sabato 27 dicembre 2025

MUSEO PIAGGIO, COMUNE E UNDERTURISM (2a parte, lunga)

Nella strategia dell’underturism il Comune di Pontedera ha trovato un partner importante: il Museo Piaggio. 

Per quanto gestito ufficialmente da una Fondazione partecipata dal Comune, che, come socio di minoranza, esprime nel CDA il vicepresidente, il Museo è diretto ferreamente dalla proprietà della Piaggio (oggi in mano ai fratelli Colaninno). E' la multinazionale a possedere gli oggetti, i marchi, ecc. ecc. e a decidere tutto. I rapporti di forza col Comune sono sproporzionati. La sudditanza operativa del Comune, massima. La capacità di incidere sulla strategia museale, anche se il Comune avesse idee (e non è un rischio che sembra voler correre), minimale.

Il Museo Piaggio, che contiene al proprio interno una delle storie imprenditoriali (e lavorative) più originali della Nazione, anziché valorizzare in maniera socialmente moderna un patrimonio culturale di interesse “planetario”, non è ancora riuscito a costruire, a 25 anni dall’avvio, una struttura all’altezza delle potenzialità e della sfida. Le ragioni di questa incertezza progettuale e costruttiva sono molte e complesse. Meriterebbero un dibattito pubblico che Piaggio però non vuole (e quindi non si farà) e che il Comune, per sudditanza, rinuncia perfino a ipotizzare. Ci si accontenta dei raduni, che ovviamente non sono certo da sminuire. Ci mancherebbe.

Restano outsider come me a poter sollevare il tema e a riprendere osservazioni che si borbottano, a mezza bocca, in città, ma che nessuna forza politica (e giornalistica), neppure di opposizione, osa sollevare. Ecco quindi alcune delle mie annotazioni. 

LE APERTURE DOMENICALI. Ma possibile che il Museo Piaggio sia chiuso il 50% delle domeniche dell’anno? Eppure le domeniche sono il giorno più appetibile per i visitatori dei musei, soprattutto per quelli che vengono da lontano. Davvero una multinazionale come Piaggio non trova gli spiccioli per aprire il Museo tutte le domeniche?

LE MOSTRE FUORI TARGET. Ma che c’azzeccano le mostre di arte contemporanea con i prodotti Piaggio? Ma davvero un appassionato di Piaggio fa centinaia di km per venire a Pontedera al museo Piaggio per vedere mostre d’arte spesso “modeste”, offerte gratuitamente, e che si vedono in 40 minuti (e a volte meno)? Non sarebbe meglio invece promuovere mostre o eventi specificamente legati ai prodotti o ai marchi Piaggio o al mondo due ruote, allestiti in esposizioni di ampio respiro e con modalità più moderne?

LA DIREZIONE SCIENTIFICA. Ma un simile Museo non dovrebbe avere una direzione scientifica di altissimo profilo? Una direzione con una strategia magari anche di medio periodo e di orizzonte internazionale? E il Museo, che contiene anche un grande archivio storico che racchiude una immensa storia popolare, non andrebbe valorizzato molto, molto di più? La grande storia della motorizzazione su due ruote non potrebbe diventare anche il centro di una produzione letteraria e social che andrebbe incoraggiata in maniera sistematica e con più mezzi?

GLI INVESTIMENTI PROMOZIONALI. Non servirebbe anche una strategia di comunicazione più efficace, in grado di attrarre molto più pubblico (orientato al prodotto) che sarebbe tanto apprezzato anche dalla città soprattutto se pernottasse? Tra l’altro sarebbe apprezzabile che le statistiche minimali, offerte dal Museo, scorporassero i visitatori museali che vengono per vedere gli oggetti Piaggio da quelli che vengono per eventi più disparati. Solo così si avrebbe il dato sulla capacità attrattiva del Museo. Una cosa è infatti il Museo Piaggio e una cosa è l’uso dei suoi spazi per finalità culturali diverse. La confusione tra i due ruoli non giova allo specifico “Piaggio” e ai suoi prodotti e ha un impatto minimo sulla città.

LA BIGLIETTAZIONE. E che dire della possibile introduzione di un sistema di bigliettazione anche simbolico? Che magari separasse l’evento occasionale (tipo la presentazione di un libro, un concerto musicale, uno spettacolo di beneficienza, una serata di un’istituzione amica, ecc., che dovrebbero restare gratuiti) dagli eventi museali specifici? 

IL PUBBLICO. Ma quale pubblico di visitatori il Museo Piaggio punta a portare a Pontedera? I turisti nazionali e internazionali attratti dal mito vespa/ape o i pontederesi e un po' di amici di Pontedera e dei dintorni che vengono agli eventi di sapore locale? 

GLI SPAZI. Possibile che sia stata abbandonata l’idea di progettare una sede che permetta un percorso museale di due o tre ore con un racconto degli oggetti meno affastellato? Possibile che non si riesca a superare un'accoglienza alla buona e non si metta su un piccolo ristorante interno, con un adeguato servizio di caffetteria e altri strumenti di accoglienza più qualitativi, ecc.? Adesso che l'Atelier della Robotica non si farà più nei capannoni attigui al museo, quegli spazi anziché essere trasformati in parcheggi, non potrebbero essere riacquisiti e ristrutturati per creare un ampliamento del museo Piaggio? I materiali da mostrare ci sono. Vanno solo resi organizzati in un percorso,più moderno. I servizi e l’accoglienza invece sono minimalisti. Andrebbero migliorati. E infine nei nuovi spazi riacquisibili su via del Fosso vecchio non potrebbe trovar posto una sede per il coordinamento dei tantissimi vespa club italiano ed esteri e ancora una sede per un mercato periodico se non mensile, che ne so, trimestrale, di oggetti Piaggio, ecc. ecc.?

Concludo. Per il pressappochismo che caratterizza l’intervento in ambito turistico sostengo che Comune di Pontedera, Palp e Museo Piaggio (che pure, insieme, qualcosa investono nelle iniziative) sembrano davvero coltivare l’underturism.

Per l’amor di Dio, come ecologista, posso esserne solo contento. Meno gente viene, meno inquinamento si produce.

Ma da pontederese e per le potenzialità che la città sembra avere in questo settore, un significativo turismo di qualità, gestito bene, credo che ci gioverebbe. E parecchio.

Tra l’altro il Museo Piaggio (che resta l’unico vero attrattore di un turismo che viene da lontano) ci potrebbe consentirebbe di coltivare anche la memoria di “come eravamo” e potrebbe non solo identificarci e renderci orgogliosi di quello che città e cittadini sono ancora oggi (pur senza percepirlo), ma darci ancora, oltre a risorse dirette, suggerimenti per il presente e soprattutto per il futuro. O almeno così presumo.

venerdì 26 dicembre 2025

COMUNE, PALP E STRATEGIE DI UNDERTURISM (1a parte)

 Ormai la strategia pontederese dell’underturism è chiara.

E arcinoto infatti che al PALP di Pontedera si organizzano mostre fatte apposta per non attrarre né turisti né persone che si fermino prima o dopo la visita a comprare nei nostri negozi (se non col contagocce), tanto che questa volta hanno perfino deciso di non contarli più… i visitatori. Si soffre meno a non sapere.

La scelta underturist si caratterizza in particolare nell'individuazione di mostre e artisti in virtù di informazioni presenti ai vertici dell’amministrazione. Macché studi sul mondo dell’arte. Macché strategie di marketing culturale. Dio ce ne scampi e liberi degli esperti. Basta e avanza il filo diretto tra Comune e Fondazione Pontedera Cultura, con quest’ultima che opera come cinghia di trasmissione e non come un soggetto dotato di una sua autonomia e professionalità. La cultura è una cosa troppo seria per affidarla ai competenti con tanto di titoli di studio e di lunga esperienza sul campo.

I RISULTATI del ping-pong Comune/Fondazione sono che il PALP è di fatto senza una vera direzione artistica. In più, grazie alla natura giuridica della Fondazione, i vincoli amministrativi (gare, selezioni pubbliche, ricambio dei fornitori, motivazione delle decisioni, e rendiconti dettagliati e pubblici), sono ridotti a… quasi nulla. 

E la modestia di ruolo della Fondazione Pontedera Cultura si manifesta anche nel modo in cui gestisce Villa Crastan che il comune le ha “formalmente” affidato. Potrebbe infatti utilizzarla come spazio museale per esporre e valorizzare la raccolta di quadri posseduti del Comune. Invece non lo fa. Nel parco della Villa potrebbero essere esposte le sculture di BENETTON donate al Comune e, se non erro, prestate al Teatro del Silenzio a Lajatico. Niente di tutto ciò. Sempre nella villa Crastan si potrebbero collocare alcune opere della straordinaria raccolta di Sergio Vivaldi, morto oltre 4 anni fa e il cui impegno di collezionista questa amministrazione aveva pubblicamente dichiarato di voler valorizzare. Ma se ne guarda bene. 

Insomma il Comune, tramite la Fondazione, potrebbe fare tante cose con la Villa Crastan e invece l'affitta, tramite la Fondazione, a una scuola privata che la usa saltuariamente (e per scopi privati), mentre il giardino è curato pochissimo ed è pressoché sempre chiuso. Risultato: un bene pubblico che costa e che i cittadini non usano se non raramente, affidato senza gara ad un soggetto terzo privato, non si sa bene in cambio di quale affitto (la Fondazione non fornisce informazioni agli estranei e nemmeno ai cittadini).

Un vero capolavoro, non c'è che dire. E la strategia dell’underturism non finisce qui.

I CATTOLICI E IL PACIFISMO ATTIVO CONTRO IL RIARMO

Ma davvero i CATTOLICI iscritti al PD sono a favore del RIARMO europeo come vuole la Schlein e il suo gruppo dirigente? 

Davvero i CATTOLICI ignorano che il RIARMO anche se solo a livello europeo fa spendere centinaia di miliardi in armi ed è stato sancito dei socialisti europei ad Amsterdam e quindi approvato dalla Schlein come dimostra anche la mozione (punto 10) presentata dal PD alla Camera il 17 dicembre u.s.? 

E davvero i CATTOLICI Italiani individuano nella Russia il più grande nemico dell'Europa? 

Io non credo che i CATTOLICI che amano San Francesco e Don Milani siano favorevoli a sostenere le politiche europee e italiane di RIARMO e accettino che il loro partito approvi il debito europeo (e quindi italiano) per comprare armi (soprattutto dagli Usa) e continuare la guerra in Ucraina.

E non credo che possano fare come Ponzio Pilato e limitarsi a far decidere altri sulla politica di RIARMO, come se si trattasse di una bagatella.

Né credo che i CATTOLICI possano accontentarsi di dichiararsi pacifisti e condannare la guerra a parole e poi però voltare la testa dall’altra parte e lasciare via libera ai guerrafondai che riarmano l'Italia e l’Europa. 

Nessuno può salvarsi l’anima col pacifismo passivo e occasionale o con un pacifismo narcisistico. 

Contro il RIARMO e il rischio concreto di scivolare direttamente nella guerra serve un impegno più forte. Quotidiano.

Serve un pacifismo ATTIVO. 

Per questo i CATTOLICI potrebbero spedire migliaia di mail natalizie alla segretaria Schlein per dirle che per Natale non vogliono armi e nemmeno droni sotto l'albero perché sono contrari al RIARMO anche europeo e che non intendono neppure mettere missili europei nel presepe per difendere Gesù. A lui non piacerebbe una cosa del genere.

Bene le veglie per la pace. Ma promuovere scioperi fiscali contro le spese per il RIARMO sarebbe meglio. Meloni, Mattarella e Schlein capirebbero meglio cosa vuole la gente comune, gli italiani.

E poi c’è il boicottaggio delle imprese che fanno affari con la guerra e delle banche che le supportano e della stampa favorevole al RIARMO. 

La resistenza attiva è fatta di mille gesti concreti quotidiani contro il RIARMO.

Perché mai come in questo caso la disubbidienza al RIARMO è una virtù, ma una virtù che per funzionare va esercitata pacificamente tutti i giorni. In tanti, possibilmente.

BUON NATALE.

NÉ DIO, NÉ IL POPOLO VOGLIONO IL RIARMO. MATTARELLA, MELONI E SCHLEIN SI.

I vertici delle principali istituzioni italiane (governo, presidente della Repubblica e quasi tutte le opposizioni) sono ormai compulsivamente RIARMISTI.

Ma sono solo élite. Minoranze ristrette, insomma, per quanto potentissime. E non rappresentano la volontà popolare.

Infatti LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI È CONTRARIA AL RIARMO. FORTEMENTE E APERTAMENTE CONTRARIA.

Tanto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (che presiede il Consiglio Supremo di Difesa), ne ha preso atto pubblicamente (cfr. Discorso 19 dicembre 2025, saluti di Natale alle istituzioni), per sostenere però che questo sentimento va compreso ma ignorato. Il paese dovrà riarmarsi lo stesso, in barba a ciò che vuole la maggioranza del popolo. 

Ma chi lo vuole allora il RIARMO?

Non è Dio che lo vuole. La chiesa di papa Francesco e di papa Leone è chiara. 

Lo vorrebbe, secondo Mattarella, la democrazia aggredita dagli Stati autocratici, dai quali sempre la democrazia deve difendersi, armandosi fino ai denti. Strano argomento, però. 

La democrazia infatti è espressione della volontà delle maggioranze popolari. Ma se le maggioranze sono contrarie al RIARMO e lo Stato ignora la volontà popolare e si riarma lo stesso (usando le tasse dei cittadini contro la loro volontà) non c’è una contraddizione evidente?

Ma una democrazia resta tale se va contro quello CHE DESIDERA LIBERAMENTE IL 70% dei suoi cittadini elettori?

La situazione ricorda il paradosso del 1915, quando l’Italia entrò nella prima guerra mondiale contro la volontà della stragrande maggioranza del popolo italiano e perfino contro la maggioranza dei parlamentari italiani. Lì però c’era la Monarchia, c’era il Re che aveva trattato e firmato l’ingresso in guerra degli italiani all’insaputa del popolo e del Parlamento. Ne conseguirono alcune tragedie: 4 anni di guerra con centinaia di migliaia di morti e di feriti e poi l’avvento del fascismo che durò 20 anni e terminò con un’altra guerra devastante.

Tra le contraddizioni più evidenti della situazione attuale c’è anche il fatto che il nostro paese cattolico, guidato per lo più da leader che si professano cattolici (almeno Mattarella e la Meloni si dichiarano tali e si apprestano perfino a festeggiare l’800esimo anniversario della morte di San Francesco), disconosce i principali doveri dei cristiani e dei principi francescani che sono quelli di cercare ossessivamente la pace e non certo di riarmarsi. Né san Francesco, né papa Francesco hanno mai suggerito il RIARMO anche solo difensivo.

Si dimentica poi che le élite che vollero l’Unione Europea fecero tutto tranne che riarmarsi e per 80 anni l’Europa (almeno quella occidentale) è stata in pace.

Ma oggi che non ci sono più né motivazioni religiose, né ideologie politiche veramente divisive, ci riarmiamo. E in Europa lo facciamo in nome del diritto e della democrazia, ma in realtà con una decisione imposta dalle élite ad una maggioranza fortemente contraria.

L’unica speranza resta come sempre il POPOLO che però se non vuole il riarmo non potrà solo dichiararlo nei sondaggi. Perché le élite i sondaggi, quando non riescono a manipolarli, li ignorano. 

Se davvero non vuole il RIARMO, il POPOLO dovrà scendere in piazza e farsi sentire.

Soprattutto i GIOVANI dovranno fare baccano, perché i costi del riarmo ricadranno soprattutto su di loro (economicamente, fisicamente e moralmente).

Il riarmo va fermato. FERMATO.

I SOCIALISTI EUROPEI, L’UCRAINA E IL PD DI ELLY

I vincoli europei non gravano solo sui governi nazionali, ma anche sulle opposizioni. E non riguardano solo i bilanci, ma anche la politica estera. I vincoli non li impongono solo le istituzioni europee. Li mettono anche le coalizioni politiche europee.

Ovviamente chi sta all'opposizione finge di non averne di vincoli. Invece sono sul tavolo europeo e si riverberano anche nei contesti nazionali.

Un esempio? Prendiamo le decisioni assunte dal PD e dalla SCHLEIN sull’Ucraina nel congresso dei socialisti europei di Amsterdam di ottobre scorso.

La stampa italiana in quella occasione si è focalizzata su una SCHLEIN che ha attaccato Giorgia Meloni come leader poco democratica. Tendenzialmente illiberale. Una imitatrice di Trump. Invece ha ignorato che la SCHLEIN ad Amsterdam ha confermato il PD sulle posizioni dei socialisti europei che sono quelle “RIARMISTE”, “fortemente antirusse” e decisamente “filoNato”, le stesse della maggioranza Ursula. Che poi sono (con il distinguo sugli asset russi) anche quelle della Meloni.

Nel documento finale dei socialisti europei approvato ad Amsterdam (cfr. sito Pes), quindi anche da Elly:

1 si conferma l’incrollabile sostegno all’Ucraina

2 si conferma che la battaglia degli Ucraini per la libertà è anche la nostra

3 si dichiara la piena responsabilità dei crimini di guerra dei russi

4 si chiede che i russi sostengano i costi della ricostruzione

5 si invocano ulteriori sanzioni verso la Russia 

6 si sostiene l'ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea

7 si sostengono esplicitamente in Russia le forze anti Putin.

Seguono altre sberle ai nemici russi.

Ma si possono raggiungere questi obiettivi senza riarmarsi fino ai denti?

Temo proprio di no.

Che lo si faccia sostenendo il riarmo europeo e non quello nazionale cambia qualcosa? Non sembra un mero trucco retorico?

La verità è che Schlein si è allineata ad Amsterdam al mainstream socialista  subendo l’inevitabile vincolo politico europeo, destinato a riflettersi (in negativo) sulle scelte “belliciste” del PD in Italia e quindi sulla costruenda maggioranza di centro sinistra.

Ne e' riprova la mozione presentata dal PD ieri 17 dicembre alla Camera dei Deputati per la parte sulla guerra in Ucraina (che pur nelle contorsioni del testo, che è disponibile negli “Atti parlamentari”,  si dichiara favorevole a utilizzare gli asset russi per continuare la guerra). La mozione ricalca le decisioni di Amsterdam e non è risultata condivisibile dai potenziali alleati del Campo Largo, che infatti hanno tutti presentato proprie risoluzioni. 

Non il massimo per una pacifista che vorrebbe guidare una maggioranza politica di centro sinistra.

martedì 16 dicembre 2025

A CIASCUNO IL SUO "SCIASCIA"

Grazie al Circolo di lettura di Utel ho riletto “A ciascuno il suo” di Sciascia, una piccola chicca, un gioiellino letterario. Un breve piccolo giallo, che si risolve in relativamente poche pagine e che però racconta un mare di cose, anzi un mondo che va dal microcosmo di un paesino a mezz'ora da Palermo, alla Sicilia intera, fino a dirci molto perfino su tutta l'Italia e quindi anche su di noi. 

È la Sicilia come metafora del mondo, che Leonardo Sciascia ci ha proposto in tutta la sua opera letteraria attraverso gli occhi di un illuminista colto, attento alla realtà e appassionato della vita collettiva. Un intellettuale fortemente pessimista.

Chiaro quindi che il professor Laurana sia una proiezione di Sciascia, un suo avatar letterario investigativo, anche se un po' più sciocco, imprudente e soprattutto debole, direi.

Il testo, a 60 anni dalla sua uscita, è ancora fresco, per nulla invecchiato, e mi dà la sensazione che la Sicilia affaristico-politico-mafiosa che S. racconta sia ancora quella. E se i partiti a cui si fa esplicito riferimento nel giallo, i comunisti, i socialisti, i democristiani, non ci sono più, beh, certi intrecci tra affari, potere e sesso invece sono ancora quelli e si ritrovano anche nel continente. Anche dalle nostre parti. E forse se si scavasse nelle famiglie e nelle genealogie, forse si scoprirebbe che anche se oggi i potenti locali militano in partiti con nomi diversi da allora, le casate, le consorterie, i giochi di interesse hanno radici profonde e toccano i vecchi partiti che si sono solo reimpastati.

Ma tornando al testo, buono il trucco del depistaggio iniziale (in cui cadono gli inquirenti ufficiali: dei veri babbei, inetti o venduti e comunque quasi assenti dalla storia. Segno di una sfiducia nelle istituzioni che non è molto cambiata).

Buona anche l’idea di affidare a un professore di italiano e storia delle superiori, un signorino che vive con la madre, le indagini vere sulla morte del farmacista e del medico Roscio.

Pennellate lucide e disincantate quelle che disegnano la Sicilia dei primi anni ‘60. Un paese di bacchettoni, ma anche di raffinati e un po' patetici viveur, raccontati bene anche da Vitaliano Brancati che S. cita direttamente.

Va detto che già un anno dopo l’uscita del romanzo, nel ‘67, il grande regista Elio Petri ne trasse un film che sfruttava soprattutto il contenuto pruriginoso della storia (in realtà molto meno presente nel testo di Sciascia), contando sul fatto che la strampalata vicenda amorosa tra Gian Maria Volontè e Irene Papas riuscisse a trascinare masse numerose ma scarsoleggenti e poco illuministe al cinema.

Del resto erano gli anni che preludevano a quella che poi sarebbe stata la liberazione sessuale di questo paese: allora però quasi tutta da venire, soprattutto in Sicilia (ma non solo). E la storia della ragazza ingiustamente accusata di avere una tresca col farmacista le dice lunga di un costume non solo religiosamente bacchettone, ma sessualmente repressivo e ingiusto. E non solo a svantaggio delle donne. Il rapporto malato tra il professor Laurana e la madre ne fornisce un'altra indicazione. Confermata infine dalla fedifraga relazione tra i cugini assassini che, sotto lo sguardo dello zio arciprete, costituisce il vero movente del doppio omicidio.

Il piccolo gioiellino pseudopoliziesco di S. racconta tutto questo e nel frattempo contiene la denuncia sociale di un sistema di affari che mescola il controllo di società private e pubbliche, le cariche negli enti pubblici, nelle banche e la collusione, ove necessario, con la mafia.

Il vero burattinaio della situazione, l’uomo che tira tutti i fili e collega più mondi, come svela a Laurana il parroco cinico e senza fede (che trovata!) di Sant’Anna, non a caso è l'avvocato Rosello.

Ma Laurana un po' non ci crede e un po' viene depistato dalla bella moglie di Roscio, cugina e amante di Rosello. Ergo la sparizione del professore è la conclusione perfetta di un impiccione presuntuoso che non era certo attrezzato per venire a capo di una storia come questa. Un individualista, cretino, che non credendo nel valore delle istituzioni e neppure della politica (memorabili le battute col deputato comunista) viene sconfitto da forze più grandi di lui e quindi perde la vita.

Tra le chicche del racconto: 

La vicenda della ragazza che viene accusata di avere una storia col farmacista e che poi risulterà totalmente innocente, ma che provoca la rottura immediata del suo fidanzamento e una sonora bastonatura da parte degli stessi familiari che la condannano seduta stante senza neanche porsi il problema se la ragazza potesse essere innocente.

Le dinamiche del potere locale, il fatto che si è potenti se si riesce a intrecciare il controllo di alcune società para pubbliche o che gestiscono appalti, con banche e anche con ruoli pubblici e se si sa gestire la commistione fra questi livelli. Tema questo ancora di grande attualità e non solo in Sicilia.

L’ingenuità del professore che rimane vittima dell’avvocato Rosello, abile ragno sociale che controlla i vari intrecci tra politica, affari e rapporti diretti con la criminalità e poi chiaramente soddisfa anche i propri appetiti sessuali.

La condanna di tutto questo andazzo in nome di un moralismo illuministico scettico che non crede che la politica abbia la forza di cambiare questo stato di cose.

Il moralismo illuministico, che si incarna in Laurana e nel padre di Roscio, l’oculista cieco, il cui destino finale però è quello di essere sconfitto (come nel più siciliano ciclo dei vinti)

Insomma quello di S. è un romanzo breve che ci racconta che l’Intelligenza non può farcela contro una certa natura umana, contro una certa immoralità, contro la debolezza della carne.

Infine una curiosità. Un’ultima chicca letteraria. Dalla pagina finale del racconto di S. deve aver preso lo spunto, 35 anni dopo, il romanzo di Camilleri sulla scomparsa di Pato’.



domenica 14 dicembre 2025

AL PALP SI SVOLTA ANCORA

Sì, bisognava proprio rinnovarlo il consiglio direttivo della Fondazione Pontedera Cultura per realizzare una mostra così originale come quella che resterà aperta fino al prossimo marzo al PALP. 

“Pinocchio e i carabinieri” è sicuramente una chicca nel panorama culturale italiano e sicuramente avrà una grossa risonanza attrattiva sul pubblico. Non a caso in città si vocifera della prossima riapertura di un ex hotel in zona stazione per fare fronte alla domanda di camere che si è scatenata appena la grande stampa ha dato la notizia della nuova mostra, mentre i B&B cittadini sono già tutti sold out dall’avvio dei rumors sull’evento.

Strano solo che all’inaugurazione abbiano parlato tutti, tranne i membri del CDA della Fondazione Pontedera Cultura, diversi dei quali, anzi quasi tutti, neppure erano presenti alla inaugurazione. Un caso, probabilmente.

Assente è risultata anche l’onnipresente assessora della Regione Toscana (ente che pure ha patrocinato l’evento) che in occasione invece dell'inaugurazione della mostra Banksy & Friends era stata immortalata in diverse foto (ma era prima della compilazione delle famose liste elettorali del PD).

Forse per questo la presentazione è stata soprattutto un duetto tra il curatore, scelto a quanto si è intuito più dal Sindaco che dal CDA della Fondazione, e il Sindaco stesso, che non a caso ha sottolineato i reciproci rapporti di sopportazione col curatore dell’evento. 

La mostra in sé, per quanto caratterizzata da un taglio fortemente istituzionale e quindi da contenuti inevitabilmente buonisti se non “conservatori”, è carina. Rassicurante. Familiare. Immagino che piacerà ai bambini, più che ai ragazzi o agli adulti. 

Magari un po' ripetitiva, con opere di tanti (forse troppi?) autori, di diversa qualità e livello, senza veri guizzi o trovate spiazzanti e bizzarre, come invece ci si aspetterebbe dalla presenza di Pinocchio. La mostra collettiva insomma consegna il burattino (e Collodi) alle mani ammorbidenti delle istituzioni: e sapendo che cosa pensasse l’autore delle istituzioni e degli ammorbidimenti, la cosa fa bonariamente sorridere.

Nell’insieme si tratta di un patchwork che assemblea più opere e più collezioni (tra cui alcuni lavori di Silvano Campeggi, il murales ex novo di Skim e i materiali librari di quello straordinario collezionista e cultore di Pinocchio che è il pontederese Franco Ferrini).

Ne esce un insieme gradevole, ma con scarsa capacità di incuriosire. Semmai un po' scontato e lievemente soporifero: e questa è l’ultima cosa che lo scoppiettante, irriverente e irrequieto Carlo Lorenzini avrebbe voluto.

L’unico elemento spiazzante è l’ingresso gratuito alla mostra. 

Dopo l’esperimento del biglietto per la mostra dedicata a Banksy, ecco un’ennesima giravolta, segno che chi ha scelto la nuova mostra (il Sindaco? il CDA della Fondazione?) e chi ha deciso la non bigliettazione (il sindaco? Il CDA della Fondazione?) ignora non solo che la continuità paga, mentre l’estemporaneità non costruisce nulla, ma che il biglietto è un segnale di qualità della mostra e dell’evento (oltre ad una maniera legittima per rientrare nelle spese, che in assenza di biglietto saranno tirate all’osso con il taglio, immagino, anche dell’investimento nella promozione e la conseguente mancanza di informazione sull’evento).

Almeno un vantaggio però il biglietto gratuito lo regala (al sindaco e alla Fondazione). Alla fine non si potrà sapere quanti visitatori saranno passati dalla mostra. Così Sindaco e Fondazione Pontedera Cultura potranno gridare al successo senza timore di essere sbugiardati dai numeri, come invece sta accadendo con la mostra su Banksy di cui ci si rifiuta ostinatamente (pur possedendoli) di rivelare il numero degli accessi paganti.

Va da sé che anche di questa mostra (che ha un’appendice all’ospedale Lotti, contempla un'installazione in piazza Curtatone, ecc.) né il Comune, né la Fondazione si sono degnate di fornire i costi. Che sia un regalo di Collodi? Mah!

Forse non ci dicono nulla perché è meglio che il popolo non sappia. Così soffrirà di meno.

sabato 13 dicembre 2025

IL PD E L’ORO DI MOSCA

Sostiene l’Intelligenza Artificiale, IA, opportunamente interpellata, che la Schlein non si sarebbe ancora pronunciata con chiarezza su cosa fare dei circa 190 miliardi russi congelati (in pratica, sequestrati) nelle banche belghe, soldi e titoli che l'Unione Europea vorrebbe usare per sostenere l’Ucraina nella guerra contro i russi. 

Sostiene ancora l’IA che il PD e il suo gruppo al Parlamento europeo sarebbero addirittura favorevoli ad utilizzare il tesoretto di Mosca a favore degli Ucraini, anche se l’IA non dice con chiarezza come intenderebbero farlo.

Sostengo invece io che se l’Europa metterà le mani sui soldi dei russi depositati in Europa, loro, i russi, considereranno questo gesto come un esproprio illegittimo, si arrabbieranno di brutto con noi europei e ci considereranno sempre di più loro acerrimi nemici. Ne conseguirà che le relazioni già disastrose tra russi ed europei precipiteranno, anche se la stampa italiana fingerà di cadere dal pero e dirà: o perché i russi ce l’hanno tanto con noi? O che gli s’è fatto?

Grandiosa poi la mossa conciliante di Mattarella che ieri ha riunito tutti gli ambasciatori per i tradizionali auguri di capodanno, tutti meno quelli russi e  bielorussi. A loro niente auguri di Natale. Così imparano il bon ton. Una maniera davvero molto diplomatica per dichiarare che noi non vogliamo trattare coi russi, ma vincerli, scordandoci però (e per un Presidente che dà lezioni di storia tutti i giorni al mondo, la dimenticanza è particolarmente grave) che né Napoleone, né i generali di Hitler sono riusciti a batterli i russi. E scordandoci che neppure la tragedia del comunismo è riuscita ad azzoppare del tutto l’impero russo e la sua resiliente autocratica società.

Ma tornando agli asset russi, per fortuna pare, pare che la sovranista Meloni si orienti a negare nel consiglio dei ministri europei, quello previsto per la prossima settimana, il consenso dello stato italiano a mettere le mani sui soldi russi congelati in Belgio; mossa questa che dovrebbe stoppare anche la possibilità della BCE di fare debiti collettivi per finanziare la guerra. Ora non è affatto certo che Giorgia tenga il punto. Ma io auspico che lei resista. Anzi mi auguro perfino che prima della riunione del Consiglio dei ministri europei la stessa Schlein si pronunci con chiarezza su questo snodo strategico e sostenga anche la contrarietà del PD a utilizzare gli asset russi e non si allinei con chi vuole andare allo scontro finale coi russi (inclusa una parte consistente del suo gruppo parlamentare europeo).

Auspico infine che anche le numerose sezioni locali del PD si esprimano sull’uso dell’oro di Mosca. Potrebbero uscirne sorprese interessanti.

venerdì 12 dicembre 2025

CONTRORDINE TOVARISCH: NIENTE NUMERI DI BANKSY (PER ORA)

Dopo aver fatto sapere tramite Quinewsvaldera che finalmente l’11 dicembre il soviet comunale avrebbe elargito ai curiosi i numeri dei visitatori paganti della mostra di Banksy & Amici (e forse perfino quelli della mostra di BABB), come che così il ristretto Politburo pontederese ci ha ripensato. Questa soddisfazione al vecchietto da tastiera non gliela vogliono proprio dare. Tanto ai cittadini non interessano queste informazioni, pensano i compagnucci della parrocchietta. Quindi? I numeri? Niet. 

E poi visto che c'è un’interpellanza ufficiale presentata dai consiglieri pontederesi di centrodestra per ottenere questi stessi dati, gli ex tovarisch forse approfitteranno di quella occasione per renderli noti. O forse diranno Niet anche all’opposizione, in virtù del loro superiore livello di democrazia.

Per ora comunque il segreto di Pulcinella (ovvero il megafiasco che ha caratterizzato la pontederese mostra banksyana) resta ufficialmente un segreto. Anche se niente è stato mai così clamorosamente noto come questa debacle colossale.

Anzi la verità è talmente clamorosa che il megafiasco non sanno proprio come annacquarlo. E allora, per il momento, meglio non ammetterlo. Si stancheranno prima o poi quelli fuori dal palazzo di chiedere i numeri.

E noi? Vabbè, si aspetterà. Che altro possiamo fare? 

I dati li hanno gli ex tovarisch del Politburo. Se non vogliono mollarli…

Certo se hanno deciso di seppellirli nel campo dei miracoli sperando che nottetempo si moltiplicheranno, temo che, come Pinocchio, coi suoi zecchini d’oro, rimarranno molto delusi.

Intanto il soviet comunale ha prodotto una nuova mostra, ma stavolta senza biglietto di ingresso. Così nessuno potrà formulare al Politburo l’imbarazzante domanda: com'è andata la mostra?

E se gliela faranno, gli ex tovarisch potranno comunque rispondere con sincerità: “bene”, essendosi privati da soli della possibilità di sapere come sia davvero andata e potendo inventarsi quindi tutte le risposte che vogliono, senza temere di essere smentiti. 

Quando si dice la trasparenza!!!

giovedì 11 dicembre 2025

TRUMP E I SOCIALISTI EUROPEI

Se è vero che la pubblicazione della “National Security Strategy” degli Usa, approvata da Trump a novembre, è un atto che riguarda l’Unione Europea, è anche vero che i socialisti europei, ovvero la seconda famiglia politica che guida, insieme al Ppe, oltre al parlamento europeo, diversi singoli stati europei, dovrebbero dire che ne pensano della NSS e come intendono replicare a questa analisi assai grossolana.

Il PSE e il gruppo parlamentare europeo “S&D” (di cui fa parte anche il PD della Schlein), che si sono da poco riuniti ad Amsterdam in un congresso che non è riuscito a balbettare niente di nuovo sulla politica estera europea, sulla Russia e sull’Ucraina, non possono fare finta di nulla e lasciare i loro gruppi e i loro leader nel parlamento europeo, nei singoli parlamenti nazionali e nei governi degli stati senza un’indicazione politica che replichi alle analisi dell’oligarca americano. 

Se il socialismo europeo non è un Brancaleone decerebrato deve battere un colpo. Deve rispondere alla provocazione e indicare una via, una prospettiva, una progettualità per l’intera Europa che va dal Portogallo alla Romania.

Deve provare dire qual è la visione socialista dell’Europa rispetto alla NSS di Trump. In una versione altrettanto sintetica e sfacciatamente efficace.

Urge insomma una risposta “politica”, che si affianchi a quelle elaborate dalle altre famiglie politiche europee, con alcune delle quali bisognerà che i socialisti trattino un accordo per gestire il cammino della maggioranza parlamentare europea. Perché la UE è pur sempre una complessa democrazia plurale e orizzontale  e non un’autocrazia verticale, d’impianto rinascimentale, come stanno diventando invece gli Stati Uniti trumpiani.

Perciò i socialisti europei e il gruppo parlamentare di S&D dovrebbero convocare un convegno speciale o un congresso straordinario e dibattere a lungo sulla NSS emanata da king Trump e uscire con una risposta soprattutto chiara.

Altrimenti si certificherà che non solo gli europei sono dei nani militari (cosa che non è detto che sia poi un male) quanto soprattutto che sono dei faragginosi nani politici. Incapaci di affrontare un dialogo pubblico di portata europea sul futuro del vecchio continente. Destinati all’insignificanza.

L’Europa è sola?, come ha sostenuto recentemente Jurgen Habermas. Forse. Ma può darsi che non sia affatto un male. A patto però che oltre che a essere sola l’Europa non spenga anche la luce, ma provi invece ad affrontare con lungimiranza e coraggio il problema politico che ha di fronte e a costruire relazioni col resto del mondo basate, oltre che sul commercio, sul diritto, sulla cultura e sulla non ingerenza.

I socialisti (come pure le altre famiglie politiche di ispirazione religiosa e liberale) lo devono ai cittadini che rappresentano.

In particolare però ai socialisti non basterà continuare solo a discutere e a battersi per i diritti per avere un ruolo in Europa e per dare al continente un futuro dignitoso.

Il contesto è difficile, le soluzioni complicate, ma le famiglie politiche europee debbono impegnarsi a fare la loro parte. Del resto cos’hanno da perdere?

lunedì 8 dicembre 2025

IL ROVESCIAMENTO DI CLEMENCEAU

Al famoso statista francese G. Clemenceau è attribuita la frase che la guerra è una cosa troppo seria per farla fare ai generali, sottolineando il primato della politica rispetto ai militari.

Invece in questi ultimi tempi, almeno in Europa, alla grande prudenza e ambiguità dei politici di fronte alla guerra (perché agli elettori i politici devono poi andare a chiedere i voti), corrisponde una certa imprudente loquacità dei generali.

Ecco allora le uscite dei generali tedeschi che “svelano” quando i russi attaccheranno l’Europa; ecco il capo di stato maggiore francese che dice alla nazione di abituarsi a piangere i propri figli morti in guerra. Ecco un generale della NATO (italiano) che sussurra al Financial Times di guerra ibrida “preventiva” già in atto. E non si capisce se quel “preventiva” voglia dire anche incostituzionale, visto che una guerra (e quindi anche una guerra ibrida), secondo l’articolo 78 della nostra Costituzione, dovrebbe essere votata e autorizzata dalla maggioranza dei parlamentari italiani prima di essere combattuta. Invece non mi risulta che il parlamento italiano abbia discusso e autorizzato l’avvio di alcuna guerra ibrida contro… già contro chi? Contro la Russia? Ma per accusarla in Parlamento di aver aperto un fronte di guerra ibrida e informatica contro di noi occorreranno prove certe. Andranno mostrate. Non basteranno le dichiarazioni alla stampa di Crosetto. Almeno i parlamentari queste prove dovranno pur verificarle prima di dichiarare guerra, per quanto solo informatica, contro qualcuno. O no?

Brutti tempi quando si leggono così tante dichiarazioni di militari (Vannacci incluso). Loro dovrebbero svolgere il loro delicato lavoro con grande discrezione, fedeli al motto “Taci, il nemico ti ascolta”. E soprattutto non dovrebbero interferire con la comunicazione politica.

Brutti tempi se invece i generali tolgono la parola ai politici.

Ma la cosa ancora più importante è evitare di pensare che la guerra Russia e Resto dell’Europa sia ormai ineluttabile, come invece ci vorrebbe far credere un quotidiano assillante bombardamento politico-mediatico. 

Ricordo infine che le coscienze delle persone hanno sempre l’ultima parola. E confido che i giovani disobbediscano, seguendo il suggerimento di Don Milani, a qualunque chiamata alle armi e che, ove mai fosse dichiarata, ci mandino i generali a fare …..la guerra.

MELONI E L’ABILITA' DEI CENTRODESTRI

La Meloni ha ragione ad essere soddisfatta di se stessa e tessere le sue lodi da Mentana sulla 7. In fondo lei è davvero una underdog che si è fatta molto da sola ed è stata brava a sfruttare con “prontezza” tutte le opportunità che la vita politica le ha messo di fronte.

E' infatti la leader che ha scalato meglio il potere, ha applicato alla perfezione le indicazioni di Machiavelli e ora prova perfino a costruire un’egemonia culturale di destra, scimmiottando (sono convinto senza averne letto neppure una riga) i “suggerimenti” di Antonio Gramsci, a cui il suo ministro della cultura, Giuli, ha dedicato recentemente un librettino, a dire il vero di poco spessore culturale (e molto autocelebrativo).

Sull’egemonia della destra ovviamente, la Meloni non può che rivolgersi al mercato culturale contemporaneo, soprattutto a quello mediatico e social, e pescare un po' di tutto, incluso suggestioni internazionali (come dimostra il cartellone assai ricco di argomenti e di partecipanti di Atreju). 

Credo perfino che se fosse ancora vivo Pasolini (a cui per altro Atreju dedica un incontro sia pure a mezzadria con Mishima) qualcosa di buono e di naif nella Meloni e nel suo sovranismo de’ noantri ce avrebbe trovato. E chissà se una poesia alla premier donna italiana, miracolosamente emersa dalle sue tanto amate periferie romane, non gliel'avrebbe dedicata, magari proprio per provocare i suoi compagni di sinistra.

Ma il vero capolavoro della Meloni sta nella forza (della leonessa) e nell’astuzia (della volpe) con cui tiene in pugno la sua variegata maggioranza, facilitata però dalla differenza che corre tra centrodestri e centrosinistri.

Il centrodestra è infatti una coalizione con un accordo chiaro che assegna automaticamente il ruolo di premier al segretario del partito che prende più voti.

Il centrosinistra invece non è ancora una coalizione perché non possiede alcun accordo su come si debba individuare il leader che dovrà guidarla. Anzi nel CS c’è una guerra proprio sul leader e, PD a parte, nessuno per ora accetta che sia il partito che prende più voti ad esprimere il leader.

Ovviamente ci sono anche i contenuti programmatici e ideologici a compattare meglio il CD rispetto al CS.

Infatti il CD ha avuto fino ad ora l’abilità e la flessibilità di negoziare meglio le proprie differenze interne e di contenere le diversità, mentre il CS, ricco di componenti più rigide e convintamente assertive, fatica ad aprire trattative sul programma di compromesso e questo fatto, insieme alla faccenda del leader, lo penalizza.

Questa maggiore rigidità (ideologica? narcisistica? moralistica?) è un ragalone alla Meloni che si diverte perfino (come dimostrano gli inviti ad Atreju) ad aumentare la discordia nel CS. Obiettivo non difficile per altro da raggiungere, vista la naturale propensione dei centrosinistri a litigare tra loro su quasi tutto. 

I migliori si sa non hanno bisogno di imparare dagli altri, né di studiare seriamente né Machiavelli, né Gramsci.

giovedì 4 dicembre 2025

FORZA ELLY

Certo la Schlein ricorderà le terribili parole scagliate contro le correnti del PD, alle idi di marzo del ‘21, da Nicola Zingaretti (eletto appena due anni prima segretario). Secondo Zingaretti, che nonostante il fisico massiccio uscì provato dalla terribile esperienza di segretario (di fatto, si arrese), le correnti e i capicorrente facevano più i loro interessi che quelli del partito e dell’Italia. 

E oggi, a sentire la Schlein a Montepulciano, il PD sembra ancora, più o meno, in quelle condizioni. Perché, ha detto più volte lei, il PD è una comunità “larga, aperta e plurale". Un eufemismo per dire che ognuna delle sue componenti (correnti, capibastone, cordate, ecc.) ha non solo una propria visione del partito, ma ha anche una propria strategia di alleanze, una propria politica estera, una propria politica economica oltre a un modo diverso di selezionare la classe dirigente del partito (scegliendo i suoi amici). E fare sintesi, è proprio dura.

Del resto anche le ultime elezioni regionali hanno dimostrato che stilare le liste elettorali del partito è stato un bagno di sangue (Pontedera docet). Con duelli all’ultimo posto. Sindaci e segretari di sezione che si autosospendevano per difendere candidate escluse e federazioni commissariate. Poi la stessa formazione delle giunte regionali riconquistate dal PD ha originato scontri tra diverse correnti e personalità che hanno lasciato strascichi pesanti e di fatto hanno avviato un confronto pre-congressuale senza che nessuno abbia dato ufficialmente il via al congresso. E ogni giorno si annuncia uno scontro con relativa riappacificazione.

La Toscana è uno dei luoghi più caldi (ma non l’unico) che costringe la SCHLEIN a rincorrere gli eventi e i vari cacicchi.

Se a questa turbolenza interna si aggiunge che il principale alleato del PD, i 5 Stelle, appena ne ha l’occasione sgambetta la povera Elly; che Renzi si riavvicina e si riallontana dal PD secondo i suoi interessi, mentre sul piano europeo il PSE costringe la Schlein a scelte (come quelle sul RIARMO) molto impopolari tra i suoi (e nel paese), beh, ce ne sarebbe a sufficienza per una conclusione del suo mandato con una mossa alla Zingaretti (copiando pari pari perfino le sue dichiarazioni finali).

Perché alla segretaria che “nessuno ha visto arrivare” non può sfuggire il fatto che in effetti, non avendola vista arrivare, gli uomini e le donne delle correnti del suo partito continuino a comportarsi come se lei non fosse mai arrivata o fosse solo di passaggio. Si, vabbè, Elly c’è. Ma ai feudatari che controllano pezzi del partito che gliene importa?

Insomma nessuno si meraviglia che le correnti continuino a gestire le proprie fette di potere in una comunità politica straordinariamente plurale, tendenzialmente un po' anarchica e molto radicata in alcune aree del paese, secondo proprie logiche fiduciarie, perfino in contrapposizione alla segreteria (gli esempi della Campania, della Puglia ma anche del gruppo parlamentare europeo sono eloquentissimi).

Del resto il PD contiene il corredo genetico (oltre ad alcuni longevi dinosauri) dei principali partiti della prima repubblica, partiti in cui, per fortuna, chiunque ne fosse segretario, le correnti e le oligarchie nazionali e locali, che controllavano voti, amministratori e interessi sociali ed economici, la facevano da padrone e i segretari nazionali erano, quasi sempre, re travicelli. Un grande esempio di democrazia dal basso, fondata sulle preferenze, a quel tempo tempo resa coesa da ideologie forti. Ma oggi? 

Comunque la vediate, resta il fatto che la competizione politica è assai più teatrale e mossa. Una vivace, caotica, commedia dell’arte, di cui non a caso noi italiani (senza distinzioni tra destri e sinistri) vantiamo giustamente il copyright. Forza Elly, puoi farcela!

mercoledì 3 dicembre 2025

LE BUCHE DEL MIGLIO DELL’INNOVAZIONE

In Italia vestigia del passato e architetture moderne stanno insieme. Non solo a Roma. Anche a Pontedera le cose vanno così. 

Viale Rinaldo Piaggio ad esempio, sede di industrie fin dall’inizio del ‘900, dopo il ridimensionamento della grande impresa è stato ribattezzato il miglio dell’innovazione. Nei vecchi capannoni in parte ristrutturati o rifatti ex novo, tutti allineati nel viale, si sono infatti insediati l’Istituto di biorobotica dell’Università Sant’Anna di Pisa, Artes 4, Modartech, il museo Piaggio, Pontech, qualche decina di startup, la moderna Biblioteca Gronchi, il Centro Sete Sois Sete Luas, ma i marciapiedi dove il miglio inizia e poi si sviluppa, fino al sottopasso ferroviario, sono a tratti bucherellati e sconnessi.

Giorni fa l’assessore Belli ha ripromesso in una seduta consiliare che su questo miglio dell’innovazione ne vedremo presto delle belle.

Se una cosa analoga non l’avesse già promessa e profetizzata proprio lui nel luglio del 2020 (oltre 5 anni fa) ci sarebbe quasi da credergli senza passare per creduloni.

E comunque per ora chi per qualche ragione (turismo, cultura, ricerca, lavoro o affari) svolti da via Roma verso il viale Piaggio e si avvii in questo miglio dell’innovazione deve stare attento a dove e a come mette i piedi perché si trova di fronte, a destra come a sinistra, marciapiedi piuttosto bucherellati e sconnessi come dimostrano le foto allegate. Non proprio un elegante biglietto da visita per il miglio dell’innovazione pontederese, visti i rischi di incespicare e cadere per i pedoni distratti o anziani come lo scrivente.

martedì 2 dicembre 2025

HABERMAS E LA CONFUSA COSCIENZA EUROPEA (E ITALIANA)

Il 23 novembre è uscito su “La Repubblica” un lungo stralcio di una recente conferenza dell’anziano filosofo tedesco Jurgen HABERMAS (96 anni) centrata sull’evoluzione degli Usa e sul ruolo dell’UE.

Il testo conferma 2 pensieri noti di Habermas. Ovvero che gli Usa stanno declinando e trasformandosi in uno stato autoritario. Il secondo, che l’Europa non ce la fa ad uscire dalle sue debolezze e ad essere un esempio positivo per il resto del mondo, come società del diritto e dei diritti, rendendosi autonoma dal protettorato americano, in cui è vissuta (e prosperata) per 80 anni.

Ora, queste annotazioni di Habermas sono condivisibili (almeno per persone orientate a sinistra). Ma sull’Europa mi sarei aspettato qualcosa di più.

Molti analisti stanno infatti chiedendo all’Europa di trasformarsi in una potenza armata per autogarantirsi meglio come società del diritto e dei diritti e per diventare a sua volta (al posto degli Usa, della Cina e della Russia) garante del diritto e dei diritti anche per altri stati “deboli” nel mondo.

E l’Unione Europea, sia pure tra mille incertezze e divisioni, sembra intenzionata ad andare proprio in quest'ultima direzione col piano di RIARMO o di PRONTEZZA.

Gli stessi socialisti europei, a cui Habermas è sempre stato vicino e a cui aderisce anche il PD, sostengono questa strategia.

Perciò chi parla d’Europa dovrebbe dire quale futuro vuole per il vecchio continente.

Io per esempio sono contrarissimo ad una Europa armata fino ai denti e quindi aborro il piano di RIARMO.

Sono contrario ad una Europa vassalla della e nella Nato.

E desidererei tanto un'Europa NEUTRALE. 

Tutta neutrale. Come la Svizzera e l’Irlanda. Ma mi accontenterei anche di un'Europa disarmata e non allineata. Non allineata agli Usa. Non allineata alla Russia. Non allineata alla Cina.

Aggiungo che trovo l'obiettivo del NEUTRALISMO una strategia politica molto più forte e chiara di quella del PACIFISMO. Perché il pacifismo è un atteggiamento morale, che alla fine deve tradursi in atti concreti. Così ci si può dichiarare, come avviene quasi sempre, pacifisti anche riarmandosi. E non va bene.

Naturalmente mi piacerebbe un’Europa che cerca e trova un accordo civile con le tre grandi potenze del mondo (Usa, Russia e Cina).

Ma si può essere neutrali senza riarmarsi fino ai denti e raggiungere accordi ragionevoli con le grandi potenze?

Il realismo politico direbbe di no.

Ma il realismo si basa sul fatto che l’antropologia umana sia sostanzialmente immutabile e che la cultura non possa migliorare la naturale bellicosità degli uomini e delle loro costruzioni sociali (gli stati).

La storia del diritto dimostra che l’animalità dell’uomo può essere addomesticata e che si possono trovare rimedi ragionevoli agli istinti predatori fortemente radicati nell’animo umano.

L’Europa, continente di vecchi saggi, continente “debole” e denatalizzando, dovrebbe accettare il suo status e scommettere sull’evoluzione NEUTRALISTA, costituendosi sempre di più come un faro giuridico e come esempio (ma non come garante militare) per tutti coloro che non vogliono diventare vassalli delle grandi potenze e non vogliono neppure partecipare alla corsa al RIARMO.

Il tutto senza pensare di costruire alcuna alleanza mondiale che non sia esclusivamente morale e culturale tra i neutralisti e i non allineati.

Discorso utopico? Forse.

Discorso con implicazioni anche economiche? Certo.

Ma mi sembra l’unico ragionamento concretamente alternativo al RIARMO, che purtroppo prende sempre più vigore in Europa e non solo nelle forze di centro destra.

Il pacifismo è un atteggiamento morale, ma non è una strategia politica per gli Stati.

Se l’Italia non voleva infilarsi nella carneficina della prima guerra mondiale doveva rimanere NEUTRALE, posizione che invece non tenne con tutti i disastri che ne conseguirono.

sabato 29 novembre 2025

DONALD SECONDO MASSINI

Lette le anticipazioni del testo di Massini apparse su la Repubblica, letta la versione a stampa della ballata di Donald uscita per i tipi di Einaudi, il monologo non mi è arrivato addosso inaspettato. Avevo sperato in meglio, ma non mi sono stupito che lo spettacolo non riuscisse mai a decollare e alla fine terminasse con l’appello alle formichine che ho trovato uggiosamente scontato.

Un attore solo al comando ha infatti raccontato la storia di Trump (colto nella fase prima di entrare nel mondo delle TV e prima di scalare non una ma ben due volte la Casa Bianca) limitandosi a confermare più che la “banalità” verrebbe da dire la “stupidità” del male, tipico di una società e di una umanità fortemente orientata agli affari.

Ma ripetuto più volte il refrain del golden boy e pur cercando di introdurre battute e situazioni alla Brecht, alla Dario Fo e alla Marchese del Grillo, il monologo di Stefano Massini non cattura mai e in un’ora e mezza non strappa che pochi applausi e qualche sorrisetto ad un sala amica per fortuna gremita fino all’inverosimile.

Neppure le trovate sceniche (come la costruzione del flipper e della Trump Tower) e la musica dal vivo che accompagnano il monologo aiutano gli spettatori a stare svegli e a seguire la storia che narra di un narcisista fraudolento patologico che è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti a colpi di furbate e truffe. Perché il succo è questo. Ed è un po' poco.

E la sensazione è che neppure un pubblico  ideologicamente antitrumpiano, come quello pontederese, abbia apprezzato più di tanto lo spettacolo e il personaggio che forse andava scavato di più e costruito meglio, aggredendo il nocciolo vero che è l'ascesa al potere mondiale. Perché Trump questo ha fatto: ha scalato la prima grande potenza del mondo. Ha messo le mani sulla valigetta atomica.

Ovviamente Massini è un grande attore e per oltre un’ora e mezzo si è mosso come un gatto mammone sulla scena tenendo la sua preda tra i denti. E con Trump ha davvero giocato come il gatto con il topo. Regalando certo qualche battuta allusiva, ma emozionando poco e alla fine senza davvero fare capire al pubblico come ha fatto questo biondo megalomane a conquistare l’anima e il voto di circa 80 milioni di elettori americani per ben due volte. E da dove gli venga l’impulso a trasformare una democrazia imperfetta come quella statunitense in una monarchia imperialista.

Uno spettacolo che delude culturalmente e politicamente. Una rappresentazione che gigioneggia ma non graffia, né morde. Un teatro senza forza su un tema (quello della natura degli uomini di potere) troppo trattato in letteratura per potersi permettere di dire così poco come accade in questo Donald.

Eppure se il racconto è insufficiente, la prova di attore di Massini è invece superlativa. Il mattatore del palcoscenico c’è. E si è visto benissimo. Ma la bravura attoriale (e il narcisismo che l’accompagna) non colma la fragilità di uno spettacolo per lo più monocromatico che non riesce mai ad afferrare il cuore del suo personaggio e a metterlo nelle mani degli spettatori, come l’autore-e-regista, oltre che attore unico, ambirebbe a fare.

Forse quello prodotto dal Teatro della Toscana, in collaborazione col Piccolo di Milano, è uno spettacolo troppo ambizioso che non raggiunge la vetta e che alla fine diventa un po' noioso, ripetitivo e strappa, almeno allo scrivente, irrefrenabili sbadigli. 

Oddio, magari tradotto in inglese e allestito a New York o a Londra lo spettacolo potrebbe produrre una sensazione diversa. E forse Massini, autore giustamente internazionale, è proprio a quel pubblico che ha pensato nel costruire questa performance.

Tornando però a Pontedera, si, certo, alla fine (ma solo alla fine) in sala gli applausi non sono mancati. Ma erano applausi antitrumpiani e forse antimeloniani o di apprezzamento per lo spettacolo teatrale? O erano un tributo all’intensa e faticosa prova di attore del cinquantenne Massini?

Difficile rispondere con sicurezza.

Certo Massini non aggiunge davvero nulla al bombardamento di trumpate a cui noi formichine siamo quotidianamente sottoposte in questo paese vassallo dell’imperatore. Né ci fornisce alcun antidoto alla barbarie mondiale che avanza. Ma di questo non gli si può fare certo una colpa.

Ma un'ultima cosa vorrei infine che fosse chiara: ce ne fossero di autori, attori e registi come Massini. E la Pergola e Pontedera sono fortunati ad averlo anche come direttore artistico e uomo immagine del Teatro della Toscana. 


venerdì 28 novembre 2025

ATELIER DELLA ROBOTICA. IL COMUNE SI PREPARA AL CONTENZIOSO

Come previsto, non solo il progetto dell’Atelier della Robotica non va avanti, ma siamo arrivati alle soglie di un contenzioso che probabilmente lo investirà. Con danni, spese legali e altro tempo perso.

Lo annuncia la determina n. 1169 del 19.11.2025 del comune di Pontedera che formalizza ad un noto studio di avvocati fiorentini l’“incarico di assistenza stragiudiziale” per sostenere una probabile causa a fronte del procedimento “di recesso/risoluzione del contratto relativo all’Atelier della Robotica” attuato dal comune di Pontedera nei confronti della ditta che aveva iniziato i lavori sui capannoni dove sarebbe dovuto sorgere l’ATELIER e dove, invece, tra qualche anno, forse, apparirà un bel parcheggio. Forse.

Per farsi assistere negli atti amministrativi il comune impegna intanto circa 4.500 €  per dare l’incarico agli avvocati di studiare le carte del “recesso” per fare uscire il comune fuori da questo gran garbuglio.

Piccola somma, si dirà. Vero. Ma se la causa diventerà più complicata, la determinata prevede che la parcella degli avvocati potrà crescere.

E comunque questo è il minimo, perché la medesima determina informa che la controversia sul contratto che il comune va a rescindere potrebbe comportare, visto l’importo dell’appalto, una cifra tra i 260.000 e i 520.000 euri. Una bella batosta, se la causa verrà intentata e se verrà persa dal Comune.

Ma c’è la possibilità di perderla la causa?

Beh, nella determina si dice che la rescissione è stata voluta dal Comune perché il progetto originario messo in appalto e parzialmente avviato non andava più bene (al comune) e il Comune, in accordo con la Regione e coi futuri soggetti gestori dell'Atelier, costruirà l’Atelier in un altro posto, nello spazio già pensato per il parcheggio multipiano (su cui, per altro, insiste già un contenzioso e su cui si sono già spesi soldi per avvocati). 

Riassumendo. C’è qualche concreta possibilità che il contenzioso e la causa sull’appalto collegato con l’Atelier vengano attivati e persi. E che questo si sommi al contenzioso del parcheggio multipiano.

Ovviamente speriamo che il Comune se la cavi e che le spese siano minime, ma fa tanta tenerezza rileggere oggi l’articolo del luglio 2020 di QUINEWSVALDERA (che allego) in cui l’assessore Mattia Belli, portavoce della Giunta guidata dal sindaco Matteo Franconi, annunciava, 5 anni fa, le magnifiche sorti e progressive del Viale Rinaldo Piaggio, magnifiche sorti che nel giro di pochi anni non solo sono quasi TUTTE svanite, ma si sono aggravate con la chiusura dei parcheggi attorno alla biblioteca Gronchi e con la chiusura da 3 anni e mezzo di via Maestri del lavoro: una chiusura quest’ultima che crea discrete difficoltà di collegamento tra stazione ferroviaria e parcheggio ospedaliero e che il comune risolverà, tramite la SIAT, con un intervento costosissimo e sul cui avvio (più volte annunciato e più volte rinviato) non ci sono, per ora, certezze. 

Certo in consiglio comunale l’assessore Belli continua a dire, come fa Giorgia Meloni coi centri in Albania, che i lavori sul viale Piaggio ci saranno. Ce lo auguriamo, ovviamente.

Intanto però i suoi dirigenti si preparano ai contenziosi sugli appalti andati male, mentre il consiglio comunale stanzia 25.000 € per "ridefinire" il progetto Atelier.

Eh sì, come ha detto l’assessore Belli ieri almeno una decina di volte in consiglio, la situazione è davvero molto complessa.


mercoledì 26 novembre 2025

BANKSY E LA STAMPA PONTADERESE

Mi ripeto? Si, mi ripeto. Il fatto è che sono passate ormai quasi 3 settimane dalla chiusura della mostra Banksy a Pontedera senza che vengano rilasciati i dati sui visitatori paganti e questo silenzio tombale imposto dal Palazzo inquieta.

E' una piccola cosa? Piccolissima. Ma è un segnale, una spia, del pessimo stato di salute della democrazia locale.

E colpisce che anche sulla stampa locale domini un silenzio assordante. Se non mi sono perso qualche articolo o servizio né la cronaca locale de IL TIRRENO, né quella de LA NAZIONE, né QUINEWSVALDERA, né  la TV web RETE VALDERA hanno scritto un breve articolo o prodotto un servizio di chiusura su un evento culturale presentato come rilevante per la città e inaugurato con la presenza anche dell’assessora regionale Alessandra Nardini. 

Mi chiedo: che senso ha anche il loro silenzio?

Nessuno dei summenzionati organi di stampa ha sottolineato la mancanza di informazioni sulla mostra di Banksy. Immagino che qualche giornalista locale possa essersi spinto a chiederne conto all’assessore alla cultura. Ma, se ha ricevuto un diniego, oltre non è andato.

Ed in effetti in relazione alle questioni di cui trattano quotidianamente le testate giornalistiche sopra indicate, far sapere ai lettori se una mostra (durata 4 mesi) al PALP ha attirato 2,3 o 4000 persone è un’informazione di poco conto. O qualcosa i numeri dicono? 

Certo viene il sospetto che l’assordante silenzio giornalistico sia dovuto anche al fatto che nel momento in cui i numeri certificassero il flop dell’evento questo potrebbe suonare (sia pure senza alcuna volontà da parte degli organi di stampa) come una velata critica alle politiche culturali e alle capacità organizzative dell’amministrazione.

Fatto sta che, assecondando involontariamente l’amministrazione comunale nel suo proposito di fare cadere in un oblio tombale la mostra (lo stesso oblio in cui Palazzo Stefanelli aveva sepolto anche il flop della mostra precedente dedicata a Dal Canto), la stampa locale all’unisono tace e asseconda l’atteggiamento di chi governa.

lunedì 24 novembre 2025

IL REALISMO POLITICO DI JOHN MEARSHEIMER SULL’UCRAINA

Una settimana prima che Trump annunciasse la propria e forse putiniana proposta di pace da imporre a Zelensky e alla UE, si è verificato nel Parlamento europeo un evento “curioso”. 

Il gruppo dei PATRIOTI (che include la Lega, Vox e RN di Le Pen) ha invitato per una conferenza il prof. John J. MEARSHEIMER, docente all’Università di Chicago, un politologo americano tra i massimi esperti di relazioni internazionali. Uno dei più accreditati rappresentanti della scuola del “realismo politico”, ma non proprio di simpatizzante di destra.

Il tema da trattare: che fare con la guerra in Ucraina.

La tesi di Mearsheimer sull’argomento sono note da tempo e altrettanto note sono le sue ricette. Secondo il professore dell’Illinois la guerra in Ucraina è stata una reazione all'avvicinarsi della NATO (e della UE) alle porte di Mosca e Putin aveva mandato molti segnali a Usa ed EU che non avrebbe accettato l'occidentalizzazione di Kiev. Una tesi a cui aveva alluso anche Papa Francesco, quando aveva parlato dei cani (della NATO) che abbaiavano alle porte della Russia.

Quanto al come uscire da questa situazione drammatica, soprattutto rispondendo alle domande, J. Mearsheimer ha sostenuto che Zelensky dovrebbe sostanzialmente accettare di negoziare sulle attuali richieste di Putin. Una soluzione che lo stesso papa Francesco, parlando del coraggio di negoziare (e di accettare la sconfitta), aveva evocato già nel marzo del 2024. 

Certo, negoziare da posizioni di estrema debolezza sarebbe una grande sconfitta per Zelensky, ma questo, secondo Mearscheimer, potrebbe permettergli di salvare uno stato, quello Ucraino, che (sempre secondo M. e papa Francesco) non aveva e non sembra avere la possibilità di vincere la guerra contro i russi. I russi poi secondo Mearscheimer non vorrebbero occupare tutta l’Ucraina, ma sarebbero disposti a danneggiarla gravemente pur di neutralizzarla. E, ha aggiunto Mearsheimer, la prosecuzione della guerra peggiorerà la situazione dell’Ucraina e renderà il paese sempre più "disfunzionale". Ovviamente anche una soluzione pacifica del conflitto avrà costi enormi per l’Europa e ripercussioni gravi sulle sue relazioni con gli Usa. Ma, sostiene M., trattare anche da posizione svantaggiata è sempre meglio che continuare il conflitto.

Alla base dell’analisi di M. c'è una critica radicale alla strategia degli Usa (e degli alleati europei) di esportare la liberaldemocrazia nel mondo. Una tesi che, secondo lui, si è dimostrata catastrofica.

Le linee generali della teoria di Mearsheimer sono esposti analiticamente in due sue opere di notevole spessore: 1 La tragedia delle grandi potenze (Luiss, 2019); 2. La grande illusione (Luiss, 2019). 

La lunga conferenza di M. al Parlamento europeo contiene una miriade di spunti di riflessione (anche sul ruolo dell’Europa) e si può vedere e ascoltare (con il dibattito) su YouTube al seguente indirizzo:

https://youtu.be/wnnOQefj0Uc?si=Zx_4uBIT-3fnDOfZ


sabato 22 novembre 2025

CHI HA PAURA DEI NUMERI DI BANKSY BANSKY?

A 2 settimane dalla chiusura della mostra di Banksy & Friends al PALP, nessun comunicato è stato emesso né dalla Fondazione Cultura, né dal Comune di Pontedera per presentare un bilancio quantitativo e qualitativo dell’evento. 

Niente numeri. Niente riflessioni. Niente valutazioni. Niente di niente. Come se una mostra durata 4 mesi e molto pompata, almeno sui social, con tanto di conto alla rovescia negli ultimi giorni di apertura, non fosse mai accaduta. Dimenticata. Divorata nel presentismo che domina.

Lo so bene: i numeri non sono tutto. Ma se in politica tutto si può dire tranne i numeri, non ci sarà mai modo di aggrapparsi a qualche certezza per esprimere valutazioni un po' più serie.

I numeri e, come sostenevano già nel Medioevo, le ragioni vanno insieme. Una politica moderna, anche locale, dovrebbe partire da lì.

Ma allora perché la Fondazione Cultura (braccio operativo dell’amministrazione) e il Comune si comportano così? 

Di cosa hanno paura nel rivelare i numeri sicuramente rilevati?

Cosa spinge Fondazione e Comune a oscurare quanti paganti abbia registrato Banksy a Pontedera?

Sfuggire a queste domande, sembra un atteggiamento un po' alla Meloni. Anche la premier dichiara infatti di apprezzare le critiche, ma poi si rifiuta di rispondere a chi le fa le domande scomode.

Che al fondo ci sia la paura di farsi valutare? 

E se è così, quale è la ragione di questa paura?

Il presidente della Fondazione cultura è appena stato promosso anche presidente di ECOFOR service, mentre il sindaco e il suo assessore alla cultura sono stati rieletti un anno fa nel ruolo. Nessun dato, anche il più catastrofico, sulla mostra Banksy può far traballare le loro poltrone, nè quelle delle new entry nel CDA della fondazione. Nessuno "scossone" li minaccia. 

Eppure tacciono, anche di fronte ai giornalisti locali che immagino abbiano chiesto loro questi dati.

Ma chi gestisce istituzioni pubbliche come fa a non sentire quanto sarebbe opportuno invece rispondere alle domande dei cittadini? 

Anche dei più rompiscatole, come lo scrivente vecchietto da tastiera. 

Ci si è forse già dimenticati di quando lo si incoraggiava a insistere?

giovedì 20 novembre 2025

VIALE PIAGGIO. IL PROGETTO MEZZO FRANATO

Ma se hanno paura di dare i numeri catastrofici della mostra di Bansky & Amici, se non riescono a far partire i lavori sui parcheggi della biblioteca (che dopo 50 anni, nel 2025, farà meno prestiti librari di Pisa SMS), se non riescono a risolvere lo scandalo dei troppi edifici pubblici inutilizzati (vedi scuola Curtatone), se si fanno "bocciare" dalla stessa amica Regione il nuovo piano regolatore, potevano mai riuscire a gestire bene un progetto complicato come quello del viale Piaggio, propagandato per due mandati elettorali dagli “oligarchetti” del centro-sinistra pontederese, col consenso politico di un partito che esiste solo per rastrellare consensi, gestire il micropotere locale e favorire folgoranti carriere?

Direi proprio di NO.

E non è finita qui. Perché la caduta del castello progettuale avrà probabilmente un costo salato (via Tari e altro) per il grosso della comunità e delle frazioni, la cui sfortuna è di guardare a tutto questo con occhi imbambolati, o distratti e scettici, continuando, almeno in parte, a pensare che gli artefici dello sfarinamento urbanistico siano pur sempre i “migliori”. Già, i migliori.

Certo sarebbe interessante sapere che fine abbiano fatto tutte le chiacchiere profuse nei famosi dialoghi urbani e che bilancio ne traggano gli attavolati di allora. 

E chissà se questi dialoghi prevedevano anche il ridondante ed emblematico cantiere frontecimiteriale oppure no.

Ma non credo che anche da questo versante arriveranno risposte. Perché gli agglutinati attorno al famiglio politico dominante sanno che possono solo battere le mani o mugugnare in privato. 

Criticare, chiedere spiegazioni e “numeri” è severamente vietato per chi voglia continuare a fare parte non solo del cerchio magico degli amici (ed ambire quindi a incarichi e prebende), ma anche per chi desideri almeno mantenersi nel secondo cerchio (quello di chi può chiedere favori) e non essere scaraventato tra gli ignorati o, peggio ancora, tra  i reietti.

Quello che continua invece a meravigliarmi (ma, data l’età, non più di tanto) è il silenzio degli architetti giovani e un po' fuori dai cerchi. Da queste figure di dannati, nel secolo scorso, un po' di idee critiche e alternative erano venute fuori. Magari perché incoraggiati da un’associazione come Legambiente Valdera, oggi confinata in una fase che oscilla tra mindfulness e fitness, che farà di sicuro bene agli attempati soci e socie, ma che sembra avere poco impatto sull’ambiente circostante.

Poi ci sono le opposizioni, che dovrebbero scavare con metodo, con civismo e continuità in queste macerie urbane per dimostrare che hanno uomini, donne e idee progettuali valide per rimediare; opposizioni che dovrebbero dialogare coi cittadini, se vogliono seriamente accreditarsi per rilanciare la città e non limitarsi a sporadiche lagnanze. 

Operazione assai difficile quella di accreditatsi, perché quelli che hanno in mano oggi il potere locale (gli oligarchetti) sono un pugno di uomini e donne sveglio, di discreta abilità e astuzia politica e saldamente ancorati agli interessi che contano.

mercoledì 19 novembre 2025

I NUMERI DELLA MOSTRA BANKSY SONO UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA

Si, lo so, conoscere i numeri della mostra Bansky e della mostra di Babb non risolverà i problemi sociali e urbanistici di Pontedera e neppure quelli culturali. Me lo hanno ripetuto gli amici che mi invitano a non insistere.

Io però penso che la mancata comunicazione dei visitatori sia un segnale dello stato di salute della democrazia locale. Modesto. Come dimostra anche la comica vicenda familistica delle autosospensioni poi rientrate in casa del partito pigliatutto.

Non dare i numeri è un segnale di arroccamento che una maggioranza di centro sinistra non dovrebbe permettersi.

I cittadini hanno il diritto di valutare se la mostra ha raggiunto il pubblico, ha reso la città più attrattiva, ha centrato o meno gli obiettivi che l'amministrazione comunale si è data. È stata costruita una apposita Fondazione per gestire il PALP. Come si valuta il suo operato senza dati?

L’ostinazione nel non presentare pubblicamente un bilancio dell’iniziativa lascia supporre che la mostra Bansky sia andata malino (se fosse andata bene i numeri sarebbero già stati gridati su tutti i social possibili). 

E comunque sottrarsi ai numeri vuol dire che i nostri amministratori di centro sinistra si comportano come la Meloni. Antifascismo a parte, come lei non gradiscono le domande e le verifiche sul loro operato.

E su quali basi allora il cittadino potrebbe farsi un’idea della bravura degli amministratori e degli amici che mettono a gestire le società partecipate o interamente controllate? Solo quelle ideologico familiari?

Un mio amico sostiene che i nostri amministratori sono i migliori sulla piazza e che ad attaccarli si fa il gioco degli altri che, sempre secondo lui, sono peggio. Molto peggio. 

Io non lo so se gli altri sono peggio, ma mi piacerebbe che i migliori dimostrassero di essere davvero i migliori e intanto tirassero fuori i numeri sulle mostre e rispondessero alle domande.

sabato 15 novembre 2025

MA SINDACI E PD DELLA VALDERA ANDRANNO PENTITI A CANOSSA?

Dopo un lungo tira e molla la candidata pisana prorogata dal PD alle ultime elezioni regionali è stata rieletta. Con una valanga di preferenze. E poi rinominata assessora da Giani (col sostegno, si dice, della Schlein e il dispetto, si dice, di alcuni ex sindaci PD di importanti comuni toscani, diventati sì consiglieri regionali, ma senza assessorato). Complimenti e auguri.

A questo punto però il PD pontederese e diversi sindaci della Valdera, che avevano dichiarato, a settembre, che con la candidata originaria di Capannoli la Valdera e Pontedera non sarebbero stati abbastanza rappresentati in regione, ora hanno un problema.

Per superarlo dovranno almeno dichiararsi pentiti. Forse chiederle scusa. O  provare a buttarla in fallo, magari sostenendo che avevano solo scherzato.

Altrimenti con che faccia nei prossimi mesi si presenteranno davanti a lei in regione a chiederle risorse per i vari progetti della Valdera? 

E soprattutto con che faccia torneranno ad abbracciarsi, sorridersi e baciarsi alle varie inaugurazioni o negli incontri pubblici?

E lei, la rinominata assessora regionale, con quali pensieri e sentimenti li accoglierà, sapendo che poche settimane prima quei sindaci e il PD pontederese hanno provato a farle lo sgambetto?

Potrà mai perdonarli? In fondo sono tutti uomini e donne del suo stesso partito. Amici e compagni.

Ma potrà dimenticare che alcuni di loro si erano perfino autosospesi dal PD per sostenere una candidatura che avrebbe potuto fare saltare la sua carriera politica? 

Potrà dimenticare che il PD pontederese per questa ragione aveva bloccato le feste cittadine dell’Unità? 

Potrà scordare che addirittura l’intera giunta comunale pontederese si era autosospesa dal PD per protesta, mentre il PD pontederese polemizzava pubblicamente con lei per il suo “silenzio” sulla candidata esclusa dalle liste elettorali?

Già, l’autosospensione: com’è finita poi?

A tarallucci e vino?

mercoledì 12 novembre 2025

TUTTI I NUMERI DI BANKSY & AMICI

Nella mostra tenuta un anno fa nella vicina Volterra e dedicata a Banksy si raggiunsero oltre 60.000 visitatori. Tutti rigorosamente paganti.

E in quella di Banksy & Friends al PALP di Pontedera quanti sono stati i paganti? 

La Fondazione Cultura, strumento operativo del comune di Pontedera, si rifiutò lo scorso anno, in accordo con l’amministrazione comunale, di rivelare quanti visitatori aveva avuto l’esposizione dedicata a Giorgio Dal Canto e di certificare, dati alla mano, il flop di quella mostra (almeno dal punto di vista del gradimento del pubblico: ammesso che per un comune di centro sinistra questo gradimento conti ancora qualcosa). Flop che valeva anche per la sbandierata attrattività turistico-commerciale dell’evento, che anche sotto questo profilo risultò in-si-gni-fi-can-te. 

E oggi, con Banksy & Amici com'è andata? Beh, il sentore è che, nonostante il rinnovo dell’assetto direttivo della Fondazione, si continuino a organizzare eventi che non funzionano come attrattori né culturali né economici. Da qui la difficoltà a rendere pubblici i dati.

Sì, perché l'unico modo per capire se la mostra pontederese può legare o meno le scarpe a quella banksyana di Volterra è ragionare sul numero dei biglietti staccati. Qui non si parla di qualità dell’evento, ovviamente, ma di attrattività.

Quest’anno per altro si è avuto il coraggio al PALP di mettere un biglietto significativo di ingresso. E si è fatto bene. Ora però si dovrebbe avere anche il coraggio civico, che per una istituzione pubblica dovrebbe essere un obbligo morale, di fornire i numeri dei visitatori paganti complessivi.

E aggiungo che sarebbe una buona cosa se la Fondazione fornisse perfino il bilancio economico e sociale globale dell’evento. Costi e ricavi.

Ma la Fondazione Cultura e il Comune sentiranno questo obbligo? O troveranno questa richiesta melonianamente fastidiosa?

Nei prossimi giorni si saprà.

Certo, se Fondazione e Comune tacessero sarebbe il segno di un quarto flop clamoroso consecutivo delle mostre del Palp, perché sarebbe impossibile non collegare il silenzio con un numero di presenze davvero in-si-gni-fi-can-ti e con effetti non percepibili dalla città.

lunedì 10 novembre 2025

UN DIBATTITO CIVILE IN CONSIGLIO SULLE FOIBE


Ho ascoltato in streaming il lungo dibattito avviato da Nicolò Stella, di Fratelli d’Italia, sul tema delle FOIBE in consiglio comunale a Pontedera alcune giorni fa. 
Tutto è partito con una mozione apparentemente innocua volta a installare e dipingere una panchina coi tre colori nazionali, in memoria degli assassinati italiani nelle foibe giuliano-dalmate. Ma ovviamente l’esito del dibattito (largamente prevedibile su un tema divisivo da decenni come questo) è stato di riconfermare le identità politiche dei consiglieri del centrodestra e del centrosinistra, riattizzando polemiche che, al di là della migliori intenzioni, continuano a covare sotto la cenere.
Si, è vero, Stella ha richiamato anche l’idea di una riappacificazione politica nazionale e altri, sempre da destra, hanno aggiunto che Togliatti fu più sensibile alla riappacificazione rispetto ai consiglieri del PD pontederese di oggi, ma obiettivamente la mozione presentata e il tono degli interventi di destra e di sinistra non potevano che portare a ribadire ciascuno le proprie posizioni ideologiche.
Allora questi dibattiti sono inutili? Niente affatto. 
Ma servono solo a rafforzare le identità di gruppo. O a trovare compromessi transitori tra avversari. Perché nessuno si può aspettare che un dibattito consiliare su temi così controversi e divisivi faccia davvero riavvicinare uomini e donne che usano questi stessi argomenti, fuori dal consiglio, proprio per agitare e mobilitare i propri elettori.
Tuttavia va detto che, a parte qualche lieve intemperanza verbale (ma davvero lieve), i numerosi intervenuti non hanno mai tracimato. E questo fa onore ai nostri rappresentanti. Ne è uscita insomma una discussione civile pur tra posizioni nettamente contrapposte. Il massimo che si potesse ottenere tra persone “fedeli alla maglia" e psicologicamente oltre che politicamente consolidate nel loro modo di interpretare la storia e la politica nazionale e locale.
Del resto se al conflitto politico (anche locale) si togliesse la possibilità di semplificare e di darsi del fascista o dell’antifascista, del conservatore o del progressista, si finirebbe in una melassa incomprensibile.
Ma per fortuna un simile rischio per ora non c'è. 
E forse non nasceranno mai italiani che guarderanno al passato senza sentirsi un po' guelfi o un po' ghibellini. Specialmente in Toscana.

giovedì 6 novembre 2025

TEATRO ERA: I LOVE JERRY O QUASI

Quando circa tre anni fa cominciai a chiedere pubblicamente che il Teatro Era si aprisse di più alla città e alla domanda e all’offerta di cultura espressa dal territorio, non immaginavo che sarebbe successo tutto questo e in così poco tempo. Anche perché autorevoli esponenti del potere cittadino mi spiegarono allora (e anche dopo) che no, il teatro Era, per il suo carattere nazionale, per la sua struttura speciale, per i suoi costi di base non poteva accogliere il variegato mondo culturale cittadino. Viveva di luce propria.

Si, questa tesi me la spiegarono in diversi, perché io insistevo a dire che nel nostro teatro si poteva fare molto di più, incluso spettacoli musicali, opere liriche, formazione e davvero tanto altro.

Poi sono cambiati gli assetti del Teatro della Toscana. E' arrivato Massini. Uscito di scena il vecchio direttore responsabile. E' giunta in città anche la Fondazione Fabbrica Europa. E il declassamento (almeno temporaneo) del Teatro. Lo scontro col Ministero alla Cultura.

Così non mi sono meravigliato quando in questi mesi ho saputo che al Teatro Era si sarebbe organizzata una festa notturna per Halloween, e ancora la festa induista della luce, e  poi spettacoli alla Dj show, e finalmente allestita una serata per l’ultimo dell’anno. Un capodanno a teatro, come da tempo fanno a Bientina, a Casciana Terme e a San Miniato no, ma perché i sanminiatesi il loro teatro ottocentesco non sono mai riusciti a ricostruirlo nel dopoguerra, mentre i pontederesi hanno ricostruito una cittadella del teatro e utilizzarla poco è un’assurdità.

Certo, visto lo status pontederese di teatro "nazionale", mi sarei aspettato uno spettacolo classico di alto profilo culturale. Oppure, in sintonia con la tradizione di ricerca teatrale di Pontedera, che sta tra Barba, Grotowski, Bacci e Santeramo, una serata ai confini della provocazione scenica, ma sempre di alto livello.

Poi ho appreso che il Teatro Era finirà l’anno con uno show di Jerry Calà, che di sicuro il nostro scomparso cinema Massimo e forse il cinema-teatro Roma (ora trasformato in sede di attività e formazione musicali) non avrebbero disdegnato. Allora ho pensato ad un segnale di pace da inviare al Ministro Giuli. Invece niente di tutto ciò.

Ho scoperto infatti che la serata non la organizza il Teatro della Toscana. Bensì un soggetto terzo: l'associazione Fabbrica Europa. Ovviamente in accordo e ipotizzo su richiesta del Comune di Pontedera, che, non predisponendo quest’anno alcun concerto in piazza (ha finito i soldi?), una festicciola per l’ultimo dell’anno sente l’obbligo morale di donarla alla città, ma questa volta a spese dirette dei cittadini. Il biglietto individuale infatti è previsto in 60 euro, ma siccome per acquistarlo si deve passare da un sito online, tra commissioni e altri diritti incomprensibili mi pare che il costo della serata salga a oltre 70 euro a persona, che per vedere Jerry e fare un piccolo brindisi (la cena non è prevista) mi sembra un tantinello eccessivo.

Ora però quello che un vecchietto rompiscatole come me si chiede è perché il Comune e Fabbrica Europa non abbiano coinvolto un’associazione culturale cittadina, magari a carattere musicale, per organizzare il veglione. Già, perché?

Comunque è già così innovativo che il Teatro Era, sia pure attraverso il Comune e un’associazione esterna, metta a disposizione la struttura e organizzi una serata di fine anno, che, dai, va bene anche Jerry. Non facciamo troppo gli schizzinosi.

Il problema invece è nato con alcuni miei amici. Altri terribili spocchiosi vecchietti che quando ho detto loro che pur di andare a teatro avrei accettato anche Jerry, sborsando i 70 euro richiesti (non mi pare siano previsti sconti Coop o per over 65) e sostenendo che comunque era un evento straordinario questa apertura teatrale, mi hanno guardato storto e mi hanno preso in giro, chi sostenendo che mi stavo proprio rammollendo, chi alludendo al mio evidente declino mentale.

Beh, non lo so se abbiano ragione loro. Ma considero il veglione a teatro una piccola conquista cittadina. Un semino che spero dia frutti in futuro. E anche se avrei preferito qualcosa di gestito dalle associazioni culturali del territorio (perché non investire sui nostri giovani?), apprezzo il cambiamento nelle scelte dell’amministrazione.

Quindi, Hurrà per Jerzy!

martedì 4 novembre 2025

TÈ IN BIBLIOTECA ALLA SICILIANA

Nella biblioteca di Utel si prendono in prestito libri, ma si sorseggiano anche tazze di tè e si mangiano pasticcini. E oggi si presentavano alcuni autori siciliani e di questi alcuni romanzi in particolare. L’incipit è con un classico: “il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. E sul Gattopardo è difficile dire qualcosa di originale, a parte che è un capolavoro assoluto e che, come tale, merita di essere letto. Dalle sue pagine esce una Sicilia metafora dell'Italia. E molto altro ancora. 

Poi le bibliotecarie hanno illustrato un paio di libri della Simonetta Agnello Hornby: “Caffè amaro” e “La mennulara”. Entrambi appassionanti, entrambi con la Sicilia come sfondo e come mondo di riferimento. Entrambi di buona qualità letteraria. E per finire hanno presentato “Sabbia nera” di Cristina Cassar Scalia. Un’autrice più recente e contemporanea.

I soci, anzi soprattutto le socie, una trentina, hanno ascoltato con curiosità l’esposizione e alla fine alcune, che si erano già fatte tentare da tè e pasticcini, hanno preso in prestito anche i volumi suggeriti, unendo il piacevole col dilettevole.

HALLOWEEN E LA PONTEDERA MULTICULTURALE

Non mi pare che Pasolini abbia mai scritto niente su Halloween. Di sicuro è stato ucciso (50 anni fa, proprio in questi giorni) ben prima che la festa prendesse piede nel nostro paese e diventasse una ricorrenza molto apprezzata a livello popolare e quindi sostenuta dall’associazionismo, anche commerciale, e dalle autorità locali. Le scuole, soprattutto quelle materne ed elementari, se ne sono innamorate; e da lì piano piano è entrata nelle famiglie e poi ha conquistato le piazze.

Ma “dolcetto o scherzetto” e questo carnevale dei morti sarebbero piaciuti ad uno dei più noti interpreti e critici dell’evoluzione della società italiana? O Pasolini vi avrebbe letto un altro dei segnali di imbarbarimento e della deriva totalitaria della società italiana, indotta e travolta dal consumismo e da tradizioni non autoctone e quindi fasulle? Qualunque sia la risposta, è certo che anche la nostra spensierata cittadina abbia aperto le porte ad Halloween. Nelle scuole. Ma non solo. Il Comune di Pontedera ad es. nel 2024 ci investi’, per finalità di promozione della città, quasi 50.000 € (cfr. Det. 1182/2024).

Quest’anno gli impegni finanziari non sono stati ancora interamente resi noti, ma gli allestimenti si sono visti. E la partecipazione popolare pure. Con appendici speciali nella frazione di Treggiaia, al villaggio Piaggio e presso il Teatro Era (fino a poco tempo fa blindatissimo), il quale Teatro, in particolare, è stato aperto il 31 Ottobre per una festa notturna dedicata ad Halloween (era la prima volta?), andando incontro, immagino, ad una richiesta proveniente dal mondo giovanile o dal business del divertimento. Così, grazie a Halloween, il Teatro nazionale pontederese è stato trasformato (e lo dico apprezzando la cosa) anche in una discoteca, anticipando probabilmente quanto accadrà nello spettacolo “DJ SHOW”, presente nel cartellone ufficiale. Merito forse del "declassamento" che ci impone di cercare anche altre entrate? 

Confesso comunque che al di là dei costi a carico del Comune (che nel 2024 comunque furono spropositati) non ho niente contro i festeggiamenti di Halloween. Né contro una certa cultura horror che l’accompagna e che dilaga non solo da noi (l’Economist ha appena dedicato un articolo sull’imponente business dell’horror).

Aggiungo anzi che Halloween mi è parsa una festa partecipata anche da quei pontederesi le cui famiglie provengono da diversi paesi del mondo e si riconoscono in tradizioni culturali e religiose differenti. Certo, mi sembra che siano stati, come sempre, soprattutto i bambini e i giovani a divertirsi di più. Ma i nuovi italiani sono loro. E a loro toccherà costruire, insieme ai ragazzi nati in famiglie autoctone, l'Italia (e la Pontedera) del futuro.

Ora, tornando a Pasolini, è chiaro che riconoscendosi nei riti di Halloween giovani autoctoni e giovani alloctoni tradiscono le “lucciole” e le radici profonde dei loro padri. E così facendo modificano la loro identità e quella della comunità in cui vivono e al tempo stesso danno vita ad una nuova tradizione (importata qui da altri paesi). Ma, come ci ha insegnato il grande storico Hobsbawm, in fondo tutte le tradizioni, incluse le feste, sono state inventate da qualcuno o importate da fuori. Halloween è solo una di queste.

Ma se funziona e se viene adottata da genti di provenienze diverse, se diventa un punto di incontro per nuove generazioni di origini culturali ed etniche differenti, se unisce e non divide, beh, che Halloween sia! 

Ma, per favore, senza sprecarci troppe risorse pubbliche. Non ce n’è bisogno.

domenica 2 novembre 2025

TRA FAMILISMO E AMICHETTISMO

Il consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Nicolò Stella, ha scritto sulla sua pagina facebook un breve post sulla nomina effettuata dal Sindaco di 2 rappresentanti del Comune all'interno del CDA di ECOFOR service. Quest’ultima è una società partecipata dal comune di Pontedera al 28%,  gestisce la discarica e lo smaltimento di rifiuti non pericolosi e impianti di produzione di biogas da rifiuti e altre attività collegate. ECOFOR service versa nelle casse comunali risorse economiche importanti e recentemente si è dotata anche di una propria fondazione culturale. Di fatto è una presenza economica e socioculturale importante in città. 

Stella ha ironizzato sul fatto che il sindaco (di centro sinistra) avesse in questa circostanza agito in maniera simile a certe nomine patrocinate da Arianna Meloni (di centro destra), lasciando intendere che l’amichettismo nelle scelte pubbliche è una caratteristica comune a tutti i politici italiani. Ha perfettamente ragione.

Di fatto lo spoil system, che consente a chi vince le elezioni politiche o amministrative di piazzare i suoi uomini e le sue donne nelle società gestite o partecipate dagli enti pubblici e questo sia a livello nazionale (vedi RAI, ecc.) che regionale e locale, è una regola in uso almeno da quando agli italiani si sono dotati di una democrazia (ovvero dal 1945). 

L’amichettismo è infatti noto nella letteratura scientifica, insieme al clientelismo e ad altri fattori sociali, sotto l’etichetta più ampia di “familismo amorale” che alcuni sociologi stranieri hanno studiato per l’Italia fino dagli anni ‘50 (cfr. Edward Banfield, Le basi morali di una società arretrata).

Per rimanere a Pontedera, negli anni ‘50 ad esempio le sinistre che guidavano il Comune si spartivano regolarmente la presidenza dell’ospedale Lotti (è da lì che cominciò ad es. la sua carriera politica il giovanissimo Giacomo Maccheroni) e fino agli anni ‘90 è impossibile trovare un democristiano (la DC stava all’opposizione) in ruoli di primo piano in società pubbliche collegate al Comune.

Per questo sono arciconvinto (e credo che Stella concordi con me) che se al posto dell'attuale sindaco a palazzo Stefanelli ci fosse un sindaco di centro destra nominerebbe di sicuro in ECOFOR due persone di sua assoluta fiducia, appartenenti alla sua area politica e alle sue amicizie. Lo stesso farebbe per le nomine di pertinenza comunale nei cda della Fondazione cultura, della Fondazione Piaggio, della SIAT ecc.ecc.

Perché tutti i politici e i sindaci esaltano a parole il merito e dicono di voler scegliere i migliori nei ruoli importanti, ma guarda caso alla fine scelgono sempre persone di cui si fidano.

Per questo la cosa più importante per una democrazia (anche locale) non è solo mettere al potere i migliori. E questo perché non c'è migliore che sfugga all’amichettismo e agli errori; e poi perché anche il voto popolare non sempre seleziona i migliori. La sana democrazia è quella che consente di cambiare regolarmente e pacificamente chi sta al potere e i suoi collaboratori. Avendo chiaro che si tratta sempre di sostituirli con altri. E poi continuare a cambiarli con altri ancora. Sempre regolarmente e pacificamente. L’importante è evitare che si consolidi troppo chi sta sul seggiolone ed escluda una parte della società dall’accesso all’esercizio del potere, il quale, nonostante le leggi, è sempre un po' arbitrario e inevitabilmente amichettista.

martedì 28 ottobre 2025

I MARCIAPIEDI DI VIA FANTOZZI

Già, i marciapiedi di via Fantozzi. Ci passo davanti quasi tutti i giorni. Da anni. E sono sciupati così da tempo in alcuni punti. Tra l'altro diverse mattonelle distaccate si trovano proprio davanti ad una importante sede socio-sanitaria, a poche decine di passi da quella che è (e sarà) la Casa della salute. Su questi marciapiedi transitano centinaia di persone al giorno. Per questo sono così malandati?

Chi dovrebbe occuparsene? Il servizio manutenzioni del Comune, credo. Ma forse una parte di questo servizio potrebbe essere stato esternalizzato. Non so rispondere con certezza a questa domanda.

Non so neppure se queste sconnessioni dei marciapiedi costituiscano un pericolo per la sicurezza dei cittadini e quindi un ipotetico (ma realistico) costo a carico del Comune per gli inevitabili risarcimenti in caso di inciampi, di cadute e di danni. 

La zona è frequentata di sicuro da diversi anziani dal precario equilibrio. E un anziano che cade, costerà uno sbotto alla collettività.

E certo queste sconnessioni del marciapiede non sono neppure un bel vedere. Non suggeriscono l’idea di una cittadina curata. Ordinata. Nella sua vita quotidiana.

Ovvio che l’amministrazione comunale ha mille problemi da affrontare; e deve fare delle scelte, ma quando certe situazioni si trascinano nel tempo e sono trascurate non è certo un indizio di buongoverno.

Le prossime elezioni amministrative, tra l'altro, ci saranno solo tra 4 anni e i marciapiedi di via Fantozzi, la via della “Mutua” per i pontederesi anziani, andrebbero aggiustati prima. Chi ha ritenuto di essere in grado di governare la cittadina, si è candidato ed è stato eletto amministratore dovrebbe occuparsene. Procedere con una sistemazione decente.

I marciapiedi sono roba poco poetica e poco ideologica. Ma camminare dignitosamente a piedi per Pontedera rientra tra i diritti dei cittadini che un’amministrazione attenta al decoro urbano (e alla salute dei residenti: camminare fa bene) dovrebbe curare.

Il consiglio di quartiere non potrebbe far sentire la sua voce?

Possibile che davvero non si possa fare meglio di così?

Nel dubbio, comunque, il vecchietto da tastiera continuerà a dire la sua. Male non dovrebbe fare.

lunedì 27 ottobre 2025

RICCARDO III di Latella e Marchioni a Pontedera

Ho visto al Teatro Era lo spettacolo per la regia di Latella e con Marchioni protagonista principale del testo shakespeariano del Riccardo III. L’adattamento è ben costruito per restituire alla contemporaneità (e divulgare) la divorante passione del potere che trasuda dalla tragedia di S., scritta tra il 1591 e il 1594, non facile da capire, né da digerire e che solo gli specialisti di teatro e di storia inglese potrebbero apprezzare fino in fondo.

Quindi sì mi è piaciuta la riduzione niente affatto riduttiva che il regista e il traduttore hanno fatto dell’originale. Bene per l’accentuazione della lotta per il potere in una guerra e una tragedia di famiglia, che coinvolge e travolge consanguinei, parenti e amici. Ho perfino apprezzato il tradimento di una tragedia che sa trasformarsi a tratti in commedia. I puristi possono giustamente indignarsi, ma il pubblico, almeno quello che ha riempito la grande sala teatrale di Pontedera, mi pare abbia apprezzato il tono ambiguo (un po’ queer?) della rappresentazione. Forse con qualche eccesso e qualche dissonanza? Può darsi. Ma anche le dissonanze raccontano qualcosa. Danno forza alla rappresentazione.

Mi ha convinto il ritratto brutale, falso e cangiante del potere che mischia sangue, soldi e sesso. Il potere che si brama anche oggi, nell'epoca del politically correct, per schiacciare i nemici, fare soldi, godersi privilegi anche sessuali, creare reti, infischiandosene delle critiche di chi sta fuori dalla porta.

In fondo Shakespeare ci svelava quali orrori, dolori, affari e miserie circondassero allora il dominio all’interno del cerchio magico. Ma questi fattori non sono ancora oggi quelli che lo circondano e non solo nei regimi autocratici? Ancora: molte delle dinamiche shakespeariane non si leggono anche nelle nostre cronache quotidiane?

Il testo, difficilissimo, è stato recitato con abilità e con grande energia da tutta la compagnia costruita da Latella. Davvero bravi tutti. Faticosi e mozzafiato gli scontri verbali tra i personaggi. Specialmente quelli tra Riccardo III / Marchioni e le varie figure femminili, inclusa la madre. Meraviglioso lo sputo in faccia a Riccardo III. Solo una donna poteva farlo con quella rabbia. Originali le trasformazioni in scena di alcuni personaggi. Bene la possibilità di passare dal cinguettio del giardino agli urli di alcuni personaggi fino al colpo di pistola finale del custode. Forse, forse, un gocciolino troppo compiaciuto Riccardo III/Marchioni. Forse, forse, poteva essere ancora più subdolo e più malefico. Di sicuro doveva essere più gobbo e più deforme. Più ripugnante.

Bello ed evocativo il giardino dell’ Eden, con le sue rose bianche e rosse, e l’albero cavo al centro, una natura materna violentata dalla malvagità e dalla stupidità degli uomini. Tutto è magico nel giardino e pieno di simboli e di rimandi culturali. Compresi alcuni troppo arditi e improbabili. Ma se il teatro non provoca, che teatro è?

Eccellente poi la durata. 2 ore quaranta. Con un intervallo che ha visto molti signori anziani (e anche diverse signore) correre verso il bagno, perché l’età non permette facilmente certe impegnative maratone, che, però, a teatro hanno un senso. Anzi sono “necessarie”.

Nell’età dello scrolling, il teatro è (deve essere) una scommessa e una sfida impegnativa anche per il pubblico. Una buona recita richiede la sua partecipazione attiva. E il pubblico pontederese (e dintorni: c’era gente proveniente da Pisa, dalla Valdera e da San Miniato) ha risposto numerosissimo e attento. Ottimo co-protagonista di una tragicommedia, quella del potere, di cui capiamo bene finalità e dinamiche, ma dalle cui tare sembra impossibile riuscire a libera

rsi.