo al 70 o al massimo all'80 per cento. Inoltre in Parlamento (che visto dall'esterno sembra un'autentica gabbia di matti) non ci sono maggioranze facili e stabili. Da qui perciò sono nati non solo l'accordo strategico e strutturale con il centro destra del morituro Alfano, ma anche il patto del Nazareno col mezzo risorto Berlusca, le trattative con l'ipercinetico Verdini e altro di cui non sappiamo ma che di sicuro il boyscout fiorentino si sta inventando (gli accordi imprevedibili e le sparate contro i sindacati costituiscono il suo vero capolavoro politico). Il machiavellico ragazzaccio, che gode di un notevole consenso popolare, si muove in maniera spregiudicata e pragmatica, in un contesto molto conservatore, cercando di tenere sé e il suo partito al centro del gioco politico nazionale, in una situazione come sempre molto incasinata e confusa. Per resistere usa maggioranze variabili, indispensabili di volta in volta per superare le trappole di cui è pieno il gioco parlamentare e politico. Sembra un neogiolittiano in un'Italia post-moderna. Ma al di là di una generica modernizzazione e dei buoni propositi che strizzano gli occhi ad una piazza spinta al forcaiolismo dalla crisi economica e del ridimensionamento dell'assistenzialismo statale, al di là di un europeismo di necessità e del tentativo di rafforzare la presidenza del consiglio a scapito del Parlamento, non c'è e non ci può essere con lui (e nemmeno con qualcun altro) un disegno politico chiaro e coerente. Per ragioni di peso specifico di Little Italy e per ragioni culturali. Le grandi "narrazioni" sono davvero finite. E con loro i grandi progetti. Per questo i leader e gli aspiranti tali possono solo darci l'illusione di avere in mente un disegno intelligente. Ma la verità (che non vogliamo assolutanente sentirci dire) è che di fatto si accontentano di adattarsi alla complicata realtà che vivono e alla quale darwinianamente tentano di adeguarsi al meglio (almeno per loro). E tuttavia la sensazione è che dentro il machiavellico Renzi abiti anche un furbo boyscout cresciuto, almeno in parte, all'ombra della parrocchia e della Chiesa. Se questa ipotesi è plausibile, ecco allora far capolino l'idea di una narrazione più complessa, se non forte. Naturalmente di ispirazione cattolica, per quanto poco sbandierata. Ed è questa a fornire un senso più ampio al convulso agitarsi del prode Matteo. Questo dna cattolico lascia infatti intravede tra gli antenati del giovanotto di Rignano non solo il messianico La Pira e quell'attivissimo toscano che fu Amintore Fanfani, ma anche l'astuto e purtroppo sfortunato Aldo Moro. Pare insomma di intuire che, zitto zitto, SuperMatteo incarni anche il ritorno ad una centralità cattolica che oggi, in un Italia smarrita, popolata da comici e brancaleonici politici, asfaltata per sempre la sinistra laica, rappresenta comunque un approdo politico serio, in perfetta continuità con la più forte e longeva tradizione culturale del Paese. Di sicuro è stato il disegno cattolico, tratteggiato in maniera leggera ma sicura, a fagocitare nel ventre di un balena bianca ora diventata rosa i frastornati nipotini di Gramsci e di Togliatti (molti dei quali non hanno ancora capito da quale tsunami sono stati travolti), a tenere a bada i rincitrulliti bisnipoti del duce e a imbrigliare una destra senza più arte ne' parte. Un disegno politico certo volitivamente voluto da Matteo ma indubbiamente aiutato da molti amici e benedetto dalla Provvidenza, che però dispettosamente, almeno per chi scrive, tiene in vita anche grillini e leghisti, imbarbarendo così la nostra sempre più stralunata e incomprensibile vita politica nazionale e locale. Sulla durata però del progetto catto-renziano, non avendo imbeccate dall'Alto, non è possibile fare pronostici seri. Certo, SuperMatteo, che ha l'aria di un grande imbonitore, ci sa fare: ma sembra questa l'unica immarcescibile certezza di cui oggi si dispone.

BIBLIOLANDIA E' LA RETE TOSCANA A PIU' ALTA INTEGRAZIONE DI PRESTITI


Che vuol dire questa frase astrusa? Ce lo spiega l'ultimo rapporto della Regione Toscana sulle Biblioteche (Rapporto 2012-2014). Dice la Regione che nella Rete Bibliolandia i libri che ciascuna biblioteca presta ai propri utenti prendendoli dalle biblioteche della Rete è il doppio della media di quello che realizzano le altre biblioteche toscane. Insomma la Rete Bibliolandia è quella che più di tutte le Reti funziona come se fosse un'unica grande biblioteca e presta libri a tutti i propri utenti i quali nemmeno si accorgono da quale biblioteca arrivano. Glieli porta Bibliolandia. Per noi pisani, di solito sempre un po' scompaginati, è un bel primato. Per approfondire, basta leggere le pagine 48-51 del Rapporto sulle Biblioteche (sul sito ufficiale della Regione Toscana).

sabato 8 agosto 2015

BIBLIOTECHE PROVINCIALI, UNO SPIRAGLIO DI LUCE

L'approvazione del maxiemendamento al decreto legge 78/2015 sugli enti locali, avvenuta nei giorni scorsi prima al Senato e poi alla Camera, introduce un bello spiraglio di luce per le magnifiche sorti e progressive delle nostre biblioteche provinciali, e, per quanto ci riguarda, per la importante biblioteca provinciale pisana, che aderisce alla Rete Bibliolandia e finora era stata lasciata nel limbo in attesa di sapere cosa farne. Cosa dice in particolare l'emendamento all'art. 16 del dl 78, ora diventato legge operativa? Due cose molto interessanti. Una rispetto al patrimonio documentario, l'altra rispetto al personale.
Il patrimonio e l'immobile che lo contiene possono entrare a far parte del patrimonio dello stato e se entro il 31 ottobre p.v. il ministro Franceschini decide con un decreto che lo vuol fare, il patrimonio documentario della biblioteca provinciale di Pisa diventerà dello Stato. Naturalmente servirà un accordo con la destruttutanda Provincia di Pisa, ma questo, I suppose, non dovrebbe costituire un problema (tuttavia incrocio le dita). Ovviamente può darsi che il patrimonio della biblioteca provinciale venga assegnato ad una biblioteca statale già presente su Pisa, tipo la Biblioteca Universitaria Pisana (che contrariamente a cio' che dice il nome è una biblioteca statale che fa capo al MiBACT), oppure venga assegnato all'archivio di stato di Pisa. Ma questi sono al momento dettagli su cui non conviene soffermarsi.
Vediano invece il nodo del personale. Bene, anche qui, sempre in virtù del medesimo maxiemendamento, ormai diventato legge dello Stato, se il ministro Franceschini vorrà, il personale della biblioteca provinciale verrà traghettato, mediante procedura di mobilità, verso il MiBACT e questo potrebbe destinarlo alla gestione della biblioteca provinciale affidata, come organo esterno, ad una istituzione tra quelle indicate sopra.
Sono sicuro che le cose non andranno così lisce e che per la legge di Murphy tutto quello che potrà andar male lo farà. Ma almeno sulla carta il maxiemendamento su cui ha messo le mani lo stesso ministro Franceschini (che il santo protettore degli archivi e delle biblioteche gliene renda merito) non è stato architettato male. Certo, come al solito, ci sono da fare accordi e poi nuovi decreti, ma questo dl 78/2015 per le biblioteche provinciali e per gli archivi di stato (di cui dirò a parte) rappresenta uno spiraglio di luce, che può illuminare il sentiero professionale degli archivisti e dei bibliotecari di buona volontà e dei loro utenti, i ricercatori, che di archivi e biblioteche hanno bisogno per lavorare seriamente.

mercoledì 5 agosto 2015

WIFI NELLE BIBLIOTECHE STATALI. UN GRANDE BALZO CULTURALE IN AVANTI
Procura un enorme sollievo, in questa afosa estate italiana, sapere con assoluta certezza che, grazie alla riforma della Pubblica Amministrazione approvata in questi giorni dal Parlamento, che per essere realizzata richiederà l'approvazione di un miriade di decreti , nel 2017 o al più tardi nel 2018 le principali biblioteche statali saranno dotate di sistemi wifi, i quali, quando le biblioteche saranno chiuse, funzioneranno anche da hotspot per tutti i cittadini che passeranno nei pressi degli edifici. Resta qualche incertezza sui finanziamenti e sulla compatibilità di questa spesa con i futuri equilibri di bilancio, ma complessivamente si respira un'aria di ottimismo rispetto ad un progetto che rappresenta un grande balzo culturale in avanti. Pare quindi che gli universitari italiani si siano dichiarati estasiati di questa parte della riforma che dotera' i più fuori corso di loro di adeguate risorse informatiche prima della benedetta laurea. Solo a Pisa, dove la biblioteca statale sarà riaperta dopo il 2018 (ma sono in pochi a credere a questa profezia), gli studenti hanno sostenuto di non essere interessati alla notizia. Infatti sperano di laurearsi prima.

martedì 4 agosto 2015

L'EUROFOBIA DIFFUSA NELLE NOSTRE OPINIONI PUBBLICHE DA COSA DERIVA?
A questa domanda Lucio Caracciolo, direttore di LIMES ed esperto di questioni internazionali, sulla Repubblica di ieri 3/8 risponde che "è figlia dell'elitismo europeista" e non del populismo e del nazionalismo che stanno riprendendo forza in tutti i paesi europei. "Il paternalismo illuminato dei fondatori -continua Caracciolo- è scaduto nei loro epigoni a brutale autoritarismo. Si è perso il senso dell'Europa, ridotto a ripetitive formulette che non parlano più a nessuno". Ok, lo capisco che fare un ragionamento sensato in 2000 battute anche per esperti è difficile. Ma se anche persone competenti ed esperte scrivono sui giornali formulette come quelle riportate tra virgolette, non è solo la complessa idea di Europa ad essere strapazzata, ma è la comprensione culturale del fenomeno europeo ad essere resa impossibile.
EDGAR MORIN, INSEGNARE A VIVERE.

OK, il titolo è un pò altisonante. Forse risponde ad un'esigenza di marketing editoriale più che ad una scelta dell'autore. Ma nell'insieme il volumetto di poco più di 100 pagine di riflessioni su cosa debba insegnare oggi la scuola e che è intitolato "Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione" (Cortina Raffaello, 2015, 115 p, 11€), vale la pena di essere letto e meditato proprio per la promessa/pretesa utopica contenuta nel titolo. Non per trarne spunti sulle cose da insegnare, ma per meditare su come insegnare, su come imparare ad apprendere e su come mettere in dubbio e rivedere periodicamente le proprie certezze, incluse quelle professionali sull'educazione e sull'insegnamento. Il mondo cambia troppo in fretta perché la scuola possa innovare continuamente curricoli, contenuti e argomenti. Allora l'importante forse è che sappia investire sugli insegnanti e sui ragazzi e alla fine sappia aiutare gli studenti a crescere e ad affrontare le responsabilità del mondo e della vita, incluse ovviamente quelle collegate all'ingresso nel mondo del lavoro.
Confesso che non sono un seguace di Morin, e di aver letto poco di lui, pur conoscendone per sommi capi la biografia. Il volumetto riassume di sicuro idee che Morin ha disseminato in una bibliografia imponente e vasta, in larga parte disponibile anche in italiano. Quindi per i lettori "anziani" e che conoscono il pensatore forse non ci saranno in questo piccolo volume novità sorprendenti. Ma per i giovani lettori, per i giovani insegnanti, per quelli che vogliono non solo entrare in cattedra, ma "insegnare ai ragazzi", per loro risulterà una lettura assai utile oltre che molto interessante.
PS. Si tratta di un libro per teste pensanti e per persone a cui piaccia essere spiazzati e sfidati, uscendo dalla routine delle idee quotidiane.

lunedì 3 agosto 2015

GERMANIA, ITALIA E UNIONE EUROPEA. UN BEL LIBRO DI ANGELO BOLAFFI.
Ho letto in questi giorni il libro che Angelo Bolaffi ha intitolato "Cuore tedesco. Il modello Germania, l'Italia e la crisi europea", Donzelli, 2013, pp. 288. Tratta dell'intricato e affascinate rapporto tra Germania, Italia ed istituzioni europee. Senza dubbio è anche la riprova che i libri restano lo strumento conoscitivo migliore per avere una visione più complessa e meno distorta delle cose e delle relazioni. E la lettura delle mille sfumature di tedesco e di Europa che Bolaffi, buon conoscitore dell'argomento, ci propone è una specie di goduria per la mente che viene stimolata a leggere il rapporto Germania/Europa da molti punti di vista, mai banali, alcuni dei quali inediti. Il libro ci fa anche capire che se la discussione su questo tema rimarrà a livello dei soli giornali,  resterà rozza, semplificata ed infarcita di stereotipi. Resterà inficiata da nazionalismi, da punti di vista locali e da quella arroganza che spinge ad urlare i diversi punti di vista anziché a confrontarli. Ma per chi ha tempo per leggere e voglia di capire, Bolaffi racconta il punto di vista della Germania su se stessa e sull'Europa e descrive con lucidità le caratteristiche di quel capitalismo "renano" che sta mietendo risultati interessanti anche in questo periodo di crisi e che i tedeschi propongono come modello agli europei. Bolaffi argomenta di una Germania che mantiene un forte senso di colpa rispetto alla seconda guerra mondiale e alla shoah, ma che riesce anche a guardare avanti.
Spiega anche di una Germania che non sembra tentata dal desiderio di egemonizzare il continente, nè di volersi giocare rivincite di alcun tipo. Semmai Bolaffi vede una Germania che riflette sull'ipotesi di disimpegnarsi dall'Europa, perché il progetto europeo, dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell'impero russo è cambiato ed è diventato più complesso e difficile da gestire. Anche per un paese forte come quello tedesco.
Il libro entra anche nelle vicende dell'euro e fornisce una spiegazione interessante delle scelte monetarie tedesche ed europee. Ovviamente molte delle annotazioni di Bolaffi potranno suonare discutibili se invece di assumere un atteggiamento amichevole verso la Germania  (come fa Bolaffi) se ne assume uno ostile e prudenziale, come accade ai principali quotidiani europei che riflettono i sentimenti di molti dei loro lettori. Ma il valore ed il coraggio del libro, fuer mich, sta anche nel saper navigare contro corrente, nel combattere gli stereotipi antitedeschi e antiMerkel, portando argomenti e cercando di approfondire i problemi, anziché lanciare indiscutibili verità. Mi auguro che il libro di Bolaffi trovi molti lettori, anche perché l'Europa senza tanti lettori forti e che pensano con la loro testa non si farà. Ci scommetterei.

domenica 2 agosto 2015

GUIDA GALATTICA PER AUTOSTOPPISTI
Confesso di aver letto solo nei giorni scorsi il romanzo, per alcuni "culto", di Douglas Adams, "Guida galattica per autostoppisti". Devo dire che trovo alcune battute del libro esilaranti e che mi sono affezionato subito a due idee a mio avviso condivibili ma poco meditate. La prima: l'homo sapiens non è la specie vivente più sapiens del pianeta Terra. La seconda: dal punto di vista delle galassie e degli altri pianeti dell'universo, tutto quello che sta nello spazio e nel tempo e nelle altre dimensioni che non conoscismo, la Terra è un pianeta "innocuo". Anzi, secondo l'aggiornamento di Ford Prefect, "fondamentalmente innocuo". La terza riguarda Zaphod, un presidente del governo della Galassie così moderno e attuale per noi italioti. Poi ci sono anche tante altre chicche e.. di sicuro il testo merita di essere letto. Ringrazio mio figlio che ha tenuto per anni il libro di Adams in bookcrossing in bagno e ha insistito con me, sia pure con garbo, perché lo leggessi.

sabato 1 agosto 2015

CARO SAVIANO IL SUD NON PUÒ SALVARLO UN RENZI SUPERMAN MA SOLO IL CORAGGIO, IL TALENTO, LE IDEE E I SOLDI DELLE DONNE E DEGLI UOMINI DEL SUD

No, caro Roberto, la lettera da lei indirizzata al nostro amato giovane premier, comparsa su La Repubblica del 1° agosto, non è l'ultima di un romantica serie di lettere meridionali. È un testo vistosamente retro', con quel filo che strappa forse la lacrima, ma che usato come argomento retorico nel 2015 suscita, almeno in alcuni, un sentimento opposto. È una lettera con poco senso storico e, mi perdoni, senza una vera comprensione di quello che sta accadendo oggi. In Italia e nel suo stupefacente far west meridionale.
Che un Renzi superman intervenendo in tempo, subito,  con un decreto urgente da approvare in consiglio dei ministri, prima di ferragosto, non si sa con quali risorse, nè  per investirle dove, possa davvero salvare il nostro mezzogiorno, via, non lo può crede più nessuno. Temo non lo creda nemmeno lei, quando la mattina si fa la barba, da solo, in bagno, e può confrontarsi con la crudita' consapevole dei suoi veri pensieri.
Nella sua lettera poi ci sono idee che non avrei immaginato potesse far sue. Una per tutte. Ma per quale ragione ad esempio la diminuzione della natalità del mezzogiorno (che credo resti comunque superiore a quelle dalla mia Toscana) sarebbe un male in un mondo già affollato da più di 7 miliardi di individui? Fare molti figli come conigli è oggi oggetto di riflessione perfino nelle più tradizionali sedi religiose. Allora perché lei rispolvera la forza e l'indice della natalità di buonanima memoria per chiedere più risorse per il Sud? Ma che argomento è? Ha mai letto le riflessioni del politologo Sartori su questo tema? O quelle di molti scienziati che sostengono che il peso demografico potrebbe essere un problema per il pianeta e per le aree depresse nello specifico?
Quanto all'idea che il Sud abbia bisogno per tornare a crescere di forti investimenti esterni di per sé non è sbagliata, ma quando si hanno regioni amministrate come quelle meridionali, da classi dirigenti meridionali, che non riescono nemmeno a spendere una parte delle risorse che l'Europa ha destinato alle regioni meridionali, è evidente che il problema è interno alle regioni del sud più che alle risorse esterne. Hai voglia di buttar soldi, se li butti nel deserto.
Temo che anche lei abbia chiaro che il Sud lo possono salvare solo il coraggio, il talento, le idee e i soldi degli uomini e delle donne del Sud. Perchè è doloroso dirlo ma la criticità di queste regioni non sta nell'assenza dello stato (o come dice Svimez in questi giorni nell'assenza dell'Europa, o nella fine del piano Marshall, o nella crisi irreversibile dello stato assistenziale, e, perchè  no?, nella crisi dell'Onu), quanto piuttosto nella fragilità della società civile meridionale, come suggeriscono studi ormai consolidati e condivisi nell'ambito della letteratura scientifica internazionale sulle regioni e sulle aree che non riescono a crescere. E per superare questa fragilità, altro che Renzi ci vuole!
No, non credo proprio che Renzi potrà far completare al meglio la Salerno - Reggio Calabria e mantenerla in perfetta efficienza. Nè potrà far funzionare meglio lo Stato in certe Regioni piuttosto che in altre. L'idea che esce dalla sua lettera a Renzi pubblicata oggi su Repubblica ovvero che un brav'uomo solo al comando di un popolo possa cambiare le caratteristiche di quel popolo e di quei territori, sopratutto se hanno molti problemi, compreso quello di un forte livello di criminalità e forse di un modesto senso civico, rivela un pensiero ingenuo che, mi perdoni, ma non oso attribuirle.
Mi sono fatto di lei l'idea di uno scrittore che coglie e restituisce la complessità tragica della società contemporanea e dei rapporti sociali che la innervano.
Una lettera come quella inviata a Renzi ha invece un pò il sapore di un letterina inviata a Babbo Natale. La si può scrivere e spedire, certo. Ma quando a scriverla è l'autore di "Gomorra", c'è qualcosa che stride. Qualcosa che non torna. Almeno per me. Cordialmente, Roberto.

venerdì 31 luglio 2015

IL CASO GRECO CONTINUA AD INSEGNARCI UN SACCO DI COSE

Il primo insegnamento. Il Fondo Monetario Internazionale certifica che il debito greco è troppo grosso per farlo crescere ancora con la speranza ragionevole che possa essere rimborsato. FMI ritiene che nessun governo greco potrà fare riforme tali da far ripartire il paese e ripagare i debiti. Se queste cose le avesse dette prima dell'accordo UE-Grecia era meglio, ma non si può avere tutto nella vita.
Secondo. Il governo Tsipras non ha più la sua maggioranza originaria. Una parte di Syriza non sta più con Tsipras e lo stesso Tsipras ha siglato un accordo in cui non crede e non sa sa riuscirà ad onorare. Insomma l'affidabilità di Tsipras è bassina a fronte degli oneri che formalmente si è assunto. Se non fosse vera, sembrerebbe una commedia kafkiano-pirandelliana, con un tocco di incomprensibilita' alla Odin Teatret.
Terzo. I vari attori di cui si compongono le istituzioni europee (quella che si potrebbe chiamare la governance europea) si trovano tra il disimpegno del FMI, l'inaffidabilita' del governo e del parlamento greco e un'opinione pubblica europea che se esiste è comunque nazionalistizzata e divisa da più fratture, cicale/formiche, paesi nordici e paesi mediterranei, conservatori e socialdemocratici, il tutto però in maniera molto molto confusa.
Insomma un bel guazzabuglio medievale.
Mi auguro solo che la Merkiavelli del nord, come Ulrich Beck ha chiamato Angela Merkel insieme ad altri giornalisti tedeschi, riesca a sbrogliare la complicata matassa economico-politico che ha alle mani. Perché sia pure in maniera informale ma sostanziale la costituzione non scritta dell'UE sta affidando al governo tedesco e al suo leader un ruolo di coordinamento e mediazione dello scenario della crisi greca, così come della crisi Ucraina. Un ruolo per il quale non invidio punto la Merkel. Un ruolo che probabilmente lei stessa, come ha ben argomentato Angello Bolaffi nel bel libro "Cuore tedesco" (Donzelli, 2013),  non avrebbe nemmeno voluto recitare. Checché ne pensino i suoi detrattori.

socialismo europeo - i cazzotti di rossi

"II socialismo europeo che è fallito perché succube dell'egemonia culturale della destra." La cura? "Cazzotti sul tavolino" e "Scontro con la Merkel"

Quelle tra virgolette non sono parole mie, le ha scritte l'iperattivo governatore della Toscana, commentando sulla sua pagina fb il fantasmagorico intervento di illider Matteo all'assemblea nazionale del pd che si è tenuta sabato18 luglio all'Expo. Devo dire che non so bene di quale socialismo reale il nostro governatore parli, visto il carattere ormai molto composito e frastagliato sia della vecchia associazione socialista europea (di cui se non erro i ds ebbero per alcuni anni la vicepresidenza) sia dell'attuale PSE, a cui pure il pd ha finalmente aderito anche col consenso del governatore. Aggiungo anche che il PSE ha designato il socialdemocratico tedesco Schulz (anche lui succube della Merkel? Se sì, perché diavolo non ne è stato scelto uno meno succube?) come leader dei socialisti europei alle scorse elezioni europee. E su questo, nel pd, erano tutti d'accordo. La nomination di Herr Schulz si è tenuta a Roma, in casa pd. Insomma del fallimento e della subalternità del socialismo europeo anche il pd bersaniano-renziano porta non poche responsabilità. O mi sbaglio?
Ma il nostro governatore conosce i suoi polli più di me e se scrive che il socialismo europeo è succube dell'egemonia culturale della destra, immagino che abbia buone motivazioni. Tale sudditanza, scrive sempre il governatore, nasce dal fatto che il socialismo europeo non riesce ad imporre alla Merkel, leader indiscusso della destra europea, una politica espansiva keynesiana.
Ma per fortuna che il nostro governatore ha il rimedio universale per risollevare dal fallimento il socialismo europeo, l'Europa intera e perchè no?, tutta l'umanità. Basta finanziare una bella politica espansiva europea (magari tornando agli eurobond di Tremonti. Lui si che era un socialista vero!) e il gioco è fatto. Il resto cadrà da solo, come una pera cotta.
Ci sono però  alcuni piccoli malefici dettagli che ostacolano questa formidabile soluzione. Una parte consistente della fallita famiglia socialista europea non pare condividerla, soprattutto non essendo chiaro quali elettori pagherebbero il peso dei debiti europei in eurobond. E sono proprio i paesi formica dell'Europa a essere i più contrari alle proposte dei paesi cicala. E nei paesi formica conservatori e socialdemocratici non sono ormai molto distanti su punti come il debito "transnazionale".
C'è poi il fatto che i conservatori sono molto forti in Europa e che i movimenti di estrema destra e xenofobi accetterebbero di sostenere una politica espansiva europea basata sugli euro-bond probabilmente puntando sul fatto che faccia saltare il banco. C'è infine da dire che una politica di forte intervento economico richiede la cessione di forti quote di sovranità ad istituti europei che per ora non sembra che i socialisti europei, cicale o formiche che siano, intendono proporre, rivedendo trattati e compagnia bella. Allora?
Il governatore non si scoraggia. Ha una soluzione pratica per far fronte a questo problemino. Si chiama CAZZOTTI SUL TAVOLINO. Se i socialisti finlandesi e tedeschi non concordano con la politica keynesiana, va mandata un pò di gente in Finlandia,  in Germania e dove serve a picchiare cazzotti sul tavolino. Lo stesso va fatto nell'ufficio della cancelliera Merkel a Berlino. E se la signora tedesca non capisse certe sottigliezze del linguaggio politico italiano, allora, beh, allora, si potrebbe arrivare "se necessario [a] uno scontro con la Merkel". Ha scritto proprio così: CAZZOTTI SUL TAVOLINO E UNO SCONTRO CON LA MERKEL.
A questo punto non mi meraviglierei se una intercettazione telefonica pubblicata su wikileaks raccontasse di una Merkel che chiede a Renzi se il governatore toscano, che nel corso della sua ultima visita a Firenze le era parso una personcina tanto garbata, vuole davvero tirare CAZZOTTI SUL SUO TAVOLINO E SCONTRARSI CON LEI. Con lei che ha un debole per la cultura toscana, Michelangelo, Leonardo, Raffaello....
Stai serena, ha commentato illider matteo. Herr governatore è un bravo ragazzo. Noi toscani siamo gente sanguigna. E siamo scherzosi.
Come Pinocchio?, ha borbottato l'ex ragazza dell'Est.
Nessun commento dall'altra parte.
PS. Da bibliotecario mi permetto di suggerire al governatore toscano (che so essere un buon lettore) un testo interessante sul tema oggetto di questa nota. Mi riferisco a Angelo BOLAFFI, Cuore tedesco. Il modello Germania, l'Italia e la crisi europea, Donzelli, Roma, 2013, p. 265. Se non fosse una ovvietà, aggiungerei anche che essere europei oggi è una sfida maledettamente complicata e che le banalizzazioni e le semplificazioni non servono. Aggiungerei infine che se fossi un europeo di sinistra e contassi qualcosa chiederei un congresso straordinario del PSE al quale dovrebbero partecipare tutti i leader socialisti europei per discutere e approvare una carta socialdemocratica per l'Europa, una carta traducibile in azioni concrete. Un documento politico vero. Di governo. Un trattato europeo visto dalla parte dei socialdemocratici, da negoziare poi conservatori. Ma il documento che dovrebbero elaborare i socialisti europei dovrebbe essere una magna carta vera, capace di affrontare con coraggio e chiarezza i nodi della sovranità, dei debiti nazionali, delle politiche del lavoro, dell'emigrazione, della difesa europea, dei confini europei. Ma temo che per ottenere una riunione del genere e un documento simile non bastino i cazzotti sui tavoli.

giovedì 30 luglio 2015

Un assessore regionale alla cultura very light
La scelta del nuovo assessore regionale alla cultura sembra very light. Non si tratta infatti di una persona che abbia un forte curricolo in ambito museale, nè competenze specifiche e approfondite sul grosso degli altri beni culturali di cui dovrebbe occuparsi con competenza e a tempo pieno se si vogliono realizzare politiche forti e innovative di cui ci sarebbe tanto bisogno. Insomma non si è scelto un tecnico del settore. E per quello che se ne sa, non si è nemmeno individuato un politico, anche se all'assessore è stata affidata anche la vicepresidenza regionale. Parrebbe quindi un assessore né carne, nè pesce. Tutto da scoprire. Speriamo che sappia dialogare bene con la leggerissima macchina organizzativa che si troverà a dirigere e che sappia aprire anche un dialogo serrato e proficuo con i protagonisti della vita culturale della Regione. Certo la scelta di aver separato turismo e cultura in una Regione che fa di questo intreccio un punto di forza per le entrate e per l'immagine sembra un pò strana. Speriamo perciò che il nuovo assessore possa se non rimettere in discussione, almeno riarticolare e ridefinire questa decisione.
Di certo si aspettano rapide mosse sul PIC 2015 fermo al palo da 8 mesi.
Così come si aspetta il programma dell'assessorato e la traduzione dei buoni propositi e delle idee generali in fatti concreti.
Si vedrà qualcosa rapidamente?